area fortilizii 1889
piano regolatore Mauceri 1910
piano regolatore siracusa 1917 g cristina
TRATTO DA: LA PRODUZIONE DI UNO SPAZIO URBANO Siracusa tra Ottocento e Novecento di Salvatore Adorno
UN GRANDE DEMANIO COMUNALE:
L'AREA DEGLI EX FORTILIZI
Nel 1889 il piano regolatore era appena giunto ad approvazione quando iniziava a consumarsi irreversibilmente la crisi della giunta tamburina sotto i colpi del prefetto Pennino, che, attraverso un'oculata politica di scioglimento delle amministrazioni comunali, riuscì a portare tutta la provincia in mano al partito Crispino. Nell'ottobre del 1889 arrivava lo scioglimento dell'amministrazione comunale di Siracusa, motivato da una valanga di accuse sullo sperpero e la disamministrazione delle risorse finanziarie .
Si materializzavano così i timori di Storaci, che aveva visto nella revisione del piano del 1887 il tentativo di allungare i tempi per impedire ai giovani de «Il Tamburo» di gestire, oltre alla progettazione, anche la fase strategica della sua prima applicazione. La nuova giunta filo crispina, guidata dal sindaco Statella e legata all'ex sindaco Reale, iniziò immediatamente le procedure di attivazione del piano, agendo contemporaneamente su tre versanti. In primo luogo, la produzione degli strumenti normativi. In secondo luogo, le operazioni preliminari alla concessione dei lotti, relative alla rimozione dei materiali prodotti dalle demolizioni, al tracciamento delle strade e delle isole, alla livellazione e alla quotizzazione del nuovo spazio edificabili. Infine, la concessione delle aree edificabili.
IL PIANO DAL PROGETTO ALLA PRODUZIONE: NORME E REGOLAMENTI
Per affrontare il passaggio del piano dalla fase progettuale a quella esecutiva l'amministrazione utilizzò tre strumenti normativi: il nuovo regolamento edilizio , il regolamento per la tariffa dei prezzi' e il regolamento per le condizioni speciali di cessione delle aree . Mentre il primo si presentava come strumento generale di regolamentazione dei processi di urbanizzazione, i secondi avevano un ambito di applicazione circoscritto alle zone di nuova edificazione individuate dal piano. Nella seduta del consiglio comunale del 18 aprile 1891, il consigliere comunale ingegnere Carlo Broggi illustrò il nuovo regolamento edilizio della città, che avrebbe dovuto sostituire il vecchio regolamento di ornato del 1875.
Broggi, come Cristina e Cassola, si era laureato a Napoli, aveva ricevuto una formazione igienista, ma a differenza di questi aveva trovato il suo canale di ascesa politica militando nella fazione antitamburina. Nell'introduzione esplicito la necessità di tradurre in norma i nuovi principi igienisti e rivendicò «l'estensione dei privilegi dell'igiene e del decoro a tutta la popolazione, anche alle classi più umili» . Teorizzò una distribuzione degli spazi urbani funzionale alle esigenze di una città in crescita economica e numerica, proponendo un tessuto viario fatto di strade ampie e areate, polemizzando con archeologi e storici dell'arte che difendevano i canoni estetici della città antica contro quelli igienisti e funzionali della città moderna. Il regolamento di Siracusa aveva caratteri simili a quelli coevi di altre città, ai quali aveva attinto, seguendo il tipico processo di riproduzione imitativa che caratterizzava gli strumenti normativi delle amministrazioni pubbliche dell'epoca . Come molti altri regolamenti della sua generazione, ridefiniva la composizione e le funzioni della commissione edilizia e imponeva contemporaneamente una sua maggiore qualificazione professionale e una più netta separazione tra competenze tecniche e decisione politica7. Nel regolamento del 1875 almeno un membro sui quattro previsti doveva essere «persona tecnica»8, mentre quello del 1891 portava i componenti a sei e richiedeva che almeno tre possedessero il titolo di ingegneri e gli altri provenissero dalla Commissione di antichità, dalla Scuola d'arte o dal Museo nazionale. Nel regolamento del 1875 almeno due membri dovevano essere consiglieri comunali, in quello del 1891 solo la presidenza toccava di diritto al sindaco. Sempre in quello del 1875 il parere della commissione era meramente consultivo, tale rimaneva in quello del 1891, ma le ordinanze della giunta e del consiglio, difformi dal parere della commissione, andavano «debitamente motivate». S'imponeva, inoltre, che tutti i progetti dovessero essere firmati esclusivamente da architetti e ingegneri. Attraverso il regolamento si dava così una forte legittimazione istituzionale a queste due professioni. Esso funzionò da strumento di garanzia corporativa nei confronti dell'abusivismo nella pratica della progettazione, tanto da suscitare ampie proteste e da richiedere una specifica seduta di consiglio, per ribadire l'inderogabilità dei principi «di competenza e professionalità in materia edilizia»9.
Il nuovo regolamento ampliava il controllo sull'edificazione sia dal punto di vista territoriale, estendendolo, come si è visto, alle borgate Santa Lucia e Sant'Antonio, sia dal punto di vista tecnico. Normava infatti, rigidamente, tutte le procedure relative sia alla progettazione, produzione, manutenzione e sicurezza dei singoli edifici, sia alle relazioni spaziali tra gli edifici, attraverso i parametri igienisti della libera circolazione della luce, dell'aria e dell'acqua. Per gli aspetti igienico-sanitari fu peraltro integrato nel 1900 dal regolamento municipale d'igiene, che vincolava in modo minuzioso la concessione a costruire nel rispetto delle norme igieniche dei suoli, degli impianti tecnici e della disposizione dei locali10.
Particolare attenzione fu posta alla codificazione delle prescrizioni estetiche, tradizionalmente garanti del decoro degli edifici, delle gerarchie simboliche della città e, in ultima analisi, della legittimazione dell'egemonia notabilare, attraverso la produzione dell'uniformità del gusto. Questa capacità di tenuta dei codici del decoro si manifestò in forme eccessivamente vincolistiche nei confronti della libera utilizzazione del bene e della libera espressione creativa, prevedendo per gli edifici privati prospicienti a nuove piazze e vie la possibilità di imporre «un tipo uniforme», predeterminato dall'ufficio tecnico. La norma fu cassata dal Ministero dei lavori pubblici, con la motivazione che non possono imporsi nei riguardi di ornato oneri speciali ai proprietari di fondi siti in determinate località, e le norme per la costruzione di edifici sulle nuove piazze non possono stabilirsi che con le formalità stabilite dalla legge 25 giugno 1866 n. 2359".
Nonostante l'abolizione dell'articolo 45, la commissione edilizia comunale, nei primi anni di applicazione del regolamento, fu particolarmente attenta all'uniformità dei prospetti, imponendo in ogni lotto di adeguare all'ornato del primo edificio quello degli edifici limitrofi. Negli anni successivi, in mancanza di norme vincolanti, il controllo estetico da parte della commissione edilizia venne meno, e l'omogeneità dei caratteri stilistici e funzionali delle facciate fu lasciata all'inerzia del codice culturale e alla sensibilità di proprietari e progettisti. Ne risultò una frattura tra la coerenza dei prospetti delle prime edificazioni, nell'area degli ex bastioni, e l'eterogeneità e le discordanze degli allineamenti di cornici, zoccoli e ballatoi delle facciate degli edifici costruiti, successivamente, nell'area dell'istmo e della borgata Santa Lucia. Il regolamento prevedeva inoltre, come si è già visto, la possibilità di piani di ampliamento d'iniziativa privata, sottoponendoli all'approvazione dell'amministrazione comunale.
Le aree demaniali del piano furono, invece, sottoposte a specifica regolamentazione circa i prezzi, le modalità e i criteri di accesso alla proprietà. Ci troviamo di fronte a un dispositivo amministrativo che, se da una parte era in grado di attivare uno stretto controllo sul processo edificatorio, dall'altra lasciava margini di discrezionalità nella scelta dell'aggiudicazione dei lotti. Le condizioni generali erano nel complesso favorevoli agli acquirenti sia per i costi sia per la semplicità delle procedure ed evidenziavano la volontà dell'amministrazione di incentivare il capitale privato all'edificazione. I prezzi oscillavano tra le 4 e le 8 lire a metro quadro, con punte estreme di 10 lire per le aree meglio esposte sul porto e di 2,5 lire per quelle più periferiche, limitrofe al borgo Sant'Antonio . La cessione era prevista per acquisto in contanti o per concessione enfiteutica, fino ad affrancamento globale del canone. In questo caso si stabiliva l'invalidità della cessione qualora l'edificio non fosse stato costruito entro un tempo di volta in volta stabilito dalla commissione edilizia. La cessione avveniva su domanda dei richiedenti in base ai prezzi stabiliti dal municipio. Si prevedeva il ricorso all'asta pubblica solo nel caso in cui, per una stessa concessione, fossero state presentate più domande. In quest'ultimo caso era necessaria una cauzione pari a un decimo del valore dell'area. Il contratto per altro impegnava i proprietari a rispettare gli allineamenti, le quote e le altezze massime decise dall'ufficio e a realizzare i sistemi di scarico delle acque piovane e reflue secondo moderni criteri igienici .
Questi strumenti normativi innescavano un ferreo meccanismo di controllo sulla qualità complessiva dell'edificio (estetica e igienica), imponendo la presentazione e l'approvazione delle piante e dei prospetti contestualmente all'atto di firma della concessione dell'area e subordinando la concessione all'approvazione dei progetti. Il Genio civile, cui fu sottoposto il regolamento, propose di svincolare e di posporre l'approvazione degli elaborati grafici rispetto alla firma della concessione, nella consapevolezza che l'ufficio tecnico non era pronto a indicare quote e livelli del tracciato stradale, ma la proposta non fu accettata .
NUOVE STRADE E BILANCI COMUNALI
Tracciare le strade e rilevare le quote
La nuova amministrazione accelerò i tempi di realizzazione del piano, sotto la spinta di una duplice emergenza di carattere finanziario e occupazionale, che venne più volte esplicitata nel dibattito consigliare. Le politiche di bilancio imponevano, infatti, il recupero delle rendite finanziarie legate alla concessione delle aree e la crisi economica spingeva ad attivare tutti i possibili meccanismi, pubblici e privati, di offerta di lavoro. La fretta di arrivare alle concessioni e d'iniziare i lavori si scontrò sia con le oggettive condizioni in cui si trovavano le aree, ancora ricoperte dai materiali di risulta delle demolizioni, sia con la lentezza e il boicottaggio politico dell'Ufficio tecnico, ancora in mano a tecnici di estrazione tamburina, che offrirono scarsa collaborazione ai nuovi amministratori . Si creò quindi una profonda disarmonia tra i tempi della politica, quelli del territorio e quelli della tecnica.
Il tracciamento delle strade e dei lotti, nonché il rilievo delle quote altimetriche e la posa delle livellette, fu reso assai complesso dall'enorme quantità di pietrame presente sul luogo, così che, nella fretta di arrivare al più presto alle concessioni, i lotti furono assegnati prima dell'individuazione delle quote altimetriche. Infatti, solo nell'agosto del 1891 la ditta Marsiglia, aggiudicataria dell'appalto del binario porto-stazione, iniziò a sgombrare le aree del piano, utilizzando i materiali di risulta delle demolizioni per la costruzione della banchina. Solo nel giugno del 1892 il consiglio deliberò le quote altimetriche e i tracciati, mentre quasi tutte le concessioni erano già state stipulate e molti edifici erano già in via di costruzione .
«Il Tamburo», ormai all'opposizione, denunziò tempestivamente i rischi che l'amministrazione correva, assegnando aree senza prima averle individuate con precisione. Le modalità tecniche e il contesto politico attraverso cui si verificò questo preliminare passaggio del piano, dal disegno su carta al disegno sul territorio, aprirono infatti una prima serie di conflitti legati al problema delle perimetrazioni dei lotti. Nel 1893 fu aperta un'inchiesta amministrativa, tesa a rilevare le responsabilità degli sconfinamenti di alcuni edifici in suoli sia pubblici che privati. Il risultato dell'inchiesta accertò che tutti gli edifici avevano mantenuto gli allineamenti dell'ufficio tecnico e che le usurpazioni, pur diffusissime, erano dovute solo a «sporgenze decorative», che non potevano essere considerate occupazione di suolo pubblico e che quindi andavano sanate. I conflitti vennero così mediati politicamente, all'interno della commissione d'inchiesta, visto che buona parte degli acquirenti chiamati in causa erano consiglieri comunali .
Una seconda rilevante ricaduta sugli assetti del territorio fu legata alla risoluzione del problema delle quote altimetriche. Il rilievo dell'ingegnere Troia Rodante mise infatti in evidenza un dislivello dai 3 ai 4 metri tra via Savoia e strada Garibaldi, che si sarebbe potuto affrontare o alzando il piano di tutte le banchine del porto, ovvero accettando le pendenze e cercando di governarle. Ancora una volta furono le ristrettezze di bilancio a far decidere per la soluzione più economica, ma meno vantaggiosa. Il dibattito in consiglio mise in evidenza la consapevolezza diffusa che le banchine del porto, progettate senza grande lungimiranza negli anni sessanta, erano troppo basse rispetto alle esigenze della nuova navigazione a vapore e che la costruzione del nuovo quartiere metteva l'amministrazione di fronte all'opportunità di affrontare radicalmente questo problema e di dare un assetto altimetrico razionale a tutta l'area fronte mare della città. Ma la mancanza di fondi e la presenza di una edificazione già in stato avanzato fecero pendere la decisione a favore di una soluzione di mero raccordo tra la zona a quota alta e quella a quota bassa18.
Quando le quote di livello furono comunicate ai concessionari, molti di loro avevano già iniziato la costruzione, alcuni avevano solo posto le fondazioni e altri avevano già alzato i prospetti. In ogni caso, per l'amministrazione si rendeva urgente il problema del livellamento delle pendenze e della sistemazione del manto stradale, poiché tutte le costruzioni si trovavano sotto il livello della strada19.
La prima proposta di sistemazione stradale fu fatta, nella seduta del consiglio comunale del 4 ottobre 1892, dall'avvocato Ettore Lucchetti, che da poco aveva firmato l'atto di concessione di una delle aree più prestigiose del piano, vincendo un'asta al rialzo di circa il trenta per cento del prezzo base. Lucchetti motivò la necessità dei lavori su un triplice ordine di idee: da una parte l'oggettiva necessità di riportare le strade al livello dei fabbricati; dall'altra quelladi garantire il migliore decoro dello spazio d'ingresso all'isola di Ortigia, provvedendo alla costruzione dei marciapiedi, al lastricamento con basole, all'illuminazione, all'impianto di qualche fontana, alla piantumazione di alberi; infine, l'opportunità di offrire lavoro in una fase di profonda crisi occupazionale . Il dibattito consigliare fu pacato e tutto centrato sul costo dell'operazione e sulle ristrettezze del bilancio comunale e si concluse incaricando l'ufficio tecnico di stendere il progetto e il piano finanziario dell'opera. Nella sua prima uscita in consiglio, la questione del «decoro delle strade» si presentava come un tema urbano condiviso e gestibile in modo unanime.
Conflitti sul bilancio
A partire da quella data, il tema della sistemazione stradale dei nuovi quartieri è leggibile all'interno del conflitto sulle politiche di bilancio, che divise il notabilato filo Crispino e riaprì le porte del governo ai tamburini, inaugurando inedite alleanze fazionali. Le politiche di bilancio dettarono non solo i tempi di realizzazione delle strade, ma più in generale condizionarono gli esiti del piano, attra¬verso le modalità di gestione finanziaria delle rendite accumulate attraverso le concessioni.
La nuova giunta aveva ricevuto in eredità una situazione finanziaria estremamente precaria. I giovani tamburini avevano ampliato le spese facoltative per il decoro e lo sviluppo delle opere pubbliche cittadine, finanziandole con l'alienazione delle rendite del fondo pensionistico degli impiegati, con la messa in bilancio di poste inesigibili e con una politica d'indebitamento attraverso mutui. La loro gestione finanziaria, forzando i vincoli normativi, aveva infatti dato l'opportunità a Crispi di chiedere lo scioglimento del consiglio . Nei primi anni di governo i crispini non solo mantennero alto il livello delle spese facoltative, ma aumentarono anche a dismisura le spese per il personale, ampliando l'organico e favorendo gli avanzamenti di carriera . Nel 1891 affrontarono il pareggio del bilancio, attraverso un aumento di 10.000 lire del dazio di consumo, che aggravò le condizioni dei ceti più poveri, e nel 1892 proposero l'apertura di un mutuo di 40.000 lire a copertura del disavanzo23. Nel 1893 la situazione precipitò a causa della mancata apertura del mutuo dell'anno precedente, che sommò il disavanzo del 1892 a quello del 189324. Fu in quell'occasione che si aprì una frattura all'interno del partito Crispino. Da una parte, la giunta non voleva rinunciare alla politica espansiva di investimenti pubblici e di spese per il personale e propose di pareggiare il bilancio con l'aumento della sovrimposta su terreni e fabbricati e con l'imposizione, fino ad allora evitata, della tassazione sul bestiame e sugli esercizi e rivendite. Dall'altra, si era creata un'alleanza tra l'esigua minoranza de «Il Tamburo», capeggiata dal principe Interlandi, e un'area significativa del notabilato della rendita e delle professioni di matrice politica crispina, capeggiata dall'avvocato Corpaci e dal marchese Specchi, che era rimasta esclusa dalla gestione attiva del potere e che si sentiva sensibilmente toccata dall'incremento della tassazione sulla rendita. Quest'inedita coalizione proponeva una netta politica di tagli sulle spese facoltative e il ricorso all'alienazione delle rendite del fondo culto e del fondo pensioni, così come avevano già fatto i tamburini nel 1888 25.
Faceva da contesto a questa situazione l'agitazione dei fasci, capeggiati dagli avvocati Luigi Leone e Luigi De Caprio, che in città assunse un carattere eminentemente antimunicipale. Gli organismi operai, toccati dall'aumento del dazio di consumo, e le associazioni artigiane, toccate dall'imposizione sugli esercizi e rivendite, fecero infatti della politica fiscale del municipio uno dei loro principali cavalli di battaglia e lo stesso prefetto scriveva al Ministero degli interni che «l'unica mira dei soci del fascio di Siracusa è quella del rovesciamento dello attuale partito dominante, essendo essi quasi tutti tamburini»26. Il prefetto, d'altra parte, attraverso l'organo di controllo amministrativo, cercò di razionalizzare il bilancio, imponendo una limitazione delle spese facoltative27. Le iniziative prefettizie, oltre a rispondere alla specifica situazione locale, si inserivano nel contesto nazionale di maggiori controlli sulle compatibilità di bilancio inaugurate dalla nuova legge comunale e provinciale del 1889. La sistemazione delle strade era classificata come spesa facoltativa e l'opposizione, per bocca di Corpaci, Specchi e Interlandi, chiese di rimandare a tempi migliori questo capitolo di spesa, approfittando del fatto che nel frattempo la gara era andata per ben quattro volte deserta a causa, si disse in consiglio, del costo eccessivo di rimozione dei materiali, che rendeva poco conveniente l'appalto28. La giunta invece alzò il preventivo e affidò i lavori a trattativa privata ai fratelli Michele e Nunzio Genovese, che erano per altro concessionari di parecchi lotti edificabili dei nuovi quartieri. Su quest'atto amministrativo l'opposizione aprì un duro contenzioso, riuscendo a bloccare l'affidamento dell'appalto per tutto il 1893 29. La questione delle strade divenne così la cartina di tornasole delle tensioni sociali e degli equilibri politici della città.
Con la stesura del bilancio preventivo del 1894, la questione si ripresentò con tutta la sua carica polemica. La giunta infatti propose un ulteriore aumento della sovrimposta sui terreni e i fabbricati e l'opposizione presentò un progetto di bilancio alternativo, tutto basato sul taglio delle spese. Per tutta risposta la giunta ripropose al vaglio del consiglio l'approvazione della trattativa privata per le strade, chiedendo su questa delibera la fiducia. L'intervento del principe Interlandi fu durissimo. Insinuò che intorno alla questione delle strade ci fosse la manovra di un gruppo di interesse, che agiva secondo finalità private e non pubbliche, formato dai possessori di aree e dagli appaltatori delle strade, anch'essi possessori di aree, che aveva i terminali politici in consiglio comunale nelle figure dei consiglieri concessionari dei lotti. In un'atmosfera «satura di elettricità»30 si ar-rivo così al voto che negò la fiducia alla giunta. La crisi, gestita dal marchese Specchi, portò al commissariamento del Comune, a nuove elezioni nel 1895 e al ritorno al potere dei tamburini, con l'appoggio di una parte della fazione avversaria31.
La questione delle strade rimase irrisolta, con tutto il carico di valenze simboliche legate al decoro, sociali legate all'occupazione, finanziarie legate al bilancio. Fu infatti lo stesso Specchi, nella fase di transizione verso le nuove elezioni, e nel clima di tensione determinato dai fasci, a proporre l'apertura di un mutuo agevolato per la sistemazione delle nuove vie32. L'iter della nuova delibera si protrasse fino al 1898, quando fu stipulato l'appalto33. In questa seconda fase, nonostante il permanere delle ristrettezze di bilancio, intorno all'argomento si ristabilì un clima consensuale.
La nuova amministrazione tamburina, guidata da Interlandi, che aveva cooptato una parte degli avversari, estese gradatamente la sistemazione delle strade alla zona di Montedoro e della piazza d'Armi, con l'obiettivo di mettere sul mercato i nuovi lotti. Il dibattito di quegli anni aveva infatti messo in evidenza la centralità che il piano aveva assunto nella definizione degli equilibri di bilancio dell'amministrazione comunale, non solo dal punto di vista delle uscite, con i costi per il completamento delle opere di urbanizzazione, ma anche da quello delle entrate, con le rendite derivanti dalle alienazioni in enfiteusi dei lotti. Le rendite dalle enfiteusi delle aree di via Savoia ebbero, infatti, un ruolo centrale nella definizione dei bilanci dal 1890 al 1895. Dal 1890 al 1892, calcolate in 20.000 lire, furono strumentalmente inserite in entrata, anche se palesemente inesigibili, per pareggiare artificiosamente il bilancio. Nel 1893, calcolate in 40.000 lire, furono recuperate solo per due terzi e, a partire dal 1894, furono in buona parte cedute a copertura del debito Ardizzone, che da anni gravava sull'amministrazione34. Già dal 1895 il municipio aveva dunque perso la proprietà di una parte consistente delle aree interne a Ortigia e il piano, piuttosto che uno strumento di amministrazione del territorio, manifestava apertamente la sua natura di strumento meramente finanziario.
Enfiteusi e demanio comunale
In questo contesto va letto anche il ruolo svolto dall'applicazione del contratto di enfiteusi ai terreni comunali. Tutte le aree del piano regolatore furono infatti cedute per contratto enfiteutico. In questo caso, la separazione tra il diritto di proprietà del terreno, che rimaneva in mano pubblica, e il diritto di edificazione, che passava in mano ai privati, prefigurava la possibilità di fornire al Comune un potente strumento di contenimento della rendita fondiaria. Rimanendo il terreno di proprietà comunale, l'aumento di valore legato alla edificazione sarebbe infatti rimasto nel dominio dell'interesse pubblico. Si poteva raggiungere, attraverso uno strumento antico, un modernissimo criterio di separazione tra proprietà e possesso.
La consapevolezza di questo aspetto non emerge dal dibattito politico amministrativo locale, mirato prevalentemente al computo delle risorse ricavabili dall'alienazione dei terreni. Di fatto l'enfiteusi si risolse nella possibilità, da parte dell'amministrazione, di incamerare fondi annuali da giocare in funzione del pareggio di un bilancio fortemente deficitario. Negli anni in cui la crisi finanziaria si fece più evidente, fu lo stesso Comune a chiedere agli enfiteuti di affrancare il canone, pur di racimolare somme che lo mettessero in grado di sanare i deficit di bilancio. L'enfiteusi pubblica si risolse così in una vantaggiosissima speculazione fondiaria per i notabili delle professioni e della rendita e per le più grosse famiglie commerciali, che si accaparrarono la maggior parte delle aree, sfruttando i risparmi economici garantiti dal contratto e pagando canoni e affrancazioni a prezzi poco più alti di quelli proposti dai lottizzatori privati. La zona umbertina, caratterizzata da un'edilizia residenziale, usufruiva così delle stesse agevolazioni delle aree di edilizia economica e popolare della borgata.
Dopo la crisi del 1895, il notabilato nel suo complesso capì l'importanza di ricostituire sia una posta di bilancio fittizia sia una rendita reale, mettendo al più presto sul mercato le rimanenti aree del piano Montedoro. Capì anche l'importanza di procedere, questa volta ordinatamente, allo spianamento, tracciamento e costruzione delle infrastrutture viarie, in modo da poter avviare sul mercato le aree. Nella zona di Montedoro, infatti, i nuovi lotti erano attraversati dalle vecchie strade. Per attivare le concessioni era dunque indispensabile tracciare prima il rettifilo e le vie traverse, rendendoli percorribili, in modo da poter abolire il vecchio sistema viario, svincolando i lotti dalla sua servitù. Già nel gennaio 1894 iniziarono i rilievi planimetrici e altimetrici e i lavori di tracciamento delle nuove strade. Anche in questo caso, la presenza di numerosi depositi di pietrame e l'occupazione abusiva delle aree resero lungo e difficile il lavoro35.
Per molti versi il materiale di sterro lasciato sul territorio, che rappresentava un vincolo all'edificazione, si trasformò in una inaspettata risorsa economica, in quanto i proprietari delle aree se ne impadronirono abusivamente e gratuitamente, utilizzandolo per la costruzione dei loro palazzi. A partire dal 1898 ricominciava l'assegnazione delle nuove concessioni e, insieme a esse, il gioco finanziario delle poste di bilancio inesigibili e delle alienazioni per coprire i debiti.
NUOVI QUARTIERI: VIA SAVOIA
45-48
Nel 1892 il giornale dei crispini, posto di fronte all'attacco de «Il Tamburo», che denunciava imbrogli e clientelismi nell'assegnazione delle aree del piano regolatore, decise di pubblicare i nomi degli acquirenti e i dati statistici relativi alle concessioni fino ad allora firmate. Le informazioni riportate dal giornale si riferivano a tutte le 26 isole fabbricabili interne all'isola di Ortigia36. Dai dati riportati dal giornale emerge che l'amministrazione si era riservata sei isole, due per costruirvi il mercato del pesce e quattro per edifici scolastici e altri servizi. Due erano state cedute, saltando la prassi del regolamento, ai proprietari di case in via Savoia, che avevano i prospetti confinanti con le isole, per evitare liti e contenziosi. Due non erano state ancora alienate, una era andata alla Camera di commercio e due erano state cedute senza sperimento d'asta, per il loro taglio irregolare e di risulta, che le rendeva inedificabili57. Le isole messe al bando erano state 13, divise in 37 lotti, tutti concessi seguendo scrupolosamente il regolamento: 18 in base a singole domande, 14 ceduti per aggiudicazione d'asta, mentre per 3 l'asta era andata deserta e 2 lotti non erano stati richiesti da nessuno. La maggior parte dei lotti erano stati concessi in uno spazio di tempo molto ristretto, tra l'agosto e il settembre del 1891, con qualche scivolamento entro il primo semestre del 1892. Dopo aver elencato i nomi degli acquirenti e le modalità di acquisto, i crispini invitavano «Il Tamburo» a verificare se erano state commesse irregolarità o favoritismi e concludevano: «indaghi a quale partito appartengono i sopra trascritti nomi e si convincerà che il calunniare è ridotto a mestiere nelle file avversarie»38.
E difficile capire fino a che punto le accuse de «Il Tamburo» sulla regolarità delle concessioni fossero fondate; l'individuazione di 36 dei 37 acquirenti dei lotti dati in concessione permette invece un'analisi più articolata del profilo sociografico dei primi investitori nell'area di via Savoia39.
Ventuno di loro si definivano possidenti, sette appartenevano all'area dell'imprenditoria commerciale e artigianale, sei erano capo-mastri, uno era impiegato e uno capitano marittimo. Complessivamente si rilevano cinque casi di doppio acquisto, di cui quattro tra i possidenti e uno tra i capomastri, per cui ci troviamo di fronte a trentuno soggetti. Sui diciassette possidenti, sette erano anche liberi professionisti, di cui quattro ingegneri e tre avvocati, e quattro esercitavano anche l'attività di appaltatori: Brancati, Maratta e i fratelli Michele e Nunzio Genovese. Questi ultimi avrebbero avuto l'appalto per la costruzione delle strade del quartiere. Il mondo del commercio era rappresentato da rilevanti famiglie, legate all'importazione di generi coloniali e all'esportazione di prodotti agricoli, come i Malfitano e gli Orefice. Il capitano Fiume Cassia gestiva una grande agenzia marittima, mentre i tre gruppi d'impresa familiare più importanti della città, i Bozzanca, i Conigliaro e i Boccadifuoco, si sarebbero insediati nell'area solo qualche anno più tardi, rilevando gli immobili dai primi acquirenti. Luigi Musumeci era invece il più importante albergatore della città. Tra i capomastri, Bongiovanni, Ali e Dierna erano già entrati nel circuito dell'imprenditoria edile urbana, acquistando i terreni alla borgata. Gli Atanasio vi entravano in quest'occasione, mentre gli Ali, insieme ai Caracciolo, venivano da una consolidata tradizione di appalti pubblici del periodo borbonico. Ma il fenomeno del passaggio dall'investimento nella borgata Santa Lucia a quello nella zona umbertina fu sicuramente più ampio e riguardò figure come gli ingegneri Cappuccio e Favara, la famiglia Bozzanca, i fratelli Michele e Nunzio Genovese, tanto da lasciare intravedere la formazione di un vasto circuito speculativo. Sette soggetti su trentuno appartenevano al ceto politico, provenienti da famiglie storiche del notabilato, ricche di relazioni politiche e sociali: De Benedictis, Lucchetti, Fiume Cassia, Spagna, Vinci, Orefice, Giaracà. I primi tre rivestirono cariche di governo nella giunta crispina. L'asse portante dei concessionari delle nuove aree esprimeva una calibrata miscela tra il notabilato della rendita e delle professioni, il settore più forte della borghesia commerciale del porto e un selezionato gruppo di appaltatori, capomastri e speculatori, che seguiva il processo espansivo della città e cresceva con esso. Il collante della politica era forte, tanto da dare una base oggettiva alle accuse lanciate dal principe Interlandi nel 1894 in occasione del dibattito sugli appalti per le strade dei nuovi quartieri .
Anche le tipologie abitative rispondevano al quadro sociale degli acquirenti. Le grandi case commerciali presentarono progetti in cui il pianoterra era adibito a basso commerciale, ufficio, magazzino merci o bottega, mentre il primo piano era adibito ad abitazione . Emanuale Genovese presentò un progetto per «quartini da pigione», intendendo costituirsi una rendita urbana . I professionisti si orientarono verso una destinazione d'uso mista, anche se alcuni puntarono unicamente sull'abitazione, lasciando il basso per la scuderia e la rimessa della carrozza o del calesse . L'uniformità dei prospetti fu garantita dal vaglio della commissione edilizia e dalle prescrizioni del regolamento, ma anche dal fatto che la maggior parte degli elaborati proveniva da un gruppo ristretto di professionisti, che erano contemporaneamente membri della commissione, dirigenti dell'ufficio tecnico e firmatari dei progetti . Essi garantirono una omogeneità del codice estetico, che proveniva dal tessuto delle relazioni sociali e da una comune formazione culturale. Su tutti prevaleva il ruolo di Carlo Broggi, firmatario di otto progetti su ventuno rinvenuti, membro effettivo della commissione ed estensore del regolamento, fermo sostenitore del «tipo unico» edilizio, vero artefice dell'identità estetica dei nuovi quartieri sorti nell'area degli ex fortilizi. Nel progetto che negli stessi anni stilava per la costruzione del Politeama Epicarmo, Broggi esplicitava i suoi principi estetici:
Rifuggiamo - egli scrive - dalle pompose decorazioni quali sono concepite dai gusti d'oltremonte, tanto disparati dai nostri, così abbiamo creduto di attenerci alla massima semplicità e scegliere uno stile di architettura che, sobrio nelle forme, sentisse nel contempo dell'italiano e dll'oltremontano.
Questi concetti bene si attagliano ai progetti elaborati per via Savoia, fatti di linee semplici e di decorazioni discrete ed eleganti.
Così, la commissione sottopose a una minuziosa serie di prescrizioni i numerosi progetti che presentavano difformità estetiche. «È stato sistema della commissione edilizia che i fabbricati prospicienti sulle piazze del nuovo piano di ampliamento debbano conservare lo istesso tipo architettonico» , vergava la commissione sul progetto dell'ingegnere Cappuccio e seguiva dettando rigide norme di uniformità nelle decorazioni. E ancora, nel progetto del capitano Fiume Cassia, la commissione «impone l'allineamento di cornici, zoccoli, fasce, cornicioni, attici, ballatoi, altezze, piani all'edificio di Nunzio Genovese» .
Grand Hotel
L'isola 15 era un appezzamento di terreno di 884,21 metri quadri a forma di quadrilatero che si affacciava sul porto all'altezza di piazza Mazzini e del molo Zanagora. La stessa amministrazione comunale, per la sua esposizione, le aveva assegnato, con 8,50 lire al metro quadro, una delle valutazioni più alte tra le isole del piano . Se l'aggiudicò, con asta pubblica, Luigi Musumeci, che vinse la concorrenza di parecchi acquirenti. Musumeci, siracusano di nascita, ma di origine catanese, era stato uno dei primi imprenditori locali a investire nell'industria del turismo. Negli anni ottanta aveva inaugurato nella palazzina di sua proprietà in via Mirabella, nel centro dell'isola di Ortigia, l'Hotel Vittoria Musumeci, che nei ricordi di Enrico Mauceri è citato, insieme all'Hotel des Etrangers e a Villa Politi, come uno degli alberghi storici dell'Ottocento siracusano ; posteriori sono l'Hotel Roma, l'Hotel Firenze e lo stesso Grand Hotel.
Enrico Mauceri descrive don Luigino come persona «gentile e garbata»; le cronache mondane dei giornali locali lo presentano mentre «con suoni di un forte timpano argentino chiama i camerieri e li manda a servire i tavoli con precisione militare invidiabile» e ciò, oltre a darci l'idea di un uomo di mestiere navigato, ci fa presumere qualche lontano legame con l'Argentina, confermato dal fatto che nel 1904 lo troviamo citato come agente consolare di quella nazione a Siracusa . Ma sempre Mauceri aggiunge, riguardo all'Hotel Vittoria, che in quello scorcio di fine Ottocento «i locali non erano adatti per un comodo soggiorno» . Lo stesso Musumeci doveva essere ben cosciente dei limiti strutturali e di sito del suo albergo. Egli probabilmente intuì le opportunità che il nuovo sviluppo della città apriva all'industria turistica e così decise di spostare l'Hotel Vittoria dall'angusta via Mirabella verso la zona di piazza Mazzini, che si prospettava in un prossimo futuro illuminata e salubre, al crocevia di strade larghe e rette adatte al traffico delle carrozze, luogo ideale per le passeggiate estive del notabilato cittadino, prospiciente al porto, limitrofa alla marina, facilmente collegabile con la stazione: zona dunque particolarmente adatta per un insediamento alberghiero, sia per gli aspetti paesaggistici sia per quelli funzionali.
Il progetto del Grand Hotel, redatto da Carlo Broggi, fu approvato dalla giunta comunale il 23 settembre 1892. Musumeci aveva dunque acquistato l'area e prodotto il progetto, ma mancava dei capitali per iniziare la costruzione. Fu con questa motivazione che cedette la concessione enfiteutica alla moglie Lucia Failla; poi, a onere della moglie, cercò un appaltatore in grado di anticipare i capitali. Lo trovò in Stefano Cosulich, di origine fiumana, nato a Marsiglia nel 1848 . Il padre Francesco Giuseppe gestiva una linea di navigazioni commerciali nel porto di Trieste, e Stefano, dalle matricole della conservatoria dei registri immobiliari, risulta essere stato vicecapitano marittimo; gli atti notarili lo presentano invece come possidente. Era giunto a Siracusa facendo spola con battelli commerciali tra Trieste e Ortigia, trasportando i prodotti della ricca agricoltura siciliana verso l'impero asburgico. In città aveva messo radici acquistando, tra 1878 e il 1889, terreni e case e sposando Elvira Spagna, figlia della buona borghesia siracusana. Elvira morì giovanissima di tifo e Stefano sposò in seconde nozze Cleta Monterosso.
In questo periodo il rapporto con la città, pur rimanendo stabile, non fu costante. Mentre otteneva alcuni appalti pubblici dall'amministrazione comunale, gestiva insieme al fratello Giulio un'attività industriale a Cardiff, dove si recava di sovente. Infine nel 1892 accettava l'appalto della costruzione del Grand Hotel, pronto ad anticipare la somma cospicua di 75.000 lire. Uomo avvezzo ai traffici e ai mercati di terra e di mare, dovette intuire le potenzialità di sviluppo della zona portuale, dove il nuovo albergo stava per nascere, tanto da trovare conveniente investire i suoi capitali nell'impresa proposta da Musumeci. Tra i due fu così firmato un contratto d'appalto particolarmente complesso, ma tipico e ricorrente nella realtà locale . Cosulich s'impegnava a investire in dieci mesi 75.000 lire nella costruzione dell'albergo, secondo le piante e sotto la direzione tecnica di Broggi. Alla scadenza dei dieci mesi, o in ogni caso al completo investimento della somma, Broggi avrebbe periziato analiticamente le opere svolte e, sulla base della perizia, i coniugi Musumeci avrebbero rilevato l'edificio nello stato lasciato da Cosulich, impegnandosi a terminare la costruzione entro tre anni. Dal momento della perizia Cosulich sarebbe diventato creditore nei confronti dei Musumeci della somma di 75.000 lire più gli interessi del 6 per cento sulle spese sostenute per effettuare gli scandagli necessari al lavoro. Sempre a partire dalla perizia, il credito complessivo (75.000 lire più percentuale sugli scandagli) sarebbe stato fruttifero di un ulteriore 6 per cento annuo per i tre anni utili al definitivo completamento dell'edificio. Completato l'hotel, il credito complessivo vantato da Cosulich (75.000 lire, più percentuale sugli scandagli, più interessi del sei per cento annuo per tre anni) sarebbe stato rimborsato in dieci anni, con rate annue all'interesse del 7 per cento annuo a scalare di trimestre in trimestre posticipato. La dilazione sarebbe scattata solo nel caso in cui Musumeci avesse terminato l'edificio nei tre anni pattuiti, in caso contrario Cosulich avrebbe avuto diritto di richiedere il pagamento in un'unica rata. A garanzia di queste obbligazioni, la signora Failla accendeva ipoteca a favore di Cosulich sul terreno, compreso l'edificio in costruzione, per 90.000 lire e Musumeci si costituiva fideiussore della moglie, sottoponendo a ipoteca, in garanzia della fideiussione, l'Hotel Vittoria Musumeci.
Così strutturato, l'appalto si presentava come un buon affare per Cosulich, che investiva il proprio denaro a lungo termine a interessi più che doppi rispetto ai correnti tassi di sconto. Musumeci si metteva nella condizione di avere il suo nuovo albergo con un limitato esborso iniziale e di pagare i suoi debiti solo ad attività commerciale attivata. Erano contratti tipici della realtà cittadina, in cui il sistema bancario era ancora debole e in cui il privato si sostituiva alle banche nel finanziamento commerciale ed edile. Molte famiglie commerciali e molti notabili della rendita svolgevano quest'attività e la fase di crescita edilizia favorì il moltiplicarsi di questa tipologia di relazioni finanziarie che si ritrova in molte transazioni relative agli immobili delle aree di espansione.
Nel caso del Grand Hotel le cose non andarono come previsto. I costi di costruzione furono di gran lunga maggiori di quelli preventivati. Alla scadenza dei dieci mesi «si era ancora alla metà dell'opera»" e i Musumeci non erano in grado di assicurare la continuazione dell'edificio. «Per molto tempo» i lavori furono bloccati e l'edificio rimase «incompleto, in parte senza tetto, quasi in abbandono ed in balia dei monelli» del porto, che lo utilizzavano come luogo di gioco, subendo inoltre «per le intemperie invernali un notevole deterioramento». La signora Failla, per evitare di dover liquidare in un'unica rata il suo debito, tentò di riprendere l'edificazione, cercò un altro appaltatore, infine, resasi conto di non essere in grado di completare l'opera, propose a Cosulich di sanare il suo debito con la cessione dell'edificio nelle condizioni in cui si trovava. Fu trovato un accordo e il 5 aprile 1895 Stefano Cosulich diveniva proprietario dello stabile in costruzione: il futuro Grand Hotel.
I lavori necessari per portare a compimento l'edificio erano molti . Nel suo testamento olografo risalente al 1913, quando l'attività alberghiera era ormai in pieno rigoglio, elencando i debiti affettivi e materiali accumulati nella sua vita, Cosulich ricordava i grandi sacrifici che dovette sopportare per completare il Grand Hotel. Complessivamente dovette ricorrere a prestiti per 106.000 lire ottenuti da banche e da familiari, che, sommati alle 75.000 anticipate per la costruzione e alle circa 8.000 per il riscatto dell'enfiteusi, fanno la considerevole cifra di lire 189.000, più gli interessi passivi prodotti nel tempo . Sappiamo infatti che nel giugno 1898 Stefano Cosulich affrancò l'enfiteusi, ma non sappiamo con certezza se a quella data il Grand Hotel era stato completato .
Nel frattempo, nel 1895 in via Savoia s'inaugurava l'albergo Malta di Sebastiano Senia e nel novembre del 1896 apriva al pubblico l'Hotel Roma di Francesco Raimondi. Nel 1899 i giornalisti stranieri in congresso a Siracusa - evento mondano che fu seguito con estrema attenzione dalla stampa locale - soggiornarono all'Hotel des Etrangers e al Vittoria di via Mirabella. Qualche mese dopo Musumeci riusciva a spostare il suo Vittoria nella zona nuova della città in via xx Settembre. Nel 1903 in via Savoia apriva anche l'Hotel Gran Bretagna di Concetto Formosa. Così la zona di nuova edificazione tra via xx Settembre e via Savoia andò caratterizzandosi per l'alta densità di insediamenti alberghieri, confermando la validità dell'iniziale intuizione di Luigi Musumeci e di Stefano Cosulich. Nel 1901 apriva nella zona alta della città l'Hotel Acradina, di prima classe, di proprietà di Sebastiano Aloschi .
La prima notizia sul Grand Hotel è della «Gazzetta di Siracusa» del 20 gennaio 1900. Il titolo recitava Serate musicali danzanti al Grand Hotel e poi di seguito: «le serate musicali al Grand Hotel si succedono assomigliandosi per la buona musica che si eseguisce, per il brio che vi regna sovrano e per l'affratellamento tra la colonia straniera e indigena» . Si festeggiava forse l'inaugurazione dell'hotel o forse la nascita del nuovo secolo. Certo è che da allora il Grand Hotel iniziò a riempire le pagine della pubblicità e della cronaca cittadina. Fu frequentato da ricchi borghesi interessati ai commerci del porto, da aristocratici e intellettuali affascinati dal passato classico della città e dai suoi tramonti, da alti ufficiali e cadetti stranieri che avevano ancorato nel porto le loro navi da guerra, da politici ed ecclesiastici, ma anche dalle famiglie della borghesia e dell'aristocrazia locale che, nelle feste e nei banchetti organizzati dai Cosulich, trovavano modo di esibire il proprio status. Il Grand Hotel fu così il luogo d'incontro tra le figlie della Siracusa bene e gli ufficiali stranieri da poco giunti nel porto; luogo di serate danzanti che iniziavano di notte e si concludevano all'alba, dove la musica dell'orchestrina si alternava a quella dei primi fonografi e dove era possibile incontrare e ascoltare soprani, tenori, musicisti e attori in tournée al Teatro Epicarmo e al Teatro Comunale. Nella cornice Liberty della "Sala dei fiori e dei cristalli", i borghesi e gli aristocratici locali, insieme ai turisti di passaggio, potevano assistere alle prime proiezioni cinematografiche e le «signorine eleganti» potevano ammirare le sfilate di moda realizzate dalle migliori sartorie nazionali e internazionali. I turisti avevano a disposizione una splendida saletta ad angolo per il fumo e una biblioteca fornita di libri e di giornali italiani e stranieri, acqua calda e fredda in ogni camera, stanze riscaldate, bagni al piano e luce elettrica. I più esigenti potevano affittare appartamentini di lusso con bagno e vista sul porto .
Una calibrata miscela di turismo, affari e mondanità sembra collocare il Grand Hotel in uno degli snodi più frequentati e più dinamici della vita sociale della città in espansione. Il primo quindicennio del secolo fu il periodo d'oro dell'hotel. Cosulich, che era socio dell'Associazione per il movimento dei forestieri, partecipò al clima di rinnovato interesse per il rilancio turistico della città e riuscì a inserire il suo albergo nei percorsi dei primi grandi tour del Mediterraneo organizzati dalle agenzie di viaggi. Strinse un accordo che garantiva l'accoglienza presso il suo hotel dei passeggeri della linea Malta-Siracusa, effettuata dal battello Carola. Il Grand Hotel incarnava il rapporto tra espansione edilizia e nuove opportunità di sviluppo offerte dalla risorsa turistica.
NOTE
Una ricostruzione del contesto locale e regionale in Astuto, Crispi e lo stadio d'assedio, cit., pp. 311 ss.; Id., La Sicilia e il crispismo, cit., pp. 226 ss.; Id., La formazione dei partiti: il gruppo del Tamburo, in Adorno, Siracusa, cit., pp. 50 ss.
Acsr, Delibere di consiglio, 23 aprile 1891, Proposta del consigliere Broggi di un nuovo regolamento edilizio.
Municipio della città di Siracusa. Condizioni speciali per la cessione delle aree fabbricabili segnate nel Piano regolatore e di ampliamento di questa città, approvato con regio decreto 9 agosto 1889, Tip. Norcia, s.d. Il regolamento si trova allegato a tutti gli atti di enfiteusi prodotti dall'amministrazione comunale.
Acsr, Delibere di consiglio, 23 aprile 1891, Proposta del consigliere Broggi, cit.
lbid. Durante il dibattito si fece esplicito riferimento al reperimento e alla consultazione dei regolamenti delle maggiori città italiane: «Il regolamento di Siracusa è stato stilato nel confronto con i regolamenti di Palermo, Roma, Torino, Milano, con un occhio a quelli di Napoli e di Firenze». Inoltre cfr. il numero monografico di «Storia dell'Urbanistica», 1995, nuova serie 1, su 1 regolamenti edilizi. Sulla produzione coeva di regolamenti cfr. F. Bufalini, Dei regolamenti edilizi, con speciale riguardo all'allineamento, secondo la dottrina, la legislazione e la giurisprudenza italiana francese e belga, Torino, Unione tipografica editrice, 1895. Il tema della diffusione di processi imitativi e degli scambi di informazioni nel campo delle pratiche amministrative e della gestione urbana è affrontato su scala europea e internazionale dal numero monografico di «Contemporary European History», novembre 2002, xi, 4 a cura di P.Y. Saunier, dedicato a Municipal Connections: Cooperation, Links and Transfer Among European Cities in the Tuientieth Century. Sulla rete di scambi relativa alle innovazioni tecnologiche in ambito urbano cfr. M. Hietala, Services and Urbanization at the Turn of the Century. The Dif fusion of Innovation, Helsinki, SHS, 1987.
7 Sulla progressiva separazione tra sfera tecnica e sfera politica nella gestione urbana cfr. S. Adorno, Tecnici professionisti, città e territorio fra storiografia e storia disciplinare. Dall'età liberale al fascismo, in Id., Professionisti città e territorio. Percorsi di ricerca tra storia dell'urbanistica e storia della città, Roma, Gangemi, 2002, pp. 125 ss. Si veda inoltre D. Boquet e F. De Pieri, Public Works and Municipal Government in two Italian Capital Cities: Comparing Technical Bureaucracies in Turin and Rome, 1848-1888, in «Modem Italy», 2002, 7, pp. 143-145. Su questi temi ritorna anche C. Bianchetti, Pescara, Roma-Bari, Laterza, 1997.
8 Regolamento di ornato pubblico, cit.
9 Acsr, Delibere di consiglio, 14 ottobre 1892, Regolamento edilizio-, in quell'occasione il consiglio ribadì la necessità, già affermata nel regolamento, dell'alta professionalità e competenza in materia edilizia, sia in sede di controllo amministrativo, sia in sede di progettazioneda parte dei privati. Di fronte alle pressioni a favore di una deprofessionalizzazione del regolamento, il ceto degli ingegneri, ben rappresentato in consiglio, riuscì a imporre una chiusura nei confronti dell'imperante abusivismo nella pratica della progettazione. In questo senso il regolamento edilizio è da leggersi anche come strumenta di garanzia corporativa della professione. Sul ruolo degli ingegneri nel caso siracusano cfr. Adorno, Famiglie commerciali, cit., pp. 143 ss. Sulla formazione di saperi tecnico-ingegneristici nella costruzione della città cfr. G. Zucconi, La città contesa. Dagli ingegneri sanitari agli urbanisti (1883-1942), Milano, Jaka Book, 1989. Più in generale A. Giuntini e M. Minesso, (a cura di), Gli ingegneri in Italia tra '800 e '900, Milano, Franco Angeli, 1999.
10 Regolamento municipale d'igiene del comune di Siracusa, Siracusa, Tipografia del commercio, 1900.
11 La notizia è tratta da «La Provincia di Siracusa», Fortilizi, 1892, n. 112. Sui temi delle servitù estetiche cfr. F. Finotto, La città aperta. Storia delle teorie urbanistiche moderne, Venezia, Marsilio, 2001, pp. 174 ss. Il rifiuto di una normativa vincolistica in campo estetico è rilevabile nel caso milanese, cfr. E. Boriani, Città ottocentesca e regolamenti: igiene e decoro della Milano postunitaria nel dibattito ufficiale, in Boriani e Rossari, La Milano del piano, cit., voi. 2, pp. 186-187.
Tariffa, cit.
Municipio della città di Siracusa. Condizioni speciali, cit.
La vicenda è ricostruita in «La Provincia di Siracusa», Fortilizi, cit.
" Ibid. Secondo il giornale i ritardi sarebbero stati causati dalla scarsa collaborazione dell'aiutante dell'ufficio tecnico Sebastiano Troia Rodante, notoriamente simpatizzante de «Il Tamburo». Sulla forte politicizzazione degli impiegati dell'ufficio tecnico di Siracusa cfr. S. Adorno, Storie di impiegati comunali in una città meridionale dell'Ottocento, in M. Soresina, (a cura di), Colletti bianchi. Ricerche su impiegati funzionari e tecnici in Italia fra '800 e '900, Milano, Franco Angeli, 1998, pp. 72-109.
Acsr, Delibere di consiglio, 25 giugno 1892, Livellazione piano stradale vie nuove4 ottobre 1892, Sterramento zone nuove. L'inizio della livellazione è datato 1 febbraio 1892.
Acsr, Delibere di consiglio, 21 aprile 1893, Inchiesta sul piano regolatore. L'inchiesta nacque dalla richiesta del consigliere Fiume Cassia di indagare sul fatto che vari proprietari non si erano attenuti all'utilizzo dei lotti concessi, usurpandone altri. Nella seduta del 17 ottobre 1893 fu letta la relazione della commissione d'inchiesta redatta dall'ingegnere capo Edoardo Troia. La commissione accertò che «i vari concessionari delle aree fabbricabili già occupate dai forti Campana, S. Lucia e S. Filippo, si sono attenuti alle consegne loro fatte dall'Ufficio tecnico, risultando rigorosamente gli allineamenti dei nuovi edifici a norma del piano regolatore e d'ampliamento della città». L'inchiesta rilevò solo delle sporgenze decorative, sostenendo che non potevano essere considerate occupazioni di suolo pubblico: «Tali sporgenze - sostenne Troia - sono accettate da tutti i regolamenti edilizi delle città italiane. Solo quello di Roma ne fa oggetto di tassa». La relazione analizzava alcuni casi. L'edificio di Nunzio Genovese, da poco terminato, aveva dei corpi decorativi in sporgenza. Nella stessa situazione si trovavano gli edifici Lucchetti, Italia, l'albergo Musumeci, le case Colomasi e Costa. Nella casa Giaracà, che fu motivo principale dell'esposto di Fiume Cassia, le decorazioni sporgevano poco più di 20 cm rispetto alle altre case. Ma la commissione rilevò che anche la casa Fiume Cassia aveva tali sporgenze. La casa Giaracà era stata disegnata da Carlo Sada, progettista anche dell'edificio della Camera di commercio. Nelle conclusioni su casa Giaracà «l'ufficio tecnico credette regolare accordare esplicitamente di poter occupare quel pò di terreno bisognevole alla sporgenza di quei piccoli corpi avanzati che si sono voluti adottare nelle pareti esterne». Fiume Cassia si ritenne danneggiato dalle concessioni a Giaracà, ma il consiglio approvò la relazione di Troia.
18 Acsr, Delibere di consiglio, 25 giugno 1892, Livellazione, cit. Le rilevazioni erano state fatte da Sebastiano Troia Rodante.
19 Acsr, Delibere di consiglio, 4 ottobre 1892, Sterramento, cit.
Ibid.
Astuto, La formazione dei partiti, cit., pp. 50 ss.
Adorno, Storie di impiegati, cit., pp. 97 ss.
2J Sul bilancio del 1892 cfr. Assr, Prefettura, b. 1187, f. 22.
24 Sul bilancio del 1893 cfr. Assr, Prefettura, b. 1187, f. 22, Delibera di consiglio comunale del 10 gennaio 1893, Discussione e approvazione del bilancio.
25 Sul bilancio del 1894 cfr. Acsr, Delibere di consiglio, 26 gennaio, 7 febbraio, 1 maggio e 16 luglio 1894, Bilancio-, inoltre Assr, Prefettura, b. 1187, f. 22, All'onorevole giunta provinciale amministrativa, relatore il prefetto, 7 agosto 1894.
26 La citazione è riportata da Astuto, Crispi e lo stato d'assedio, cit., p. 395. Sui fasci, cfr. G. Miccichè, I fasci dei lavoratori nella Sicilia sud orientale, Ragusa, Sicilia punto L, 1981; R. Russo Drago, Movimenti politici e sociali a Siracusa dal 1888 al 1892, in «Archivio storico siracusano», 1962, a. vni, pp. 87-111 e 1963, a. xi, pp. 61-116. Per la protesta contro la tassazione municipale si vedano le lettere della Società fra i Naviganti di Siracusa del 7 ottobre 1893 e della Società Operaia Archimede dell'8 ottobre 1893 in Assr, Prefettura, b. 1186, f. Tasse comunali.
27 Sulle ricadute delle riforme amministrative del 1889 nella produzione dei bilanci comunali e sulla riduzione delle spese facoltative cfr. Frascani, Finanza, economia, cit., pp. 46 ss.; più in generale, sull'aumento dei controlli prefettizi come contrappeso alla maggiore autonomia politica dei comuni sancita dall'elettività del sindaco si veda G. Melis, Storia dell'amministrazione italiana, Bologna, Il Mulino, 1996, pp. 152 ss. Le conseguenze sul caso locale sono riscontrabili nella gestione del bilancio del 1892. La politica di bilancio di quell'anno si basava su un paradosso che venne annotato dal prefetto in margine alla non approvazione del bilancio: si riducono le spese obbligatorie e si rinuncia a una politica impositiva, mentre si dà spazio alle spese facoltative. Il prefetto annota: «Bisogna far fronte a tutte le spese obbligatorie [...] le risorse vanno trovate nell'art. 147», relativo alle forme e modalità impositive. Ancora il prefetto: «Se una buona intesa economica è necessaria al buon andamento di un'amministrazione, un'economia malintesa e inattuabile nuoce invece alla regolarità dei servizi di un'amministrazione» (Lettera del prefetto al sindaco del 18 febbraio 1892). Ma il sindaco per altro aveva segnalato «di non poter sopprimere le spese facoltative che, per lunga consuetudine e perché provenienti da precedenti impegni, hanno ormai assunto carattere obbligatorio» (Lettera del sindaco al prefetto del 16 febbraio 1892). Il bilancio del 1892 venne varato nel maggio, reintegrando i tagli delle spese obbligatorie, secondo le indicazioni del prefetto, e aprendo un mutuo di 40.000 lire a integrazione del disavanzo (All'Onorevole giunta provinciale amministrativa relazione del commissario sig. Cecchini, 31 maggio 1892).
28 Acsr, Delibere di consiglio, 21 aprile 1893, Spianamento aree fabbricabili; 10 luglio 1893, Gara spianamento aree fabbricabili. L'ufficio opere pubbliche nelle persone dell'ingegnere Carlo Broggi e di Emanuele Gozzo, «per cominciare a dar forma alle strade e renderle transitabili ai cittadini che vi abitano», propose di bandire la gara d'appalto sulla base del progetto redatto dall'ufficio tecnico il 9 ottobre 1892 per l'ammontare di 10.400 lire, a norma del progetto altimetrico votato dalla giunta il 15 febbraio 1892. Dalla delibera del 10 luglio sappiamo che la gara d'appalto era andata vuota. Secondo il relatore gli appaltatori locali avrebbero disertato l'asta perché il costo di spostamento dei materiali ai Pantanelli era troppo alto, essendo aumentato il salario dei carrettieri da 1 lira a 1,60 lire. Così si decise di unificare l'appalto con quello della costruzione di 3 fontanelle per un totale di 12.000 lire.
29 Acsr, Delibere di consiglio, 10 ottobre 1893, Spianamento strade. Il consiglio cercò di bloccare l'affidamento, sostenendo che per la deficienza di bilancio era necessario evitare ogni spesa che non fosse obbligatoria. Corpaci dichiarò che «nel momento attuale le condizioni del bilancio impongono di restringere le spese a tutto quanto abbia carattere strettamente obbligatorio non senza aggiungere come in caso di spesa di qualche rilievo bisogna sfuggire la trattativa privata e devesi insistere per quanto è più possibile nello esperimento dell'asta pubblica». Il sindaco, da parte sua, sostenne che la trattativa privata era una necessità dopo quattro gare d'appalto andate deserte. Broggi insistette per l'immediata ratifica della delibera della giunta, ma passò la proposta di Corpaci di modificare la delibera da trattativa privata in appalto. La vicenda, inoltre, è da mettere in relazione con la bocciatura del bilancio preventivo del 1893 da parte della giunta provinciale amministrativa, con la motivazione che abbondava di spese facoltative, tagliando quelle obbligatorie. La Prefettura respinse la delibera per lo spianamento delle strade perché la proposta della giunta poteva essere o ratificata o respinta, non, come fu fatto, modificata, anche se in linea di principio si dichiarò d'accordo col contenuto della delibera. Si ritornò a votare. Corpaci rimase sulle sue posizioni. Perez propose invece che il consiglio sospendesse il deliberato della giunta, affidando uno studio all'ufficio tecnico per valutare se il materiale di sterro delle vie poteva essere utilizzato per la sistemazione dell'asse via Savoia-via Montedoro, realizzando così un unico appalto con una certa economia. Corpaci appoggiò la proposta di Perez (cfr. Acsr, Delibere di consiglio, 28 novembre 1893, Sistemazione di via Savoia e piano Montedoro). Broggi si dichiarò per l'appalto immediato delle opere di sistemazione delle vie perché «più i tempi sono lunghi più gli abitanti e gli edifici ne risentono». Venne votato l'ordine del giorno Perez. Si veda anche Acsr, Delibere di consiglio, 21 novembre 1893.
30 acsr, Delibere di consiglio, 10 gennaio 1894, Sistemazione strade. Interlandi fece notare che molti consiglieri erano interessati all'appalto in quanto proprietari delle case dei quartieri nuovi. Il sindaco affermò che «nessuno dei consiglieri presenti figura negli atti di enfiteusi stipulati fra questo municipio e i proprietari dei nuovi fabbricati». Interlandi rispose di «vederli e trovarli rispettivi ai suoi posti». Intervennero subito i proprietari di case nei nuovi quartieri. De Benedictis rilevò che le osservazioni mosse dal principe Interlandi erano fuori luogo e non potevano interpretarsi che come gratuite insinuazioni, dichiarò inoltre che tanto l'oratore quanto il suo collega avvocato Lucchetti per questa e per gli altri affari consimili si erano sempre astenuti. Lucchetti si difese affermando che la casa costruita nell'area degli abbattuti fortilizi era di sua moglie, aggiungendo: «Lo affare dello sterramento della strada riflette un'opera di interesse pubblico e non privato», concludendo che si era sempre astenuto in casi consimili e che «come ha fatto in precedenza lo farà pure oggi». Fiume Cassia fece osservare che i consiglieri comunali non si erano mai astenuti quando si era trattato di deliberare sulla sistemazione e riparazione delle strade fiancheggianti i fabbricati di loro proprietà, come non si erano mai astenuti nei casi in cui il consiglio aveva disposto lavori nei ronchi e cortili di loro proprietà.
" Astuto, Crispí e lo stato d'assedio, cit., p. 329.
32 Acsr, Delibere di consiglio, 12 maggio 1894, Via Savoia. 11 mutuo di 12.800 lire fu chiesto alla Cassa di soccorso per le opere pubbliche in Sicilia al tasso del 3 per cento estinguibile in vent'anni, in base alla legge 31 marzo 1883. Tutto ciò salvo provvedimenti che il consiglio avrebbe potuto prendere nel bilancio 1895 per «completare queste e altre parti del piano regolatore». Il mutuo prevedeva la somma per l'esproprio e l'abbattimento della casa Costa; cfr. anche la delibera del 21 gennaio 1895 per lo stanziamento definitivo della somma.
" Acsr, Delibere di consiglio, 12 febbraio 1896, Vie nuovi quartieri. In base alla previsione di bilancio del 1896 all'ufficio tecnico risultò possibile la sistemazione di tutte le strade dei quartieri nuovi per la somma di 35.000 lire impegnando i bilanci '96, '97, '98. Per risparmiare si decise di provvedere solo ad alcune vie: via Savoia da cantón Favero a via Gelone, via B dalla piazza Mazzini alla piazza Pancali, via B da piazza Pancali a via Gelone, via C, via N, via M. Fu esclusa piazza Pancali. Il finanziamento fu così ridotto a 20.510 lire, di cui 10.000 da imputare sul bilancio 1896 e il resto su quello del 1897. Il visto della GPA è del 6 marzo 1896, n. 2989. «La giunta volendo sciogliere l'impegno assunto innanzi al paese e affrontare l'apertura dei lavori in cui si possono occupare molti operai ha fatto compilare i progetti per sistemare vie e banchine dei nuovi quartieri. Se non che si sono posti ostacoli alla realizzazione, uno finanziario uno di opportunità. Non si può in un solo turno sistemare Piazza Pancali e tutti i quartieri perché la somma di £. 35.000 bloccherebbe il bilancio '96/'97». Inoltre Acsr, Delibere di consiglio, 25 gennaio 1898, Vie nuove, sistemazione. In riferimento alla delibera del 12 febbraio 1896, a questa data si era già proceduto agli appalti, a esclusione delle vie C, M, N, che non erano state ancora sistemate e per le quali vennero stanziate 6.860 lire, stornate da altri capitoli di spesa. Restava infatti preminente la necessità di chiudere i lavori per motivi igienici. I costi furono gravati per 1.500 lire sul bilancio del 1898 e per il resto su quello del 1899.
54 Assr, Prefettura, b. 1187, f. 22, Lettera del prefetto al sindaco, oggetto: bilancio preventivo 1892 di Siracusa, 1 febbraio 1892. Secondo il prefetto le 20.000 lire inserite nei bilanci precedenti «devono passarsi alle economie per non essersi negli anni scorsi verificata la riscossione di alcuna somma per alienazione, sicché le corrispondenti somme previste anziché di lontana riscossione devono classificarsi tra quelle inesigibili»; ivi si veda anche Delibera di consiglio comunale del 10 gennaio 1893, Discussione e approvazione del bilancio, cit.: «si è sperimentata una minore entrata di £. 10.172 su quella prevista per la concessione di suolo edificabile dei fortilizi». Nel 1894 il debito Ardizzone fu calcolato in 40.000 lire, di cui 28.000 gravate sul bilancio 1894 e 12.000 gravate sul bilancio 1895, da coprire con le rendite delle aree edificabili del piano regolatore; ivi cfr. Lettera del prefetto al sindaco, 75 agosto 1894. Inoltre Acsr, Delibere di consiglio, 27 dicembre 1895, Vie nuovi quartieri. Nella delibera si evidenzia che la relazione di previsione del bilancio 1896 nel capitolo Strade quartieri nuovi aveva denunciato il disagio materiale e le cattive condizioni igieniche dei nuovi quartieri a causa della mancata sistemazione delle strade; si evidenzia inoltre che non era stato possibile investire i proventi dell'enfiteusi nella sistemazione dei quartieri perché quelle cifre erano servite a coprire il debito della lite Ardizzone.
" Acsr, Delibere di Consiglio, 7 novembre 1893, Strade interne', «urge spostarsi la via che attraversa piazza Montedoro a norma del piano regolatore e di ampliamento della città, senza di che il Municipio non potrà assicurare i canoni per la vendita delle isole fabbricabili, rimanendo gran parte di esse isole nella strada attualmente attraversante il largo Montedoro o la piazza del Popolo». Acsr, Delibere di Consiglio, 28 novembre 1893, Strada Montedoro, via Savoia e via Gelone. Si tratta della deliberazione relativa al nuovo piano stradale inerente al rettifilo e al pozzo dell'Ingegnere. I punti salienti del piano erano i seguenti: alzare il livello di piazza d'Armi, raccordandolo a quello del limitrofo binario ferroviario; eliminare la strada che attraversa il piano Montedoro per permettere l'edificazione delle isole 29, 32, 33, 35, 38; costruire la nuova viabilità di piano Montedoro rispettosa del piano; finire la sistemazione della viabilità di piano relativa all'area interna a Ortigia sul versante del porto piccolo raccordando il livello di via Savoia con via Gelone. Acsr, Delibere di consiglio, 21 dicembre 1894, Traccia-mento lotti. Viene deliberato il tracciamento dei lotti del piano Montedoro per rendere edifi- cabili le aree previste dal piano. Nella delibera vengono fissati tre punti: dare lavoro agli operai, espropriare lo stabilimento Orlando, cacciare tutti coloro che hanno abusivamente occupato le aree.
,6 «La Provincia di Siracusa», Fortilizi II, 1892, n. 114.
57 Ibid. Le isole che l'amministrazione mantenne per sé furono le numero 1, 2, 20, 21, 25 e 26. La n. 4 e la n. 6 non furono cedute. Le isole date in concessione agli abitanti di via Savoia furono la n. 8 e la n. 9. Nello specifico la n. 8 fu frazionata tra Capodicasa Francesco di Giuseppe, Ortolano Concetto fu Sebastiano, Urzì Pietro fu Giovanni, Russo Lucietta, figliadel senatore Luigi Greco Cassia, Perez Francesco, Lo Curzio Enrico, Malfitano Carmelo e Fortuna Salvatore. L'isola n. 9 fu concessa al cavaliere Sebastiano Italia, fu Sebastiano. Le isole di risulta - la n. 14 e la n. 24 - furono concesse al pittore Lilli Monteforte e a Arturo Spagna figlio dell'ing. Luigi con il divieto di edificazione. L'isola n. 7 fu concessa alla Camera di commercio.
,s Ibid.
" Cfr. la tabella n. 3 allegata in appendice.
Sull'imprenditoria commerciale, in particolare sui Bozzanca, Conigliaro e Boccadifuoco, cfr. Adorno, Famiglie commerciali, cit.; sul notabilato cfr. Id., Professionisti, famiglie, cit. Inoltre, per gli intrecci con la borgata Santa Lucia, cfr. le tabelle allegate nn. 1 e 2.
ANsr, Notaio Concetto Chimir, 6 maggio 1892, Enfiteusi. L'enfiteuta è il capitano marittimo Giuseppe Fiume Cassia, consigliere comunale, che presentò un progetto per la costruzione di una casa per il commercio.
ANsr, Notaio Gaetano Leone, 21 gennaio 1892, Enfiteusi.
4i ANsr, Notaio Concetto Chimir, 3 maggio 1892, Enfiteusi. L'acquirente è la famiglia De Benedictis-Scorza.
I componenti della commissione edilizia che deliberarono sui progetti (tra parentesi sono segnalate le presenze riscontrate nelle sedute di commissione relative alla deliberazione sulle case di via Savoia) furono: Cassola Giuseppe di Eustachio, ingegnere civile laureato a Napoli nel 1883 (20 presenze), Broggi Carlo di Vincenzo, ingegnere civile laureato a Napoli nel 1883 (10 presenze), Picone Francesco di Gaetano (2 presenze); Pistone Domenico di Gaetano, ingegnere civile laureato a Palermo nel 1879 (3 presenze), Sallicano Sergio (2 presenze). Il parere veniva vergato a mano sul progetto. I progettisti delle case (tra parentesi il numero dei progetti presentati) furono: Carlo Broggi (8); Luigi Spagna (3); Edoardo Troia (2); Giuseppe Maratta (2); PasqualePandolfo (2); Domenico Pistone (1); Francesco Picone (1); Carmelo Cappuccio (1); Francesco Salvo (1). Broggi, Picone e Pistone furono contemporaneamente progettisti e membri della commissione per un totale di 12 progetti su 21 censiti; Edoardo Troia era impiegato dell'ufficio tecnico.
C. Broggi, Progetto del Teatro notturno e diurno politeama Epicarmo - Relazione, Sira¬cusa, Tipografia Norcia, 1892.
ANsr, Notaio Giuseppe Monteforte Panusa, 19 aprile 1892, Enfiteusi.
ANSI1, Notaio Concetto Chimir, 6 maggio 1892, cit.
ANsr, Notaio Concetto Chimir, 10 ottobre 1892, Enfiteusi. Il prezzo finale a metro qua¬dro fu di 12.295 lire, circa 3.200 lire in più rispetto al prezzo d'incanto globale e 3,80 lire in più rispetto alla valutazione a metro quadro. La concessione enfiteutica prevedeva un canone annuale di 529,44 lire.
E. Mauceri, Siracusa nel fiore dei miei anni, Bologna, Azzoguidi, 1941, p. 75.
«Il Tamburo», 23 aprile 1899.
«Il Corriere di Siracusa», 1904, n. 11.
Mauceri, Siracusa, cit.
ACRisr, Stefano Cosulich fu Giuseppe, registro 453/1026 trascrizioni a favore e contro. Sulla famiglia Cosulich cfr. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Treccani, 1990, voi. 30, pp. 419 ss.
ANsr, Notaio Giuseppe Monteforte Panusa, 6 dicembre 1892, Appalto.
ANsr, Notaio Giuseppe Monteforte Panusa, 27 gennaio 1894, Appalto. Contiene la perizia di Broggi sullo stato dei lavori alla fine dei 10 mesi previsti dal primo contratto d'appalto e il preventivo sulle opere da svolgere per completare il lavoro. La perizia fu chiusa il 31 dicembre 1893 e rilasciata il 27 gennaio 1894.
ANsr, Notaio Francesco Giuliano, 24 maggio 1921, Testamento.
,s ACRisr, Cosulich Stefano, cit., trascrizione n. 85 dell'I giugno 1898, intestata a municipio di Siracusa, Affrancazione; trascrizione n. 640 del 28 dicembre 1898, intestata a municipio di Siracusa, Affrancazione.
Per queste informazioni cfr. «Il Tamburo», Albergo Malta, 6 ottobre 1895; Albergo Roma, 18 ottobre 1896. «La Gazzetta», Albergo Gran Bretagna, 13 settembre 1903; «Il Corriere di Siracusa», Hotel Acradina, 1904, n. 11, ivi la notizia sul trasferimento del Vittoria in via xx Settembre.
«La Gazzetta», 20-21 gennaio 1900.
Per queste informazioni cfr. «La Gazzetta», 30 e 31 agosto 1903; «Aretusa», 18 luglio 1909, 23 febbraio 1913; si veda inoltre la pagina pubblicitaria a partire dal 1909; «Il Gazzettino Rosa», 18 novembre 1914.
UN GRANDE DEMANIO COMUNALE:
L'AREA DEGLI EX FORTILIZI
Nel 1889 il piano regolatore era appena giunto ad approvazione quando iniziava a consumarsi irreversibilmente la crisi della giunta tamburina sotto i colpi del prefetto Pennino, che, attraverso un'oculata politica di scioglimento delle amministrazioni comunali, riuscì a portare tutta la provincia in mano al partito Crispino. Nell'ottobre del 1889 arrivava lo scioglimento dell'amministrazione comunale di Siracusa, motivato da una valanga di accuse sullo sperpero e la disamministrazione delle risorse finanziarie .
Si materializzavano così i timori di Storaci, che aveva visto nella revisione del piano del 1887 il tentativo di allungare i tempi per impedire ai giovani de «Il Tamburo» di gestire, oltre alla progettazione, anche la fase strategica della sua prima applicazione. La nuova giunta filo crispina, guidata dal sindaco Statella e legata all'ex sindaco Reale, iniziò immediatamente le procedure di attivazione del piano, agendo contemporaneamente su tre versanti. In primo luogo, la produzione degli strumenti normativi. In secondo luogo, le operazioni preliminari alla concessione dei lotti, relative alla rimozione dei materiali prodotti dalle demolizioni, al tracciamento delle strade e delle isole, alla livellazione e alla quotizzazione del nuovo spazio edificabili. Infine, la concessione delle aree edificabili.
IL PIANO DAL PROGETTO ALLA PRODUZIONE: NORME E REGOLAMENTI
Per affrontare il passaggio del piano dalla fase progettuale a quella esecutiva l'amministrazione utilizzò tre strumenti normativi: il nuovo regolamento edilizio , il regolamento per la tariffa dei prezzi' e il regolamento per le condizioni speciali di cessione delle aree . Mentre il primo si presentava come strumento generale di regolamentazione dei processi di urbanizzazione, i secondi avevano un ambito di applicazione circoscritto alle zone di nuova edificazione individuate dal piano. Nella seduta del consiglio comunale del 18 aprile 1891, il consigliere comunale ingegnere Carlo Broggi illustrò il nuovo regolamento edilizio della città, che avrebbe dovuto sostituire il vecchio regolamento di ornato del 1875.
Broggi, come Cristina e Cassola, si era laureato a Napoli, aveva ricevuto una formazione igienista, ma a differenza di questi aveva trovato il suo canale di ascesa politica militando nella fazione antitamburina. Nell'introduzione esplicito la necessità di tradurre in norma i nuovi principi igienisti e rivendicò «l'estensione dei privilegi dell'igiene e del decoro a tutta la popolazione, anche alle classi più umili» . Teorizzò una distribuzione degli spazi urbani funzionale alle esigenze di una città in crescita economica e numerica, proponendo un tessuto viario fatto di strade ampie e areate, polemizzando con archeologi e storici dell'arte che difendevano i canoni estetici della città antica contro quelli igienisti e funzionali della città moderna. Il regolamento di Siracusa aveva caratteri simili a quelli coevi di altre città, ai quali aveva attinto, seguendo il tipico processo di riproduzione imitativa che caratterizzava gli strumenti normativi delle amministrazioni pubbliche dell'epoca . Come molti altri regolamenti della sua generazione, ridefiniva la composizione e le funzioni della commissione edilizia e imponeva contemporaneamente una sua maggiore qualificazione professionale e una più netta separazione tra competenze tecniche e decisione politica7. Nel regolamento del 1875 almeno un membro sui quattro previsti doveva essere «persona tecnica»8, mentre quello del 1891 portava i componenti a sei e richiedeva che almeno tre possedessero il titolo di ingegneri e gli altri provenissero dalla Commissione di antichità, dalla Scuola d'arte o dal Museo nazionale. Nel regolamento del 1875 almeno due membri dovevano essere consiglieri comunali, in quello del 1891 solo la presidenza toccava di diritto al sindaco. Sempre in quello del 1875 il parere della commissione era meramente consultivo, tale rimaneva in quello del 1891, ma le ordinanze della giunta e del consiglio, difformi dal parere della commissione, andavano «debitamente motivate». S'imponeva, inoltre, che tutti i progetti dovessero essere firmati esclusivamente da architetti e ingegneri. Attraverso il regolamento si dava così una forte legittimazione istituzionale a queste due professioni. Esso funzionò da strumento di garanzia corporativa nei confronti dell'abusivismo nella pratica della progettazione, tanto da suscitare ampie proteste e da richiedere una specifica seduta di consiglio, per ribadire l'inderogabilità dei principi «di competenza e professionalità in materia edilizia»9.
Il nuovo regolamento ampliava il controllo sull'edificazione sia dal punto di vista territoriale, estendendolo, come si è visto, alle borgate Santa Lucia e Sant'Antonio, sia dal punto di vista tecnico. Normava infatti, rigidamente, tutte le procedure relative sia alla progettazione, produzione, manutenzione e sicurezza dei singoli edifici, sia alle relazioni spaziali tra gli edifici, attraverso i parametri igienisti della libera circolazione della luce, dell'aria e dell'acqua. Per gli aspetti igienico-sanitari fu peraltro integrato nel 1900 dal regolamento municipale d'igiene, che vincolava in modo minuzioso la concessione a costruire nel rispetto delle norme igieniche dei suoli, degli impianti tecnici e della disposizione dei locali10.
Particolare attenzione fu posta alla codificazione delle prescrizioni estetiche, tradizionalmente garanti del decoro degli edifici, delle gerarchie simboliche della città e, in ultima analisi, della legittimazione dell'egemonia notabilare, attraverso la produzione dell'uniformità del gusto. Questa capacità di tenuta dei codici del decoro si manifestò in forme eccessivamente vincolistiche nei confronti della libera utilizzazione del bene e della libera espressione creativa, prevedendo per gli edifici privati prospicienti a nuove piazze e vie la possibilità di imporre «un tipo uniforme», predeterminato dall'ufficio tecnico. La norma fu cassata dal Ministero dei lavori pubblici, con la motivazione che non possono imporsi nei riguardi di ornato oneri speciali ai proprietari di fondi siti in determinate località, e le norme per la costruzione di edifici sulle nuove piazze non possono stabilirsi che con le formalità stabilite dalla legge 25 giugno 1866 n. 2359".
Nonostante l'abolizione dell'articolo 45, la commissione edilizia comunale, nei primi anni di applicazione del regolamento, fu particolarmente attenta all'uniformità dei prospetti, imponendo in ogni lotto di adeguare all'ornato del primo edificio quello degli edifici limitrofi. Negli anni successivi, in mancanza di norme vincolanti, il controllo estetico da parte della commissione edilizia venne meno, e l'omogeneità dei caratteri stilistici e funzionali delle facciate fu lasciata all'inerzia del codice culturale e alla sensibilità di proprietari e progettisti. Ne risultò una frattura tra la coerenza dei prospetti delle prime edificazioni, nell'area degli ex bastioni, e l'eterogeneità e le discordanze degli allineamenti di cornici, zoccoli e ballatoi delle facciate degli edifici costruiti, successivamente, nell'area dell'istmo e della borgata Santa Lucia. Il regolamento prevedeva inoltre, come si è già visto, la possibilità di piani di ampliamento d'iniziativa privata, sottoponendoli all'approvazione dell'amministrazione comunale.
Le aree demaniali del piano furono, invece, sottoposte a specifica regolamentazione circa i prezzi, le modalità e i criteri di accesso alla proprietà. Ci troviamo di fronte a un dispositivo amministrativo che, se da una parte era in grado di attivare uno stretto controllo sul processo edificatorio, dall'altra lasciava margini di discrezionalità nella scelta dell'aggiudicazione dei lotti. Le condizioni generali erano nel complesso favorevoli agli acquirenti sia per i costi sia per la semplicità delle procedure ed evidenziavano la volontà dell'amministrazione di incentivare il capitale privato all'edificazione. I prezzi oscillavano tra le 4 e le 8 lire a metro quadro, con punte estreme di 10 lire per le aree meglio esposte sul porto e di 2,5 lire per quelle più periferiche, limitrofe al borgo Sant'Antonio . La cessione era prevista per acquisto in contanti o per concessione enfiteutica, fino ad affrancamento globale del canone. In questo caso si stabiliva l'invalidità della cessione qualora l'edificio non fosse stato costruito entro un tempo di volta in volta stabilito dalla commissione edilizia. La cessione avveniva su domanda dei richiedenti in base ai prezzi stabiliti dal municipio. Si prevedeva il ricorso all'asta pubblica solo nel caso in cui, per una stessa concessione, fossero state presentate più domande. In quest'ultimo caso era necessaria una cauzione pari a un decimo del valore dell'area. Il contratto per altro impegnava i proprietari a rispettare gli allineamenti, le quote e le altezze massime decise dall'ufficio e a realizzare i sistemi di scarico delle acque piovane e reflue secondo moderni criteri igienici .
Questi strumenti normativi innescavano un ferreo meccanismo di controllo sulla qualità complessiva dell'edificio (estetica e igienica), imponendo la presentazione e l'approvazione delle piante e dei prospetti contestualmente all'atto di firma della concessione dell'area e subordinando la concessione all'approvazione dei progetti. Il Genio civile, cui fu sottoposto il regolamento, propose di svincolare e di posporre l'approvazione degli elaborati grafici rispetto alla firma della concessione, nella consapevolezza che l'ufficio tecnico non era pronto a indicare quote e livelli del tracciato stradale, ma la proposta non fu accettata .
NUOVE STRADE E BILANCI COMUNALI
Tracciare le strade e rilevare le quote
La nuova amministrazione accelerò i tempi di realizzazione del piano, sotto la spinta di una duplice emergenza di carattere finanziario e occupazionale, che venne più volte esplicitata nel dibattito consigliare. Le politiche di bilancio imponevano, infatti, il recupero delle rendite finanziarie legate alla concessione delle aree e la crisi economica spingeva ad attivare tutti i possibili meccanismi, pubblici e privati, di offerta di lavoro. La fretta di arrivare alle concessioni e d'iniziare i lavori si scontrò sia con le oggettive condizioni in cui si trovavano le aree, ancora ricoperte dai materiali di risulta delle demolizioni, sia con la lentezza e il boicottaggio politico dell'Ufficio tecnico, ancora in mano a tecnici di estrazione tamburina, che offrirono scarsa collaborazione ai nuovi amministratori . Si creò quindi una profonda disarmonia tra i tempi della politica, quelli del territorio e quelli della tecnica.
Il tracciamento delle strade e dei lotti, nonché il rilievo delle quote altimetriche e la posa delle livellette, fu reso assai complesso dall'enorme quantità di pietrame presente sul luogo, così che, nella fretta di arrivare al più presto alle concessioni, i lotti furono assegnati prima dell'individuazione delle quote altimetriche. Infatti, solo nell'agosto del 1891 la ditta Marsiglia, aggiudicataria dell'appalto del binario porto-stazione, iniziò a sgombrare le aree del piano, utilizzando i materiali di risulta delle demolizioni per la costruzione della banchina. Solo nel giugno del 1892 il consiglio deliberò le quote altimetriche e i tracciati, mentre quasi tutte le concessioni erano già state stipulate e molti edifici erano già in via di costruzione .
«Il Tamburo», ormai all'opposizione, denunziò tempestivamente i rischi che l'amministrazione correva, assegnando aree senza prima averle individuate con precisione. Le modalità tecniche e il contesto politico attraverso cui si verificò questo preliminare passaggio del piano, dal disegno su carta al disegno sul territorio, aprirono infatti una prima serie di conflitti legati al problema delle perimetrazioni dei lotti. Nel 1893 fu aperta un'inchiesta amministrativa, tesa a rilevare le responsabilità degli sconfinamenti di alcuni edifici in suoli sia pubblici che privati. Il risultato dell'inchiesta accertò che tutti gli edifici avevano mantenuto gli allineamenti dell'ufficio tecnico e che le usurpazioni, pur diffusissime, erano dovute solo a «sporgenze decorative», che non potevano essere considerate occupazione di suolo pubblico e che quindi andavano sanate. I conflitti vennero così mediati politicamente, all'interno della commissione d'inchiesta, visto che buona parte degli acquirenti chiamati in causa erano consiglieri comunali .
Una seconda rilevante ricaduta sugli assetti del territorio fu legata alla risoluzione del problema delle quote altimetriche. Il rilievo dell'ingegnere Troia Rodante mise infatti in evidenza un dislivello dai 3 ai 4 metri tra via Savoia e strada Garibaldi, che si sarebbe potuto affrontare o alzando il piano di tutte le banchine del porto, ovvero accettando le pendenze e cercando di governarle. Ancora una volta furono le ristrettezze di bilancio a far decidere per la soluzione più economica, ma meno vantaggiosa. Il dibattito in consiglio mise in evidenza la consapevolezza diffusa che le banchine del porto, progettate senza grande lungimiranza negli anni sessanta, erano troppo basse rispetto alle esigenze della nuova navigazione a vapore e che la costruzione del nuovo quartiere metteva l'amministrazione di fronte all'opportunità di affrontare radicalmente questo problema e di dare un assetto altimetrico razionale a tutta l'area fronte mare della città. Ma la mancanza di fondi e la presenza di una edificazione già in stato avanzato fecero pendere la decisione a favore di una soluzione di mero raccordo tra la zona a quota alta e quella a quota bassa18.
Quando le quote di livello furono comunicate ai concessionari, molti di loro avevano già iniziato la costruzione, alcuni avevano solo posto le fondazioni e altri avevano già alzato i prospetti. In ogni caso, per l'amministrazione si rendeva urgente il problema del livellamento delle pendenze e della sistemazione del manto stradale, poiché tutte le costruzioni si trovavano sotto il livello della strada19.
La prima proposta di sistemazione stradale fu fatta, nella seduta del consiglio comunale del 4 ottobre 1892, dall'avvocato Ettore Lucchetti, che da poco aveva firmato l'atto di concessione di una delle aree più prestigiose del piano, vincendo un'asta al rialzo di circa il trenta per cento del prezzo base. Lucchetti motivò la necessità dei lavori su un triplice ordine di idee: da una parte l'oggettiva necessità di riportare le strade al livello dei fabbricati; dall'altra quelladi garantire il migliore decoro dello spazio d'ingresso all'isola di Ortigia, provvedendo alla costruzione dei marciapiedi, al lastricamento con basole, all'illuminazione, all'impianto di qualche fontana, alla piantumazione di alberi; infine, l'opportunità di offrire lavoro in una fase di profonda crisi occupazionale . Il dibattito consigliare fu pacato e tutto centrato sul costo dell'operazione e sulle ristrettezze del bilancio comunale e si concluse incaricando l'ufficio tecnico di stendere il progetto e il piano finanziario dell'opera. Nella sua prima uscita in consiglio, la questione del «decoro delle strade» si presentava come un tema urbano condiviso e gestibile in modo unanime.
Conflitti sul bilancio
A partire da quella data, il tema della sistemazione stradale dei nuovi quartieri è leggibile all'interno del conflitto sulle politiche di bilancio, che divise il notabilato filo Crispino e riaprì le porte del governo ai tamburini, inaugurando inedite alleanze fazionali. Le politiche di bilancio dettarono non solo i tempi di realizzazione delle strade, ma più in generale condizionarono gli esiti del piano, attra¬verso le modalità di gestione finanziaria delle rendite accumulate attraverso le concessioni.
La nuova giunta aveva ricevuto in eredità una situazione finanziaria estremamente precaria. I giovani tamburini avevano ampliato le spese facoltative per il decoro e lo sviluppo delle opere pubbliche cittadine, finanziandole con l'alienazione delle rendite del fondo pensionistico degli impiegati, con la messa in bilancio di poste inesigibili e con una politica d'indebitamento attraverso mutui. La loro gestione finanziaria, forzando i vincoli normativi, aveva infatti dato l'opportunità a Crispi di chiedere lo scioglimento del consiglio . Nei primi anni di governo i crispini non solo mantennero alto il livello delle spese facoltative, ma aumentarono anche a dismisura le spese per il personale, ampliando l'organico e favorendo gli avanzamenti di carriera . Nel 1891 affrontarono il pareggio del bilancio, attraverso un aumento di 10.000 lire del dazio di consumo, che aggravò le condizioni dei ceti più poveri, e nel 1892 proposero l'apertura di un mutuo di 40.000 lire a copertura del disavanzo23. Nel 1893 la situazione precipitò a causa della mancata apertura del mutuo dell'anno precedente, che sommò il disavanzo del 1892 a quello del 189324. Fu in quell'occasione che si aprì una frattura all'interno del partito Crispino. Da una parte, la giunta non voleva rinunciare alla politica espansiva di investimenti pubblici e di spese per il personale e propose di pareggiare il bilancio con l'aumento della sovrimposta su terreni e fabbricati e con l'imposizione, fino ad allora evitata, della tassazione sul bestiame e sugli esercizi e rivendite. Dall'altra, si era creata un'alleanza tra l'esigua minoranza de «Il Tamburo», capeggiata dal principe Interlandi, e un'area significativa del notabilato della rendita e delle professioni di matrice politica crispina, capeggiata dall'avvocato Corpaci e dal marchese Specchi, che era rimasta esclusa dalla gestione attiva del potere e che si sentiva sensibilmente toccata dall'incremento della tassazione sulla rendita. Quest'inedita coalizione proponeva una netta politica di tagli sulle spese facoltative e il ricorso all'alienazione delle rendite del fondo culto e del fondo pensioni, così come avevano già fatto i tamburini nel 1888 25.
Faceva da contesto a questa situazione l'agitazione dei fasci, capeggiati dagli avvocati Luigi Leone e Luigi De Caprio, che in città assunse un carattere eminentemente antimunicipale. Gli organismi operai, toccati dall'aumento del dazio di consumo, e le associazioni artigiane, toccate dall'imposizione sugli esercizi e rivendite, fecero infatti della politica fiscale del municipio uno dei loro principali cavalli di battaglia e lo stesso prefetto scriveva al Ministero degli interni che «l'unica mira dei soci del fascio di Siracusa è quella del rovesciamento dello attuale partito dominante, essendo essi quasi tutti tamburini»26. Il prefetto, d'altra parte, attraverso l'organo di controllo amministrativo, cercò di razionalizzare il bilancio, imponendo una limitazione delle spese facoltative27. Le iniziative prefettizie, oltre a rispondere alla specifica situazione locale, si inserivano nel contesto nazionale di maggiori controlli sulle compatibilità di bilancio inaugurate dalla nuova legge comunale e provinciale del 1889. La sistemazione delle strade era classificata come spesa facoltativa e l'opposizione, per bocca di Corpaci, Specchi e Interlandi, chiese di rimandare a tempi migliori questo capitolo di spesa, approfittando del fatto che nel frattempo la gara era andata per ben quattro volte deserta a causa, si disse in consiglio, del costo eccessivo di rimozione dei materiali, che rendeva poco conveniente l'appalto28. La giunta invece alzò il preventivo e affidò i lavori a trattativa privata ai fratelli Michele e Nunzio Genovese, che erano per altro concessionari di parecchi lotti edificabili dei nuovi quartieri. Su quest'atto amministrativo l'opposizione aprì un duro contenzioso, riuscendo a bloccare l'affidamento dell'appalto per tutto il 1893 29. La questione delle strade divenne così la cartina di tornasole delle tensioni sociali e degli equilibri politici della città.
Con la stesura del bilancio preventivo del 1894, la questione si ripresentò con tutta la sua carica polemica. La giunta infatti propose un ulteriore aumento della sovrimposta sui terreni e i fabbricati e l'opposizione presentò un progetto di bilancio alternativo, tutto basato sul taglio delle spese. Per tutta risposta la giunta ripropose al vaglio del consiglio l'approvazione della trattativa privata per le strade, chiedendo su questa delibera la fiducia. L'intervento del principe Interlandi fu durissimo. Insinuò che intorno alla questione delle strade ci fosse la manovra di un gruppo di interesse, che agiva secondo finalità private e non pubbliche, formato dai possessori di aree e dagli appaltatori delle strade, anch'essi possessori di aree, che aveva i terminali politici in consiglio comunale nelle figure dei consiglieri concessionari dei lotti. In un'atmosfera «satura di elettricità»30 si ar-rivo così al voto che negò la fiducia alla giunta. La crisi, gestita dal marchese Specchi, portò al commissariamento del Comune, a nuove elezioni nel 1895 e al ritorno al potere dei tamburini, con l'appoggio di una parte della fazione avversaria31.
La questione delle strade rimase irrisolta, con tutto il carico di valenze simboliche legate al decoro, sociali legate all'occupazione, finanziarie legate al bilancio. Fu infatti lo stesso Specchi, nella fase di transizione verso le nuove elezioni, e nel clima di tensione determinato dai fasci, a proporre l'apertura di un mutuo agevolato per la sistemazione delle nuove vie32. L'iter della nuova delibera si protrasse fino al 1898, quando fu stipulato l'appalto33. In questa seconda fase, nonostante il permanere delle ristrettezze di bilancio, intorno all'argomento si ristabilì un clima consensuale.
La nuova amministrazione tamburina, guidata da Interlandi, che aveva cooptato una parte degli avversari, estese gradatamente la sistemazione delle strade alla zona di Montedoro e della piazza d'Armi, con l'obiettivo di mettere sul mercato i nuovi lotti. Il dibattito di quegli anni aveva infatti messo in evidenza la centralità che il piano aveva assunto nella definizione degli equilibri di bilancio dell'amministrazione comunale, non solo dal punto di vista delle uscite, con i costi per il completamento delle opere di urbanizzazione, ma anche da quello delle entrate, con le rendite derivanti dalle alienazioni in enfiteusi dei lotti. Le rendite dalle enfiteusi delle aree di via Savoia ebbero, infatti, un ruolo centrale nella definizione dei bilanci dal 1890 al 1895. Dal 1890 al 1892, calcolate in 20.000 lire, furono strumentalmente inserite in entrata, anche se palesemente inesigibili, per pareggiare artificiosamente il bilancio. Nel 1893, calcolate in 40.000 lire, furono recuperate solo per due terzi e, a partire dal 1894, furono in buona parte cedute a copertura del debito Ardizzone, che da anni gravava sull'amministrazione34. Già dal 1895 il municipio aveva dunque perso la proprietà di una parte consistente delle aree interne a Ortigia e il piano, piuttosto che uno strumento di amministrazione del territorio, manifestava apertamente la sua natura di strumento meramente finanziario.
Enfiteusi e demanio comunale
In questo contesto va letto anche il ruolo svolto dall'applicazione del contratto di enfiteusi ai terreni comunali. Tutte le aree del piano regolatore furono infatti cedute per contratto enfiteutico. In questo caso, la separazione tra il diritto di proprietà del terreno, che rimaneva in mano pubblica, e il diritto di edificazione, che passava in mano ai privati, prefigurava la possibilità di fornire al Comune un potente strumento di contenimento della rendita fondiaria. Rimanendo il terreno di proprietà comunale, l'aumento di valore legato alla edificazione sarebbe infatti rimasto nel dominio dell'interesse pubblico. Si poteva raggiungere, attraverso uno strumento antico, un modernissimo criterio di separazione tra proprietà e possesso.
La consapevolezza di questo aspetto non emerge dal dibattito politico amministrativo locale, mirato prevalentemente al computo delle risorse ricavabili dall'alienazione dei terreni. Di fatto l'enfiteusi si risolse nella possibilità, da parte dell'amministrazione, di incamerare fondi annuali da giocare in funzione del pareggio di un bilancio fortemente deficitario. Negli anni in cui la crisi finanziaria si fece più evidente, fu lo stesso Comune a chiedere agli enfiteuti di affrancare il canone, pur di racimolare somme che lo mettessero in grado di sanare i deficit di bilancio. L'enfiteusi pubblica si risolse così in una vantaggiosissima speculazione fondiaria per i notabili delle professioni e della rendita e per le più grosse famiglie commerciali, che si accaparrarono la maggior parte delle aree, sfruttando i risparmi economici garantiti dal contratto e pagando canoni e affrancazioni a prezzi poco più alti di quelli proposti dai lottizzatori privati. La zona umbertina, caratterizzata da un'edilizia residenziale, usufruiva così delle stesse agevolazioni delle aree di edilizia economica e popolare della borgata.
Dopo la crisi del 1895, il notabilato nel suo complesso capì l'importanza di ricostituire sia una posta di bilancio fittizia sia una rendita reale, mettendo al più presto sul mercato le rimanenti aree del piano Montedoro. Capì anche l'importanza di procedere, questa volta ordinatamente, allo spianamento, tracciamento e costruzione delle infrastrutture viarie, in modo da poter avviare sul mercato le aree. Nella zona di Montedoro, infatti, i nuovi lotti erano attraversati dalle vecchie strade. Per attivare le concessioni era dunque indispensabile tracciare prima il rettifilo e le vie traverse, rendendoli percorribili, in modo da poter abolire il vecchio sistema viario, svincolando i lotti dalla sua servitù. Già nel gennaio 1894 iniziarono i rilievi planimetrici e altimetrici e i lavori di tracciamento delle nuove strade. Anche in questo caso, la presenza di numerosi depositi di pietrame e l'occupazione abusiva delle aree resero lungo e difficile il lavoro35.
Per molti versi il materiale di sterro lasciato sul territorio, che rappresentava un vincolo all'edificazione, si trasformò in una inaspettata risorsa economica, in quanto i proprietari delle aree se ne impadronirono abusivamente e gratuitamente, utilizzandolo per la costruzione dei loro palazzi. A partire dal 1898 ricominciava l'assegnazione delle nuove concessioni e, insieme a esse, il gioco finanziario delle poste di bilancio inesigibili e delle alienazioni per coprire i debiti.
NUOVI QUARTIERI: VIA SAVOIA
45-48
Nel 1892 il giornale dei crispini, posto di fronte all'attacco de «Il Tamburo», che denunciava imbrogli e clientelismi nell'assegnazione delle aree del piano regolatore, decise di pubblicare i nomi degli acquirenti e i dati statistici relativi alle concessioni fino ad allora firmate. Le informazioni riportate dal giornale si riferivano a tutte le 26 isole fabbricabili interne all'isola di Ortigia36. Dai dati riportati dal giornale emerge che l'amministrazione si era riservata sei isole, due per costruirvi il mercato del pesce e quattro per edifici scolastici e altri servizi. Due erano state cedute, saltando la prassi del regolamento, ai proprietari di case in via Savoia, che avevano i prospetti confinanti con le isole, per evitare liti e contenziosi. Due non erano state ancora alienate, una era andata alla Camera di commercio e due erano state cedute senza sperimento d'asta, per il loro taglio irregolare e di risulta, che le rendeva inedificabili57. Le isole messe al bando erano state 13, divise in 37 lotti, tutti concessi seguendo scrupolosamente il regolamento: 18 in base a singole domande, 14 ceduti per aggiudicazione d'asta, mentre per 3 l'asta era andata deserta e 2 lotti non erano stati richiesti da nessuno. La maggior parte dei lotti erano stati concessi in uno spazio di tempo molto ristretto, tra l'agosto e il settembre del 1891, con qualche scivolamento entro il primo semestre del 1892. Dopo aver elencato i nomi degli acquirenti e le modalità di acquisto, i crispini invitavano «Il Tamburo» a verificare se erano state commesse irregolarità o favoritismi e concludevano: «indaghi a quale partito appartengono i sopra trascritti nomi e si convincerà che il calunniare è ridotto a mestiere nelle file avversarie»38.
E difficile capire fino a che punto le accuse de «Il Tamburo» sulla regolarità delle concessioni fossero fondate; l'individuazione di 36 dei 37 acquirenti dei lotti dati in concessione permette invece un'analisi più articolata del profilo sociografico dei primi investitori nell'area di via Savoia39.
Ventuno di loro si definivano possidenti, sette appartenevano all'area dell'imprenditoria commerciale e artigianale, sei erano capo-mastri, uno era impiegato e uno capitano marittimo. Complessivamente si rilevano cinque casi di doppio acquisto, di cui quattro tra i possidenti e uno tra i capomastri, per cui ci troviamo di fronte a trentuno soggetti. Sui diciassette possidenti, sette erano anche liberi professionisti, di cui quattro ingegneri e tre avvocati, e quattro esercitavano anche l'attività di appaltatori: Brancati, Maratta e i fratelli Michele e Nunzio Genovese. Questi ultimi avrebbero avuto l'appalto per la costruzione delle strade del quartiere. Il mondo del commercio era rappresentato da rilevanti famiglie, legate all'importazione di generi coloniali e all'esportazione di prodotti agricoli, come i Malfitano e gli Orefice. Il capitano Fiume Cassia gestiva una grande agenzia marittima, mentre i tre gruppi d'impresa familiare più importanti della città, i Bozzanca, i Conigliaro e i Boccadifuoco, si sarebbero insediati nell'area solo qualche anno più tardi, rilevando gli immobili dai primi acquirenti. Luigi Musumeci era invece il più importante albergatore della città. Tra i capomastri, Bongiovanni, Ali e Dierna erano già entrati nel circuito dell'imprenditoria edile urbana, acquistando i terreni alla borgata. Gli Atanasio vi entravano in quest'occasione, mentre gli Ali, insieme ai Caracciolo, venivano da una consolidata tradizione di appalti pubblici del periodo borbonico. Ma il fenomeno del passaggio dall'investimento nella borgata Santa Lucia a quello nella zona umbertina fu sicuramente più ampio e riguardò figure come gli ingegneri Cappuccio e Favara, la famiglia Bozzanca, i fratelli Michele e Nunzio Genovese, tanto da lasciare intravedere la formazione di un vasto circuito speculativo. Sette soggetti su trentuno appartenevano al ceto politico, provenienti da famiglie storiche del notabilato, ricche di relazioni politiche e sociali: De Benedictis, Lucchetti, Fiume Cassia, Spagna, Vinci, Orefice, Giaracà. I primi tre rivestirono cariche di governo nella giunta crispina. L'asse portante dei concessionari delle nuove aree esprimeva una calibrata miscela tra il notabilato della rendita e delle professioni, il settore più forte della borghesia commerciale del porto e un selezionato gruppo di appaltatori, capomastri e speculatori, che seguiva il processo espansivo della città e cresceva con esso. Il collante della politica era forte, tanto da dare una base oggettiva alle accuse lanciate dal principe Interlandi nel 1894 in occasione del dibattito sugli appalti per le strade dei nuovi quartieri .
Anche le tipologie abitative rispondevano al quadro sociale degli acquirenti. Le grandi case commerciali presentarono progetti in cui il pianoterra era adibito a basso commerciale, ufficio, magazzino merci o bottega, mentre il primo piano era adibito ad abitazione . Emanuale Genovese presentò un progetto per «quartini da pigione», intendendo costituirsi una rendita urbana . I professionisti si orientarono verso una destinazione d'uso mista, anche se alcuni puntarono unicamente sull'abitazione, lasciando il basso per la scuderia e la rimessa della carrozza o del calesse . L'uniformità dei prospetti fu garantita dal vaglio della commissione edilizia e dalle prescrizioni del regolamento, ma anche dal fatto che la maggior parte degli elaborati proveniva da un gruppo ristretto di professionisti, che erano contemporaneamente membri della commissione, dirigenti dell'ufficio tecnico e firmatari dei progetti . Essi garantirono una omogeneità del codice estetico, che proveniva dal tessuto delle relazioni sociali e da una comune formazione culturale. Su tutti prevaleva il ruolo di Carlo Broggi, firmatario di otto progetti su ventuno rinvenuti, membro effettivo della commissione ed estensore del regolamento, fermo sostenitore del «tipo unico» edilizio, vero artefice dell'identità estetica dei nuovi quartieri sorti nell'area degli ex fortilizi. Nel progetto che negli stessi anni stilava per la costruzione del Politeama Epicarmo, Broggi esplicitava i suoi principi estetici:
Rifuggiamo - egli scrive - dalle pompose decorazioni quali sono concepite dai gusti d'oltremonte, tanto disparati dai nostri, così abbiamo creduto di attenerci alla massima semplicità e scegliere uno stile di architettura che, sobrio nelle forme, sentisse nel contempo dell'italiano e dll'oltremontano.
Questi concetti bene si attagliano ai progetti elaborati per via Savoia, fatti di linee semplici e di decorazioni discrete ed eleganti.
Così, la commissione sottopose a una minuziosa serie di prescrizioni i numerosi progetti che presentavano difformità estetiche. «È stato sistema della commissione edilizia che i fabbricati prospicienti sulle piazze del nuovo piano di ampliamento debbano conservare lo istesso tipo architettonico» , vergava la commissione sul progetto dell'ingegnere Cappuccio e seguiva dettando rigide norme di uniformità nelle decorazioni. E ancora, nel progetto del capitano Fiume Cassia, la commissione «impone l'allineamento di cornici, zoccoli, fasce, cornicioni, attici, ballatoi, altezze, piani all'edificio di Nunzio Genovese» .
Grand Hotel
L'isola 15 era un appezzamento di terreno di 884,21 metri quadri a forma di quadrilatero che si affacciava sul porto all'altezza di piazza Mazzini e del molo Zanagora. La stessa amministrazione comunale, per la sua esposizione, le aveva assegnato, con 8,50 lire al metro quadro, una delle valutazioni più alte tra le isole del piano . Se l'aggiudicò, con asta pubblica, Luigi Musumeci, che vinse la concorrenza di parecchi acquirenti. Musumeci, siracusano di nascita, ma di origine catanese, era stato uno dei primi imprenditori locali a investire nell'industria del turismo. Negli anni ottanta aveva inaugurato nella palazzina di sua proprietà in via Mirabella, nel centro dell'isola di Ortigia, l'Hotel Vittoria Musumeci, che nei ricordi di Enrico Mauceri è citato, insieme all'Hotel des Etrangers e a Villa Politi, come uno degli alberghi storici dell'Ottocento siracusano ; posteriori sono l'Hotel Roma, l'Hotel Firenze e lo stesso Grand Hotel.
Enrico Mauceri descrive don Luigino come persona «gentile e garbata»; le cronache mondane dei giornali locali lo presentano mentre «con suoni di un forte timpano argentino chiama i camerieri e li manda a servire i tavoli con precisione militare invidiabile» e ciò, oltre a darci l'idea di un uomo di mestiere navigato, ci fa presumere qualche lontano legame con l'Argentina, confermato dal fatto che nel 1904 lo troviamo citato come agente consolare di quella nazione a Siracusa . Ma sempre Mauceri aggiunge, riguardo all'Hotel Vittoria, che in quello scorcio di fine Ottocento «i locali non erano adatti per un comodo soggiorno» . Lo stesso Musumeci doveva essere ben cosciente dei limiti strutturali e di sito del suo albergo. Egli probabilmente intuì le opportunità che il nuovo sviluppo della città apriva all'industria turistica e così decise di spostare l'Hotel Vittoria dall'angusta via Mirabella verso la zona di piazza Mazzini, che si prospettava in un prossimo futuro illuminata e salubre, al crocevia di strade larghe e rette adatte al traffico delle carrozze, luogo ideale per le passeggiate estive del notabilato cittadino, prospiciente al porto, limitrofa alla marina, facilmente collegabile con la stazione: zona dunque particolarmente adatta per un insediamento alberghiero, sia per gli aspetti paesaggistici sia per quelli funzionali.
Il progetto del Grand Hotel, redatto da Carlo Broggi, fu approvato dalla giunta comunale il 23 settembre 1892. Musumeci aveva dunque acquistato l'area e prodotto il progetto, ma mancava dei capitali per iniziare la costruzione. Fu con questa motivazione che cedette la concessione enfiteutica alla moglie Lucia Failla; poi, a onere della moglie, cercò un appaltatore in grado di anticipare i capitali. Lo trovò in Stefano Cosulich, di origine fiumana, nato a Marsiglia nel 1848 . Il padre Francesco Giuseppe gestiva una linea di navigazioni commerciali nel porto di Trieste, e Stefano, dalle matricole della conservatoria dei registri immobiliari, risulta essere stato vicecapitano marittimo; gli atti notarili lo presentano invece come possidente. Era giunto a Siracusa facendo spola con battelli commerciali tra Trieste e Ortigia, trasportando i prodotti della ricca agricoltura siciliana verso l'impero asburgico. In città aveva messo radici acquistando, tra 1878 e il 1889, terreni e case e sposando Elvira Spagna, figlia della buona borghesia siracusana. Elvira morì giovanissima di tifo e Stefano sposò in seconde nozze Cleta Monterosso.
In questo periodo il rapporto con la città, pur rimanendo stabile, non fu costante. Mentre otteneva alcuni appalti pubblici dall'amministrazione comunale, gestiva insieme al fratello Giulio un'attività industriale a Cardiff, dove si recava di sovente. Infine nel 1892 accettava l'appalto della costruzione del Grand Hotel, pronto ad anticipare la somma cospicua di 75.000 lire. Uomo avvezzo ai traffici e ai mercati di terra e di mare, dovette intuire le potenzialità di sviluppo della zona portuale, dove il nuovo albergo stava per nascere, tanto da trovare conveniente investire i suoi capitali nell'impresa proposta da Musumeci. Tra i due fu così firmato un contratto d'appalto particolarmente complesso, ma tipico e ricorrente nella realtà locale . Cosulich s'impegnava a investire in dieci mesi 75.000 lire nella costruzione dell'albergo, secondo le piante e sotto la direzione tecnica di Broggi. Alla scadenza dei dieci mesi, o in ogni caso al completo investimento della somma, Broggi avrebbe periziato analiticamente le opere svolte e, sulla base della perizia, i coniugi Musumeci avrebbero rilevato l'edificio nello stato lasciato da Cosulich, impegnandosi a terminare la costruzione entro tre anni. Dal momento della perizia Cosulich sarebbe diventato creditore nei confronti dei Musumeci della somma di 75.000 lire più gli interessi del 6 per cento sulle spese sostenute per effettuare gli scandagli necessari al lavoro. Sempre a partire dalla perizia, il credito complessivo (75.000 lire più percentuale sugli scandagli) sarebbe stato fruttifero di un ulteriore 6 per cento annuo per i tre anni utili al definitivo completamento dell'edificio. Completato l'hotel, il credito complessivo vantato da Cosulich (75.000 lire, più percentuale sugli scandagli, più interessi del sei per cento annuo per tre anni) sarebbe stato rimborsato in dieci anni, con rate annue all'interesse del 7 per cento annuo a scalare di trimestre in trimestre posticipato. La dilazione sarebbe scattata solo nel caso in cui Musumeci avesse terminato l'edificio nei tre anni pattuiti, in caso contrario Cosulich avrebbe avuto diritto di richiedere il pagamento in un'unica rata. A garanzia di queste obbligazioni, la signora Failla accendeva ipoteca a favore di Cosulich sul terreno, compreso l'edificio in costruzione, per 90.000 lire e Musumeci si costituiva fideiussore della moglie, sottoponendo a ipoteca, in garanzia della fideiussione, l'Hotel Vittoria Musumeci.
Così strutturato, l'appalto si presentava come un buon affare per Cosulich, che investiva il proprio denaro a lungo termine a interessi più che doppi rispetto ai correnti tassi di sconto. Musumeci si metteva nella condizione di avere il suo nuovo albergo con un limitato esborso iniziale e di pagare i suoi debiti solo ad attività commerciale attivata. Erano contratti tipici della realtà cittadina, in cui il sistema bancario era ancora debole e in cui il privato si sostituiva alle banche nel finanziamento commerciale ed edile. Molte famiglie commerciali e molti notabili della rendita svolgevano quest'attività e la fase di crescita edilizia favorì il moltiplicarsi di questa tipologia di relazioni finanziarie che si ritrova in molte transazioni relative agli immobili delle aree di espansione.
Nel caso del Grand Hotel le cose non andarono come previsto. I costi di costruzione furono di gran lunga maggiori di quelli preventivati. Alla scadenza dei dieci mesi «si era ancora alla metà dell'opera»" e i Musumeci non erano in grado di assicurare la continuazione dell'edificio. «Per molto tempo» i lavori furono bloccati e l'edificio rimase «incompleto, in parte senza tetto, quasi in abbandono ed in balia dei monelli» del porto, che lo utilizzavano come luogo di gioco, subendo inoltre «per le intemperie invernali un notevole deterioramento». La signora Failla, per evitare di dover liquidare in un'unica rata il suo debito, tentò di riprendere l'edificazione, cercò un altro appaltatore, infine, resasi conto di non essere in grado di completare l'opera, propose a Cosulich di sanare il suo debito con la cessione dell'edificio nelle condizioni in cui si trovava. Fu trovato un accordo e il 5 aprile 1895 Stefano Cosulich diveniva proprietario dello stabile in costruzione: il futuro Grand Hotel.
I lavori necessari per portare a compimento l'edificio erano molti . Nel suo testamento olografo risalente al 1913, quando l'attività alberghiera era ormai in pieno rigoglio, elencando i debiti affettivi e materiali accumulati nella sua vita, Cosulich ricordava i grandi sacrifici che dovette sopportare per completare il Grand Hotel. Complessivamente dovette ricorrere a prestiti per 106.000 lire ottenuti da banche e da familiari, che, sommati alle 75.000 anticipate per la costruzione e alle circa 8.000 per il riscatto dell'enfiteusi, fanno la considerevole cifra di lire 189.000, più gli interessi passivi prodotti nel tempo . Sappiamo infatti che nel giugno 1898 Stefano Cosulich affrancò l'enfiteusi, ma non sappiamo con certezza se a quella data il Grand Hotel era stato completato .
Nel frattempo, nel 1895 in via Savoia s'inaugurava l'albergo Malta di Sebastiano Senia e nel novembre del 1896 apriva al pubblico l'Hotel Roma di Francesco Raimondi. Nel 1899 i giornalisti stranieri in congresso a Siracusa - evento mondano che fu seguito con estrema attenzione dalla stampa locale - soggiornarono all'Hotel des Etrangers e al Vittoria di via Mirabella. Qualche mese dopo Musumeci riusciva a spostare il suo Vittoria nella zona nuova della città in via xx Settembre. Nel 1903 in via Savoia apriva anche l'Hotel Gran Bretagna di Concetto Formosa. Così la zona di nuova edificazione tra via xx Settembre e via Savoia andò caratterizzandosi per l'alta densità di insediamenti alberghieri, confermando la validità dell'iniziale intuizione di Luigi Musumeci e di Stefano Cosulich. Nel 1901 apriva nella zona alta della città l'Hotel Acradina, di prima classe, di proprietà di Sebastiano Aloschi .
La prima notizia sul Grand Hotel è della «Gazzetta di Siracusa» del 20 gennaio 1900. Il titolo recitava Serate musicali danzanti al Grand Hotel e poi di seguito: «le serate musicali al Grand Hotel si succedono assomigliandosi per la buona musica che si eseguisce, per il brio che vi regna sovrano e per l'affratellamento tra la colonia straniera e indigena» . Si festeggiava forse l'inaugurazione dell'hotel o forse la nascita del nuovo secolo. Certo è che da allora il Grand Hotel iniziò a riempire le pagine della pubblicità e della cronaca cittadina. Fu frequentato da ricchi borghesi interessati ai commerci del porto, da aristocratici e intellettuali affascinati dal passato classico della città e dai suoi tramonti, da alti ufficiali e cadetti stranieri che avevano ancorato nel porto le loro navi da guerra, da politici ed ecclesiastici, ma anche dalle famiglie della borghesia e dell'aristocrazia locale che, nelle feste e nei banchetti organizzati dai Cosulich, trovavano modo di esibire il proprio status. Il Grand Hotel fu così il luogo d'incontro tra le figlie della Siracusa bene e gli ufficiali stranieri da poco giunti nel porto; luogo di serate danzanti che iniziavano di notte e si concludevano all'alba, dove la musica dell'orchestrina si alternava a quella dei primi fonografi e dove era possibile incontrare e ascoltare soprani, tenori, musicisti e attori in tournée al Teatro Epicarmo e al Teatro Comunale. Nella cornice Liberty della "Sala dei fiori e dei cristalli", i borghesi e gli aristocratici locali, insieme ai turisti di passaggio, potevano assistere alle prime proiezioni cinematografiche e le «signorine eleganti» potevano ammirare le sfilate di moda realizzate dalle migliori sartorie nazionali e internazionali. I turisti avevano a disposizione una splendida saletta ad angolo per il fumo e una biblioteca fornita di libri e di giornali italiani e stranieri, acqua calda e fredda in ogni camera, stanze riscaldate, bagni al piano e luce elettrica. I più esigenti potevano affittare appartamentini di lusso con bagno e vista sul porto .
Una calibrata miscela di turismo, affari e mondanità sembra collocare il Grand Hotel in uno degli snodi più frequentati e più dinamici della vita sociale della città in espansione. Il primo quindicennio del secolo fu il periodo d'oro dell'hotel. Cosulich, che era socio dell'Associazione per il movimento dei forestieri, partecipò al clima di rinnovato interesse per il rilancio turistico della città e riuscì a inserire il suo albergo nei percorsi dei primi grandi tour del Mediterraneo organizzati dalle agenzie di viaggi. Strinse un accordo che garantiva l'accoglienza presso il suo hotel dei passeggeri della linea Malta-Siracusa, effettuata dal battello Carola. Il Grand Hotel incarnava il rapporto tra espansione edilizia e nuove opportunità di sviluppo offerte dalla risorsa turistica.
NOTE
Una ricostruzione del contesto locale e regionale in Astuto, Crispi e lo stadio d'assedio, cit., pp. 311 ss.; Id., La Sicilia e il crispismo, cit., pp. 226 ss.; Id., La formazione dei partiti: il gruppo del Tamburo, in Adorno, Siracusa, cit., pp. 50 ss.
Acsr, Delibere di consiglio, 23 aprile 1891, Proposta del consigliere Broggi di un nuovo regolamento edilizio.
Municipio della città di Siracusa. Condizioni speciali per la cessione delle aree fabbricabili segnate nel Piano regolatore e di ampliamento di questa città, approvato con regio decreto 9 agosto 1889, Tip. Norcia, s.d. Il regolamento si trova allegato a tutti gli atti di enfiteusi prodotti dall'amministrazione comunale.
Acsr, Delibere di consiglio, 23 aprile 1891, Proposta del consigliere Broggi, cit.
lbid. Durante il dibattito si fece esplicito riferimento al reperimento e alla consultazione dei regolamenti delle maggiori città italiane: «Il regolamento di Siracusa è stato stilato nel confronto con i regolamenti di Palermo, Roma, Torino, Milano, con un occhio a quelli di Napoli e di Firenze». Inoltre cfr. il numero monografico di «Storia dell'Urbanistica», 1995, nuova serie 1, su 1 regolamenti edilizi. Sulla produzione coeva di regolamenti cfr. F. Bufalini, Dei regolamenti edilizi, con speciale riguardo all'allineamento, secondo la dottrina, la legislazione e la giurisprudenza italiana francese e belga, Torino, Unione tipografica editrice, 1895. Il tema della diffusione di processi imitativi e degli scambi di informazioni nel campo delle pratiche amministrative e della gestione urbana è affrontato su scala europea e internazionale dal numero monografico di «Contemporary European History», novembre 2002, xi, 4 a cura di P.Y. Saunier, dedicato a Municipal Connections: Cooperation, Links and Transfer Among European Cities in the Tuientieth Century. Sulla rete di scambi relativa alle innovazioni tecnologiche in ambito urbano cfr. M. Hietala, Services and Urbanization at the Turn of the Century. The Dif fusion of Innovation, Helsinki, SHS, 1987.
7 Sulla progressiva separazione tra sfera tecnica e sfera politica nella gestione urbana cfr. S. Adorno, Tecnici professionisti, città e territorio fra storiografia e storia disciplinare. Dall'età liberale al fascismo, in Id., Professionisti città e territorio. Percorsi di ricerca tra storia dell'urbanistica e storia della città, Roma, Gangemi, 2002, pp. 125 ss. Si veda inoltre D. Boquet e F. De Pieri, Public Works and Municipal Government in two Italian Capital Cities: Comparing Technical Bureaucracies in Turin and Rome, 1848-1888, in «Modem Italy», 2002, 7, pp. 143-145. Su questi temi ritorna anche C. Bianchetti, Pescara, Roma-Bari, Laterza, 1997.
8 Regolamento di ornato pubblico, cit.
9 Acsr, Delibere di consiglio, 14 ottobre 1892, Regolamento edilizio-, in quell'occasione il consiglio ribadì la necessità, già affermata nel regolamento, dell'alta professionalità e competenza in materia edilizia, sia in sede di controllo amministrativo, sia in sede di progettazioneda parte dei privati. Di fronte alle pressioni a favore di una deprofessionalizzazione del regolamento, il ceto degli ingegneri, ben rappresentato in consiglio, riuscì a imporre una chiusura nei confronti dell'imperante abusivismo nella pratica della progettazione. In questo senso il regolamento edilizio è da leggersi anche come strumenta di garanzia corporativa della professione. Sul ruolo degli ingegneri nel caso siracusano cfr. Adorno, Famiglie commerciali, cit., pp. 143 ss. Sulla formazione di saperi tecnico-ingegneristici nella costruzione della città cfr. G. Zucconi, La città contesa. Dagli ingegneri sanitari agli urbanisti (1883-1942), Milano, Jaka Book, 1989. Più in generale A. Giuntini e M. Minesso, (a cura di), Gli ingegneri in Italia tra '800 e '900, Milano, Franco Angeli, 1999.
10 Regolamento municipale d'igiene del comune di Siracusa, Siracusa, Tipografia del commercio, 1900.
11 La notizia è tratta da «La Provincia di Siracusa», Fortilizi, 1892, n. 112. Sui temi delle servitù estetiche cfr. F. Finotto, La città aperta. Storia delle teorie urbanistiche moderne, Venezia, Marsilio, 2001, pp. 174 ss. Il rifiuto di una normativa vincolistica in campo estetico è rilevabile nel caso milanese, cfr. E. Boriani, Città ottocentesca e regolamenti: igiene e decoro della Milano postunitaria nel dibattito ufficiale, in Boriani e Rossari, La Milano del piano, cit., voi. 2, pp. 186-187.
Tariffa, cit.
Municipio della città di Siracusa. Condizioni speciali, cit.
La vicenda è ricostruita in «La Provincia di Siracusa», Fortilizi, cit.
" Ibid. Secondo il giornale i ritardi sarebbero stati causati dalla scarsa collaborazione dell'aiutante dell'ufficio tecnico Sebastiano Troia Rodante, notoriamente simpatizzante de «Il Tamburo». Sulla forte politicizzazione degli impiegati dell'ufficio tecnico di Siracusa cfr. S. Adorno, Storie di impiegati comunali in una città meridionale dell'Ottocento, in M. Soresina, (a cura di), Colletti bianchi. Ricerche su impiegati funzionari e tecnici in Italia fra '800 e '900, Milano, Franco Angeli, 1998, pp. 72-109.
Acsr, Delibere di consiglio, 25 giugno 1892, Livellazione piano stradale vie nuove4 ottobre 1892, Sterramento zone nuove. L'inizio della livellazione è datato 1 febbraio 1892.
Acsr, Delibere di consiglio, 21 aprile 1893, Inchiesta sul piano regolatore. L'inchiesta nacque dalla richiesta del consigliere Fiume Cassia di indagare sul fatto che vari proprietari non si erano attenuti all'utilizzo dei lotti concessi, usurpandone altri. Nella seduta del 17 ottobre 1893 fu letta la relazione della commissione d'inchiesta redatta dall'ingegnere capo Edoardo Troia. La commissione accertò che «i vari concessionari delle aree fabbricabili già occupate dai forti Campana, S. Lucia e S. Filippo, si sono attenuti alle consegne loro fatte dall'Ufficio tecnico, risultando rigorosamente gli allineamenti dei nuovi edifici a norma del piano regolatore e d'ampliamento della città». L'inchiesta rilevò solo delle sporgenze decorative, sostenendo che non potevano essere considerate occupazioni di suolo pubblico: «Tali sporgenze - sostenne Troia - sono accettate da tutti i regolamenti edilizi delle città italiane. Solo quello di Roma ne fa oggetto di tassa». La relazione analizzava alcuni casi. L'edificio di Nunzio Genovese, da poco terminato, aveva dei corpi decorativi in sporgenza. Nella stessa situazione si trovavano gli edifici Lucchetti, Italia, l'albergo Musumeci, le case Colomasi e Costa. Nella casa Giaracà, che fu motivo principale dell'esposto di Fiume Cassia, le decorazioni sporgevano poco più di 20 cm rispetto alle altre case. Ma la commissione rilevò che anche la casa Fiume Cassia aveva tali sporgenze. La casa Giaracà era stata disegnata da Carlo Sada, progettista anche dell'edificio della Camera di commercio. Nelle conclusioni su casa Giaracà «l'ufficio tecnico credette regolare accordare esplicitamente di poter occupare quel pò di terreno bisognevole alla sporgenza di quei piccoli corpi avanzati che si sono voluti adottare nelle pareti esterne». Fiume Cassia si ritenne danneggiato dalle concessioni a Giaracà, ma il consiglio approvò la relazione di Troia.
18 Acsr, Delibere di consiglio, 25 giugno 1892, Livellazione, cit. Le rilevazioni erano state fatte da Sebastiano Troia Rodante.
19 Acsr, Delibere di consiglio, 4 ottobre 1892, Sterramento, cit.
Ibid.
Astuto, La formazione dei partiti, cit., pp. 50 ss.
Adorno, Storie di impiegati, cit., pp. 97 ss.
2J Sul bilancio del 1892 cfr. Assr, Prefettura, b. 1187, f. 22.
24 Sul bilancio del 1893 cfr. Assr, Prefettura, b. 1187, f. 22, Delibera di consiglio comunale del 10 gennaio 1893, Discussione e approvazione del bilancio.
25 Sul bilancio del 1894 cfr. Acsr, Delibere di consiglio, 26 gennaio, 7 febbraio, 1 maggio e 16 luglio 1894, Bilancio-, inoltre Assr, Prefettura, b. 1187, f. 22, All'onorevole giunta provinciale amministrativa, relatore il prefetto, 7 agosto 1894.
26 La citazione è riportata da Astuto, Crispi e lo stato d'assedio, cit., p. 395. Sui fasci, cfr. G. Miccichè, I fasci dei lavoratori nella Sicilia sud orientale, Ragusa, Sicilia punto L, 1981; R. Russo Drago, Movimenti politici e sociali a Siracusa dal 1888 al 1892, in «Archivio storico siracusano», 1962, a. vni, pp. 87-111 e 1963, a. xi, pp. 61-116. Per la protesta contro la tassazione municipale si vedano le lettere della Società fra i Naviganti di Siracusa del 7 ottobre 1893 e della Società Operaia Archimede dell'8 ottobre 1893 in Assr, Prefettura, b. 1186, f. Tasse comunali.
27 Sulle ricadute delle riforme amministrative del 1889 nella produzione dei bilanci comunali e sulla riduzione delle spese facoltative cfr. Frascani, Finanza, economia, cit., pp. 46 ss.; più in generale, sull'aumento dei controlli prefettizi come contrappeso alla maggiore autonomia politica dei comuni sancita dall'elettività del sindaco si veda G. Melis, Storia dell'amministrazione italiana, Bologna, Il Mulino, 1996, pp. 152 ss. Le conseguenze sul caso locale sono riscontrabili nella gestione del bilancio del 1892. La politica di bilancio di quell'anno si basava su un paradosso che venne annotato dal prefetto in margine alla non approvazione del bilancio: si riducono le spese obbligatorie e si rinuncia a una politica impositiva, mentre si dà spazio alle spese facoltative. Il prefetto annota: «Bisogna far fronte a tutte le spese obbligatorie [...] le risorse vanno trovate nell'art. 147», relativo alle forme e modalità impositive. Ancora il prefetto: «Se una buona intesa economica è necessaria al buon andamento di un'amministrazione, un'economia malintesa e inattuabile nuoce invece alla regolarità dei servizi di un'amministrazione» (Lettera del prefetto al sindaco del 18 febbraio 1892). Ma il sindaco per altro aveva segnalato «di non poter sopprimere le spese facoltative che, per lunga consuetudine e perché provenienti da precedenti impegni, hanno ormai assunto carattere obbligatorio» (Lettera del sindaco al prefetto del 16 febbraio 1892). Il bilancio del 1892 venne varato nel maggio, reintegrando i tagli delle spese obbligatorie, secondo le indicazioni del prefetto, e aprendo un mutuo di 40.000 lire a integrazione del disavanzo (All'Onorevole giunta provinciale amministrativa relazione del commissario sig. Cecchini, 31 maggio 1892).
28 Acsr, Delibere di consiglio, 21 aprile 1893, Spianamento aree fabbricabili; 10 luglio 1893, Gara spianamento aree fabbricabili. L'ufficio opere pubbliche nelle persone dell'ingegnere Carlo Broggi e di Emanuele Gozzo, «per cominciare a dar forma alle strade e renderle transitabili ai cittadini che vi abitano», propose di bandire la gara d'appalto sulla base del progetto redatto dall'ufficio tecnico il 9 ottobre 1892 per l'ammontare di 10.400 lire, a norma del progetto altimetrico votato dalla giunta il 15 febbraio 1892. Dalla delibera del 10 luglio sappiamo che la gara d'appalto era andata vuota. Secondo il relatore gli appaltatori locali avrebbero disertato l'asta perché il costo di spostamento dei materiali ai Pantanelli era troppo alto, essendo aumentato il salario dei carrettieri da 1 lira a 1,60 lire. Così si decise di unificare l'appalto con quello della costruzione di 3 fontanelle per un totale di 12.000 lire.
29 Acsr, Delibere di consiglio, 10 ottobre 1893, Spianamento strade. Il consiglio cercò di bloccare l'affidamento, sostenendo che per la deficienza di bilancio era necessario evitare ogni spesa che non fosse obbligatoria. Corpaci dichiarò che «nel momento attuale le condizioni del bilancio impongono di restringere le spese a tutto quanto abbia carattere strettamente obbligatorio non senza aggiungere come in caso di spesa di qualche rilievo bisogna sfuggire la trattativa privata e devesi insistere per quanto è più possibile nello esperimento dell'asta pubblica». Il sindaco, da parte sua, sostenne che la trattativa privata era una necessità dopo quattro gare d'appalto andate deserte. Broggi insistette per l'immediata ratifica della delibera della giunta, ma passò la proposta di Corpaci di modificare la delibera da trattativa privata in appalto. La vicenda, inoltre, è da mettere in relazione con la bocciatura del bilancio preventivo del 1893 da parte della giunta provinciale amministrativa, con la motivazione che abbondava di spese facoltative, tagliando quelle obbligatorie. La Prefettura respinse la delibera per lo spianamento delle strade perché la proposta della giunta poteva essere o ratificata o respinta, non, come fu fatto, modificata, anche se in linea di principio si dichiarò d'accordo col contenuto della delibera. Si ritornò a votare. Corpaci rimase sulle sue posizioni. Perez propose invece che il consiglio sospendesse il deliberato della giunta, affidando uno studio all'ufficio tecnico per valutare se il materiale di sterro delle vie poteva essere utilizzato per la sistemazione dell'asse via Savoia-via Montedoro, realizzando così un unico appalto con una certa economia. Corpaci appoggiò la proposta di Perez (cfr. Acsr, Delibere di consiglio, 28 novembre 1893, Sistemazione di via Savoia e piano Montedoro). Broggi si dichiarò per l'appalto immediato delle opere di sistemazione delle vie perché «più i tempi sono lunghi più gli abitanti e gli edifici ne risentono». Venne votato l'ordine del giorno Perez. Si veda anche Acsr, Delibere di consiglio, 21 novembre 1893.
30 acsr, Delibere di consiglio, 10 gennaio 1894, Sistemazione strade. Interlandi fece notare che molti consiglieri erano interessati all'appalto in quanto proprietari delle case dei quartieri nuovi. Il sindaco affermò che «nessuno dei consiglieri presenti figura negli atti di enfiteusi stipulati fra questo municipio e i proprietari dei nuovi fabbricati». Interlandi rispose di «vederli e trovarli rispettivi ai suoi posti». Intervennero subito i proprietari di case nei nuovi quartieri. De Benedictis rilevò che le osservazioni mosse dal principe Interlandi erano fuori luogo e non potevano interpretarsi che come gratuite insinuazioni, dichiarò inoltre che tanto l'oratore quanto il suo collega avvocato Lucchetti per questa e per gli altri affari consimili si erano sempre astenuti. Lucchetti si difese affermando che la casa costruita nell'area degli abbattuti fortilizi era di sua moglie, aggiungendo: «Lo affare dello sterramento della strada riflette un'opera di interesse pubblico e non privato», concludendo che si era sempre astenuto in casi consimili e che «come ha fatto in precedenza lo farà pure oggi». Fiume Cassia fece osservare che i consiglieri comunali non si erano mai astenuti quando si era trattato di deliberare sulla sistemazione e riparazione delle strade fiancheggianti i fabbricati di loro proprietà, come non si erano mai astenuti nei casi in cui il consiglio aveva disposto lavori nei ronchi e cortili di loro proprietà.
" Astuto, Crispí e lo stato d'assedio, cit., p. 329.
32 Acsr, Delibere di consiglio, 12 maggio 1894, Via Savoia. 11 mutuo di 12.800 lire fu chiesto alla Cassa di soccorso per le opere pubbliche in Sicilia al tasso del 3 per cento estinguibile in vent'anni, in base alla legge 31 marzo 1883. Tutto ciò salvo provvedimenti che il consiglio avrebbe potuto prendere nel bilancio 1895 per «completare queste e altre parti del piano regolatore». Il mutuo prevedeva la somma per l'esproprio e l'abbattimento della casa Costa; cfr. anche la delibera del 21 gennaio 1895 per lo stanziamento definitivo della somma.
" Acsr, Delibere di consiglio, 12 febbraio 1896, Vie nuovi quartieri. In base alla previsione di bilancio del 1896 all'ufficio tecnico risultò possibile la sistemazione di tutte le strade dei quartieri nuovi per la somma di 35.000 lire impegnando i bilanci '96, '97, '98. Per risparmiare si decise di provvedere solo ad alcune vie: via Savoia da cantón Favero a via Gelone, via B dalla piazza Mazzini alla piazza Pancali, via B da piazza Pancali a via Gelone, via C, via N, via M. Fu esclusa piazza Pancali. Il finanziamento fu così ridotto a 20.510 lire, di cui 10.000 da imputare sul bilancio 1896 e il resto su quello del 1897. Il visto della GPA è del 6 marzo 1896, n. 2989. «La giunta volendo sciogliere l'impegno assunto innanzi al paese e affrontare l'apertura dei lavori in cui si possono occupare molti operai ha fatto compilare i progetti per sistemare vie e banchine dei nuovi quartieri. Se non che si sono posti ostacoli alla realizzazione, uno finanziario uno di opportunità. Non si può in un solo turno sistemare Piazza Pancali e tutti i quartieri perché la somma di £. 35.000 bloccherebbe il bilancio '96/'97». Inoltre Acsr, Delibere di consiglio, 25 gennaio 1898, Vie nuove, sistemazione. In riferimento alla delibera del 12 febbraio 1896, a questa data si era già proceduto agli appalti, a esclusione delle vie C, M, N, che non erano state ancora sistemate e per le quali vennero stanziate 6.860 lire, stornate da altri capitoli di spesa. Restava infatti preminente la necessità di chiudere i lavori per motivi igienici. I costi furono gravati per 1.500 lire sul bilancio del 1898 e per il resto su quello del 1899.
54 Assr, Prefettura, b. 1187, f. 22, Lettera del prefetto al sindaco, oggetto: bilancio preventivo 1892 di Siracusa, 1 febbraio 1892. Secondo il prefetto le 20.000 lire inserite nei bilanci precedenti «devono passarsi alle economie per non essersi negli anni scorsi verificata la riscossione di alcuna somma per alienazione, sicché le corrispondenti somme previste anziché di lontana riscossione devono classificarsi tra quelle inesigibili»; ivi si veda anche Delibera di consiglio comunale del 10 gennaio 1893, Discussione e approvazione del bilancio, cit.: «si è sperimentata una minore entrata di £. 10.172 su quella prevista per la concessione di suolo edificabile dei fortilizi». Nel 1894 il debito Ardizzone fu calcolato in 40.000 lire, di cui 28.000 gravate sul bilancio 1894 e 12.000 gravate sul bilancio 1895, da coprire con le rendite delle aree edificabili del piano regolatore; ivi cfr. Lettera del prefetto al sindaco, 75 agosto 1894. Inoltre Acsr, Delibere di consiglio, 27 dicembre 1895, Vie nuovi quartieri. Nella delibera si evidenzia che la relazione di previsione del bilancio 1896 nel capitolo Strade quartieri nuovi aveva denunciato il disagio materiale e le cattive condizioni igieniche dei nuovi quartieri a causa della mancata sistemazione delle strade; si evidenzia inoltre che non era stato possibile investire i proventi dell'enfiteusi nella sistemazione dei quartieri perché quelle cifre erano servite a coprire il debito della lite Ardizzone.
" Acsr, Delibere di Consiglio, 7 novembre 1893, Strade interne', «urge spostarsi la via che attraversa piazza Montedoro a norma del piano regolatore e di ampliamento della città, senza di che il Municipio non potrà assicurare i canoni per la vendita delle isole fabbricabili, rimanendo gran parte di esse isole nella strada attualmente attraversante il largo Montedoro o la piazza del Popolo». Acsr, Delibere di Consiglio, 28 novembre 1893, Strada Montedoro, via Savoia e via Gelone. Si tratta della deliberazione relativa al nuovo piano stradale inerente al rettifilo e al pozzo dell'Ingegnere. I punti salienti del piano erano i seguenti: alzare il livello di piazza d'Armi, raccordandolo a quello del limitrofo binario ferroviario; eliminare la strada che attraversa il piano Montedoro per permettere l'edificazione delle isole 29, 32, 33, 35, 38; costruire la nuova viabilità di piano Montedoro rispettosa del piano; finire la sistemazione della viabilità di piano relativa all'area interna a Ortigia sul versante del porto piccolo raccordando il livello di via Savoia con via Gelone. Acsr, Delibere di consiglio, 21 dicembre 1894, Traccia-mento lotti. Viene deliberato il tracciamento dei lotti del piano Montedoro per rendere edifi- cabili le aree previste dal piano. Nella delibera vengono fissati tre punti: dare lavoro agli operai, espropriare lo stabilimento Orlando, cacciare tutti coloro che hanno abusivamente occupato le aree.
,6 «La Provincia di Siracusa», Fortilizi II, 1892, n. 114.
57 Ibid. Le isole che l'amministrazione mantenne per sé furono le numero 1, 2, 20, 21, 25 e 26. La n. 4 e la n. 6 non furono cedute. Le isole date in concessione agli abitanti di via Savoia furono la n. 8 e la n. 9. Nello specifico la n. 8 fu frazionata tra Capodicasa Francesco di Giuseppe, Ortolano Concetto fu Sebastiano, Urzì Pietro fu Giovanni, Russo Lucietta, figliadel senatore Luigi Greco Cassia, Perez Francesco, Lo Curzio Enrico, Malfitano Carmelo e Fortuna Salvatore. L'isola n. 9 fu concessa al cavaliere Sebastiano Italia, fu Sebastiano. Le isole di risulta - la n. 14 e la n. 24 - furono concesse al pittore Lilli Monteforte e a Arturo Spagna figlio dell'ing. Luigi con il divieto di edificazione. L'isola n. 7 fu concessa alla Camera di commercio.
,s Ibid.
" Cfr. la tabella n. 3 allegata in appendice.
Sull'imprenditoria commerciale, in particolare sui Bozzanca, Conigliaro e Boccadifuoco, cfr. Adorno, Famiglie commerciali, cit.; sul notabilato cfr. Id., Professionisti, famiglie, cit. Inoltre, per gli intrecci con la borgata Santa Lucia, cfr. le tabelle allegate nn. 1 e 2.
ANsr, Notaio Concetto Chimir, 6 maggio 1892, Enfiteusi. L'enfiteuta è il capitano marittimo Giuseppe Fiume Cassia, consigliere comunale, che presentò un progetto per la costruzione di una casa per il commercio.
ANsr, Notaio Gaetano Leone, 21 gennaio 1892, Enfiteusi.
4i ANsr, Notaio Concetto Chimir, 3 maggio 1892, Enfiteusi. L'acquirente è la famiglia De Benedictis-Scorza.
I componenti della commissione edilizia che deliberarono sui progetti (tra parentesi sono segnalate le presenze riscontrate nelle sedute di commissione relative alla deliberazione sulle case di via Savoia) furono: Cassola Giuseppe di Eustachio, ingegnere civile laureato a Napoli nel 1883 (20 presenze), Broggi Carlo di Vincenzo, ingegnere civile laureato a Napoli nel 1883 (10 presenze), Picone Francesco di Gaetano (2 presenze); Pistone Domenico di Gaetano, ingegnere civile laureato a Palermo nel 1879 (3 presenze), Sallicano Sergio (2 presenze). Il parere veniva vergato a mano sul progetto. I progettisti delle case (tra parentesi il numero dei progetti presentati) furono: Carlo Broggi (8); Luigi Spagna (3); Edoardo Troia (2); Giuseppe Maratta (2); PasqualePandolfo (2); Domenico Pistone (1); Francesco Picone (1); Carmelo Cappuccio (1); Francesco Salvo (1). Broggi, Picone e Pistone furono contemporaneamente progettisti e membri della commissione per un totale di 12 progetti su 21 censiti; Edoardo Troia era impiegato dell'ufficio tecnico.
C. Broggi, Progetto del Teatro notturno e diurno politeama Epicarmo - Relazione, Sira¬cusa, Tipografia Norcia, 1892.
ANsr, Notaio Giuseppe Monteforte Panusa, 19 aprile 1892, Enfiteusi.
ANSI1, Notaio Concetto Chimir, 6 maggio 1892, cit.
ANsr, Notaio Concetto Chimir, 10 ottobre 1892, Enfiteusi. Il prezzo finale a metro qua¬dro fu di 12.295 lire, circa 3.200 lire in più rispetto al prezzo d'incanto globale e 3,80 lire in più rispetto alla valutazione a metro quadro. La concessione enfiteutica prevedeva un canone annuale di 529,44 lire.
E. Mauceri, Siracusa nel fiore dei miei anni, Bologna, Azzoguidi, 1941, p. 75.
«Il Tamburo», 23 aprile 1899.
«Il Corriere di Siracusa», 1904, n. 11.
Mauceri, Siracusa, cit.
ACRisr, Stefano Cosulich fu Giuseppe, registro 453/1026 trascrizioni a favore e contro. Sulla famiglia Cosulich cfr. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Treccani, 1990, voi. 30, pp. 419 ss.
ANsr, Notaio Giuseppe Monteforte Panusa, 6 dicembre 1892, Appalto.
ANsr, Notaio Giuseppe Monteforte Panusa, 27 gennaio 1894, Appalto. Contiene la perizia di Broggi sullo stato dei lavori alla fine dei 10 mesi previsti dal primo contratto d'appalto e il preventivo sulle opere da svolgere per completare il lavoro. La perizia fu chiusa il 31 dicembre 1893 e rilasciata il 27 gennaio 1894.
ANsr, Notaio Francesco Giuliano, 24 maggio 1921, Testamento.
,s ACRisr, Cosulich Stefano, cit., trascrizione n. 85 dell'I giugno 1898, intestata a municipio di Siracusa, Affrancazione; trascrizione n. 640 del 28 dicembre 1898, intestata a municipio di Siracusa, Affrancazione.
Per queste informazioni cfr. «Il Tamburo», Albergo Malta, 6 ottobre 1895; Albergo Roma, 18 ottobre 1896. «La Gazzetta», Albergo Gran Bretagna, 13 settembre 1903; «Il Corriere di Siracusa», Hotel Acradina, 1904, n. 11, ivi la notizia sul trasferimento del Vittoria in via xx Settembre.
«La Gazzetta», 20-21 gennaio 1900.
Per queste informazioni cfr. «La Gazzetta», 30 e 31 agosto 1903; «Aretusa», 18 luglio 1909, 23 febbraio 1913; si veda inoltre la pagina pubblicitaria a partire dal 1909; «Il Gazzettino Rosa», 18 novembre 1914.