palazzo Bellomo Parisio
PALAZZO BELLOMO - PARISIO
vedi anche:http://www.antoniorandazzo.it/Monumenti%20medievali/palazzo-bellomo.html
L'originario impianto di questo complesso architettonico risale al sec. XIII. Il corpo est ancora ricco di strutture sveve fu abitato per oltre tre secoli dalla famiglia Bellomo e dopo varie vicende nel sec. XVIII (anno 1725) fu venduto al contiguo Monastero Benedettino; il corpo ovest del sec. XIV appartenne al Barone di Cassaro Pietro Parisio ma nel 1365 divenne Monastero di San Benedetto.
Dell'originario impianto del Palazzo Parisio rimangono poche tracce sia a causa delle trasformazioni dovute al diverso uso che a causa delle trasformazioni comportate dal terremoto del 1693. Alla primitiva costruzione appartengono gli archi del portico ed altre strutture ogivali.
Dell'originario Palazzo Bellomo rimangono invece la muratura a filari di piccoli conci squadrati fino all'altezza di m. 7,50 e comunque fino alla cornice marcapiano, alcune stanze del piano terra coperte da poderose volte a crociera, le grandi fosse a campana adibite a pozzi o granai. Le prime trasformazioni iniziarono nel sec. XIV quando per motivi spaziali fu abbattuto il muro di recinzione a settentrione, furono attuate le profonde trasformazioni del portico e fu iniziata la soprelevazione. Nella prima metà del sec. XV il gusto catalano portò all'inserimento del portale marmoreo e all'apertura delle monofore (al posto delle finestre a feritoia) nel primo ordine del prospetto. Al piano superiore furono inserite le bifore e le trifore; all'interno, nel cortile, fu costruita l'elegante scala esterna dal robusto parapetto. Alla sommità della scala secondo l'uso catalano, fu ricavato un arioso loggiato, ricostruito nel 1952. Agli ampliamenti del palazzo eseguiti nel sec. XVIII si deve la costruzione del Cortile delle Palme.
Sulla originaria distribuzione dei Palazzi Bellomo e Parisio dunque ben poco è possibile leggere. È comunque evidente l'intenzione di considerare la casa come una fortezza chiusa verso l'esterno (un solo piccolo ingresso e alcune feritoie la lasciavano respirare) e proiettata invece verso il suo spazio aperto interno (ed il portico è il filtro che documenta tale proiezione interiore).
La riorganizzazione catalana modificherà tale concetto dell'abitazione creando quella continuità interesterna dello spazio abitativo.
Ospita la Galleria regionale di palazzo Bellomo a Siracusa.
foto postate da Matteo Masoli
Musei - Palazzo Bellomo a Siracusa
di Paolo Giansiracusa
La collezione artistica del Museo Bellomo esiste ufficialmente dal 1940, ed era composta allora da un esiguo numero di opere e reperti che andavano dall’epoca bizantina al tardo barocco.
Dopo lunghi restauri, curati dal 1905 al 1942 sul progetto di Sebastiano Agati, i palazzi Bellomo e Parisio divennero un museo. Nel 1958 il progetto di Enzo Fortuna portò ad altri restauri e a un rinnovamento dell’esposizione.
Un ulteriore cambiamento sopravvenne nel ’76, grazie al restauro conservativo di un cospicuo numero di opere d’arte. Contemporaneamente, il Museo di Palazzo Bellomo diventava Galleria Regionale.
C’è stato ancora un restauro dal 1991 al ’93, reso necessario dai danni causati dalla scossa sismica del 13 dicembre 1990. Oggi la Galleria è uno dei più importanti musei della Sicilia.
Il sistema espositivo è cronologico, e la mostra si estende su cinque sale al piano terreno e tredici al primo piano. Al piano terra potete trovare reperti dell’età bizantina, frammenti architettonici, stemmi e sculture dall’età normanna al Settecento, pitture di madonnari cretesi-veneziani.
Alle pareti del cortile del Palazzo Parisio, nel cortile delle Palme e nel portico di Palazzo Bellomo sono murati elementi architettonici medievali, rinascimentali e barocchi provenienti dalle fortificazioni, dai palazzi e dalle chiese di Ortigia trasformati o distrutti. Al piano superiore sono esposti plastici urbani, ceramiche, paramenti e oggetti sacri, presepi in cera, legno, stucco e cartapesta, statue lignee e opere pittoriche provenienti da donazioni, da acquisizioni e da chiese e conventi sconsacrati di Siracusa e di numerosi centri della Sicilia orientale. La Galleria è costituita dai Palazzi Bellomo e Parisio, unificati nel 1725 quando il Monastero Benedettino, già insediato nel trecentesco palazzo del Barone del Cassaro, inglobò nel suo organismo architettonico gli spazi duecenteschi e quattrocenteschi della casa della famiglia Bellomo, a quel tempo ormai in possesso dei Salonia.
I due palazzi, con le loro vicende storiche e costruttive, rappresentano una pagina luminosa del passato e del presente artistico della città di Siracusa. Le strutture più antiche di Palazzo Bellomo risalgono al secondo quarto del tredicesimo secolo e appartengono sicuramente al programma costruttivo promosso personalmente da Federico II di Svevia con lo scopo di dotare la città di una serie di edifici fortificati. Dell’età sveva il palazzo conserva il primo ordine del prospetto fino a un’altezza di metri 7.50. Come è chiaramente visibile grazie al paramento murario a conci squadrati che nella parte più antica è caratterizzato dalla presenza di blocchi più piccoli con la superficie a vista non lisciata. Appartengono anche all’edificio originale il portale ogivale in marmi policromi riutilizzati, le due monofore del settore ovest del prospetto, gli ambienti del fronte sud del palazzo, le strutture verticali e le arcate ogivali del portico. Le trasformazioni radicali avviate nell’ultimo quarto del quattordicesimo secolo e concluse nel primo quarto del secolo successivo mutarono l’aspetto severo dell’edificio svevo e contribuirono alla creazione di una luminosa casa catalana.
Fu certamente nel clima del rinnovamento edilizio cittadino incoraggiato dalla Camera Regionale che Palazzo Bellomo vide sorgere al suo interno la monumentale scala scoperta e l’ariosa loggia del piano nobile. Nei prospetti esterni, sopra l’ultimo filare di conci duecenteschi, fu addentellato un nuovo paramento murario con conci squadrati più grandi e dalla superficie a vista liscia. Il primo ordine fu chiuso con una semplice cornice marcapiano; nel secondo ordine la muratura fu ritmata con ampie trifore catalane. In seguito ai danni del terremoto del 1693, dopo varie vicende, nel 1695 il palazzo fu venduto dai Bellomo al sacerdote siracusano Mario Salonia “e poi dalla sua pronipote Dorotea rivenduto nel 1725 al contiguo monastero di San Benedetto”. Infine, nel 1901, fu ceduto all’Amministrazione delle Belle Arti. Il Palazzo Parisio, unito strutturalmente e giuridicamente al Palazzo Bellomo nel 1725, quando il Monastero Benedettino fu ingrandito, fu fondato verso la prima metà del Trecento. Nel 1365 apparteneva al barone del Cassaro Pietro Parisio, il quale lo cedette al monastero di San Benedetto, di cui era badessa sua sorella, Suor Cesarea del Cassaro, monaca professa del Monastero di Santa Maria delle Monache. Del palazzo originario restano solo poche strutture architettoniche nel portico e nel vestibolo. Nel portico due ampie arcate ogivali, risolte con conci squadrati di calcare bianco disposti a ventaglio, poggiano su un antico frammento di colonna di granito rosso sormontata da un capitello in marmo bianco dell’età classica, abilmente riutilizzato. Per il resto la costruzione ha un carattere prettamente barocco derivante dalla radicale ristrutturazione attuata dopo il terremoto del 1693. Il portale con ventaglio di bugne e la lunga gelosia panciuta sono i segni indelebili del nuovo gusto che caratterizzò la ricostruzione di Ortigia agli inizi del Diciottesimo secolo.
La galleria regionale di Siracusa
è fresca di un minuzioso lavoro di restauro e riordinamento.
La ospitano due palazzi gotici, palazzo Parisio e Palazzo Bellomo (dei secoli XIII-XIV), di notevole interesse artistico di per se stessi.Il piano terreno conserva le strutture dell'originale costruzione duecentesca di epoca sveva, e vanta un bel cortile con portico e una scalinata. Il Cortile della Palma, decorato da stemmi provenienti da palazzi e monumenti di Siracusa demoliti, è invece del secolo XVIII.
Il patrimonio artistico esposto documenta l'evoluzione dell'arte nella Sicilia orientale, e in particolare a Siracusa, dall'epoca bizantina (secolo VI), araba e arabo-normanna, fino al XVIII secolo.
Notevole consistenza ha il patrimonio relativo alla pittura e alle arti decorative, come paramenti e arredi sacri, gioielli, ceramiche policrome, terrecotte, statuette di presepe e miniature.
Gli oggetti esposti provengono in gran parte da chiese e conventi soppressi dopo l'Unità d'Italia, e furono qui trasferiti nel 1940 dal Museo archeologico, di cui facevano in precedenza parte.
L'opera più celebre di proprietà della galleria è senz'altro il Seppellimento di Santa Lucia del Caravaggio, già nella chiesa di Santa Lucia. Attualmente è in corso una discussione sulla collocazione definitiva del dipinto, conteso fra la galleria stessa, la chiesa di Santa Lucia, e sedi espositive provvisorie.
Altrettanto celebre è l'Annunciazione di Antonello da Messina, dipinta nel 1474, reduce da un delicatissimo restauro che ha finalmente rimediato in buona parte allo stato gravemente lacunoso in cui era giunta fino a noi.
CASE SVEVE di ORTIGIA
SIRACUSA SVEVA GUIDA AI MONUMENTI DELLA CITTA' E DELLA PROVINCIA
PALAZZO BELLOMO CASA di Via Capodieci
L'edilizia civile federiciana di Ortigia è oggi purtroppo difficilmente ricostruibile a causa delle notevolissime trasformazioni e demolizioni avvenute a partire dal terremoto del 1693 sino ai tempi moderni .
Alcune strutture sono tuttavia ricostruibili grazie alle pubblicazioni lasciateci da G. Agnello .
Le più importanti sono: la casa sveva (Palazzo Bellomo) in via Capodieci, il portico all'interno del Palazzo Arcivescovile (cosiddetta Cappella Sveva), le casa sveva in via della Maestranza (Palazzo Landolina-Bonanno), casa sveva di via Cavour detta "Casa di Santa Luciuzza (demolita).
Alcuni elementi architettonici che potrebbero essere federiciani, come archivolti, porte, finestre rintracciabili, ad esempio, nel complesso architet¬tonico di Palazzo Impellizzeri in via Maestranza o nel Palazzo Beneventano del Bosco in piazza Duomo o lungo il paramento murario di una casa in via Capodieci (civico 39), meriterebbero una seria considerazione nell'ambito di uno studio scienti¬fico dell'architettura sveva di Siracusa che potreb¬be fornire una corretta valutazione dell'assetto urbanistico federiciano d questa città .
PALAZZO BELLOMO CASA di via Capodieci
Fra gli edifici svevi esistenti nel tessuto urbano di Ortigia, il Palazzo Bellomo, oggi sede della galleria omonima, merita un'attenzione particolare. Esso infatti ha miracolosamente conservato l'originaria struttura duecentesca quasi per intero. Il nome non fa riferimento al periodo federiciano ma alla famiglia Bellomo che ne divenne proprietaria nel 1365.
Trasformata con l'aggiunta di una sopraelevazione in stile catalano nel corso del XV secolo e già accorpato all'attiguo trecentesco Palalo Parisiom, questa struttura architettonica ci restituisce, già nel¬la sala di ingresso, la sua precipua identificazione con l'arte imperiale: la serraglia della volta a crociera, infatti, presenta - quasi una firma! -, l'aquila imperiale plasticamente resa e ben conservata .
Il prospetto della Palalo Bellomo presenta un rivestimento in conci rettangolari di modeste dimensioni ancora leggibili sino alla linea marcapiano, che segna l'innesto del secondo piano di stile catalano.
Il motivo della scarpa, che abbiamo già visto nel Castello Maniace, assolve soltanto ad una funzione stilistica essendo qui molto più limitata ed assu¬mendo la forma di una fascia muraria di poco aggettante rispetto al paramento del muro.
Le aperture originarie consistevano in due monofore e in un portale. Oggi la monofora a destra del portale appare nella sua trasformazione del XV secolo, realizzata tamponando l'archetto della precedente monofora sveva; la diversità dei conci impiegati rivela il riadattamento .
Il portale ha subito i danneggiamenti del tempo ed è molto difficile ricostruirne l'assetto originario. Rimangono elementi dell'apparato marmoreo che, soprattutto nella parte ogivale, appaiono rasati.
Al di sopra della chiave d'arco fu collocato, nel XTV secolo, lo stemma dei Bellomo. La scala è moderna .
Per comprendere l'interezza della fattura dell'esterno del palazzo Bellomo si consiglia di spostarsi sull'angolo Sud-Est dell'edificio ed osservare il tratto di paramento murario che guarda sul vicolo: presenti anche qui le trasformazioni delle originarie aperture sveve. Superata la soglia del portale si entra oggi nella ovattata atmosfera della Galleria Regionale di Palazzo Bellomo. Tale utilizzo della Casa Sveva è sicuramente un fatto molto positivo che accresce la valenza architettonica dell'edificio e il suo valore artistico e storico.
Si viene subito rapiti dall'imponenza suggestiva del vestibolo che è coperto da una volta a crociera di m 5,55 x m 5,45.1 costoloni si incrociano al centro ove si imposta la serraglia con la scultura dell'aquila (vedi pag. 9);
poggiano su pilastri angolari con le mensole strutturate nelle note piramidette rovesciate terminanti a goccia.
Il retroprospetto presenta una bella serie di conci in pietra calcarea disposti a raggiera che ne sottolineano l'arco.
L'ambiente descritto era aperto sull'atrio e a destra era in comunicazione, mediante una porta archiacuta (originali i conci dello strombo, di restauro quelli che contornano l'arco), con un altro ambiente di dimensioni maggiori: m 6 x m 8 "2.
Si tratta quindi di un vano rettangolare e, come sottolinea G. Agnello "La crociera è inscritta in un piano rettangolare, ma con ingegnoso espediente tecnico che ha permesso di conservare immutato lo schema delle precedenti. Una parte della volta, difatti, è impostata su superficie qua-drata di metri sei di lato; due dei peducci sono fermati dalle solite mensolette angolari, gli altri due gravano su robusti semipilastri coronati da cornice aggettante e adorni dalle solite mensole. Il resto della volta, per un'ampiezza di m 1,37, si ripiega a botte, con peducci rettilinei svolgentisi tra i pilastri e i muro perimetrale esterno, sostenuti in ciascun lato da mensolette che si protendono dall'alto, in duplice fila, sotto forma di tozzi stalat¬titi, con la soppressione delle gocce terminanti" .
A destra della porta è stata ricavata una profonda edicoletta (cm 90 x cm 73), usata probabilmente come "armadietto", come quelle esistenti nei servizi del Castello Maniace.
Lungo la parete Sud si apre la strombatura della finestra catalana munita di sedili e lungo la parete Est vi sono le aperture corrispondenti a quelle esterne.
Uscendo dalla stanza ripercorriamo il vestibolo e, attraverso il portico (che descriveremo dopo), possiamo visitare la stanza attigua, ma non comunicante, che si attesta sul lato Est .
Essa è rettangolare - m 5, 80 x m 4, 50- ed è stata coperta con la stessa soluzione architettonica della precedente.
I costoloni della volta poggiano su peducci. Anche qui troviamo un "armadietto a muro" (m 1, 37 x m 1,05). Lungo la parete Nord si individuano due edicolette e una apertura alla quale probabilmente, secondo il suggerimento di Agnello, si accedeva tramite una scala di legno. La luce arriva da una monofora.
Ritornando nel portico si accede all'ambiente più grande dell'edificio' composto da due crociere di m 6,10 x m 5, 75 che si configura come unica sala (che chiameremo "la grande sala") per la totale assenza di muri divisori; essa non aveva collegamento con il vestibolo.
La crociera Ovest è stata ridimensionata probabilmente durante i lavori per il monastero delle benedettine. La crociera Est presenta invece agli angoli i capitellini pensili e lungo la parete il semi-pilastro con peduccio a goccia. Non sono presenti i costoloni forse perché caduti.
Anche in questa sala sono ricavati nello spessore murario due vani - ripostiglio.
L'ambiente a Nord, opposto alla grande sala, è stato ampiamente rimaneggiato e sopravvive soltanto la porta medievale confrontabile con le altre esistenti.
L'interno, infatti fu completamente stravolto per motivi non più verificabili. Oggi è visibile la copertura a botte che poggia su tre ordini di pilastri poligonali di gusto quattrocentesco .
Se esisteva un ambiente simmetrico a questo sul lato Est, come vorrebbe il principio di simmetria che informa tutte le strutture federiciane, non ci è purtroppo più possibile sapere a causa delle trasformazioni moderne.
Un ambiente stretto e lungo" con due aperture sul portico è collocato ad Ovest tra la "grande sala" e l'ambiente a Nord, con i quali non ha collegamento.
Il portico:
Tutti gli ambienti precedentemente descritti si affacciano sul portico tranne la stanza Est.
La porta del vestibolo mantiene le stesse dimensioni del controportale d'ingresso.
Il portico federiciano è stato tranciato poco sopra l'imposta delle crocierine per impostarvi, nel XV secolo, una copertura a botte.
Restano superstiti frammenti delle mensolette a piramide rovesciata talvolta terminanti a goccia e i monconi degli archi che incorniciavano le volte a crociera, in numero di 4 per lato. Questi pochi, ma significativi elementi, ci fanno ricostruire la sequenza delle crocierine che movimentavano il portico. Troveremo confronti nella cosid¬detta Cappella Sveva dove alcune delle coperture ci sono pervenute quasi per intero.
A Palazzo Bellomo non sono più presenti i pilastri originari sui quali si appoggiava il loggiato perché rifatti nel XV secolo. Un solo pilastro, po¬ligonale, sembrerebbe aver mantenuto la confi-gurazione originaria: "sfaccettatura, base, decora¬zione dei capitelli ripetono le forme di quelli mu-rali..." .
I semipilastri lungo la parete Ovest, invece, ostentano ancora la loro tipologia sveva presentando la bella tecnica di ammorsatura con la parete stessa che già conosciamo dal Castello Maniace.
CONCLUSIONI
Dalle strutture pervenuteci la casa sveva si presenta trincerata dai muri perimetrali verso l'esterno e proiettata interamente verso lo spazio interno, cioè il portico che poteva essere a servizio di un cortile o di un giardino.
Soltanto la stanza Est è collegata con il vestibolo. Tutti gli altri ambienti non sono comunicanti tra di loro. Questo potrebbe far pensare ad un rapporto particolare tra vestibolo e stanza Est, rapporto di tipo funzionale o gerarchico.
Un'eventuale accesso dal portico sarebbe stato comunque possibile ricavando la porta sul prolungamento dell'angolo Sud-Est del portico stesso.
Se questo non avvenne fu probabilmente perché vi era una precisa intenzione di rendere comunicanti i due ambienti differenziandone la funzione rispetto agli altri.
Riguardo all'identificazione di questo edificio con qualche struttura citata dai documenti federiciani, il problema rimane a mio avviso aperto, non sembrandomi convincente l'ipotesi di G. Agnello che identifica il Palazzo Bellomo con il palacium Siragusie menzionato dai registri angioini del 1274, del 1278 e del 1281: "se si trattasse dell'edificio della contrada Chindia, ricordato da Federico, probabilmente avremmo la stessa dizione prope Siracusiam, dizione che non trovasi neppure nella relazione della Commissione d'inchiesta del 1273. Il palacium dei registri angioini bisogna dunque cercarlo dentro i confini d'Ortigia...E poiché, tolto Palazzo Bellomo, nessun altro monumento, sia per la maestà della sua struttura che per i suoi rilievi stilistici, può entrare nel ruolo delle grandi costruzioni imperiali, bisogna dedurne che in esso si debbano vedere, con tutta probabilità, le sopravvivenze del palazzo dugentesco che divise, insieme con quello della Chindia e col castello, gli ozi siracusani dell'imperatore-poeta".
L'enorme lacunosità delle strutture murarie pertinenti ad edifici civili federiciani mi pone in una posizione di cautela nei confronti di questa attribuzione.
L'esistenza, ad esempio, di un portico federiciano nell'ambito del Palazzo Arcivescovile (cosiddetta Cappella Sveva) che lascia pensare ad un edificio di grande monumentalità e di numerosi altri elementi strutturali dallo stesso Agnello indagati, orientano verso una posizione scientificamente più cauta che non può far trarre conclusioni da argu - menta ex-silentio.
Nel testo si fa riferimento ad Ortigia, attuale centro storico, perché la terraferma nel periodo medievale non era ancora urbanizzata. Ortigia rappresenta l'originario nucleo abitativo fondato dai greci di Corinto nel 734 a.C., in base alla cronologia ricavata dallo storico Tucidide. La città greca si estese rapidamente da Ortigia verso la terraferma venendo a formare la famosa pentapoli, raggiungendo grosso modo l'estensione dell'attuale città. Dal periodo bizantino al XIX secolo la città si ritrae in Ortigia, la sola parte munita, riacquistando il rapporto con la terraferma agli inizi del XX secolo come conseguenza dell'unità d'Italia. Per maggiori informazioni sull'argomento si può consultare il testo di L. Trigilia " Siracusa, distruzioni e trasformazioni urbane dal 1693 al 1942", Roma 1985.
G. Agnello "L'architettura sveva in Sicilia", 1935; id. "Monumenti svevi ignorati" in Syculorum Gymnasium, III, 1-2, 1950; Id. "L'architettura militare, civile e religiosa nell'età sveva", in Archivio Storico Pugliese, 13, 1960; Id. "L'architettura civile e religiosa in Sicilia in età sveva", Roma 1961.
Di recente (marzo 2002) in occasione di lavori di restauro sono venute alla luce elementi architettonici medievali nell'ambito del piano terra di Palazzo Midiri in Ortigia.
11 simbolo dell'aquila fu indubbiamente tratto da Federico II da quello romano. L'ardimentoso volatile è voltato a destra. Esso verrà impiegato dagli imperatori successivi allo staufen e diverrà simbolo di giustizia per Dante. Nel Castello Urtino di Catania dentro una nicchia ricavata nello spessore murario esiste una scultura dell'aquila imperiale. L'aquila si ritroverà negli augustali, le monete federiciane.
La finestra rettangolare si inquadra perfettamente nell'ambito dello stile catalano trovando confronti non soltanto in coeve fabbriche di Siracusa, ma anche nel Palalo della Deputazione Provinciale di Barcellona. Originariamente era una bifora con colonnina, non più in posto.
Nel 1905 la Sovrintendenza, sotto le direttive di S. Agati, eseguì un intervento di restauro sul prospetto che interesserà anche il ripristino delle due trifore catalane e, nel lato ad Est, quello di una bifora e di una trifora. Per un confronto tra l'attuale situazione del prospetto e quella precedente al restauro si confrontino le fotografie degli inizi del secolo. Cfr. anche E. Mauceri "I Bellomo e la loro Casa" in Bollettino d'Arte del Ministero della P.I., anno V, n° 5 Maggio 1911. Tutto l'edificio, comunque, risentiva di notevoli danni causati dalle infiltrazioni d'acqua negli ambienti a pianterreno. Quando esso venne conse¬gnato al Museo, nel 1905, si trovava in uno stato di totale abbandono."L'edificio, cosi come il Museo lo ebbe in consegna, era nello stato più deplorevole a cagione di un lungo abbandono durato per una lunga serie di lustri: mura lesionate, tetti e soffitti infradiciti, attraverso i quali penetravano le acque piovane. Se dopo il 1866 qualche riparo fu eseguito nell'interno a cura dell'Amministrazione del Demanio (che d'altra parte ne affittava i due ambienti più belli, cioè il vestibolo e la sala a destra per uso di bettola), ciò fu fatto senza alcun riguardo al monumento e al suo carattere essenzialmente artistico" E. Mauceri, op. cit..
112 nell’ambito della sede museale il vestibolo è utilizzato come biglietteria e sala introduttiva; l’ambiente di destra è la sala I che espone i materiali paleocristiani - bizantini
G. Agnello "Architettura sveva in Sicilia", 1935 pag. 121-122.
Attualmente questo ambiente non è aperto al pubblico perchè messo in sicurezza. Con l'autorizzazione da parte 75
dell'Amministrazione della Galleria lo si può tuttavia visitare.
Sala III della Galleria che espone materiali scultorei umanisrico-rinascimentali.
In fase di restauro si è volutamente lasciato a vista l'estradosso della volta visibile dal secondo livello della Galleria. Questa stanza è quella dove sono esposte le carrozze del XVIII secolo.
Oggi in parte utilizzati come vano di controllo e in parte come servizi della Galleria.
1,8 G. Agnello, op. cit. pag. 115.