Madonnina concorso progetto
Santuario Madonnina
Storia del concorso per la realizzazione del Santuario della Madonna delle Lacrime
Nel 1955 venne bandito un concorso internazionale per il progetto del Santuario della Madonnina. L’evento, per il carattere propriamente sacro e popolare all’origine della manifestazione, ebbe grande eco nella stampa siracusana e non solo. Sul giornale La Domenica411 un articolo in prima pagina svelava i fatti salienti del concorso; 100 concorrenti da 17 nazioni e, per l’occasione, la convocazione di un architetto specializzato da Roma per l‘allestimento dell’esposizione dei progetti partecipanti al concorso.
Alla mostra, inauguratasi il 17 marzo 1957 e conclusa alla fine del mese successivo, furono esposti 91 progetti selezionati. Tra i concorrenti vi era il progetto di Gaetano Rapisardi esposto col motto “Delfini di Aretusa”412
Figura 54. Progetto per il Santuario della Madonna delle Lacrime a Siracusa di Gaetano
410 Redazione, Si realizza il “secondo” sulla darsena, in “Siracusa nuova”, 9 aprile 1966. 411 Redazione, L’esposizione dei progetti del Santuario della Madonnina, in “La Domenica”, op. cit., 17 febbraio 1957, anno II, n.7.
412 Fede e Arte, rivista internazionale di arte sacra della pontificia Commissione Centrale, nn. 7-8-9, Città del Vaticano, anno V, luglio – agosto – settembre 1957.
Rapisardi, in Fede e Arte, rivista internazionale di arte sacra della pontificia Commissione Centrale, nn. 7-8-9, luglio – agosto – settembre 1957.
La competizione avviò una polemica tra i modernisti e i tradizionalisti che ebbe ampio spazio nella stampa locale; in particolare si distinsero, per l’animosità del dibattito, il prof. Giuseppe Agnello 413,
413 Al culmine della polemica il prof. Agnello portava a testimonianza della correttezza della propria posizione due personalità dell’architettura dell’epoca, Bruno Zevi e Eugenio Montuori. Di Zevi citava un articolo su “L’Espresso” de 7 aprile 1957 in cui l’architetto si esprimeva senza restrizioni: “[…]. A Siracusa volevano un santuario per ventimila fedeli, quanti ne può contenere S. Pietro nei giorni di piena? Hanno avuto quel che si meritano.
Inutile tentare di mimetizzare o di armonizzare col paesaggio un edificio di così gigantesche dimensioni, meglio riconoscere che sconvolgerà il racconto millenario di Siracusa”;
parlando delle nervature verticali del monumento, a suo parere il “solo fattore originale di questo progetto”, Zevi continuava: “[…]. Tra le nervature verticali disposti a raggiera sono sospesi setti orizzontali che hanno il compito di determinare il quantitativo di luce che penetra di giorno e traspare di notte dal santuario. Nella modanatura di questi setti e nel dosaggio della luce consiste l’intera immagine architettonica, e non si può affermare che allo stato attuale del progetto, sia convincente. Si tratta finora di una trovata di due giovani che esige una lunga elaborazione”. Al termine dell’articolo il prof. Agnello esprimeva il proprio disappunto poiché reputava inconcepibile il fatto che uno dei giudici della competizione, Pierre Vago, che aveva scritto sulla rivista “Architecture d’Aujordhui”, della quale era direttore, che il concorso era privo di “sufficienti garanzie di serierà”, fosse “divenuto arbitro, regolatore e giudice inappellabile“. Redazione, Passa alla controffensiva il Prof. Agnello stigmatizzando il modernismo di mons. Musumeci, in “La Domenica”, 9 giugno 1957, archeologia cristiana all’Università di Catania, e il religioso Mons. Ottavio Musumeci, segretario del Comitato della Madonnina delle Lacrime, i contributi dei quali, furono riportati sulle pagine de La Domenica. Sempre sulla stessa testata414 fu pubblicato il parere di Pierre Vago, segretario dell’”Internazionale Architetti415” e membro della commissione esaminatrice:
“… Vi sono cento modi di considerare lo stesso problema, soprattutto quando fattori determinanti sono tanto soggettivi come la sensibilità, la concezione dell’arte, l’interpretazione del senso del sacro, un determinato apprezzamento della tradizione e dell’ambiente.
Ed è per questo che il consenso unanime di individualità tanto diverse come quelle che componevano la giuria, è tanto straordinario quanto rassicurante.” Solo dopo “un’analisi approfondita non olamente dei progetti, ma anzitutto di ciò che, nel programma e nelle soluzioni, era essenziale e assoluto...
La verità non si rivela sempre immediatamente. Qui, essa ci è apparsa… dopo dieci laboriose sedute di lavoro, nel corso delle quali molti hanno dovuto percorrere un lungo difficile cammino.” L’autore poneva la questione della capacità di accoglienza della basilica centrale: “ecco il prototipo stesso dell’edificio che un architetto cosciente dello spirito e delle possibilità della sua epoca non può concepire che ricercandone le soluzioni più appropriate, al di fuori di ogni pregiudizio di stile. L’ispirazione verso l’unità, verso la comunione nel fervore e nella preghiera, talmente potente che esercita la sua influenza anche sulla concezione delle chiese più modeste, non poteva che imporsi qui; e imporre l’impiego delle tecniche più recenti, le sole capaci di risolvere il problema costruttivo posto416.
Non poteva risultarne una espressione plastica originale.
Pertanto, quale tentazione di rivolgersi al passato, alle forme sperimentate; di identificare il carattere sacro dell’edificio nelle forme, nelle sagome abituali.
Ma, da un altro canto, quale tentazione anche di lasciarsi entusiasmare dalle possibilità quasi illimitate che offrono le nuove tecniche, di ricercare l’inedito, il sorprendente, gli effetti della bravura!
La scelta è potuta sembrare difficile, e per alcuni, è dovuta essere dolorosa.
Pertanto, tra certi artisti che parlano, anche con talento e scienza, una lingua morta, e per gli altri che cercano, anche con gli errori inevitabili, 414 P. Vago, Come la commissione giudicatrice pervenne alla scelta del progetto, in “La Domenica”, 31 marzo 1957.
415 Unione Internazionale degli Architetti
416 Redazione, Tecnici per il Santuario. Il problema fu in effetti di tale entità che fu necessario chiamare a risolverlo una squadra formata da Riccardo Morandi, Piero Locatelli e Arturo Danusso, in “Siracusa nuova”, 18 aprile 1964.
l’espressione viva del loro tempo, è stato necessario decidere senza esitazione e senza equivoco”.
La risposta a questa intervista fu affidata alla testata La voce di Siracusa che pubblicò un articolo, sostanzialmente costituito da una lunga lettera dell’Ing. Santoro Secolo417 nella quale si analizzava sia il progetto che l’iter da cui era scaturito: “Sono venuto alla mostra dei progetti per il Santuario con l’animo di chi si accinga ad ammirare quanto di meglio avrebbero ispirato l’arte e la fede ai maggiori architetti viventi, vicini e lontani…
Ma purtroppo ho dovuto convincermi che almeno per una buona metà dei lavori i progettisti hanno avuto maggiore preoccupazione della affermazione della novità o del divario dalla tradizione e dalla
consuetudine anziché della ricerca della soluzione più adatta che, esaltando la tradizione, si inserisse nella veste semplice ma augusta e nel clima mediterraneo di una città celebre nella religione, nell’arte e nella storia…
Una delle cause degli effetti disparati ottenuti dai concorrenti è dovuta alla impostazione del bando di concorso… Non si ricordò abbastanza che i complessi di simili opere…, sono venuti a costituirsi e ad ampliarsi in una lunga e talvolta lunghissima successione di anni …ed al concorso di parecchie generazioni… La precisazione del numero di fedeli che ha costretto allo studio di ampiezze insuete, ha fatto impostare tutti i progetti con dimensioni tanto grandi che han trascinato gli sviluppi spesso nel campo del grandissimo, talvolta del mostruoso, raramente del grandioso.
Sarebbe stato meglio impostare il concorso ordinandolo di due gradi… si sarebbero ritrovati gli elementi conduttori comuni ed indicatori del complesso di più felice soluzione. Se infatti il complesso dei lavori viene osservato da questo punto di vista, non vi è dubbio che i migliori lavori indicano i vantaggi della frequente idea della soluzione a pianta centrale, del raduno e della connessione degli edifici accessori alla massa unica anche ricavandole sotto il piano della navata col conseguente vantaggio della maggiore altezza, e della valorizzazione dello spazio antistante e della piazza.
Ammessa la concordia della indicazione più adatta della pianta centrale della navata ne sarebbe dovuta derivare la preferenza della forma curva anche per l’altezza, con la struttura dell’arco e della cupola, anche se intesa modernamente col ricorso alle forme paraboliche; strutture che 417 Nell’articolo si legge: “… Riteniamo non inutile far sapere ai nostri lettori che l’Ing. Secolo non è nuovo ai problemi dell’architettura sacra.
Egli infatti tra il 1934 e il 1935 portò a termine il compimento della facciata della Chiesa Madre di Comiso. Quella Basilica, i cui lavori furono condotti sotto la responsabilità della Direzione Generale delle Belle Arti ed il vigile senso estetico del compianto Biagio Pace, è, come è noto, monumento nazionale”.
177-avrebbero consentito ampiezza e luminosità ma sempre raccolte e conchiuse e richiamanti l’immensità e la spiritualità della cupola celeste.
Questo complesso sarebbe stato ad un tempo rispettoso delle forme e delle tradizioni, del clima e del luogo, della città e del paesaggio sviluppandosi grandioso e risultando armonioso ed evitando di riuscire eccessivo o stonato.
I migliori progetti (Trinacria 3, Aretusa, Quo Vadis, Miraculum, Delfini di Aretusa418) hanno infatti richiamato e nobilitato questa forma…
Purtroppo la commissione giudicatrice, chiamata a scegliere, non ha colto quanto di meglio veniva offerto nella messe dei lavori presentati… Ha così ammesso tra i migliori il progetto Alma Mater 57, (forse pregevole decorazione ceramica da tavolo, ma tutt’altro che edificio religioso) e, peggio, ha prescelto il progetto della corona raggiata, che pur accogliendo la pianta a struttura centrale, sviluppa una cuspide che non ha connessione e richiamo con le tradizioni e con le forme religiose mediterranee; che ricorda le elementari strutture esotiche di paesi primitivi e tropicali; di cui viene elogiato lo slancio e la leggerezza perché un’abile prospettiva e la piccolezza dei disegni la rappresentano piccola e campanulata ma i cui dettagli tecnici rivelano degli ingombri che si tradurranno in una pesantezza oppressiva; che con le sue dimensioni e la sua forma cuspidata ferisce la serena e armonica visione della città e dei suoi dintorni…”419.
La valutazione fatta da Secolo trovava adesioni da più parti e doveva essere presumibilmente condivisa anche dai funzionari del Ministero della Pubblica Istruzione tant’è che fu vietata la realizzazione del progetto vincitore in piazza della Vittoria per le ragioni “che il tempio, per la sua
eccezionale mole e per le sue particolari caratteristiche, riuscirebbe pregiudizievole non soltanto al panorama ma soprattutto alla zona storicomonumentale in cui dovrebbe sorgere […]
La disposizione ministeriale avrà indubbiamente degli strascichi, giacché in contrasto con le decisioni della commissione giudicatrice del concorso internazionale, composta, come è noto, da altissime personalità dell’arte 418 Si tratta del progetto di Gaetano Rapisardi che ottenne un’altra menzione sulle pagine della “Domenica” del 21 marzo del 1957, nell’articolo: “Dalla più moderna concezione
dell’Arte Sacra varato il progetto di un’autentica opera d’arte:”[…]. Da quello vincitore al terzo classificato, a quelli di alcuni architetti persone serie, costruttori competenti e scrupolosi (vedi Carbonara, Rapisardi), assertori di un costume di vita artistica, un pò conservativo, ma intrinsecamente onesto, dai quali potremo dissentire radicalmente dalla impostazione formale, ma saremo costretti a constatarne l’estrema coerenza del linguaggio, la profondità dello studio distributivo, la cura prestata ai nodi compositivi più
difficili, l’abile e penetrante disegno dei particolari. Non ne ammiriamo l’arte, ma ne rispettiamo il costume.
Sarebbe ingiusto non tracciare una distinzione morale fra questi architetti e tutti coloro che si sono inebriati nelle orgie speculative di archi e colonne. […]”. 419 Redazione, Campo di critica il progetto del Santuario della Madonnina, in “La voce di Siracusa”, 30 maggio 1957. sacra alle quali non sarebbe dovuto sfuggire nessuno dei problemi inerenti alla realizzazione dell’opera” 420.
Successivamente il veto fu rimosso ma che il giudizio dell’Ing. Secolo avesse un suo fondamento oggi è più che evidente visto il panorama che si può apprezzare sulla statale 124 che da Floridia conduce a Siracusa.
Siracusa: Il Santuario della Madonna delle Lacrime
Il progetto degli architetti francesi Michel Andrault e Pierre Parat, scelto sulla base di un concorso internazionale, è un'opera d'arte che esprime, con grande intensità, il sentimento religioso dell'uomo d'oggi e simboleggia la lacrima della Madonna.
Il Santuario è una arditissima costruzione assimilabile ad un paraboloide iperbolico, alla cui base si trova la cripta che misura 71,40 metri di diametro (escluse le cappelle sospese che misurano 13,50 metri), e 74,30 metri di altezza dal piano di calpestio escluso la cripta (mt. 10) ed il coronamento (mt. 20). È un'opera, nel suo genere, fra le più originali del mondo.
il plastico in miniatura