jabbi siracusani - parole siracusane

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Parole siracusane
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jabbi siracusani

Tuccitto perchè si dice
Carmelo Tuccitto tratta dal suo libro quann'erumi nnichi:‘I jabbi sarausani

Più mi addentro nella ricerca paremiologica e più mi accorgo che c'è ancora tanta parte della nostra parlata da riscoprire. L'ultima, in ordine di tempo, che ho stanata dall'angolo più remoto della mia memoria per tramandarla a chi desidera conoscere la nostra cultura popolare, riguarda una serie particolare di espressioni dialettali ormai desuete ma meritevoli di recupero. Si tratta di modi di dire anomali perché dialogati e che si possono definire gabbi (jabbi) o risposte a motteggio.
Sono essi la testimonianza residua della varietà dell'humour del popolo siciliano, della verve tipicamente nostrana che in passato ha contraddistinto ogni fascia d'età.
Una volta nemmeno al bambino, o a qualche adulto analfabeta, che si esercitava nell'apprendimento delle vocali, si risparmiavano battute canzonatorie come questa:
A, e, i, o, u.
E lu sceccu ca si ' tu!
Anche dal gabbo viene fuori l'identità dei siciliani, e in particolare dei siracusani, che sin dai tempi più antichi sono stati grandi parodiatoli.
E siracusano il poeta comico Epicarmo, vissuto a cavallo tra il quinto e il quarto secolo a. C., che nelle sue commedie parodiò i miti e lo stesso Omero.
Ho verificato personalmente l'attitudine all'umorismo della nostra gente quando, sino agli anni 50 a Siracusa, allo squillo del telefono si sollevava la cornetta e, in lingua, più volte si chiedeva:
- Pronto, chi parla?
L'immancabile risposta spiritosa era: 'A signurina che pattualla!
Per chi non lo sapesse aggiungo che scherzosamente per pattualla si intendeva anche un seno florido e sodo che dell'arancia ha la rotondità. Etimologicamente pattuallu deriva da PORTOGALLO, la nazione da cui l'aran¬cia alla fine del 1500 venne importata tramite gli Spagnoli; fino ad allora noi siciliani conoscevamo solo le arance amare che alla fine dell'800 gli Arabi avevano portato in Sicilia.
Chi aveva 'u sivu (voglia di scherzare) sciorinava abitualmente, e non solo per carnevale, il suo vasto repertorio di risposte a motteggio, sia per sollevare il morale altrui, sia per combattere la noia e la ripetitività della vita di allora.
Per strada e tra persone adulte, in occasione di scambio di espressioni di saluto, poteva capitare di sentire questo modo di dire dialogato alquanto pungente:
Bbaciamu li manu!
E macari li peri... si su' puliti!
Era simpaticamente chiamata smaccusa la persona dalla battuta facile e spiritosa che amava bbabbiari (scherzare) e prendere in giro gli altri piuttosto che lamentarsi delle avversità della vita.
Quando qualcuno intimava ad un altro di finirla ad insistere sullo stesso argomento, quest'ultimo cercava di sdrammatizzare la situazione con la spiritosaggine compresa in questo gabbo:
Puntu e bbasta!
Cìciri cà pasta!
Se si chiedeva l'ora si poteva rispondere con questo divertente scioglilingua che, meglio di un orologio di marca, dava l'ora esatta di qualsiasi momento:
Chi ura è -Che ora è?
L'ura ri r 'aieri a 'st ' ura, -L'ora di ieri a quest'ora
né cchiù tardu, né daùra. nè più tardi, nè prima.
Quando non si era in grado di accontentare determinate esigenze alimentari si rispondeva scherzandoci sopra:
Haiu fami!
Tira 'a cura ró cani!
Invece si trascendeva nella volgarità quando la richiesta era d'acqua:
Haiu siti!
Piscia e bivi!
Chi aveva consapevolezza che, smangiuccando in continuazione sarebbe diventato obeso, era solito usare questo gabbo:
Chi dici 'a panza? - Che dice la pancia?
A panza pillicchia, - La pancia spilluzzica, cchiù assai mancia più mangia
e cchiù assai si stinnicchja e più si allarga.
Pillicchiari deriva dal latino volgare PILUCCARE che vuol dire "mangiare a poco a poco, con furtiva avidità". Stinnicchjari potrebbe essere frequentativo di STENNIRI dal latino EX-TENDERE = allargare, stendere.
Da Feria mi giunge questo modo di dire dialogato che, scherzosamente, invita a difendersi dal freddo col calore umano:
Haiu friddu!
Strincitu ccu iddu! (Stringiti a lui!)
Ci sono gabbi che prevedevano doppie risposte. Alla ripetuta richiesta di sapere quando fosse avvenuto un determinato fatto si poteva rispondere in modi diversi:
Quannu?
Quannu 'i scecchi ievunu cacannu!
Con questa risposta si voleva dire "Da poco tempo". Si faceva infatti riferimento ad un passato recente quando, prima dell'avvento del moto furgoncino della Piaggio detto A Lapa, per le vie della città si vedevano i carretti dei venditori ambulanti di frutta e verdura trainati da asini che imbrattavano le strade lasciando i segni evidenti del loro passaggio. Ricordo che per indicare invece un passato remoto si diceva E tempi rè canonici 'i li gnu! (Per l'origine vedi il mio Siracusanerie pagg. 29-30).
Alla stessa domanda: - Quannu? l'altra risposta poteva essere: - Quannu 'i maccarruni ti ficiunu ddannu!
Non sono pochi i modi di dire dialogati che contengono calembour o giochi di parole:
Caru!
Tèniti forti!
Il calembour è tra caru (Io cado da càriri = cadere) e caru (espressione affettuosa) che in siciliano si pronunziano allo stesso modo.
Se tra i due dialoganti c'era molta confidenza (erunu tutta 'na cosa), si rispondeva in un modo che oggi potrebbe sembrare volgare, ma che allora si prefiggeva di suscitare soltanto una risata:
Appènniti 'nta 'stu palu!
La voce palu aveva infatti un doppio senso, quello letterale di palo e quello figurato di fallo.
Un altro gioco di parole si trova nel gabbo usato quando con la domanda:
Comu?
si rispondeva fingendo di non avere capito:
Vicinu Milanu!
Qui il calembour è tra l'avverbio interrogativo comu (come) e la città lombarda di Como che in dialetto hanno lo stesso suono. Se l'altro insisteva cambiando la domanda, la risposta era sempre evasiva, in rima o con un'assonanza:
Ca rittu? (Che hai detto?)
Ficutu frittu e bbaccalaru cottu! (Fegato fritto e baccalà cotto!). Il carattere tipico del siciliano traspare anche dai gabbi in cui uno dei due dialoganti cercava di sfuggire con una freddura a chi voleva sapere dove fosse successa una determinata azione:
Unni? (Dove?).
Unni cacunu 'i palummi! Il duetto poteva proseguire con la controbattuta:
E tu cci appizzi l'ugni oppure con quest'altra sparata:
A mmirduzza a ttia e l'uviceddu a mmia.
Se non si sapeva o non si voleva rispondere alla richiesta di conoscere anche il motivo per cui un fatto fosse avvenuto si poteva rispondere con un nonsense:
Pire hi?
Pirchì rui nun fanu tri!
o con una facezia :
Pirchì?
Pirchì li scecchi sunu tri. Qui la controbattuta era:
- e ccu ttia fanu quattru! Quando al buontempone si chiedeva del suo stato di salute, che dall'aspetto sembrava precario, egli, per dire che ogni cosa era a proprio posto e che stava bene, rispondeva con una boutade:
Chi hjai?
'A panza ravanti e 'a cuscenza rarreri!
Spiritosamente con cuscenza si alludeva alle cosce.
Se, invece, si voleva sapere in particolare, come stesse a gambe, rispondeva con un altro gioco di parole:
E l'anchi? - E le gambe?
Haju st 'anca, stanca - Ho questa gamba, stanca
e st 'anca e questa gamba cchiù stanca 'i 'st'anca più stanca di quest'altra.
Per avvalorare la tesi che il siciliano faceva 'a sassa (fare la salsa = ironizzare) su tutto, anche su un argomento delicato come il momento del proprio trapasso, riporto questo modo di dire dialogato ancora in uso:
Tu campi cent 'anni!
Si 'a morti nun m 'arricogghi prima!
Per Carnevale neanche il prete sfuggiva allo scherno, ovviamente fuori dalla chiesa e in sua assenza.
Chi voleva abbuffuniallu' (prenderlo in giro) si rifaceva al momento finale della santa messa, allora in latino, e precisamente a quando, prima dell' ite missa est (Andate la messa è finita) il celebrante, cantando, così si rivolgeva ai fedeli:
-Dominus vobiscum! -Il Signore sia con voi!
La risposta scherzosa era in rima e anch'essa cantata:
-Nesci 'u cauru e trasi 'u friscu! - Esce il caldo ed entra il fresco!
1- Abbuffuniari è un verbo denominale formatosi per aggiunta del prefisso rafforzativo -AB e del suffisso -INIARI alla voce onomatopeica BUFF = gonfiare (le gote) per fare ridere. BUFF, a sua volta, risulta formata da BU indicante un mugolio e da FF che rappresenta un soffio prolungato.


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