quartiere Graziella
Graziella
quarto itinerario il quartiere Graziella
Siracusa-quarto itinerario.
Il quartiere Graziella.
Premessa storica.
La Graziella dalle origini
ad oggi.
La zona oggi chiamata
Graziella, in passato anche quartiere San Paolo, in epoca greca, secondo gli
storici, oltre che zona sacra con il tempio di Apollo, era anche il primo
insediamento dell'Agorà.
Quasi certamente zona
mercatale, magazzini e depositi, rivendite e scambi commerciali, con il porto
sulla costa nord est difeso da mura e bastioni.
Sotto l'attuale livello del
mare, a mt.1,80, nel mare antistante il Talete, ci sono le strutture di
fondazione degli arsenali militari del 6/5 sec. a. C.
Sotto il basamento di
fondazione del forte Casanova, (XV/XVI secolo), che si trovava dietro l'ex
edificio postale, tra punta del Gallo e forte San Giovannello, (scavi Basile),
sono state trovate le fondazioni e i basamenti di una torre più antica di epoca
ellenistica che confermerebbe facesse parte della cinta muraria che contornava
il periplo di Ortigia, quasi certamente riutilizzato nel 500 dagli spagnoli
quando anche loro trasformarono l'isola in una cittadella fortificata munita di
alte mura e bastioni anche a cavallo tra porto piccolo e costa nord, attuale
circolo velico, dov’era forte del Gallo superiore.
L’impianto viario si deve
quasi certamente agli Arabi che conquistarono Siracusa nell'878, distruggendo
quasi completamente l'intera città creandone una nuova, molto disordinata,
frutto di interventi spontanei.
In epoca greca e spagnola la
zona attuale Darsena, piazza Pancali, e l’intero quartiere “nuovo”, sorto ai
primi del 900, era of limits per i siracusani essendo zona militare, prima
creata da Dionisio e, poi, con la caserma spagnola, porte Ligni, (1673), e
Reale, (1578), difese dai bastioni San Filippo e Santa Lucia.
Della iniziale
pianificazione greca rimane solo il tracciato tortuoso di via Dione, antico
decumano maggiore, via Mirabella e via Resalibera, già via Diana, antico
decumano minore, nelle quali sono evidenti tracce delle modifiche apportate dai
romani e gli assetti di epoca medievale.
L’antico quartiere Graziella
Storia, immagini, memoria,
aneddoti e curiosità.
L'antico quartiere medievale
della Graziella, confinava con il quartiere Sperduta, Bottai e Mastrarua.
Il quartiere, deve il nome alla
particolare devozione dei pescatori e loro famiglie verso la Madonna delle
Grazie e ciò è testimoniato dalle numerose icone e sculture mariane sparse lungo
le vie Mirabella, Dione, Vittorio Veneto e Delle Grazie.
Ancora oggi mantiene
l’assetto architettonico originario che nel tempo ha compromesso la stabilità e
anticipato la fatiscenza con sovrastrutture, sopraelevazioni e nuovi corpi
aggregati.
Nel 500 subì trasformazioni
più degli altri quartieri, quando furono demolite le casette intorno alla
chiesa di S. Paolo e, nel 700, quelle sulla linea di mare del primo tratto
della Mastrarua fino al forte di S. Giovannello.
Il nucleo urbano era a forma
triangolare, definito a sud dalla via Bottigarelli, oggi via Resalibera, ad
ovest da via Scopari oggi via Dione, e ad a est dalla Mastrarua, oggi via
Vittorio Veneto. Le tre strade si diramavano in vie e vanelle, penetrando nel
cuore del quartiere, fino allo slargo di Santa Maria delle Grazie.
Era caratterizzato da una
piazzetta centrale, largo Graziella, da vicoli e vicoletti, cortili, dammusi e
un intricato dedalo di viuzze di origine araba.
Centimoli, (piccoli molini
per il grano), azionati da muli del periodo inglese, e trappeti per la
macinazione di olive, esistenti fino al 1837, recinti e corti racchiuse, alle
quali si accedeva da un portale, botteghe di sartori, bordonai e carrettieri,
riconoscibili anche dai carri parcheggiati per strada, bettole, casette dei
pescatori, a piano terra, rese anguste dalla necessità di ricoverare gli
attrezzi, dei contadini, più spaziose e dotate a volte di stalle per l'asino e
il cavallo. Non esistevano cucine, si cucinava all'aperto.
Un tentativo di
ristrutturazione avvenne con l’edificazione del carcere Borbonico che fino ad
allora aveva sede in via delle Carceri Vecchie e con la demolizione dei piccoli
tuguri dei marinai e dei vetturali.
Nel 1843, ad ovest, attuale
via Emanuele De Benedictis, venne edificato quell’enorme blocco, “u dammusu”,
nel tentativo di occultare le fatiscenze della Graziella e il groviglio
spontaneo di case.
Nel 1853, furono demoliti i
caseggiati compresi tra via Persichelli di fronte al Ramparo della torre
Casanova e la vanella della Bagnara, che comporterà variazioni dell'assetto
viario e degli spazi sociali tra persone e, nel 1841, le case a piano terra del
piano dei Lettighieri.
Nel 1849, su progetto
dell’ingegnere Luigi Spagna, che seguì, in parte il precedente progetto Alì, venne
edificato il carcere borbonico, inaugurato nel 1856, e chiuso definitivamente
nel 1991.
Il borbonico carcere,
all’esterno, è di forma rettangolare, mentre all’interno la struttura
ottagonale permette di abbracciare simultaneamente la vista di tutto il
complesso. Sulla chiave di volta dell’arco d’ingresso è scolpito a rilievo un
occhio ed è per questo che dai siracusani viene chiamato, “a casa cu n’occhiu”.
Largo alla Graziella,
recentemente pavimentata, le vie Arizzi, delle Grazie e i vicoli Bonanni,
Bagnara, sono le strade della Graziella che meglio esprimono i significati
compositivi e funzionali di questo quartiere dei pescatori.
Via Resalibera. La via Resalibera,
decumano minore in epoca romana, con analogo tracciato urbanistico della Graziella
ricco di ronchi, vicoli e cortili, negli anni 60 era trafficatissima per le attività
commerciali e artigianali che vi erano inserite. La veste architettonica, prevalentemente
settecentesca, i balconcini barocchi a petto d'oca, i portali dalle decorazioni
bizzarre, le fantasiose scale all'aperto, frammenti di colonne romane di granito,
pannellini scultorei di pregevole fattura, stemmi di casati nobili, una
maestosa ed elegante finestra seicentesca e i vari stili dei diversi periodi,
documentano, meglio delle pagine di un libro, la storia di Siracusa. Il piano
terra dalle case veniva adoperato come bottega o magazzino con le abitazioni al
piano superiore.
Via Dione. La Via Dione, antico decumano
maggiore, è il percorso più antico di Ortigia che conserva esempi di
architettura minore del Settecento siracusano nei prospetti piccoli con eleganti
balconate e mensole fantasiosamente decorate e grossi frammenti di costruzioni
scampate al terremoto del 1693. In epoca fascista venne demolita la
quattrocentesca Casa Pria in stile aragonese, tra i più significativi esempi
della passata architettura. Il secondo tratto di via Dione, intricatissimo,
pieno di vicoli e ronchi, che da via Resalibera conduce al mare, appartiene al
quartiere Graziella.
La Fede genuina e popolare
Edicole votive e luoghi di
culto
A nord della piazza, ronco
2° alla Graziella civico n°18, un tempo c’era la cappelletta dedicata a Santa
Maria della Grazia, demolita nel 1864, e al suo posto, per ricordo, rimane l'edicola,
che misura cm 115 x 180, ad essa intitolata e dalla quale alcuni anni fa è
stata asportata la bella immagine in essa contenuta.
L’edicola in pietra calcarea
e intonaco, è a forma di nicchia, con una aggettante mensola che sorregge due
piedritti ricoperti da eleganti elementi floreali. Sovrastante la nicchia un
frontone curvilineo, all'interno del quale, due volute ricurve e il simbolo di
Maria coronato che domina sulla nicchia sovrastante. In alto, al centro, un
crocifisso scolpito nella roccia calcarea completa l’estetica. In origine la
nicchia era chiusa con uno sportello in legno e vetro e da un piano in legno.
Il Quadro che era all'interno, che a sua volta sostituiva una scultura
precedentemente rubata, era una stampa su carta, con una spessa cornice dorata
e raffigurava, la Madonna precedente, in un atteggiamento più materno.
Edicola nel cantonale tra
via Dione e via dell’Apollonion. Realizzata in malta cementizia e legno, 50 x
90 centimetri, a nicchia che fuoriesce dalla parete, riparata da una piccola
tettoia a due falde che segue la linearità del frontone triangolare. In origine
era dedicata alla Madonna della Provvidenza, raffigurata col bambino in un
abbraccio affettuoso, stampata su carta. Oggi vi è un dipinto del 2012 firmato da
Salvatore Accolla, che raffigura la Madonnina delle Lacrime.
Edicola in via Dione,
civico n.134. Non si hanno notizie a chi era dedicata. Misura 107 x 170
centimetri. Dalla forma semplice, a nicchia rettangolare, con cornice in pietra
calcarea e intonaco color ocra è arricchita, nella parte superiore, da un
frontone triangolare aggettante. Era protetta da uno sportello in legno con
vetro e da un cancelletto in ferro battuto ancora esistente.
Edicola in via
Apollonion, accanto alla chiesa di San Paolo, dedicata in origine alla Madonna
della Provvidenza, era rappresentata in un dipinto su tavola, a mezzo corpo,
seduta, avvolta nel manto e in una tunica, aureolata, e sul braccio destro il
Bambino Gesù. Misura 78 x 100 centimetri, a nicchia ed è inserita all’interno
di un portale a bugne, murato e rivestito in marmo e con la chiave di volta
decorata da uno stemma in parte distrutto. Oggi, all’interno, c’è un dipinto della
Madonna delle Grazie racchiuso in una cornice color oro e protetto da un vetro
e un cancelletto in ferro.
Edicola in via Dione n° 27, dedicata alla
Madonna della Catena, 110 x 160 centimetri, a nicchia paretale. Nel dipinto su tela
del sec. XIX°, la Madonna col Bambino è rappresentata insieme a due fedeli
all’interno di una stanza o cella con una finestra a barre da cui penetra un
fascio di luce divina. Restaurata nel 1960 quando furono inserite delle lastre
di marmo lungo la cornice esterna e la mensola d’appoggio, contornata da
balaustra in ferro battuto e sostenuta da due cagnoli rivestiti anch’essi in
marmo. In origine era più semplice e protetta da una porticina in legno.
Edicola in via
Resalibera civico n. 21, 40 x 50 centimetri, dedicata a Gesù e San Giovanni
Battista, scolpiti ad alto rilievo, entrambi in tunica. A nicchia, in pietra
calcare, arricchita da una decorazione a conchiglia. La statuetta di Gesù, a
destra, è aureolata, mentre San Giovanni, a sinistra, è acefala e con bastone.
Edicola in riva della Posta,
angolo via Raffaele Lanza, con le originali modanature architettoniche che
racchiudono la nicchia all’interno della quale è la statua dipinta di Santa
Lucia in un tipico atteggiamento di implorazione verso il cielo. Le mani
sorreggono i classici simboli del martirio. Gli occhi e la fiamma, rappresentano
la luce e la palma che rappresenta più propriamente il martirio. La lastra di
marmo sottostante ricorda ai posteri i terribili avvenimenti del terremoto che
colpì Messina nel dicembre del 1908.
Edicola in via
Resalibera, civico n.23, a nicchia, con arco a tutto tondo racchiusa da un
cancelletto in ferro battuto e all’interno, una statuetta di Santa Lucia.
Edicola in via Paolo Sarpi civico n. 5, 90x120 centimetri, in malta cementizia, a nicchia, un tempo dedicata a San Nicola di Bari, oggi in disuso ed in pessime condizioni. Dalle linee geometriche essenziali, presentava due piedritti privi di decorazione, sormontati da un architrave e un frontone triangolare leggermente aggettante. Uno sportello in legno e vetro e un cancelletto in ferro battuto, sopra una mensola in marmo sporgente dieci centimetri, proteggevano l’immagine dalle intemperie e furti. L'immagine del Santo era in stampa su carta, con la mitra e in veste di arcivescovo di Mira e col bastone episcopale, aureolato.
Edicola in via Paolo Sarpi civico n. 5, 90x120 centimetri, in malta cementizia, a nicchia, un tempo dedicata a San Nicola di Bari, oggi in disuso ed in pessime condizioni. Dalle linee geometriche essenziali, presentava due piedritti privi di decorazione, sormontati da un architrave e un frontone triangolare leggermente aggettante. Uno sportello in legno e vetro e un cancelletto in ferro battuto, sopra una mensola in marmo sporgente dieci centimetri, proteggevano l’immagine dalle intemperie e furti. L'immagine del Santo era in stampa su carta, con la mitra e in veste di arcivescovo di Mira e col bastone episcopale, aureolato.
Edicola in via San Pietro,
civico n. 2, incrocio via Resalibera,
dedicata a San Giuseppe con la statua del
Santo che tiene affettuosamente per mano il
Bambino già cresciuto, opera di Luciano Pistelli datata 19 marzo 1928, in
legno, cartapesta e stucco. L’edicola è
in pietra da taglio e misura cm 135 x 200, a nicchia, con larga fascia a forma
di arco a tutto sesto che poggia su una mensola sormontata da un articolato
cancelletto in ferro battuto che ricopre uno sportello in legno. Una tettoia
ripara l’edicola dalle acque piovane. Sul muro, sotto l’edicola, vi è una
lastra in marmo grigio in cui sta scritto: A TE O BEATO GIUSEPPE STRETTI DALLE
TRIBULAZIONI RICORRIAMO E FIDUCIOSI INVOCHIAMO IL TUO PATROCINIO.
In via Sarpi, tra i ronchi
I° e II° a San Nicola, vi era la chiesa del convento di Montesanto o San Nicola
di Bari, dove nel 1653 si erano traferiti i Carmelitani che vi restarono fino
al 1735, quando venne demolita, assieme alle case adiacenti, su ordine del
marchese Diego Orsini, comandante della piazzaforte spagnola. Venne ricostruita
e nel 1905 fu demolita, su determina del Prefetto, per motivi di sicurezza. Nel
cortile del ronco V° alla Graziella, un rosone e un'iscrizione, ricordano
l’antica chiesa.
Gli edifici di culto più
importanti del quartiere, edificati quasi certamente con i materiali in buona
parte sottratti ai monumenti della classicità, sono:
La basilica di San Pietro, del
IV° secolo che è una delle più antiche chiese di Ortigia. Nel VII° secolo,
furono spostate, da ovest ad est, la facciata e l’abside e venne ampliato il
complesso con l’aggiunta di un nuovo corpo di fabbrica, ossia un transetto
tripartito e mono absidato. Nei primi anni del 400 vennero chiuse le precedenti
aperture e realizzato il portale gotico attualmente esistente. La chiesa, oggi è
auditorium, ed è uno dei pochi esempi in Ortigia di uso corretto del patrimonio
storico-artistico.
La chiesa di San Paolo venne
edificata nel XVII° secolo nel sito dov’era l’antica basilica paleocristiana. È
ad un’unica navata, ricca di elementi architettonici in stile barocco, come la
volta a botte e i bassorilievi geometrici che la adornano e agli altari
sormontati da prestigiose opere d’arte sacra, tra le quali, un crocifisso in
legno. La facciata è coronata da un elegante frontone triangolare con il
portale circondato da colonne corinzie che sorreggono due timpani. Quello
superiore di forma semicircolare e quello inferiore, spezzato, con al centro
una targa in latino in memoria della visita di San Paolo alle comunità
cristiane di Siracusa. Più in alto, in un rosone di vetro policromo, è
raffigurata l'effige del Santo. Sul timpano l’iscrizione che ricorda la visita
di San Paolo a Siracusa, “HIC OLIM SYRACUSIS TRIDUO MANENTIS”.
La chiesa di San Pietro al
Carmine, annessa al convento dei Carmelitani riformati, si trova in piazza del
Carmine, di fronte all'antico monastero del Ritiro. Venne edificata nel XVII°
secolo sull’antica chiesa trecentesca della quale, alcuni elementi, sono visibili
all'interno. È a tre navate, delimitate da quattro archi a tutto sesto per
ognuno dei due lati, ed è impreziosita dagli altari e 2 statue di marmo di
Sant’ Agata e Santa Lucia, poste ai lati dell'altare maggiore. Delimita la
navata centrale, un panneggio di stucco a frange dorate raccolte in un nodo,
sulla cui sommità vi è uno scudo crociato sostenuto da due putti. Nel 1750, la
chiesa e la cappella della Madonna vennero fatte restaurare da Giuseppe Arezzo,
Barone della Targia.
Convento dei
Carmelitani riformati. Intorno al 1555, i Carmelitani riformati, che seguivano
la regola di Sant’Alberto, edificarono il loro convento e la chiesa,
dedicandola, a Santa Maria Otrigidia, come la precedente che era stata demolita.
La chiesa venne edificata nei terreni donati dalla signora Tommasa de Bolena,
attuale piazza del Carmine. Nel 1866 il convento fu trasformato in caserma dei Carabinieri
Reali. In seguito, l'immobile, restaurato, venne utilizzato come scuola e poi
abbandonato all’incuria.
Anche le abitazioni private del
quartiere vennero edificate con i materiali delle macerie ammonticchiate negli
spazi comuni a seguito del terremoto del 1693 e, con grossi blocchi squadrati
di calcare, sicuramente asportati dal vicino tempio di Apollo che sono ancora
visibili nei cantonali e nelle fondazioni di via Arizzi.
Le zone più povere e
degradate del quartiere erano la Bagnara e la Carrubba, così chiamata per
l'unico albero ombroso del rione privo di altri spazi verdi, mentre nelle vie
Appia e della Solitudine, parallele a via Resalibera, vi erano case a piano
elevato con accurate rifiniture, spesso con terrazzi eleganti e soleggiati,
come quella di don Salvatore Urso e di don Salvatore Stella, ricchi borghesi
arricchiti con il commercio e le piccole industrie, del sacerdote Luciano
Miceli, e la gradevole abitazione della vedova Buttafuoco sulla omonima via.
I Ronchi, veri e propri
luoghi di socializzazione tra gli abitanti che ne fruivano, nacquero successivamente
da corruzione dei cortili, divisi a metà da nuovi edifici. Da via Scopari, i
cortili si ramificavano in vicoli e vanelle e, comunicando tra loro, si
raccordavano tutti al largo della Graziella.
Nei ronchi, profondissimi e tortuosi, le
case avanzano e retrocedono senza alcun ordine e si incastrano quasi a soffocarsi
in un disordine architettonico che permane in tutto il quartiere e
particolarmente, nel ronco del Carmelo, nel vicolo Ildebrando e nel ronco 1°
alla Resalibera.
Nel Ronco I° e nel Vicolo Ildebrando, fino
agli anni 60, erano ancora visibili le lastre di lava della pavimentazione
stradale voluta dall'Adorno nel terzo quarto del XIX secolo.
Il cortile, legato ad una
cultura popolare molto antica, era arredato spesso da un'edicola votiva, dalla
pila per lavare i panni o ancora dalla fontana e da tante piante di basilico e
di fresche campanelle, testimonianza di una piccola società a misura d'uomo.
La condizione sociale degli
abitanti era leggibile nella vivacità della toponomastica. Dagli scopari, ai
cofìnari, ai sartuzzi, ai quartarari, cortile dei ciaravoli, “guaritori”, il
cortile dello Rabito, la contrada Tagliavacche, la casa di Giacomo lo
sfasciato, la cantonata di Sebastiano Rizza, alias Caronte, forse un
battelliere, che per evitare la strada dei Pantanelli, spesso intransitabile, traghettava
merci e persone dall'Anapo a Porta Marina.
Camminando per le vanelle,
piene di vita, dove gli artigiani vi esponevano i manufatti, si imparava a
conoscere la grande famiglia cittadina.
Le mura creavano un
sentimento di unità tra gli abitanti e, al tramonto, si chiudevano le porte della
città che isolata dal mondo esterno, piombava nel buio rotto solo da pochi
fanali a olio e dalle fiammelle tremolanti davanti alle immagini sacre.
Nonostante le case
poverissime, ricavate nel nulla, la miseria e il degrado, alla Graziella si
respirava un’aria di intimità e colore che rendevano unico il quartiere.
storie e curiosità
memoria e ricordi
Ronco del Carmelo, “u
cuttigghiu e pocci” così chiamato perché un tempo, pare sia stato abitato da
Ebrei che allevavano i maiali.
Tra le tante bettole del
quartiere, la più famosa e frequentata, era la famosa “’ncantina di Pilluccio”,
aperta nel 1918 da Giuseppe Favara inteso
Pillucciu. Nel 1936 la gestione passò al figlio Sebastiano Favara, “u zu Ianu Pillucciu”, che la gestì fino alla
chiusura avvenuta negli anni 70. Era sita in largo alla Graziella,
civico n.31 e nei giorni di mal tempo e tempesta, quando non si poteva andare
per mare o lavorare nei campi, luogo di socializzazione e ritrovo di pescatori
e contadini. Ottimo vino, e pietanze a base di polpo, uova sode, lumache,
(‘ntuppateddi, crastuna e babbuci), legumi, (fasola, ciciri, lenticchia e favi),
e poi, tutti i ”pitiddeddi”, anche a credito, (a crirenza), con debiti che si
pagavano puntualmente a fine settimana o con i guadagni del primo lavoro.
La tragedia del "Nova
Margherita". Intorno alle ore 16 del 12 marzo '52, il peschereccio
"Nova Margherita", fu distrutto dallo scoppio di un siluro a ridosso
della costa sud di Siracusa, nella piccola rada di Massoliveri, tra
l'imboccatura del Porto Grande e Capo Murro di Porco, là dove qualche anno
dopo, sarebbe sorto il villaggio turistico "Il Minareto".
L'equipaggio del "Nova
Margherita", aveva recuperato nei fondali del porto, un siluro inesploso,
triste residuato degli attacchi bellici della seconda guerra mondiale.
9 le vittime della
tragedia e un sopravvissuto, Sebastiano Bordato, Francesco Bandiera,
comandante, Egidio Cappuccio, Angelo Cappuccio, Francesco Mincella, Angelo
Mincella, Angelo Romeo, Salvatore Lentinello, Corrado Caldarella, l'unico
superstite, Sebastiano Veneziano, deceduto nel 1980.
Nel 1957 furono chiamati sposi
in bottiglia. La vicenda ebbe origine dal lancio in mare di nove bottiglie nel
canale di Gibilterra, una delle quali, quella lanciata da Edor PeraKe Viking,
un cuoco svedese, imbarcato nel 1957, dove vi era un suo messaggio d’amore. Galleggiando
per miglia e miglia, la bottiglia, giunse nelle acque di Siracusa, dove venne
raccolta da un pescatore zio di Paolina Puzzo di 18 anni, nel 1957 abitante a
Siracusa in vicolo Bonomi 38 che contattando il marinaio, un anno dopo la sposò
e il matrimonio venne celebrato nella vchiesa dei Miracoli il 4 Ottobre 1958
come da certificato di matrimonio di quella parrocchia, n.233, e oggi vivono in
Svezia, precisamente a Fkara a 250 km da Stoccolma.
A proposito della via, oggi
Resalibera, secondo testi citati da Federico Fazio, in origine pare dovesse
essere Salibra. L’etimo, riconducibile al periodo arabo, sembra riferirsi ad
una croce o ad un incrocio. la Salibra, scrive Capodieci nel 1810, «si diceva
ancora in questo tempo [1430] delli Petri Niuri» e nel 1225 aveva ospitato i Padri
Conventuali.
testi rielaborati e
sintetizzati da Antonio Randazzo, tratti da: Ortigya n.1 di Paolo Giansiracusa;
la Graziella di Federico Fazio; la Graziella di Risi Malesani; Roberto Capozio
e dalla rivista "i Siracusani"
musica di sottofondo a cura
dei Cantu Novu, gruppo folcloristico siracusano
raccolta immagini,
documentazione, regia e montaggio a cura di Antonio Randazzo