I Bottari
Il Quartiere dei Bottai, che anticamente era il cuore degli artigiani e dei commercianti dell'antica Siracusa, è posto ad ovest del Corso Matteotti. I pittoreschi edifici di questo quartiere (adibiti ad esercizi turistico - commerciali e ad abitazioni private) sono piuttosto antichi anche se qui sorgevano alcune chiese demolite dal periodo che va dalla seconda metà dell'800 al periodo della II guerra mondiale. Le vie che contraddistinguono questo quartiere sono: Via Cavour, Via Dione (parallele al Corso Matteotti) Via Claudio Maria Arezzo, Via dei Cordai, Via dei Candelai e Via Gemmellaro (che dalla Via Cavour scendono fino alla "Marina" di Siracusa).
(post Silvana Micciulla) Da una vecchia mappa del 1930 La toponomastica delle traverse di via Cavour a scendere sulla sinistra: Via Pace, via Amalfitania, Via Gemmellaro, via Landolina (oggi Candelai), via Campailla (oggi via Cordari), via A. Rizza (oggi via Claudio Mario Arezzo), Via Rocco Pirro ,via Timbri(oggi inesistente). Sulla dx a scendere: Via Consiglio, via Amalfitania, Via Scinà, Via della farina, Via M. Adorno, via C. Campisi
5.1.1. La zona dei Bottari Il quartiere degli artigiani
Con la denominazione « quartiere degli artigiani », in questa illustrazione di Ortygia, si intende quel settore del centro storico compreso tra il Corso Matteotti, la Via del Collegio, la Marina e la Via Savoia. >
La denominazione é appropriata e si basa sul fatto che fin dal Medioevo il quartiere ha avuto una fisionomia socio-ambientale totalmente diversa da quella degli altri rioni: una fisionomia tipicamente artigianale e commerciale, economicamente legata alle attività della Marina (sede ideale del mercato interno ed estero del passato).
Così se il Porto Marmoreo era la sede ideale delle attività dei calafatari e dei pescatori della Graziella e la Via della Giudecca era l'asse attrezzato sui generis delle intense attività ebraiche, il Porto Grande e la Marina erano l'appoggio vitale di tutte le attività commerciali e artigianali che si svolgevano in questo settore.
Forse furono proprio la vitalità di questo quartiere e l'enorme movimento umano che il suo mercato creava alla Marina, che ispirarono all'arabo Edrisi (sec. XII) la seguente descrizione: « Siracusa é delle città celeberrime e dei più nobili paesi del mondo. Cittadini e foresi d'ogni banda cavalcano alla volta di lei: a lei si indirizzano i mercanti viaggiatori di tutte le regioni. Siracusa s'agguaglia alle maggiori città pel numero e la ricchezza dei mercanti,... ».
Anche i nomi delle strade ricordano l'antica destinazione del quartiere: Via dei Bottari, ora Cavour, già sede del commercio dei vini e delle botti; Via dei Candelai; Via dei Cordari...
In questo settore avevano sede tutte le corporazioni artigianali spesso riunite in confraternite: ferrari, ortulani, tavernari, vasellari, bordonari, scotellari, consaturi, mastri d'ascia, muraturi, cordari, corbiseri, mercanti, custureri, ecc. Anche gli ebrei vi erano insediati con le proprie tintorie.
Quanto queste attività fossero legate al mercato portuale si capisce considerando che la vastità produttiva non aveva una proporzionale domanda di mercato interno, peraltro anch'esso riversato nel Porto Grande per l'esportazione dei prodotti agricoli, e non avrebbe avuto ragion d'essere se non fosse stata rivolta verso il mercato estero.
Quanto l'intera città ci guadagnasse dal commercio estero si evince poi dai vari tentativi dei Genovesi e dei Pisani di fare di Siracusa una propria contea e dichiararla scala franca (sec. XII- XIII).
Anche i mercanti amalfitani non mancarono di farsi vivi a Siracusa: stabilirono infatti le loro botteghe all'Amalfitania; in questa via, che in altre epoche sarà dedicata a Santo Stefano in onore alla confraternita che vi aveva sede, anche i catalani vi sistemeranno le logge per le proprie mercanzie.
Siracusa sarà comunque ufficialmente emporio commerciale a vasto raggio d'influenza nel sec. XV perchè é in tale secolo che il suo porto sarà dichiarato scala franca per tutte le nazioni e principalmente per i mercadanti catalani 128 dicembre 1409).
Tale fortuna commerciale non durerà molto tempo poiché sarà destinata a spegnersi con la creazione della piazza d'armi in Ortygia.
Divenendo roccaforte militare e messa quindi nell'impossibilità di mantenere il suo commercio con l'estero Siracusa si rivolgerà verso sè stessa e verso il suo esiguo mercato interno.
Gli effetti di tutto ciò sono facili ad intuirsi: la catastrofe commerciale e la conseguente morte delle attività artigianali. Sopravviveranno così poche botteghe all'Amalfitania fino al sec. XVIII e l'attività dei bottari nei bassi dell'attuale Via Cavour. Moriranno anche le antiche confraternite e le varie congregazioni dei mestieri. I locali delle antiche botteghe, i dammusi, i magazzini, diverranno alloggi insalubri, umidi e bui. E' una fortuna che da un ventennio, seppure in modo improprio, stanno ritornando alla loro antica funzione; mi riferisco alle botteghe della Via Cavour e alle sparse attività artigianali dei falegnami, vetrai, tipografi e calzolai.
Certo il quartiere ha irrimediabilmente perduto molte compoponenti socio-ambientali e ciò ha causato alcuni squilibri di natura economica, culturale, urbanistica.
Se per certi versi il calzolaio si é ambientato, divenendo « rattoppatore » e perdendo così le sue qualità creative, d'altra parte incompatibili con la concorrenza spietata della produzione dell'industria del consumismo, tutte le altre attività, che un tempo rendevano il Porto Grande attivo e il quartiere produttivo, non hanno avuto spiragli per vivere. Si assiste così all'abbandono del porto che da alcuni decenni é privo di qualsiasi segno di vita perchè é stato privato della sua primaria funzione naturale e perchè é stata tradita la vocazione produttiva del suo retroterra artigianaJe, commerciale e agricolo.
5.2.1. Introduzione storica
La destinazione del settore dei Bottari alle attività commerciali e artigianali risale all'epoca medievale, periodo durante il quale viene rivalutata la produzione di tipo famigliare già sperimentata in Sicilia prima della colonizzazione greca. Era infatti nel costume dei Siculi produrre senza alcuna organizzazione sociale ma facendo solo ed esclusivamente leva su quelle che erano le forze lavorative famigliari. Ciò spiega la vastissima e incalcolabile varietà del vasellame siculo.
I Greci, di spiccato spirito organizzativo, dovettero sicuramente rivoluzionare il sistema produttivo della tradizione sicula dandovi un carattere sociale, spiccatamente partecipativo. Ciò che scaturì da tale rinnovamento fu la distinzione tra l'alloggio e il luogo di lavoro che per i Siculi dovevano coincidere in un unico ìmbiente. Ecco perchè Ortygia, che per i Greci fu sede residenziale per antonomasia, nel periodo classico non accolse alcun tipo li attività artigianale.
Le attività commerciali e il mercato si svolgevano fuori le mura di fortificazione per consentirvi anche la frequenza degli stranieri e degli abitanti delle campagne.
Questa razionale e schematica localizzazione greca delle funzioni residenziali e produttive della città continuerà a condizionare la vita dei siracusani fino ai primi anni della dominazione romana; in seguito indiscriminatamente le attività produttive si localizzeranno in vari punti della città incominciando ancora una volta ad assumere un carattere famigliare, perdendo quindi quel largo spiro organizzativo dato dai Greci. Gli Arabi, di spirito organizzativo più ridotto del nostro, radicalizzeranno la produzione famigliare calandola in quella tipologia duplex dell'alloggio a tutti nota: bottega e laboratorio al piano terra, residenza al piano superiore.
Solo con l'influenza delle città marinare e con la richiesta di una maggiore e migliore produzione si potranno costituire a Siracusa le prime « corporazioni ». Fatto chiaramente evolutivo che farà di Ortygia, e in principal modo della zona dei Bottari, una struttura urbana eccezionalmente omogenea per la quasi naturale convivenza della produzione organizzata con le residenze.
Tali processi organizzativi della produzione non avranno conseguenze sul tessuto urbanistico del settore artigianale; esso é infatti ancora oggi un impianto urbanistico di tipo ippodamico. Se le varie vicende della storia non hanno intaccato la planimetria greca del settore, la stessa cosa non può dirsi per l'architettura che ha cambiato volto in ogni tempo sia col mutare del gusto che al variare delle esigenze spazio-abitative. I fatti bellici, i terremoti e gli incendi hanno spesso accelerato il rinnovamento architettonico.
L'ultimo radicale rinnovamento fu provocato dal terremoto del 1693. Sulle piccole botteghe, sulle strutture degli antichi dammusi, sui locali delle numerose confraternite, si costruirono enormi edifici barocchi le cui strutture, a causa delle pessime fondazioni e delle sopraelevazioni ottocentesche, si presentano oggi Irrimediabilmente compromesse.
Chiaro é l'esempio del Palazzo Spagna di Via Amalfitania: ricostruito nel Settecento su strutture quattrocentesche, ha subito un grave indebolimento statico a causa di due soprelevazioni degli inizi di questo secolo. Casi simili sono numerosi nelle vie Gemmellaro, dei Cordari, dei Candelai. Anche l'architettura religiosa ha subito, per le stesse cause naturali o per mutate esigenze, notevoli trasformazioni. Significativo é il caso della Chiesetta di San Giuseppe dei Bottari che nel 1554 fu ceduta ai Padri Gesuiti i quali la demolirono per costruire, dopo varie vicende, quell'enorme complesso monumentale che ancora oggi ammiriamo. Col terremoto del 1693 subiranno gravi distruzioni la Chiesetta di Sant'Agata, la Pieve di San Giacomo e la Cappella della Madonna di Monserrato della quale esistono planimetrie che la collocano all'angolo tra la Via Cavour e il tratto breve dell'Amalfitania (documenti della metà del sec. XVII).
Nell'Ottocento scomparirà anche la confraternita di Santo Stefano che nel plastico del 1773 viene collocata da Giuseppe Costa all'Amalfitania.
La distruzione per fatti naturali dell'architettura religiosa vierte a coincidere con la decadenza economica di Siracusa.
Il settore dei Bottari nel Settecento non era più attivo come un tempo e le sue qualità produttive e commerciali erano irrimediabilmente perdute causa la crisi delle maestranze. Tommaso Gargallo (Memorie Patrie, 1791) dà il quadro di una società in piena decadenza, priva sia della forza economica che dello spirito religioso necessari a ricostruire quanto le vicende storiche e naturali andavano distruggendo. Una società inerte, inoperosa, abituata ad aspettare nel porto « il miracolo » delle navi straniere cariche di prodotti della terra: una impressionante decadenza produttiva che ha conosciuto nei tempi attuali il collasso totale.
5.3.1. Le attività artigianali e commerciali.
« Il nostro popolo... aggregavasi in associazione e corpi distinti secondo le varie condizioni, le arti, i mestieri. Da qui ebbero origine le Confraternite, le Congregazioni, le Maestranze tanto numerose in Siracusa, nelle quali i soci raccolti sotto il protettorato ed il nome di un Santo, tenevan loro riunioni in una delle chiese esistenti, ovvero in quelle che a spese loro o per colletta edificavano. Queste congreghe... eran di sprone a ben fare, di emulazione all'attività ed al lavoro, di esempio a vita morigerata ed onesta... » (Serafino Privitera, op. cit.).
Così il Privitera parla delle « confratrie » siracusane del periodo 1268-1336. E' un quadro abbastanza completo che consente di capire quale legame univa le maestranze alle corporazioni e alle confraternite: un legame derivante da uno spirito spiccatamente associativo, determinante per lo sviluppo e l'esistenza di un'attività commerciale proiettata verso tutti i maggiori mercati del Mediterraneo. Senza l'organizzazione delle corporazioni nessuna importanza avrebbero avuto le attività dei conciapelle, dei tintori, dei cordari, dei vasellari... dei bottari, poiché nessuna garanzia commerciale avrebbero avuto i prodotti dell'artiginato siracusano nei mercati interni ed esteri. Non tutte le attività furono però consentite all'organizzazione delle corporazioni e ciò perchè non sempre quest'ultime garantivano onestà produttiva e commerciale. Significativo é il caso dei centimolari che frodando nel peso costrinsero nel 1558 il « Municipio » a costruire i centimoli dentro i monasteri delle monache ove oltre ad un minor costo di macina si aveva un miglior servizio. Alla stessa determinazione si arrivò per altro
genere di attività.
Per quanto riguarda la vendita ce da dire che avveniva un pò ovunque: a) per le strade, sotto le logge mobili (già é stato detto delle logge per mercanzie dei Catalani situate all'Amalfitania); b) nelle botteghe direttamente attaccate ai laboratori; c) nelle piazze all'interno della città e negli slarghi fuori le mura.
Fuori le mura avvenivano anche la fiera degli animali e tutti quei negozi particolarmente ingombranti e poco igienici (le beccherie della Giudecca furono ad esempio collocate fuori le mura).
Alla Marina avveniva il vero e proprio commercio dei prodotti artigianali di questo settore. Nella Piazza del Duomo si teneva « il mercato di panni, di tele, di seterie, e di ogni sorta di drappi, e di oggetti d'oro, di argento, e di altri metalli, portati dai mercadanti forestieri che a posta vi venivano, ed ivi piantavano le loro logge » (Serafino Privitera, op. cit.).
La tipologia delle botteghe progettate nel periodo particolarmente fiorente dell'artigianato e del commercio siracusano (sec. XV) é oggi rintracciabile nelle vie Gemmellaro, dei Candelai e dei Cordari, ove alcuni bassi ospitano ancora vecchie falegnamerie e vetrerie. Tale tipologia si distingue innanzitutto per l'indipendenza del piano superiore da quello inferiore. Al piano superiore si perviene attraverso una scala stretta e ripida con ingresso autonomo; la residenza consiste in due o tre locali ben aerati ma scarsamente illuminati a causa delle limitate dimensioni delle strade. Il piano terra consiste in un monolocale, rialzato da 30 a 90 cm. rispetto al livello stradale, abbastanza grande e funzionale. Tale tipologia non si riscontra a nord della Via Claudio Arezzo e ciò a causa delle radicali trasformazioni settecentesche e ottocentesche.
Delle attività commerciali e artigianali di un tempo oggi ne sopravvivono solo poche e queste stesse stanno via via scomparendo con la morte dei pochissimi « mastri d'ascia, custureri, calzolai... », rimasti come simboli delle antiche laboriose maestranze.
5.4.1. Le fortificazioni
Il problema delle fortificazioni ha sempre interessato Siracusa e cioè sin dal sorgere dell'insediamento siculo in Ortygia; un problema vitale per una città di mare continuamente contesa per la sua eccezionale posizione nel Mediterraneo. La presente nota é lontana dal volere fare uno studio cronologico e/o ingegneristico- militare su tali fortificazioni e ciò anche perchè, richiedendo un confronto almeno con i vicini modelli militari di Augusta e La Valletta, essa porterebbe ad allontanarci dall'illustrazione di Ortygia. Il problema viene dunque visto solo in funzione dello sviluppo urbanistico di Ortygia sul quale le fortificazioni hanno avuto una forte influenza, ancora oggi rilevabile da un attento esame planimetrico del centro storico. Ad esempio, il fatto che il settore dei Bottari finisca in tronco con le case di nord-ovest della Via Savoia documenta l'esistenza, fino all'ultimo decennio del secolo scorso, delle eccezionali fortificazioni spagnole che da questo lato « frenarono » planimetricamente e condizionarono altimetricamente lo sviluppo di Ortygia.
Sul perimetro di tali fortificazioni, il cui impianto rinascimentale era stato voluto e pensato da Carlo V, sorge oggi l'orribile scacchiera che va dal Viale Mazzini alla Piazza Cesare Battisti e da Largo XXV Luglio alle rive Garibaldi e della Posta. L'idea di tale sventramento partì dal governo savoiardo il quale demolendo le fortificazioni pensò di distruggere uno dei simboli dell'oscurantismo siciliano.
Idea quanto meno balorda se si pensa che demolendo le fortificazioni di Ortygia e colmando i canali a protezione dell'ingresso dell'isola fu distrutto uno dei più intatti sistemi rinascimentali di fortificazione militare del Mediterraneo. Lo scempio portò anche all'abbattimento dell'emblematica Porta Reale e dei bastioni Santa Lucia e San Filippo. Il primo bastione ricadeva sul perimetro dell'attuale Largo Caravaggio.
Dell'intero complesso si salvò solo l'elegante Porta di Mare di fattura catalana (sec. XV) ornata da elementi decorativi di stile aragonese. La Porta di Mare (o Porta Marina) é la struttura iniziale dì una poderosa cortina muraria che ha la funzione di contrafforte per il terrapieno di Via Ruggero Settimo e per la balza rocciosa del Passeggio Aretusa.
La situazione completa del sistema di fortificazioni antistante i Bottari é chiaramente modellata nel plastico del Costa ed è rigorosamente rappresentata nella «Topografia» del Cavallari. L'opera di quest'ultimo aggiunge all'eccezionale impianto militare la distribuzione interna alla Porta Reale ove tre tracciati portavano nella Piazza del Popolo (ora Via De Benedictis), nel Quartiere Vecchio (che ricadeva nel perimetro del Tempio di Apollo) e nella Via Savoia (la stessa dell'attuale).
Ben modellati, nel plastico del Costa, sono inoltre i due baluardi gemelli di San Filippo e Santa Lucia costruiti nel 1544 dall'ingegnere militare Antonio Ferramolino per fiancheggiare e proteggere l'ingresso principale della città.
Lo spirito con cui avvennero le trasformazioni e con il quale i governanti cercarono di dare un aspetto diverso all'ingresso dell'isola, si coglie nella testimonianza di un cronista dell'epoca:
«Sotto Statella (Sindaco di Siracusa intorno al 1870) fu costruita la strada in Piazza del Popolo, e adorna di alberetti, al cui esempio altri filari sonsene piantati poscia nelle piazze interne della città. Di questi tempi pure la Marina, abbellita di un grazioso fonte alla villetta e di un getto d'acqua a schizzi, é stata messa in comunicazione della città così dalla parte della Fonte Aretusa, come da quella del molo: qui con l'atterrarsi del muro che chiudeva la strada coperta e che ora porta il nome di strada Garibaldi... Parimenti si é aperto ad uso di pubblico passeggio il forte S. Giacomo, essendosene atterrate la porta, la polverista, la caserma, e le troniere. Questo luogo già chiuso ed inaccessibile, oltre che dà aria alla Maestranza, offre ai cittadini un bel punto di diporto ad Oriente, e a spaziar la vista su l'ampio mare, e sull'Etna lontano... ». (Serafino Privitera, op. cit.). Con la smania di creare terrazze panoramiche e misere piazze alberate (quasi come se Ortygia possedesse la spazialità espressiva del Ring viennese) l'isola perse così l'ultimo qualificato aspetto conferitole dalla sua posizione di baluardo a difesa della costa sud orientale della Sicilia. Con l'abbattimento delle fortificazioni spagnole, per fare posto a quanto sopra e ad un'architettura che é la peggiore espressione del già di per sé decadente Eclettismo, Ortygia ha perduto l'ultima cornice ereditata dalla storia: una cornice che sarebbe forse riuscita a frenare le smanie moderniste che portarono verso il 1936 allo sventramento di Via del Littorio.
5.5.1. Planimetria e analisi urbanistica
Del settore dei Bottari rimane ancora oggi intatta la planimetria del rettangoloide compreso tra il Largo XXV Luglio e le via Cavour, Amalfitana, Ruggero Settimo, S. Maria dei Miracoli e Savoia. L'architettura non può definirsi altrettanto ben conservata e in effetti un buon numero di costruzioni a chiusura del settore dall'ultimo decennio dell'Ottocento in poi sono state abbattute e ricostruite secondo una tipologia e un modulo completamente diversi da quelli caratteristici di Ortygia. Tale operazione portò nel 1936 all'innesto forzato dei palazzi di Corso Matteotti
i quali ebbero la strana funzione di nascondere tutto il quartiere dei Bottari. Tali palazzi determinarono la creazione di due isolati. L'isolato più piccolo (col Palazzo INA del Fichera) fu costruito ex novo; quello più grande risparmiò dal lato della Via Cavour il Palazzo Abela, pur mozzandone le strutture del cortile, e dal lato di Via San Cristoforo il trecentesco Palazzo Greco (ora del Dramma Antico).
Non minori danni furono provocati al centro storico allorché si volle creare la Piazza Archimede: «La casa dei Teatini con la chiesa che ai 10 di marzo 1868 patì l'incendio nei solenni funerali del cavaliere signor Luigi Nava e fu con dispiacere di tutti i buoni cittadini che pensavano di restaurarla, tramutata per qualche tempo in disonesto politeama, é stata diroccata insieme alla vicina chiesetta parrocchiale di San Giacomo per farvi una piazza che si nomina di Archimede » (Serafino Privitera, op. cit.).
Per creare un'assurda piazza quadrangolare, vestita del più sciatto eclettismo di maniera, fu abbattuta una delle più interessanti maglie del tessuto urbanistico di Ortygia e, come se non bastasse, fu mutilata una delle più notevoli costruzioni catalane del Quattrocento siciliano: il Palazzo cosiddetto dell'Orologio delle cui strutture tardo-gotiche, in fondo al Cortile della Banca d'Italia, rimangono una scala esterna (sec. XV), una bifora lunettata e alcune preziose decorazioni plastiche.
Nonostante la « triste avventura » della storia, il quartiere dei Bottari é ancora oggi la più chiara espressione dei criteri urbanistici dei colonizzatori greci. Nonostante tra il piano della Marina e il livello della Via dei Bottari ci fossero quasi 10 metri di dislivello, i pianificatori greci non rinunciarono alla distribuzione urbana ad insulae rettangolari con gli assi di collegamento ortogonali alla costa ovest di Ortygia. Le strade vennero così quasi tutte della stessa pendenza, con piccole variazioni evidentemente andando dall'Amalfitania (che ha la maggiore percentuale di pendenza) alla Via Rocco Pirro e oltre, ove il suolo dell'isola si appiattisce. L'intervento arabo, gli incendi, i terremoti,... non hanno lasciato però il parallelismo delle strade e delle insulae. Ad esempio, considerando originario il tracciato dell'Amalfitania l'asse a sud ad esso parallelo non é quello che ricade sull'attuale Via del Collegio ma una vecchia strada che i Gesuiti ricoprirono intomo al 1649 allorché incominciarono la costruzione dell'attuale complesso. Un altro caso interessante é quello del Ronco Aquila a nord dell'Amalfitania; esso cade a metà dell'isolato che lo contiene ed é con molta sicurezza il residuo di un antico tracciato parallelo alle vie Amalfitania, Gemmellaro, Candelai, Cordari, Arezzo e Rocco Pirro. Lo stesso discorso vale per il Ronco 1° ai Bottari che si tronca a metà del proprio isolato. La tesi é sostenuta anche dal fatto che tali tracciati, se proseguiti, farebbero degli isolati in cui sono inseriti due insulae di dimensioni circa uguali alle insulae medie del settore.
5.6.1. Analisi architettonica
Volendo condurre quest'analisi secondo criteri cronologici e stilistici é necessario premettere che anche ai Bottari molte costruzioni hanno fondazioni e spesso elementi strutturali risalenti ai secoli XIII, XIV e XV; chiari sono gli esempi del Palazzo Spagna all'Amalfitania e del Palazzo Abela in Via Cavour. Il primo conserva ancora le poderose fondazioni quattrocentesche e la cortina muraria a conci squadrati fino al piano nobile (le modifiche settecentesche ne hanno travisato l'aspetto), il secondo conserva quasi tutto l'involucro originario esterno, tra gli elementi architettonici più interessanti spiccano le bifore e la trifora gotiche del piano superiore. All'interno, nel cortile del Palazzo Abela, sono evidenti le poderose fondazioni originarie sulle quali diverse epoche hanno lasciato i loro segni; l'ultima trasformazione del palazzo é quella seicentesca del piano nobile in cui compare un elegante loggiato con colonne tortili, forse opera di Andrea Vermexio. Meglio conservato é il quattrocentesco Palazzo Lanza di Via Amalfitania. Integro é il suo maestoso prospetto ornato da eleganti bifore architravate e da una bizzarra bifora catalana. Questo palazzo, meglio di altri, rappresenta il tipo di residenza nobiliare del Quattrocento siciliano. All'interno sono notevoli le trasformazioni e specialmente sul lato sud che é stato integralmente sostituito. Bene si conserva anche il grazioso Palazzo Greco la cui struttura trecentesca però, a causa di un inadeguato restauro, non é chiaramente leggibile al-l'esterno. Opere del Quattrocento sono inoltre la scala esterna e le cortine murarie del Palazzo dell'Orologio, frammento di una delle più espressive costruzioni catalane di Ortygia.
Dopo il terremoto del 1693 il quartiere si vestì di barocco per assumere l'aspetto attuale. Le residenze sorsero senza un piano architettonico prestabilito e senza alcuna intenzione di ripetitività stilistica; eppure ne venne fuori un complesso architettonico ricco di equilibri volumetrici e di armonia di forme.
Anche il Novecento in tale organicità architettonica ha fatto la sua parte e spesso con eleganti costruzioni in stile floreale: di particolare interesse é un palazzetto liberty della Via dei Miracoli. Di pessimo gusto sono invece le scatole architettoniche di Salvatore Caronia (Palazzo del Banco di Sicilia) e Gaetano Rapisardi (Palazzo della Cassa di Risprmio) in Piazza Archimede.
Se l'architettura civile mutilata, trasformata, appesantita da soprelevazioni, ecc., é arrivata ai nostri giorni, altrettanto non può dirsi per l'architettura religiosa, essa infatti ha finito la sua esistenza con l'abbattimento delle fortificazioni spagnole (é il caso della Chiesetta di Sant'Agata vicina alla Porta a Terra), con gli incendi e le demolizioni (é il caso della Chiesa e della Casa dei Teatini, della Chiesa di Sant'Andrea e della Pieve di San Giacomo), con le trasformazioni (é il caso della Chiesa di San Giuseppe dei Bottari coperta dal Collegio dei Gesuiti, della Cappella della Madonna di Monserrato e della Confraternita di Santo Stefano all'Amalfitania).
Ciò che resta oggi di tali complessi architettonici sono pochi vaghi ricordi: un'edicoletta in un cantonale dell'Amalfitania, la denominazione di qualche strada a ricordo di ciò che fu (ad esempio il Ronco Sant'Agata).
Unica costruzione religiosa del quartiere, pressoché immutata anche grazie ad un recente ripristino strutturale, é la Chiesa di Santa Maria dei Miracoli costruita intorno al 1501 come voto popolare alla Madonna per la cessazione dell'infezione da peste. La chiesa fu gravemente danneggiata dalle bombe nell'ultima guerra ma fu ricostruita nelle originarie forme gotico catalane. Nessun danno subirono la facciata e l'interessante portale marmoreo rinascimentale sicuramente scolpito nella bottega dei Gagini. Nella lunetta che sormonta il portale ce un bassorilievo raffigurante la Madonna tra i Santi Sebastiano (Patrono dei portuali) e Rocco (Protettore contro la peste), anch'esso é di stile gaginiano. Sul lato destro del prospetto c'é una bella edicola con cornice in stile aragonese.
5.7.1. Tipologie degli alloggi, degli spazi comuni, degli elementi di collegamento urbano.
L'alloggio tipo dei Bottari é quello avente la duplice funzione di residenza e bottega. Tale modello é facilmente rintracciabile nell'ex Via dei Bottari. Al piano terra ce l'enorme dammuso funzionante da magazzino e da « putia », al piano superiore, completamente indipendente, sorge la residenza. A quest'ultima si arriva attraverso una scala che può essere stretta e buia se legata alla strada, luminosa e ampia se inserita nel cortile. Più raro é il modello della « putia » legata alla residenza sul livello del piano terra; esso é riscontrabile solo nelle vie Gemmellaro, Cordari e Candelai ed ha come caratteristica costante un orticello di pochi metri quadrati nella parte retrostante.
Le trasformazioni settecentesche distrussero in molte parti del settore tali criteri distributivi: si vedano ad esempio gli alloggi dell'Amalfitania, essi non rivelano, neppure minimamente, il proprio passato commerciale e artigianale. Il Settecento non distrusse però la sistemazione a doppia schiera, anzi la incentivò. L'organizzazione urbanistica a doppia schiera, per molti versi simile a quella della Giudecca, fu conservata anche grazie alla limitata larghezza degli isolati.
Diverse per la propria funzione interna e per la propria organizzazione spaziale sono le abitazioni a nord della Via Rocco Pirro che in molti aspetti risentono l'influenza del disordine altimetrico e planimetrico della Graziella. Così, mentre le residenze tra l'Amalfitania e la Via Rocco Pirro sorgono al piano superiore o dietro lo spazio commerciale della putia, e sono quindi rivolte verso uno spazio privato interno (un terrazzino nel caso in cui l'abitazione sia al piano superiore, un orticello nel caso in cui sia al piano terra), quelle a nord della Via Rocco Pirro sono proiettate, così come quelle della Graziella, verso l'esterno (lo spazio pubblico: il ronco o la via) e sorgono quindi in prevalenza al piano terra.
La piccola terrazza per il quartiere degli artigiani era un elemento essenziale della residenza ed era dettato dalla impossibilità di svolgere attività private lungo le strade che essendo sede di mercato erano prevalentemente pubbliche.
In questo quartiere anche il balcone é luogo di attività private (stendere la biancheria, coltivare le erbe aromatiche) e per questa sua funzione non ha il ballatoio stretto e corto come quello della Graziella, ma largo e lungo e ciò anche se le strade spesso strettissime non lo consentirebbero.
Gli elementi di collegamento urbano sono solo le vie, molto simili nella loro struttura architettonica ai vicoli della Giudecca. Pochi sono i ronchi presenti e questi stessi non sono nati come tali; come infatti abbiamo già visto essi sono tronchi di originarie vie.
Per quanto concerne gli spazi comuni, se si escludono quelli derivanti dall'abbattimento delle fortificazioni spagnole, é da notare che il quartiere ne era completamente privo e ciò per la semplice ragione che non sarebbero serviti a nulla dato che la vita intima non era proiettata verso l'esterno.