essiri camurria - parole siracusane

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Parole siracusane
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essiri camurria

Tuccitto perchè si dice
Essiri 'na camurria
Tratto dal testo di Carmelo Tuccitto "palori a tinchitè" Editore Morrone-Vignette di Francesco Rodante


Di una persona si dice che è 'na camurria quando, insistendo sullo stesso argomento, diventa noiosa e fastidiosa per chi l'ascolta.
Se in tutta la Sicilia si conviene su questo significato, come pare che sia, è ovvio che la voce camurria non può derivare, come scrive qualcuno, da camorra, la ben tristemente nota organizzazione criminale napoletana di gente malavitosa intesa a soprusi, estorsioni e uccisioni. Tra l'altro camorra, sia se derivi dallo spagnolo CAMORRA (= rissa, litigio), sia se derivi dall'arabo QAMR (= gioco d'azzardo), ha significati ben diversi da quello che vi attribuiamo noi siciliani.
Camurria per me trae origine dall'antico latino CAMORIA che letteralmente vuol dire "moccio", "scolatura", insomma qualcosa che, come il muco del naso, o altro, cola. Difatti nei loro vocabolari, sia il Traina che il Mortillaro, alla voce camurria, pur non riportandone l'origine, concordano nel significato di "Malattia venerea contagiosa. Met. Ciò che infastidisce, secca di molto" il primo e "Sorta di malattia, scolagine celtica, virulenta, contagiosa, venerea. Per met. noia, fastidio, importunità" il secondo. In pratica si tratta della gonorrea o blenorrea (dal greco BLENNA = muco + il verbo greco RHEIN = scorrere, e quindi "corrente di muco) che nel vernacolo siracusano è chiamata sculu.
Le due definizioni sono confermate dal detto Camuirìa 'nvicchiata, ti porta a la bbalata. (Blenorrea cronica ti porta alla tomba).
Per similitudine, a Feria si chiamava camurria anche il mestruo. Non essendoci allora i moderni assorbenti, per le donne che erano impegnate nei lavori di campagna, e quindi lontano da casa, le mestruazioni costituivano un serio problema di igiene intima per cui Aviri 'a camurria si diceva nel senso di "Avere la seccatura delle mestruazioni".
A Siracusa invece si diceva Aviri 'u marchisi. Il titolo nobiliare ovviamente non c'entra. Marchisi deriva dal francese gergale MARQUIS, da MARQUER che vuol dire "segnare, marcare", per l'abitudine delle donne di appuntare con un segno, solo a loro noto, su un diario, su un foglietto qualunque o sul calendario, a seconda del periodo storico, l'arrivo delle mestruazioni, al fine di controllare la regolarità oppure il ritardo che poteva essere indice di gravidanza incipiente.
È facile adesso arguire come la voce camurria dal significato di "seccatura, fastidio" se riferita a cosa, sia passata a quello di "essere seccante e fastidioso" se riferita a persona. Il vecchio dizionario di italiano del Petrocchi e quelli un po' più moderni del Devoto-Oli e del Palazzi registrano ancora la voce camor¬ro con il significato di "persona malaticcia, uggiosa, seccante, e fiacca".
La fantasia del popolo siciliano si è ulteriormene sbizzarrita e, per indicare la persona fastidiosa e inopportuna, si è servita di altre metafore che hanno dato origine ad altrettanti modi di dire che mi limito a riportare.
Mittirisi a zzicca che vuol dire, "comportarsi come la zecca che si attacca ai cani". Di conseguenza si è pure chiamato zzicusu o azziccusu la persona insistente che segue continuamente un suo simile per chiedergli sempre la stessa cosa.
Appizzarisi comu 'ria mignatta "Attaccarsi come un sanguisuga che sfrutta il bisogno altrui per ricavarne un vantaggio. Lo affligge in continuazione con la sua presenza proprio come il verme che succhia il sangue e si distacca solo quando è sazio". {Mignatta potrebbe derivare da MIGNO = piccolo + il suffisso ATTA oppure dall'aggettivo latino di genere femminile MINIATA = macchiata di rosso, di sangue).
Mittirisi a-ccimicia (essere insistente) o Essiri 'na cimicia 'ntó cuddaru (Essere fastidioso come la cimice che si annida sotto il collare di un animale e lo punge in continuazione sul collo.
Nun lassavi ppi curtu (non dare requie, stare alle costole per ottenere quel che si pretende) oppure Teniri 'n curtu (non dare ad alcuno la comodità di muoversi). La metafora si rifà al mondo degli animali che quando sono ner¬vosi vengono legati dal contadino con una cavezza corta che impedisce loro di allontanarsi.
Mittirisi a zzichiti si rivolge a persona che insistentemente riprende lo stesso argomento o fa la stessa richiesta. Nel vocabolario siciliano del Piccitto zzichiti è riportata come voce onomatopeica che riproduce il rumore sempre uguale che fanno le scarpe nuove, però potrebbe anche derivare dal frinire delle cica¬le che fanno zzichi, zzichi, da cui il detto E sempiri 'nu zzichiti! (E sempre la stessa richiesta!, E sempre lo stesso discorso!).
A chi, per ottenere qualcosa, ripeteva le stesse parole, in Ortigia si diceva Nun mi cuntari 'a storia di Orlandu e Rinaldu, un detto tratto dal mondo dei pupari che sulla scena raccontavano sempre la stessa storia dei paladini.
Mittirisi a musica si rivolgeva all'ostinato che insisteva fino alla noia con lo stesso argomento perché l'insistenza è segno di ostinazione. Se in senso letterale con ostinato si intende il carattere di una persona, in senso figurato è riconducibile a una formula melodica o ritmica che in una composizione musicale si ripete sino ad annoiare. Nella conduzione della portineria il motto di don Ferdinando era Pani e pazienza cci voli in ogni cosa. Se qualche con¬domino non tollerava l'atteggiamento assillante dell'amministratore, che con insistenza minacciava di aumentare le quote condominiali, il mio portinaio si dichiarava disponibile ad incontrarlo dicendo: A chissu mu sciroppu iù (Sci- rupparì, da sciroppu che deriva dall'arabo SCHARUB = bibita. In senso letterale vuol dire "Me lo sorbisco io dopo averlo addolcito, in quello figurato "Con la mia pazienza riuscirò a renderlo meno assillante").




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