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La chiesa di San Martino si trova a Siracusa in via San Martino.
La sua esistenza è attestata negli atti del Sinodo diocesano celebrato dal Vescovo Tomaso de Erbes O.S.B. nel gennaio 1389 e, secondo Giuseppe Maria Capodieci, la parrocchia di San Martino è citata in un atto pubblico del notaio Bartolomeo Palermo del 13 settembre 1462 e, in Antichi Monumenti di Siracusa, pag. 233, paragrafo 62, riferisce, che la Latomia Santa Venera è così chiamata perché al di sopra di essa esistevano «vestigi della chiesa e delle pitture di detta Vergine e Martire, di proprietà della chiesa parrocchiale di S. Martino Vescovo; In un antico registro della Cancelleria arcivescovile di Siracusa si legge che nel 1542 a XV Settembre, il vescovo, Monsignor Bononia visitò la parrocchia di San Martino, Parroco il sacerdote Antonio Castro.
Secondo gli storici, coeva alla chiesa monastero di San Pietro ad Baias, edificato da Gregorio magno intorno al VI secolo d.C., venne edificata nel XVII secolo, sulle rovine dell'antica chiesa paleocristiana, la quale, come le chiese di San Pietro apostolo intra moenia, San Giovanni Battista alla Giudecca e dello Spirito Santo, sul lungomare di levante è tra le più antiche costruzioni religiose di Siracusa.
L’edificio, a pianta rettangolare, con orientamento est-ovest, ha una struttura basilicale a tre navate, suddivise da una doppia fila di robusti pilastri rettangolari, coronati da una variegata cornice aggettante, realizzati con grandi conci squadrati sovrapposti e malta cementizia che sostengono sei archi a tutto sesto per lato.
La navata centrale è larga metri 4,50 e lunga metri 30, quelle laterali larghe metri 1,80.
Nelle navate laterali sono, una per lato, due secentesche altari minori con nicchie, delimitate ai lati da due colonne con baccellature verticali.
Nella nicchia a destra, in origine c’era una piccola tela del settecento, restaurata nel 1982, opera del pittore Elia Interguglielmi, nato a Napoli nel 1764, e morto a Palermo nel 1835, al posto del quale è stata posta la statua di San Raffaele e, presso l'ingresso della Chiesa, il fonte battesimale in pietra, sul bordo del quale è inciso, O. Bignardelli, poggiante sullo zoccolo poligonale con incisa in un lato, «Frane, et Isabella Degaleco» e nell’altro la data 1588; nella nicchia di sinistra, dove c’era una grande tela raffigurante la Sacra Famiglia e San Gaetano, datata 1767, la statua lignea della Sacra Famiglia.
In fondo, l'abside semi-anulare, formato da nove assise di conci di pietra ben squadrati, alti 30/35 cm., sovrapposti su linee parallele, è coronato in alto, da una ghiera di piccoli conci rettangolari e incorniciato da un grande arco a tutto sesto a duplice fascia.
Sopra l’arco semi-anulare campeggia l’artistico crocifisso ligneo, già di proprietà della chiesa del Nome di Gesù dei padri Domenicani, ai quali fu donato nel 1530, dai Cavalieri di Malta, come ricorda Nunzio Agnello nel testo «Il Monachesimo a Siracusa» pag. 16».
Prima dei restauri, sulla struttura muraria coperta da intonaci che nascondevano la finestra a strombo murata,
sopra un vecchio altare di legno addossato alla parete, c’era il prezioso trittico del maestro di San Martino, oggi al museo Bellomo.
Due colonne, una a sinistra in marmo, e quella di destra in granito nero, entrambe sormontate da capitelli in stile corinzio, di probabile riutilizzo, si trovano all’ingresso dell’abside, addossati ai pilastri laterali, ritrovate sotto gli intonaci barocchi.
La parete esterna dell’abside, con l’alto zoccolo poggiante sul piano stradale più basso di metri 3 circa dal piano di calpestio interno, è inglobata in parte in alcune costruzioni civili.
Gli storici ipotizzano che nel corso dei lavori di rifacimento trecenteschi, l’edificio venne allungato sul precedente vestibolo esistente come dimostrerebbero le più basse e strette prime due arcate dell'ingresso e l'arco ogivale di sinistra.
La parte superiore e il probabile prospetto bizantino vennero distrutti nel corso del terremoto dell’11 Gennaio 1693 e venne ricostruito dai normanni e, successivamente restaurato in epoca aragonese-catalana, come dimostrerebbe lo stemma aragonese, il monogramma in lettere latine e la data MCCCXXXVIII sull’architrave in marmo, forse aggiunto posteriormente, non più com’era in conci squadrati, ma con semplice muratura a pezzame.
Nel corso dei rifacimenti settecenteschi le travi lignee trecentesche pericolanti vennero coperti da volte in canne e gesso e l'intero edificio oscurato e appesantito da intonachi e stucchi stesi sulla cortina muraria perimetrale, sui pilastri e gli archi fino al tetto, nell'abside, creando falsi capitelli, basi e lesene.
Nella parte alta della facciata, tra il 1915 e il 1919, chiusa l’antiestetica finestra, venne ricostruito, simile a quello della basilica di San Marziano alle catacombe, il rosone trecentesco bizantino distrutto dal terremoto del 1693. E pare che, voluto dal vescovo Bignami, sia opera di Giuseppe Gallone scalpellino nato a Siracusa nel 1901, il quale predispose un calco in gesso e quindi, sagomando e scolpendo una vecchia “balata” di un demolito balcone dell’arcivescovado, realizzò la cornice e il fogliame del rosone, poi sistemato sulla facciata, assemblato con calce e sabbia, da Giuseppe Amato originario di Avola.
Tra il 1917 al 1922, nel corso dei primi lavori di restauro, con l’eliminazione delle sovrastrutture barocche, altari e altarini in legno, quadri e ornamenti di dubbio gusto, vennero ripristinate le primitive forme normanne.
Tra il 1945 e il 1965, abbattuta la volta in canne e gesso, furono trovate sei travi e alcune capriate intere e con le stesse caratteristiche fu realizzato il nuovo tetto della navata centrale e in seguito quello delle navate laterali.
Il portale, in pietra calcarea a profonda strombatura, in stile gotico catalano è modulato da una fascia di esili colonnine con in cima eleganti e fluidi piccoli capitelli decorati da motivi floreali.
Tra il 1948 e 1949, su disegno del professor Orazio Nocera, seguito dall’architetto Agati, venne aggiunta dall’impresa Giovanni Garipoli, la torre campanaria, nella quale vennero collocate le campane della vicina chiesa sconsacrata del Santissimo Nome di Gesù, in sostituzione della precedente proveniente dalla chiesa di San Leonardo dei Cavalieri di Malta dai quali fu acquistata per lire 329 nel 1878.