chi si ro cincu - parole siracusane

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Parole siracusane
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chi si ro cincu

Tuccitto perchè si dice
E chi si'rò Qincu?
Tratto dal testo di Carmelo Tuccitto "palori a tinchitè" Editore Morrone-Vignette di Francesco Rodante



L'avere sentito per caso, tra la nostra gente, il modo di dire che mi accingo ad esaminare in questo capitolo è la dimostrazione che il dialetto è ancora vivo.
Domenica scorsa, mentre di mattina mi trovo a Piazza Santa Lucia, la mia attenzione è attirata da due individui che, seduti su una delle panchine di ferro, stanno discutendo animosamente di non so che cosa. Nel passargli davanti sento chiaramente questo scambio di battute:
-E chi si 'ró gincu?
E l'altro, gesticolando, replica prontamente:
-No, ró cincu cci si'tu!
Ai miei lettori più giovani dico subito che quel cincu sta per millinovigientugincu e che entrambi gli interlocutori non si accusano reciprocamente di essere nati nel 1905, come potrebbe sembrare, in quanto il modo di dire E chi si 'ró cincu? col tempo ha assunto, soprattutto a Siracusa, il significato di E chi si 'lesu di testa?, E chi si 'pazzu? Per spiegarcene il motivo ricorriamo ancora una volta alla Storia.
In seguito alla guerra italo-turca (1911), la pace di Losanna del 1912 sancì l'annessione italiana della Tripolitania e della Cirenaica, ma durante il Primo conflitto mondiale le tribù libiche dell'interno, appoggiate dal capo dei senussi Omar el Muktar, si ribellarono, riducendo il controllo degli italiani alla fascia costiera della Tripolitania e di alcune città della Cirenaica, tra cui Bengasi.
Per l'operazione di recupero di quei territori (Tripolitania 1922-23 e Cirenaica 1925-31), denominata Riconquista, furono inviate soprattutto truppe di leva della classe 1905 al comando del colonnello Rodolfo Graziani. Numerosa fu la partecipazione dei soldati siracusani.
Nonostante i raid aerei italiani con bombe esplosive e incendiarie, nonostante il largo uso di gas asfissianti, nonostante l'impiego, a nostro favore, di migliaia e migliaia di ascari eritrei particolarmente ostili alle popolazioni locali, la Riconquista per i nostri combattenti fu difficile e per tanti anche fatale.
Racconta ancora qualche anziano che a Siracusa, di chi non fu annoverabile, né tra i prigionieri, né tra i caduti, in quegli anni si sentì più volte il nome accompagnato dalla formula Disperso in Libia. Il detto Essiri spirdutu in Libia si cominciò ad usare a proposito di qualche amico che non si incontrava da tempo.
Per i nostri militari alla strenua resistenza delle popolazioni libiche si aggiunsero le sfavorevoli condizioni climatiche e ambientali. Le forti escursioni termiche, il vento caldo e secco (Ghibli), le marce estenuanti nel deserto, ora sabbioso, ora ghiaioso, la mancata conoscenza dei luoghi e l'acqua non sempre disponibile, influirono in maniera irreversibile sulla salute dei soldati.
Molti dei superstiti tornarono a casa in non perfette condizioni mentali.
Furono appunto le evidenti turbe psichiche dei reduci a far nascere la locuzione dialettale ró cincu che in città si usava, in segno di compatimento e senza indicarne il nome, nei confronti di chi aveva combattuto in Libia.
A partire dal secondo dopoguerra però, a Siracusa il significato dell'espressione Essiri ró cincu mutò. In senso scherzoso si cominciò a rivolgere E chi si'ró cincu? a chi, senza essere stato in Libia, manifestava una certa bizzarria nelle idee o nel comportamento.
Una signora, di cui ovviamente non faccio il nome, mi racconta che suo padre, che all'anagrafe risultava del 1905, per non farsi deridere pubblicamente, addirittura era solito affermare ad amici e colleghi di essere nato nel 1906.
Tra i vari modi per indicare in dialetto chi soffre di malattie mentali ne cito alcuni ancora in uso: Nisciutu ri menti o Nun cc 'è ed testa equivalgono a "Essere fuori di senno", Testa svitata si rivolge a chi dà segni di squilibrio mentale, mentre Pazzu ri catina è il pazzo furioso da "incatenare" . Sfasatu si dice di chi non connette, è fuori fase. Si affibbia l'epiteto di Scattiatu a chi "va in escandescanza".
Per don Ferdinando la follia era la malattia più grave perché inguaribile. Prifissuri, mi diceva, megghiu patiri di stomacu ca di menti pirchì cu ' nesci pazzu nun si sana cchiù.


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