Ortigia antica estensione dello scoglio - ortigia heritage

Ortigia
Vai ai contenuti

Ortigia antica estensione dello scoglio

Tratto da Archeologia Luca Savarino


vedi anche:https://www.antoniorandazzo.it/archeologia/geologia-storica-siracusa.html

e

3.1.3 L’estensione dell’antica Ortigia

Uno dei grandi temi della topografia storica di Siracusa ha interessato la definizione dei limiti dell’antica Ortigia. La questione venne posta in termini scientifici da P. Orsi alla fine dell'800. Infatti, analizzando il riempimento di alcuni pozzi scoperti lungo la costa orientale dell'isola, l’archeologo notò che gli apprestamenti idrici, allora in parte sommersi, avrebbero dovuto appartenere ad abitazioni antiche. Pertanto, l'archeologo di Rovereto giunse alla conclusione che un tratto della Násos fosse stata coperta dai flutti nell'arco dei secoli72 . Successivamente, il problema è stato affrontato da P. Gargallo e G. Kapitän, i quali segnalavano la presenza di un esteso banco sommerso intorno al perimetro dell'isola. Quindi, gli studiosi proponevano di restituire all’antica estensione di Siracusa alcune parti ora sommerse, individuate sull'estremità nord-orientale di Ortigia e lungo la costa antistante 73 (fig. 1). Fig. 1 Tuttavia, con le notazioni della critica andrebbero correlati alcuni altri dati editi in letteratura. Infatti, fra questi, meriterebbe attenzione la scoperta di alcune iscrizioni funerarie vergate in caratteri ebraici e riutilizzate nelle fortificazioni spagnole di Ortigia. Ed inoltre, il rinvenimento di altre epigrafi simili durante il dragaggio del Porto Piccolo effettuato nel 1962. La provenienza delle lapidi da un cimitero giudaico, che per tradizione culturale andrebbe collocato all’esterno delle mura urbiche, farebbe sospettare l’esistenza di un sepolcreto medievale lungo l’estremità nord-orientale dell’istmo moderno, in un punto parzialmente coperto dal mare già all’inizio del ‘500 74.
(fig. 1)

Tuttavia, con le notazioni della critica andrebbero correlati alcuni altri dati editi in letteratura. Infatti, fra questi, meriterebbe attenzione la scoperta di alcune iscrizioni funerarie vergate in caratteri ebraici e riutilizzate nelle fortificazioni spagnole di Ortigia. Ed inoltre, il rinvenimento di altre epigrafi simili durante il dragaggio del Porto Piccolo effettuato nel 1962. La provenienza delle lapidi da un cimitero giudaico, che per tradizione culturale andrebbe collocato all’esterno delle mura urbiche, farebbe sospettare l’esistenza di un sepolcreto medievale lungo l’estremità nord-orientale dell’istmo moderno, in un punto parzialmente coperto dal mare già all’inizio del ‘500
L’arretramento della linea di costa, poi, verrebbe confermato dalla scoperta di una lunga banchina sul fondo del Portus Marmoreus, effettuata nel 1982. Allora, l'esame dei frammenti ceramici inglobati nelle malte della struttura permise di datare l'opera nel I sec. a.C. e quindi in un momento contemporaneo o di poco posteriore all'obliterazione dei pozzi scoperti dall’Orsi in via dei Tolomei e ad est di piazza Castello 75 (figg. 2-3).


Pertanto, pare plausibile ipotizzare un'estensione dell'isola maggiore di quella attuale ancora alla fine del I millennio a.C., quando la linea di riva avrebbe dovuto attestarsi sull’attuale batimetria dei 3 m 76 (figg. 4-5).
Fig. 4


fig. 5

Un valido ausilio per la definizione dei limiti dell'antica Ortigia potrebbe essere fornito della cartografia storica. Infatti, le illustrazioni realizzate prima dei grandi interventi spagnoli della fine del ‘600 mostrano come il settore della città oggi occupato dall'istmo un tempo facesse parte dell'isola (fig. 6).
Fig. 6

In particolare, i lavori carolini della prima metà del ‘500 sembrerebbero attestarsi ancora lungo l'antico braccio di mare che separava la Násos dall’épeiros77. Successivamente, con l'apertura del fossato a ridosso dei bastioni di San Filippo e di Santa Lucia, Ortigia fu privata dell'estremità nord-occidentale, assumendo l'aspetto odierno. In questo settore, poi, sembrerebbe plausibile collocare i tyranneîa dionisiani e probabilmente anche i basíleia di epoca agatoclea e hieroniana, in accordo con L. Polacco78. Infatti, nel primo caso l'insediamento di Dionýsios I presso il naústathmon e la prossimità del suo palazzo agli arsenali del Porto Piccolo verrebbe confermata dalle fonti (Diod. XIII, 96,2), che oltre tutto ricordano l'inclusione dei cantieri navali all'interno delle mura della cittadella dei tiranni (Diod. XIV, 7,4). Pertanto, qualora venisse accertata l'insistenza della reggia dei basileîs siracusani su quella dei týrannoi precedenti si potrebbe ipotizzare una destinazione d'uso dell'area mantenuta almeno fino alla caduta dell'impero romano d'Occidente nel 476 d.C.79.
Inoltre, solletica l'ipotesi di una continuità nell'utilizzo di questo settore come sede del potere centrale tanto in epoca bizantina, quanto ancora nel periodo islamico. Infatti, in questa direzione spingerebbe la descrizione di Siracusa lasciata da un geografo arabo del X sec., Al-Muqāddasi, il quale menziona sull'isola due città congiunte l'una all'altra e separate (dalla terraferma) da un fossato allagato dal mare80. La situazione denunziata dal viaggiatore gerosolimmitano, poi, sembrerebbe perdurare ancora alla fine del XV secolo, quando Siracusa venne immortalata in un’illustrazione del Supplementum Chronicarum di G. F. Foresti da Bergamo (fig. 7).
Fig. 7

NOTE
72 Per l’esame dei pozzi scoperti lungo la costa orientale di Ortigia si vedano: Orsi 1889, pp. 372-382; Id. 1891, pp. 377- 391.
73 Al riguardo si vedano: Gargallo di Castel Lentini 1970*, pp. 312.317; Id. 1970**, pp. 199-208; Agnello 1972-1973, pp. 270-273.
74 In questo modo potrebbe spiegarsi il recupero parziale delle iscrizioni, poi riutilizzate nelle mura coroline. Per le iscrizioni ebraiche si vedano: Lagumina 1889, pp. 198-201; Id. 1893, pp. 54-55; Simonsohn 1963, pp. 08-20; Id. 1964, pp. 271-283; Id. 1999, pp. 513-514. Invece, per il quartiere ebraico della città: Pagnano 1994, pp. 63-70.
75 Per la banchina rinvenuta sul fondo del Porto Piccolo si veda: infra, n. II.
76 Il piano superiore della banchina nel 1982 si trovava a -1,60 m dalla superficie, mentre in antico avrebbe dovuto attestarsi 1,50 m ca. al di sopra del pelo dell'acqua. Pertanto è possibile utilizzare una crescita del livello del mare fra l'epoca tardo-repubblicana e quell'odierna di 2,90-3 m.
77 Probabilmente quello citato da Ibico alla fine del VI sec. a.C. in riferimento al chôma logaíou líthou (Ibyc., apud Strabo I, 3,18). Successivamente, ma prima del 70 a.C., il braccio di mare sarebbe stato superato da un ponte (Cicero, In Verrem II, IV, 117,8; Strabo VI, 2,4), attivo ancora nell’XI sec. (Al-Bākri, Kitāb al-Masālik wa al-Mamālik).
78 Per la collocazione dell’Acropoli siracusana nell’estremità settentrionale di Ortigia si veda: Polacco, Mirisola 1998- 1999, pp. 167-202.
79 Le fonti riferiscono esplicitamente che il praetor romano di stanza a Siracusa avesse impiantato la propria sede nella reggia di Hiéron II (Cic., In Verrem II, IV,54; II, V,30; II, V,145). Inoltre, dall’estremità settentrionale di Ortigia proviene un’iscrizione della seconda metà del V sec. d.C., scoperta in giacitura secondaria e commemorante il restauro del praetorium. Al riguardo si veda: infra, n. LXIV. 80 La descrizione di Siracusa lasciata dallo scrittore arabo richiamerebbe alla mente l’articolazione di Palermo nel X sec. Allora, infatti, la capitale della Sicilia islamica constava di una città (l’insieme di palaiápolis e neápolis di epoca punica e romana) e di una cittadella esterna (Al-Hālisa) cinta da proprie mura e riservata alla dimora del sultano. In questa, inoltre, si trovavano gli arsenali della marina (Ibn Hāwqal, Kitāb al-Masālik wa al-Mamālik 1,5). Per Siracusa si veda: Al-Muqāddasi, Kitāb ‘ahsan at-taqāsim fi ma‛rīfat al-aqālim 2, 56).
Torna ai contenuti