lassulu cantari
Tuccitto perchè si dice
Lassulu cantari!
Tratto dal testo di Carmelo Tuccitto "palori a tinchitè" Editore Morrone-Vignette di Francesco Rodante
Una volta in Sicilia, se qualcuno metteva in giro notizie volutamente distorte sul conto di un altro o faceva commenti maliziosi, discorsi ambigui e allusivi, o si abbandonava a malevoli pettegolezzi, raramente si adivano le vie legali. Si lasciava cuocere la mala lingua nel suo brodo. Al pettegolo non si dava credito, come d'altronde si evince dal suo etimo (dal veneto PETEGOLO che vuol dire "piccolo peto"). A chi era intenzionato a prendere i provvedimenti che riteneva adeguati si consigliava di desistere con l'espressione E lassulu cantari! che voleva dire "Non ti curare di lui", "Lascialo dire!".
Forse non tutti sanno che il modo di dire Lassulu cantari ha origini augustanesi. A differenza che in altre città e paesi della Sicilia, nell'Ottocento ad Augusta le richieste di fidanzamento, o come allora si chiamavano, 'i spiecazzioni si facevano tramite strinati, da cui l'altra espressione A cu'cci la fai 'sta strinata ? che usava chi aveva capito che il suo interlocutore stava raccontando frottole.
Tra i contadini e pescatori era d'uso che il pretendente faceva sapere di mattina ai componenti della famiglia della ragazza che chiedeva in moglie che di sera tardi avrebbe cantato o fatto cantare una canzone dietro la loro porta. Non sotto la finestra o sotto il balcone perché allora le abitazioni di queste due categorie di lavoratori erano quasi tutte a pianterreno.
Attraverso il canto, il giovane palesava apertamente le proprie intenzioni e i sentimenti d'amore che provava nei confronti della ragazza che voleva prima come fidanzata e poi come sposa. Insieme a qualche parente, a volte anche della propria madre per dare ufficialità e maggiore credito alla sua richiesta, e con l'accompagnamento musicale di un violino e di un basso, dava inizio alla strinata o notturna.
Se la richiesta veniva accolta, al suono dell'ultimo ritornello, la porta si spalancava e il giovane, insieme ai suoi accompagnatori, veniva festosamente ricevuto da tutta la famiglia. L'evento si festeggiava con l'offerta da parte della famiglia dei soliti spinnagghi {calia, scacci, sfingi e, se c'erano le possibilità economiche, cosaruci e rosoliu. Spinnagghi deriva da SPINNARI = sentire fortemente il desiderio di mangiare, livarisi 'u spinnu, togliersi il desiderio, come in Cu ' tasta nun spinna = chi spilluzzica non soffre. Sfingia deriva dall'arabo SFANG = frittella. Per antitesi vocalica si ha SFING e per epitesi SFINGIA). Si diceva infatti: Nun cc 'è festa si nun cci sunu spinnagghi.
Se il giovane non si riteneva credibile o un buon partito, la richiesta veniva respinta e la serenata si prolungava all'addiaccio sino a quando pre¬tendente, accompagnatori e suonatori non si stancavano e se ne tornavano a casa amareggiati e a bocca asciutta.
Di solito le figlie ubbidivano alle decisioni dei genitori, ma se nel corso della serenata la ragazza richiesta in moglie mostrava di essere consenziente e con gli occhi accennava alla madre di aprire la porta, la risposta della genitrice era subitanea e categorica: Lassulu cantari! Era questo un esplicito invito a fare finta di non sentire il pretendente, a non credergli, a non dargli retta.
Dopo la vana serenata, al poveraccio respinto non restava che cantarisi 'u misereri, cioè rassegnarsi e mettersi il cuore in pace.
Col tempo il verbo cantari, inserito in altre locuzioni, ha acquisito significati diversi. Cantannu cantannu voleva dire "Fare una cosa presto e bene senza incontrare difficoltà", Cantari pani pani e vinu vinu che equivaleva a "Riferire ogni cosa in maniera dettagliata e con dovizia di particolari".
Nel bbaccagghiu, il gergo della mala, cantata significava e significa "delazione". Difatti Fari cantari a unu vuole ancora dire "Indurre qualcuno a dire quello che sa", "Cavargli dalla bocca un segreto".
Il mio portinaio, che già i lettori conoscono come un tipo istintivo, quando aveva qualche appunto da fare all'amministratore, non riusciva a trattenersi. Subito dopo averglielo fatto, me lo comunicava con queste parole: Prifìssuri, cci la cantaiu!