via Bellomo
Duomo
Che fine ha fatto via Bellomo?
via Roma angolo civico 128, foto Roberto Capozio
via Bellomo mappa primo 1900
Qualcuno dice che questa è la città del tutto possibile ed è vero se andiamo ad esaminare antiche vie, vicoli e ronchi divenuti proprietà privata alla faccia del bene pubblico.Tratto da:Ruspe e vecchi palazzi di Efisio G. Picone. Perchè tutti sappiano cos'è la politica siracusana che non tiene conto del patrimonio culturale di una città unica al mondo. Faccio mio e sottoscrivo quello che già scrisse Efisio Picone nel suo libretto Ruspe e vecchi palazzi:CHE FINE HA FATTO VIA DEI BELLOMO ?
Se è vero quanto scriveva alcuni giorni fa il più diffuso quotidiano dell'isola e cioè che l'Amministrazione Comunale ha aperto un dialogo con i cittadini, il sig. Sindaco, o per lui l'Assessore competente, dovrebbe avere l'amabilità di rispondere ad una domanda che, lo assicuro, non è ispirata da spirito di polemica ma da genuina curiosità — legittima per un cittadino elettore — sul come funziona l'attività amministrativa del comune di Siracusa segnatamente alla toponomastica. In breve: che fine ha fatto via dei Bellomo?
Chiarisco lo spirito della domanda: ci sono pervenute alcune segnalazioni circa una certa via dei Bellomo, non meglio identificata; la curiosità di sempre meglio conoscere Ortigia mi ha indotto ad esperire una piccola indagine di cui ora do i risultati. Nella planimetria ufficiale utilizzata per la stesura del P. R. G. del comune di Siracusa (foglio 10, scala 1:1000) viene indicata una strada — interrotta in più punti — che, parallela a vìa Conciliazione (che brutto nome,-), collega via Capodìeci a via Roma sboccando in quest'ultima proprio di fronte al ronco 1 alla Turba. Nella planimetria anzidetta la strada in questione risulta chiaramente interrotta in tre punti, e più esattamente: all'inizio, in via Capodicci, alla fine, in via Roma, e a tre quarti circa del lato orientale di palazzo Bellomo.
Ho compiuto le mie brave ricerche e ora so benissimo cosa sia accaduto: gli ingressi principali dei bassi che si affacciano su questa strada sono in via Roma: chi ci abitava, e forse ancora ci abita, pensò bene di crearsi con modicissima spesa il cortiletto personale (in via dei Bellomo-ndr) tirando su due muretti laterali con andamento est-ovest, cosi tagliando la strada; di questo passo, e poiché il vicino non è mai il più fesso, venne creata una serie di ridenti piccoli cortili e... spari via dei Bellomo. Ho saputo anche — ed è doveroso ammetterlo — che l'Amministrazione Comunale del tempo intervenne: inviò sul luogo due da i suoi più valenti tecnici i quali cancellarono con una passala di calce bianca l'ormai desueta e ridicola indicazione toponomastica via dei Bellomo e vi sovrapposero quella che tuttora si legge sul cantonale sud-orientale del Palazzo: ronco dei Beliamo. Oggi anche questa scritta è sbiadita, e non esiste più neppure il ronco.
Posta la domanda e illustrati i risultati della breve indagine compiuta, vuole l'Amministrazione Comunale nella persona del sig. Sindaco o dell'Assessore competente avere l'amabilità di spiegarmi come ciò sia potuto accadere? E vuole essere così cortese da illustrarmi i motivi di pubblica utilità per cui l'Amministrazione del tempo e quelle che ad essa si sono succedute, fino all'attuale, hanno tollerato il perdurare di un simile e sconcio abuso?
Vuole il sig. Sindaco o l'Assessore competente essere tanto cortese da illuminarmi circa la sentenza di Corte Costituzionale che ha sancito rientrare tra i diritti inalienabili del cittadino la occupazione abusiva di suolo pubblico? E in caso contrario, considerato che non esiste acquisizione di diritto di proprietà derivante da usucapione relativamente a beni immobili facenti parte dei Demanio, vuole il sig. Sindaco avere l'amabilità di dirmi se l'Amministrazione ha intenzione o meno di procedere alla rimozione immediata delle ostruzioni abusive di via dei Bellomo — ivi compreso il banano che è cresciuto rigoglioso dentro uno dei sullodati cortiletti — e al ripristino in essa della circolazione pedonale?
Sig, Sindaco, aspetto una sua risposta e mi auguro sinceramente che nessuno degli adempimenti dovuti da parte dell'Autorità sia per essere omesso.
CHIAREZZA
La replica del prof, Bondì al mio ultimo articolo tanto mi ha stupito da indurmi a rileggerlo più volte per vedere in cosa mai avessi sbagliato; è per questo che pur nella convinzione di essere stato chiaro nell'esporre il mio punto di vista in merito al problema di Ortigia reputo opportuno, per la maggior chiarezza, ritornare su alcuni punti prescindendo da ogni polemica che sarebbe assolutamente fuori luogo considerato che il prof. Bondì sostanzialmente è uno di quelli che per Ortigia e la sua salvezza si batte.
Quando scrivo che «per Ortigia siamo alla resa dei conti», intendo dire che allo stato delle cose la soluzione del suo problema, in un modo o nell'altro, è indifferibile.
Quando scrìvo che «non siamo riusciti a scuotere il disinteresse colpevole di tutta una classe politica...», è evidente che mi riferisco - usando un linguaggio comunemente invalso - a quella maggioranza che in bene o in male detiene il potere e amministra la cosa pubblica in campo comunale, regionale, nazionale. Dovrebbe, allora, essere evidente - e sono convinto che lo fosse anche da prima - che non ho fatto certo di tutta l'erba un fascio quando ho addebitato ad una classe politica più che ben identificata la responsabilità della catastrofica situazione di Ortigia; da parte mia non vi è nessun distinguo da operare; sta semmai alle forze politiche cui il prof. Bondì allude in senso positivo, differenziarsi e condurre - cosa che d'altra parte in qualche modo fanno e non sarò certo io a negarlo - sul piano politico e amministrativo quella azione che i miei amici ed io conduciamo sul piano politico-culturale. A questo proposito aggiungo che se è vero che esiste una connessione tra politica e cultura, è altrettanto vero che la funzione politica della cultura è tale di per se stessa senza bisogno di identificarsi in questo o quello schieramento di partito; lo anèr politikòs non è un'invenzione dei tempi moderni né tanto meno è appannaggio di una determinata forza politica: esso è semmai l'espressione conseguente della partecipazione attiva dell'indivìduo alla vita della collettività e in tutti i campi rappresenta, in parte, la realizzazione dell'individuo e in parte ne giustifica l'esistenza.
Per maggior chiarezza: io laccio politica dibattendo il problema di Ortigia in campo culturale; il prof. Bondì faccia lo stesso quale rappresentante di un partito politico; alla resa dei conti chi ha operato in campo culturale, chi ha svolto una funzione di orientamento avrà contribuito tanto quanto chi ha agito a livello di partito, in questo senso, quella di Ortigia e squisitamente una battaglia politica e io, d'altra parte, l'ho sempre sostenuto come ho sostenuto che la salvezza di Ortigia dipende esclusivamente da un atto di volontà politica. Credo di essere coerente con me stesso, non certo in contraddizione.
Un'altra cosa: il prof. Bondì mi fa torto gravissimo quando avanza il sospetto - mi auguro sinceramente che non sia certezza: mi addolorerebbe profondamente - che a proposito di classe politica io generalizzi volutamente per tema di pestare i calli a qualcuno. Il prof. Bondì dovrebbe ben sapere - in ogni caso lo sappia da ora - che io sono un uomo libero che si onora di non avere in tasca alcuna tessera di partito; dovrebbe sapere che io non aspiro né ad un posto di bidello né ad un impiego municipale e quindi non ho bisogno né della benevolenza ne delle raccomandazioni di alcuno; dovrebbe sapere che io i calli, se lo reputo necessario, li pesto a chicchessia e che non ho mai esitato a pestarli • e non solo i calli... * in qualunque direzione: ricordi a questo proposito il prof. Bondì la Mostra su Ortigia che con la collabora/ione di alcuni amici organizzai nel 1969 e le conseguenze che essa ebbe; rilegga il prof. Bondì i miei articoli degli ultimi cinque anni: può darsi - come mi auguro • che così ogni suo sospetto sul mio conto svanisca. Con questa precisazione personale, lo ripeto, non ho inteso polemizzare con il prof. Bondi; la polemica con chi alla fin dei conti parla lo stesso linguaggio e si prefigge gli stessi obiettivi, sarebbe sterile e farebbe ripensare ai capponi di Renzo di manzoniana memoria, i quali pensavano a beccarsi tra loro mentre stavano per Finire in pentola.