Ortigia medioevo ad oggi - ortigia heritage

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Ortigia
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Ortigia medioevo ad oggi

Ortigia
Siracusa-Ortigia dal medioevo a oggi
Siracusa-Ortigia
Dalle origini ai nostri giorni
Premessa storica
Disegni. Mappe, foto d’epoca, storia, memoria, archeologia, monumenti, palazzi storici, curiosità e……..
Sin dal medioevo agli anni 60 del 900, lo scoglio oggi chiamato Ortigia, era indicato col nome Siracusa, Sarausa, Saragoza, e solo dal 1960 in poi tornò a chiamarsi Ortigia come in epoca greca.
Cittadella fortificata, già dal 1600 per volere di Carlo V° re di Spagna, era contornata da alte mura e munita di forti e bastioni che la resero impenetrabile. Gran parte delle muraglie costruite dagli spagnoli, ancora visibili, sono quasi certamente sulle fondamenta di quelle del periodo greco.
Fu Ferdinando Gonzaga, viceré di Carlo V° d'Asburgo, che intorno al 1550, affidò all'ingegnere bergamasco Antonio Ferramolino la progettazione e realizzazione delle nuove fortificazioni di Ortigia e del Montedoro.
Il periplo di Ortigia tra 1l 700 e l'800, fino all'unità d'Italia, era circondato da alti muraglioni, baluardi, forti e porte per l'entrata e l'uscita.
La porta principale di Ortigia, fortificata e difesa dai bastioni San Filippo a sinistra e dal bastione Santa Lucia a destra, fu fatta edificare con ogni probabilità nel 1673, da Claudio Lamoral Principe di Ligni, (Viceré del sovrano spagnolo Carlo II), che fece eseguire i lavori dall'ingegnere Carlos De Grunemberg, olandese delle Fiandre.
Nel medioevo, Ortigia, era orientativamente suddivisa in 7 quartieri, più due sotto quartieri: Bottai-Duomo-Giudecca-Graziella-Maestranza-Maniace-Sperduta. All'interno del quartiere Giudecca vi erano i sotto quartieri Cannamela e Turba.
Siracusa quartiere Bottai.
Storia, foto, mappe e documentazione, a cura di Antonio Randazzo.
Premessa-il nuovo quartiere "u quatteri" o " u 'ntrallazzu".
Il nuovo quartiere dai siracusani della mia generazione conosciuto col nome "u quarteri". da acquartieramento- caserma spagnola, o u "'ntrallazzu" per il mercato nero del dopo guerra era l'attuale zona piazza Pancali-largo XXV Luglio.
Piano Mauceri 1910 e Cristina 1917.
Nel nuovo quartiere esisteva già il carcere borbonico edificato dal 1853 e completato nel 1860, vennero edificati, tra gli altri, palazzo Lucchetti, la Camera di Commercio, l’antico mercato con annesso mercato di via De Benetictis.
Il palazzo delle Poste e Telegrafi di Siracusa, venne progettato dall’ingegnere Francesco Fichera nel 1920 e completato nel 1929. Venne edificato sul suolo di mq 1496,24, confinante con la darsena e donato dal Comune di Siracusa con atto datato 19 ottobre 1922. Le splendide sculture sono opera dello scultore Carmelo Florio.
Alla cerimonia di posa della prima pietra partecipò il Re Vittorio Emanuele III, insieme al sindaco del tempo Edoardo Di Giovanni. Il Re inaugurò l'apertura del plesso nel 1929.
Rivestito in pietra calcarea locale ha gli ingressi alla base di due torri angolari che ne enfatizzano l'aspetto monumentale. Frammenti antichi sono inseriti nelle murature. È a pianta rettangolare formata da due anelli concentrici e corte interna dove si affacciavano gli uffici mentre quelli esterni erano aperti al pubblico.
Nella facciata posteriore, sopra il cornicione in alto, su una ringhiera in pietra e basamenti, erano poste 4 belle statue, realizzate da Carmelo Florio copie di statue classiche di Venere e Diana, Apollo e Mercurio.
Recentemente dismesso è stato trasformato in Hotel a 5 stelle.
nel dopo guerra la spianata nel retro del palazzo delle poste era l'unico campo di calcio per noi ragazzi ortigiani.
Nel palazzo di fronte con ingresso via Trieste angolo Emanuele Giaracà fino agli anni 60 era la sede della locale Cassa Mutua Malattie.
Siracusa quartiere Bottai. (i Bottari), storia, foto, mappe e documentazione.
Fin dal Medioevo era il quartiere degli artigiani e dei commercianti legati economicamente alle attività della Marina, almeno fino gli anni 50 del 900, così come ricorda anche la toponomastica: via dei Bottari, ora Cavour, già sede del commercio dei vini e delle botti; via dei Candelai; via dei Cordari, ecc…
Era sede di tutte le corporazioni artigianali spesso riunite in confraternite: ferrari, ortulani, tavernari, vasellari, bordonari, scotellari, consaturi, mastri d'ascia, muraturi, cordari, corbiseri, mercanti, custureri, ecc. Anche gli ebrei vi erano insediati con le proprie tintorie.
Da una vecchia mappa del 1930 rileviamo la toponomastica delle traverse di via Cavour. A scendere, sulla sinistra: via Pace, via Amalfitania, via Gemmellaro, via Landolina (oggi Candelai), via Campailla (oggi via Cordari), via A. Rizza (oggi via Claudio Maria Arezzo), via Rocco Pirri, via Timbri, (oggi inesistente), e a destra scendendo: via Consiglio, via Amalfitania, via Scinà, via della farina, via M. Adorno e via C. Campisi.
Nel 1933 fu progettato lo sventramento de quartiere Bottai e verso il 1936 fu completata la realizzazione di via del Littorio oggi corso Matteotti.
Fu allora che venne demolita la caserma spagnola che insisteva sulle rovine del tempio di Apollo liberato definitivamente tra il 1933 e il 1945. Il tempio occupa gran parte del Largo XXV Luglio al quale si accede da piazza Pancali prima denominata “Piazza del Popolo”.
Nel quartiere, un tempo chiamato Bottai è ancora leggibile l’impianto greco e medievale. Confinava con i quartieri Graziella, Sperduta e Duomo.
Si possono ammirare:
Palazzo Lucchetti edificato da Ettore Lucchetti tra la fine dell'800 e l'inizio del 900. Una targa ricorda che in questa casa abitò anche Enrico Cardile poeta scrittore Messina-Siracusa 1884-1951.
Il palazzo Giaracà, edificato nei primi anni 90 dell'800, forse su disegno di Carlo Sada.
Il Grand Hotel venne edificato su progetto redatto da Carlo Broggi  sul terreno di 884,21 metri quadri a forma di quadrilatero indicato come isola 15, al prezzo 8,50 lire al metro quadro, in primo momento da Luigi Musumeci, siracusano di nascita, ma di origine catanese, uno dei primi imprenditori locali a investire nell'industria del turismo.
Il 5 aprile 1895 Stefano Cosulich diveniva proprietario dello stabile in costruzione che fu completato e inaugurato nei primi anni del 900.
il palazzo della Camera di Commercio venne costruito nei primi anni del 1900 in forme tardo neoclassiche tendenti al liberty. La facciata principale comprende tre portali arcuati chiusi da eleganti inferriate in ferro battuto ai cui lati vi sono due finestrelle arcuate. Sopra vi sono cinque eleganti finestre arcuate. Ai lati vi sono due corpi che incassano la parte centrale della facciata. La bella trabeazione decorata con merlature e bassorilievi corona la sommità dell'edificio.
La via Savoia prima occlusa dalle mura, dal forte Campana e dall’edificio della Dogana edificato nel 1968 e demolito insieme alle fortificazioni, venne ristrutturata in quegli anni e messa in collegamento diretto con la nuova via del Littorio realizzata tra il 1933/1935.
Nel 1942 l’ingegnere Musso in via Savoia costruì il cinema Odeon poi demolito e sostituito dall’edificio della banca commerciale.
Il progetto per la realizzazione della nuova arteria, redatto dall'ingegnere Barreca, approvato dal Podestà Leone e dal Segretario Capo del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, dr. F. Sconniello fu esecutivo a partire dal 1933 con nulla osta del Mauceri, allora Vice Intendente, e non da Paolo Orsi Soprintendente.
Nel corso dei lavori per la realizzazione della nuova arteria che collegava l'antica piazza del popolo a piazza Archimede emersero strutture greche e romane, basamenti di edifici oltre a preziosi pavimenti decorati a mosaico.
Travolgendo tutto il lato destro dell'antica via Dione, (Decumano maggiore in epoca greca), andando verso piazza Archimede, cancellò finissimi esempi di architetture del tardo quattrocento.
La via del Littorio oggi Corso Matteotti. Casa Greco, edificio della seconda metà del Trecento, donato all'I.N.D.A dal Comune, viene risistemato dall'ingegner Giuseppe Bonajuto e dall'architetto Sebastiano Agati per fortuna vengono conservati la bifora del portico interno, la struttura della torretta e la postierla dell'atrio.
Nell'angolo tra corso Matteotti e via Tommaso Gargallo, viene realizzata una loggetta in cui lo scultore D. Umberto Diano colloca una fontana dalle forme svelte e leggere.
Il lato destro del Corso Matteotti, da palazzo greco a salire fino a piazza Archimede, pur modificato conserva gli antichi palazzi rinnovati.
In origine nello spazio oggi chiamato piazza Archimede vi erano la Chiesa di San Giacomo Apostolo, esistente, secondo il Capodieci, già nel XIV secolo e demolita per far posto alla Chiesa di S. Andrea Apostolo, edificata dai Padri Teatini tra il 1621 e il 1646, demolita il 22 novembre 1872 in seguito all'incendio del 1968 che danneggio anche la casa-convento dei padri Teatini, che erano giunti a Siracusa nel 1610.
Percorrendo piazza Archimede, in senso antiorario, si possono ammirare: il palazzo dell'orologio, (all'interno del quale rimane l'antico scalone trecentesco), già sede della banca d'Italia.
Il palazzo Lanza Bucceri, casa catalana della prima metà del XV° sec., con scala esterna e loggia a colonnine poligonali. Il piano terra di fabbricazione ottocentesca, realizzato trasformando i bassi prima rivolti all'interno per destinarli ad attività commerciali. Di grande interesse la finestra aragonese, e, nell'estrema parte destra del palazzo, una bifora sveva tamponata. Duecentesco, come la piccola bifora tappata, è l'aquilotto incastonato alla meno peggio nella muratura. I marmi originali delle bifore provengono dalla regione di Gerona (Catalogna). (P. Giansiracusa)
Il palazzo Gargallo con i magnifici affreschi nelle varie stanze fu costruito nel 600. Danneggiato seriamente dal terremoto del 1693 fu restaurato una prima volta nei primi anni del 700 e poi ancora nell'ultima metà dell'800 fino ad assumere l'aspetto attuale. Nella facciata 14 splendide bifore sui due piani. Quelle del piano superiore si affacciano su pregevoli balconcini di pietra. Eleganti pilastri e trabeazioni merlate incorniciano le pareti esterne del palazzo e gli elementi architettonici della facciata. Qui il 25 settembre 1760, nacque Tommaso Gargallo di Castel Lentini.
Il palazzo della Cassa Centrale di Risparmio V. E., arricchito da sei pannelli decorativi in altorilievo opera dello scultore Salvo Monica che raffigurano i Mestieri e le sculture in bronzo di Biagio Poidomani, venne progettato da Gaetano Rapisarda e sorge sull’area dei palazzi Corvaia e Zumbo, abbattuti nel 1957.
Palazzo Corvaia già Zumbo, danneggiato dai bombardamenti del 1943 e nel 1957 demolito e sostituito dal palazzo della cassa Centrale di Risparmio oggi sede della prefettura.
Palazzo Pupillo (1773 – 1800), con il prospetto leggermente convesso, irregolare rispetto all’asse stradale via Roma – via Dione. Sul retro confina con palazzo Montalto e l'ampio cortile.
Il palazzo del Banco di Sicilia, sorto nel 1928 nell'area prima occupata dai magazzini dei Teatini, venne progettato da Salvatore Caronia. È caratterizzato da un portale incorniciato da semi colonne bugnate e da un secondo ordine scandito da paraste ioniche.
Al centro di piazza Archimede, che doveva essere il posto per un monumento ad Archimede, vi è la fontana di Diana realizzata nel 1906,  da Giulio Moschetti.
Percorrendo la via Dione, in epoca greca e romana Decumano maggiore, si può ammirare la chiesa di San Cristoforo sul conto della quale si hanno pochissime notizie, tranne che è a forma rettangolare. Semplice ed elegante la facciata visibile da Corso Matteotti. La parte superiore della facciata molto semplice e disadorna, mentre il portale arricchito da una cornice ricolma di elementi floreali è di chiaro stile barocco.
Edicola votiva sita in via Dione n° 27, dedicata alla Madonna della Catena. A nicchia – paretale. fu restaurata nel 1960 e misura cm 110 x 160. Prima del restauro era come nella foto originale del 1914.
La chiesa di San Paolo, al confine con il quartiere Graziella, edificata nel XVII, sorge sull’antica basilica paleocristiana che assieme a S. Pietro, S. Giovannello e allo Spirito Santo fa parte delle più antiche costruzioni religiose di Ortigia. Sul timpano si legge l’iscrizione in ricordo della breve permanenza di S. Paolo a Siracusa: “HIC OLIM SYRACUSIS TRIDUO MANENTIS”. Il portale è circondato da colonne corinzie che sorreggono due timpani: quello inferiore spezzato con al centro una targa in latino posta in memoria della visita di San Paolo alle comunità cristiane di Siracusa; quello superiore di forma semicircolare. Più sopra è collocato un rosone circolare con una piccola vetrata raffigurante San Paolo Apostolo. La facciata è coronata da un elegante frontone triangolare. Ad un’unica navata è ricca di elementi architettonici in stile barocco: come la volta a botte e i bassorilievi geometrici che la adornano. Gli altari sono sormontati da prestigiose opere d’arte sacra, tra le quali un “Crocifisso” in legno.
Costeggiando il tempio di Apollo e superando corso Matteotti e via Savoia, si giunge in via XX settembre, dov'è possibile vedere i resti dell'antica porta Urbica, accesso principale di Ortigia al tempo dei greci. Nel disegno la ricostruzione congetturale.
Percorrendo la via XX Settembre si giunge al largo Porta Marina con l'edicola catalana e accanto la Torre dell'Aquila, (nella parte inferiore, secondo Pietro Piazza gli antichi conci greci), e gli antichi magazzini spagnoli oggi adibiti a spazio culturale.
Lungo la passeggiata del Foro Italico, per noi siracusani semplicemente "a marina", delimitata, da un tratto di antiche mura spagnole, chiamate anche muraglia dei cattivi (da "captivus": prigioniero, schiavo), utilizzate anticamente a lungo come prigioni. si può ammirare la così detta "Fontana degli Schiavi" dove si rifornì d’acqua l’ammiraglio Nelson prima della battaglia di Abukir.
e in fondo, limitrofa alla villetta Aretusa, confine con l'antico quartiere Maniace, l'antica casina sanitaria oggi utilizzata dalla Capitaneria di Porto.
Ritornando e attraversando la porta marina, a sinistra via dei Miracoli dove si può ammirare l'antica chiesa di San Giorgio ai Miracoli.
La chiesa dei Miracoli edificata dov'era la chiesa di S. Giorgio, venne fatta edificare nel 1500. dal vescovo Gabriele Dalmazio. La Madonna col Bambino è opera di un ignoto del Quattrocento. La chiesa subì gravi danni dal terremoto del 1693 e ricostruita l'anno seguente.
Salendo la via dei Cordari si giunge nell'attuale via Cavour, un tempo via dei Bottai, e, sopra l’arco, al civico 57, unico documento lapideo esistente a Siracusa, testimonia il tragico evento. Realizzata, 3 anni dopo il terremoto del 1693, forse dal proprietario, recita:
1696
IO CHE DOPO TRE ANNI DEL TREMUOTO SORGEI
VOGLIO AVVERTIRE PER SCHERMIRSI DA DANNI
LE GENTI D’AVVENIRE
S’AVVIEN CHE TORNI A VACILLAR LA TERRA
DA LE CASE FUGGITE MA SUL DESTRUTTO SUOL
A GUARDARE IL TESOR TORNATE IN VOLO.
Continuando a percorrere via Cavour a sinistra il quattrocentesco palazzo Abela, scampato miracolosamente alla furia distruttrice del terremoto del 1693.
Più avanti, a sinistra, all'incrocio di via Amalfitania, secondo la tradizione orale, la colonna marmorea è nel luogo dov'era la gogna di Siracusa.
E per concludere questo primo itinerario storico culturale, ricordiamo le chiese e i luoghi di culto esistenti nel vasto quartiere, in gran parte demolite o distrutte, a partire dal terremoto del 1693, e fino alla seconda guerra mondiale.
Chiesa del Crocifisso in via Dione nei pressi della chiesa di S. Paolo; Chiesa del Salvatore che era all'interno del tempio di Apollo demolita nel XVII secolo;
Chiesa della Grazia, via dell'Apollonion, costruita nel 1664 che si trovava vicino al Tempio di Apollo, attigua alle case Santoro e demolita assieme a queste nel 1864 per riportare alla luce i resti del tempio;
Chiesa della Madonna di Porto Salvo, adiacente al baluardo Campana, appartenente alla Congregazione dei marinai e con delibera comunale del 14 luglio 1874, abbattuta con iniziò lavori il 31 maggio 1879 per permettere la costruzione della nuova Dogana; Chiesa di San Giorgio, demolita nel XVII secolo; Chiesa di San Giuseppe del Collegio demolita nel novembre del 1687 per realizzare il passeggio Adorno;  Chiesa di Santa Lucia la Piccola, secondo il Privitera costruita nel 1427 in via Cavour ai numeri civici 13 e 15, e demolita negli anni'50, come ricorda Giuseppe Agnello;  Chiesa di Santa Maria di Monserrato poi San Homo Bono, stile catalano, fu distrutta dal terremoto del 1693. Era in via Amalfitania angolo Cavour; Chiesa di Sant’Agata in via Savoia, presso l'attuale ronco S. Agata. Gravemente danneggiata dal terremoto del 1693 venne restaurata e poi venduta all’asta il 5 Dicembre 1904; Chiesa di Santo Stefano, in via Amalfitania di fronte al complesso Gesuitico, demolita per far posto a civili abitazioni.
Siracusa-secondo itinerario-il quartiere Duomo.
Il quartiere Duomo centro del potere politico nobiliare e religioso.
Sin dalle origini è il vero centro storico culturale di Siracusa.
Secondo Paolo Giansiracusa, i confini del quartiere medievale oggi, virtualmente, comprenderebbero via del Consiglio reginale, via Landolina, via delle Carceri vecchie, via Picherali fino a largo Aretusa, via Capodieci, via San Martino e tutta la via Roma.
Iniziando il percorso da via Landolina, a destra, la chiesa del Collegio dei Gesuiti, (1554), e alle spalle il complesso dell'antico Collegio. La costruzione fu iniziata il 27 luglio del 1649 e fu portata a termine nel novembre del 1687. Il terremoto del 1693 vi arrecò vari danni che comportarono circa 15 anni di restauri. Forse ristrutturate da Rosario Gagliardi nella seconda metà del 700.
A destra il palazzo Francica–Nava, un tempo Gravina-Cruyllas di Francofonte, imponente costruzione quattrocentesca in stile gotico – catalano con portale d'ingresso a forma ogivale cuspidata, tipico esempio dello stile gotico - catalano d'influenza araba. Danneggiato dal terremoto del 1693 e ricostruito venne utilizzato dai Frati Gesuiti, fino alla seconda metà dell'800 quando venne acquistato dalla famiglia Francica – Nava. La facciata inferiore è in stile gotico e la parte superiore in stile barocco.
Nel basso adiacente, civico 1 e 2, fino agli anni 60 vi era il cinema Centrale, già Ideal poi Ariston 2000, Salamandra, ed oggi negozio commerciale.
A sinistra, di fronte, civico 8, il Palazzo Chiaramonte, sec. XIV. Danneggiato dal terremoto del 1693, in parte ricostruito con aggiunta di elementi barocchi nella parte superiore che è su due piani con quattro balconcini decorati con mensoloni e travoni e bassorilievi geometrici decorativi, ma conserva parte dei paramenti della facciata con l’ingresso ad arco cuspidato e una finestra bifora. All'interno ospita la facoltà Beni Culturali dell'Università di Catania.
Il palazzo Interlandi-Salonia, civico n.1 di piazza Duomo, posto tra palazzo Chiaramonte e Palazzo Vermexio, è un elegante edificio nobiliare di epoca ottocentesca con facciata divisa in tre ordini orizzontali e, nella parte inferiore, un bel portale arcuato provvisto di mensoloni che sorreggono un elegante balcone centrale con timpano semicircolare. Completano la facciata 4 finestre rettangolari, 6 balconi, e, nella parte superiore 7 eleganti balconi ad apertura rettangolare.
Nel cortile interno a piano terra, concessa dal Barone Interlandi Pizzuti, dal 1924 agli anni 60, ospitò la storica galleria “la Fontanina”, (dal nome della vasca del cortile), di Angelo Maltese, fotografo siracusano, e gran parte dell'attività artistica dei pittori e degli scultori della prima metà del Novecento Siracusano.
La piazza Duomo, dai siracusani della mia generazione chiamata "u chianu", si trova nel punto più alto di Ortigia a metri 15,861 sul livello del mare, caposaldo n.15, posto all'inizio di via Minerva tra il Duomo e palazzo Vermexio, sede del comune. Da sempre luogo sacro, frequentata già dai primi abitatori Siculi, in epoca greca era l'Acropoli con i luoghi di fede, tra i quali, il tempio di Athena, trasformato poi in chiesa cristiana, e l’Artemision, in via Minerva, recentemente restaurato.
Nel 1999 gli scavi archeologici condotti da Giuseppe Voza hanno confermato che la zona intorno al Duomo fu frequentata sin dalla preistoria e gli scavi hanno restituito elementi di rilevante importanza per la conoscenza della storia arcaica di questa città.
Purtroppo, con la nuova sistemazione, voluta da archeologi poco attenti e rispettosi della memoria storica del passato, nel 1999 vennero falciati ed estirpati dalla barbaria e dal capriccio, l'oleandro rosa e bianco, che profumava e abbelliva, amalgamandosi in perfetta simbiosi, una delle più belle piazze al mondo. L’oleandro in piazza Duomo esisteva già dall’unità d’Italia e nel 1918, come ricorda Paolo Giansiracusa, alcuni alberi vennero sostituiti e ripiantati, così come fu nel 1993/1994.
Così scrissi io dedicandola al soprintendente di allora oggi benemerito:
L’Oleandro fu non è forse ritorna.
Salute a voi soprintendente Voza che stimo tanto, baciamo le mani. Voltarsi dietro a ricordare e salutare se serve a camminare. Uomini, piante, animali e cose, insieme nella Piazza del Duomo, per volontà divina. Guarda che magnificenza di queste pietre antiche e sagge. Un ciuffo d’erba, una pennellata di verde, un arcobaleno di speranza per chi guarda. Al “piano” della nostra Santa tra verde giallo rosso degli oleandri belli, gode l’occhio e l’anima a quella vista. Santa alleanza tra maestria degli uomini e natura. Così è il Paradiso o gli somiglia!
16-L’Olendru fu..nu gnè forsi ritorna. Vo-scen-za Benerica a vui ca stimu tantu, baciamu i manu. Vutarisi rarreri a riuddari iè cosa bona e giusta se sebbi a caminari. Omini, pianti, animali ie cosi, ‘nsemi, o chianu ra mattrici, pi vuluntà divina. Viri chi magni cenza ri sti pettri antichi e saggi. ‘N ciu‚ u r’erba, na pinnillata i virdi, n’arcubalenu ri spiranza pi cu talia. O chianu ra santuzza nostra tra viddi giallu russu ri l’oleandri beddi, godi l’occhiu ie l’anima a ‘ssa vista. Santa allianza tra maistria i l’omini ie natura. Accussì iè u pararisu, o ci assimigghia!
Confinante con il palazzo Interlandi Salonia, c’è il palazzo Vermexio, storico palazzo sede del Senato di Siracusa e oggi del Comune. Edificato da Giovanni Vermexio che completò i lavori il 26 gennaio 1632 e appose la sua firma realizzando un lucertolone che pose in alto  ad angolo tra i cornicioni terminali.
Nell’androne, in un locale a vetri, è custodita l'antica carrozza del Senato, costruita a Palermo e giunta a Siracusa il 18 Maggio 1764, classico esempio di berlina imperiale di gran lusso.
Le decorazioni pittoriche raffigurano la Forza, rappresentata da una donna in armatura con lancia e scudo, la Giustizia, rappresentata da una dea raffigurata con spada e bilancia; la Prudenza, rappresentata da una donna con specchio e serpente a simboleggiare la saggezza, e la Temperanza rappresentata da una donna che mostra un morso e redini da cavallo, simbolo di dominio.
Sono dipinti anche i quattro continenti allora conosciuti: l’Europa, come regina del mondo; l’Asia, con ghirlande e incenso; l’America, con piume colorate e frecce e l’Africa dalla pelle scura e i colori esotici.
Di fronte al Vermexio, civico 23, tra palazzo Francica Nava e ronco Gaetani, il palazzo Beneventano del Bosco, edificato nel 400 dalla famiglia Arezzo. Fu sede della Camera Reginale e del Senato cittadino. Acquistato da Guglielmo Beneventano nel 1778, venne ristrutturato su disegno di Luciano Alì e, nel corso dei lavori durati 10 anni, abbellito all’interno dagli stucchi di Gregorio Lombardo, dagli affreschi e pitture di Ermenegildo Martorana, e da preziosi cristalli fatti venire da Malta e da Venezia.
Sulla facciata il monolite con le armi gentilizie dei Beneventano e l’epigrafe che ricorda la visita del Re Ferdinando di Borbone il 25 aprile 1806. Si accede al primo cortile, pavimentato con acciottolato bianco e nero, che disegna per terra un fantasioso tappeto di pietra, attraverso un vestibolo con volta decorata.
La parte che adiacente il ronco Gaetani, venne danneggiata dai bombardamenti del 1943, che distrussero completamente anche il palazzo Gaetani del quale rimane solo l’antico cartiglio e parte del prospetto posteriore di via delle carceri vecchie.
Il palazzo Arezzo, impreziosito dalla facciata curvilinea, risultato della unificazione di diversi palazzi ristrutturati, edificato intorno al 1850 nell’area dove prima erano le -carceri vecchie- dismesse nel 1835, si erge tra la via delle carceri vecchie e ronco Gaetani e, seguendo la morfologia ellittica della piazza, sembra abbracciare il Duomo.
Sulla facciata, delimitata da 10 pilastri che sorreggono un'elegante trabeazione di tipo merlato, a piano terra, 4 portali affiancati da cinque finestre rettangolari e sopra nove balconi racchiusi da eleganti inferriate in ferro battuto sormontati da travoni in pietra iblea. Un bel portale barocco arcuato di tipo bugnato, affiancato da due balconi con aperture rettangolari racchiuse da eleganti inferriate in ferro battuto completano il fianco che è sulla via delle Carceri Vecchie, così come la facciata posteriore con gli antichi -dammusi-
I prospetti posteriori dei 3 palazzi appena descritti, con gli antichi -dammusi-, sono sulla stretta e tortuosa via delle Carceri Vecchie, ricca di ricordi medievali e rifacimenti, che aveva la funzione di collegare la Piazza del Duomo direttamente con la Porta Marina.
La via delle Carceri vecchie è sicuramente di origine medievale, confermata dai notevoli elementi strutturali gotici riutilizzati nel Seicento e nel Settecento. Nel palazzo al civico 11 sono evidenti le strutture medievali della fondazione, un portale quattrocentesco nel primo ordine e tracce di finestrelle ogivali nel secondo ordine e, nonostante le notevoli manomissioni, in un largo settore della cortina muraria esterna sono ancora evidenti conci squadrati del sistema costruttivo originale.
Da via delle Carceri Vecchie, ritornando in piazza Duomo, subito a destra, l'antico plesso del Museo Archeologico, oggi sede della Soprintendenza. Venne edificato nel sito dove erano il Convento e la Chiesa di S. Giovanni di Dio demoliti nel 1882, su progetto di Luigi Mauceri ed eseguito dall’ingegnere Luigi Spagna.
A seguire, tra l'ex museo archeologico e palazzo Borgia, chiude il lato destro della piazza il palazzo Toscano edificato su parte del convento e la chiesa di San Giovanni di Dio.
Sul lato opposto, centro geografico della piazza, la facciata del Duomo. In origine tempio di Athena fu trasformato in chiesa cristiana sotto l'episcopato di Deusio. Fu moschea nel periodo di dominazione araba e nel 1095, riconsacrata e dedicata alla natività.
Il funesto terremoto del 1693 distrusse l'antica facciata di epoca normanna, compromettendo le absidi e le antiche coperture.
La facciata è opera di Andrea Palma che su disegni di Pompeo Picherali iniziò i lavori nel 1728 completando il primo ordine nel 1731. I lavori ripresero nel 1751 e il prospetto venne completato nel 1753 insieme al campanile.
Le statue in marmo di S. Pietro, S. Paolo, della Madonna del Piliere, di San Marziano e di Santa Lucia, sono opere di Ignazio Marabitti. Una lapide commemorativa ricorda i vescovi Tommaso Marini e Francesco Testa e, sopra la porta maggiore, una grande aquila reale di pietra bianca collocata nel 1757 dal vescovo Requisens.
La facciata laterale sinistra è su piazza Minerva, e conserva parte dell’originario tempio di Athena che aveva l'ingresso, come tutti i templi greci ad est, ossia da via Roma.
Sul retro del Duomo, l'antico convento delle suore di San Vincenzo, (i cappiddazzi), dismesso, con annessa chiesetta. Si accedeva attraverso un cortiletto comunicante con la Casa degli Esercizi e il secondo cortile del palazzo Arcivescovile.
E infine completa il lato destro della piazza il palazzo dell'Hotel Roma con ingresso da via Roma.
La via Minerva fino al 1910 era semi chiusa dalla parte di via Roma, raggiungibile da vicolo Lumera, e a quel tempo vi erano: la Banca Mutua Popolare Siracusana, il Museo Civico, la Biblioteca Alagoniana e la Scuola Comunale di Corda.
Sul lato opposto, angolo via Roma, civici dal 7 al 19, palazzo Bordone edificato tra il 1910 e il 1920.
Nel 1911/13, sotto la direzione dall'ingegnere municipale Edoardo Troia, nel sito dove era il seminario dei Chierici e la chiesa di San Giovannello, al civico n.5, venne edificato l’edificio Comunale attuale., già sede dell'Istituti Tecnico.
Nel cortile interno alle spalle di palazzo Vermexio, nascosto prima sotto la Chiesa di San Sebastianello, demolita anch’essa, c’è l’antico tempio Ionico, Artemision, portato alla luce nel 1910-13 da P. Orsi e nei successivi scavi 1960-63.
E per finire la facciata laterale di palazzo Vermexio con la parte terminale edificata su parte del sito dove erano il seminario dei Chierici, edificato nel 1570 da Giovanni Orosco de Arzè e demolito intorno al 1911/13.
Limitrofo alla facciata del Duomo il palazzo Arcivescovile, una vera città nella città sede della Curia, del Seminario e di tutte le attività connesse, in un’isola delimitata dalla piazza, da via Minerva, via Roma, via Torres nella quale vi è l’ex cinema Lux, attivo fino agli anni 60 e la seconda entrata voluta dal vescovo Trigona nel 1745, realizzata tra le ciclopiche mura spagnole.
L’interno è costituito da un complesso di costruzioni risalenti a varie epoche edificate su strutture Sveve più antiche del XIII° secolo con le severe volte a crociera limitrofe al vestibolo e nella cappella Sveva del primo cortile.
Il prospetto anteriore, fino al primo piano, venne realizzato con molta probabilità da Giovanni Vermexio nel 1618, su incarico del vescovo Giovanni Torres e modificato nel 1751 dall'ingegnere Luigi Alessandro Dumontier che realizzò il secondo piano, trasformò in balconi le finestre timpanate del primo, alterando il progetto realizzato dal Vermexio.
Nel 1774 il vescovo Trigona, facendo utilizzare tronchi di granito e di marmo di epoca romana, fece realizzare il vestibolo e il portico che unisce i due cortili facendo utilizzare dieci colonne di granito egizio e due di marmo bianco, oltre alle due alte e robuste di granito nel portone.
Nel secondo cortile l’edificio della Biblioteca Alagoniana voluta dal Vescovo Alagona nel 1780 che prende il nome dal suo fondatore. mons. Giovanni Battista Alagona, vescovo di Siracusa dal 1773 al 1801 e nella quale sono conservati, tra gli altri: 21 codici latini, greci e arabi, un Corano commentato, le “Istituzioni di rettorica” del celebre umanista Giorgio Trapezunzio (1397-1486), un “evangeliario” greco, il “Libro d’Ore della Beata vergine Maria” con moltissime miniature di stile fiammingo (sec. XIV) e una pregevole Bibbia in caratteri gotici oltre ad antiche edizioni a stampa e una ricca collezione di 70 incunaboli dal 1470 al 1500.
Sotto l'ex Contardo Ferrini, ad angolo tra la piazza e via delle vergini, l’ingresso agli ipogei sotterranei che collegavano il plesso arcivescovile al percorso sotterraneo della Chiesa di S. Francesco di Paola, al pozzo di S. Filippo, al monastero delle Monache di via Roma, al porto grande, con uscita alla Marina, e verso la costa di levante dove le uscite sono visibili, (murate), nei muraglioni della Gancia e di muraglia Cala Rossa. Durante l’ultima guerra mondiale vennero utilizzati come rifugi antiaerei.
Chiude la piazza del Duomo la chiesa di Santa Lucia alla Badia. L’antico monastero delle monache bernardine e la chiesa, che aveva l’ingresso dall’attuale via Picherali, pare siano stati edificati nel 1427 e che la regina Isabella, moglie di Ferdinando di Castiglia, la migliorò nel 1483. Fu completamente distrutta dal terremoto del 1693 e ricostruita spostando l’ingresso su piazza Duomo e con i lati uno verso ponente, scendendo verso la Fontana Aretusa, e l'altro verso levante dal capomastro Antonino Puzzo, pare, su progetto di Luciano Caracciolo, con i lavori completati nel 1703.
Il prospetto alto metri 25 è composto da paraste ioniche con trabeazione costituita da una balconata chiusa da una elaborata ringhiera a petto d'oca. Il portale con frontone spezzato sorretto da colonne tortili con alto piedistallo è decorato da una cornice contenente raggi su cui sono posti una colonna, una spada, una palma e una corona, simboli del martirio di S. Lucia. Ai lati, racchiusi entro cornici, stemmi dei reali di Spagna, Case di Castiglia, di Leon, di Aragona, di Aragona di Sicilia e delle Due Sicilie, quasi a ricordare che a fondarla sia stata la regina Isabella moglie di Ferdinando II di Castiglia, XXV Re di Sicilia, alla quale fu affidata la camera reginale con il regio Diploma del 9 luglio 1470. Sulla sommità una croce di ferro rimossa perché pericolante.
All’inizio di via delle Vergini, a destra, confinante con la chiesa della badia, c’è l'antico monastero di Santa Lucia dentro le mura, forse edificato nel 1427 e ricostruito subito dopo la distruzione del 1693, su progetto di Luciano Caracciolo che completò i lavori nel 1703. In origine il convento seguiva la regola di San Bernardo, Nel monastero, in una "cassa a sei chiavi", erano conservati il bussolotto e gli atti relativi all'elezione delle cariche urbane. Sul prospetto accanto al portale d’ingresso dell’antica chiesa, sono ancora presenti gli stemmi dei reali spagnoli. Oggi è utilizzato per eventi e manifestazioni culturali.
Con palazzo Borgia Impellizzeri, in stile rococò, edificato nel 1760, una delle più significative costruzioni settecentesche di Ortigia, inizia la via Picherali esaltata dall’imponente ed elegante cantonale con la ringhiera in ferro battuto prospicente la piazza. Al civico 10 l’ingresso con l'elegante scalone all’interno dell’ampio cortile.
A seguire il palazzo Monteforte, edificato nella seconda metà del sec. XVIII. Dell'edificio settecentesco rimangono solo l'imponente facciata che ripete i motivi costruttivi e decorativi del Palazzo Borgia e alcune arcate dell’imponente porticato. L'ultimo ordine è una soprelevazione del secolo scorso così come la nuova distribuzione interna.
In fondo a destra chiude l'antico quartiere Duomo, il palazzo Migliaccio edificato nel XV° secolo. Dell’elegante e singolare costruzione quattrocentesca, crollata a seguito del terremoto del 1693, rimane parte della facciata, impostata con tre arcate cordonate, delle quali solo la centrale ha ancora una parte dell'originario ventaglio di conci. Al piano superiore una balconata a terrazza decorata con chevrons di blocchi di pietra lavica alternati con conci di pietra calcarea bianca dalla linea spezzata. I portali e le finestre, alcune bifore, sono tutte arcuate e decorate da splendidi bassorilievi e merlature zigzagate in pietra lavica. L'interno, sezionato in due parti, una oggi Hotel e l’altra sulla Via Picherali chiusa al pubblico.
Di fronte, nella piazzetta San Rocco, il prospetto dell'antico monastero delle 5 piaghe, costruito in parte sulle rovine dell'antico Steri. Il complesso monastico, comprendente la chiesa di San Rocco e l'Ospedale delle Sante Piaghe, poi Umberto I°, era gestito dalle suore della carità dal 1876. L’antico Convento delle suore della Carità, con annesso orfanotrofio, edificato nel 600 e distrutto dal terremoto del 1693 venne ricostruito nel 700.
La Chiesa di San Rocco, della quale rimane il prospetto con una sola apertura su piazzetta San Rocco, era annessa al monastero omonimo, edificato intorno al 1644, distrutto dal terremoto del 1693, e ricostruito circa venti anni dopo. La facciata della chiesa, probabilmente, progettata da Pompeo Picherali, è decorata da eleganti bassorilievi che adornano un portale rettangolare sopra il quale vi è una finestra sormontata da un timpano semicircolare. All'interno, ad un'unica navata, aveva l’altare maggiore, che era nella chiesa di Sant'Andrea ai Teatini, e alcune tele provenienti dalla demolita Chiesa di San Giovanni di Dio.
All’inizio di via delle Vergini, con ingresso da via Santa Lucia alla Badia, c'è l’ex chiesa dedicata alla Madonna di Montevergine con l’annesso l’ex monastero, oggi galleria civica di arte moderna.
Venne edificata nel 1625 su progetto di Andrea Vermexio. La facciata, nel primo ordine, ha mantenuto lo stile vermexiano, mentre il resto è stato varie volte manomesso. Venne restaurata nel 1830 e furono aggiunte colonne a stucco negli altarini e dipinto il soffitto. All’interno, ad una navata, l'altare maggiore venne ornato con pregevoli marmi, con un paliotto, gradinata, e sacra custodia. Pesantemente bombardata nel luglio 1943 è stata recentemente restaurata.
Il monastero delle suore della Madonna di Montevergine, venne edificato nel 1555 nel luogo dove sorgeva l'antico monastero di S. Eustachio, fondato nel 1381 e distrutto dal terremoto del 1553.
Confina, a sinistra, con la via Conciliazione nella quale a sinistra c’è il già citato secondo ingresso del complesso arcivescovile.
Percorrendo la via della Conciliazione a scendere, a sinistra, civico n.22, si trova l’ex orfanotrofio del buon Fanciullo fondato da monsignor Cultrera di Montesano.
E a destra il palazzo Steri Magno, XV secolo, del quale rimangono tracce del paramento murario originario, con le particolari losanghe a motivi decorativi romboidali in pietra lavica all'angolo tra via della Conciliazione e via Capodieci dove, tra l’altro, si vede anche la curiosa "porta dei morti". L'interno presenta alcuni archi a sesto acuto databili all'incirca tra XIV e XV secolo ed altri particolari del fabbricato quattrocentesco degni di uno studio più approfondito.
Sulla via Capodieci, senza numero civico, c’è palazzo Naro, antico edificio ristrutturato e modificato nel 1905 da Gaetano Avolio che progettò la nuova facciata e diresse i lavori durati 4 mesi, eseguiti a cottimo dall'Impresa Salvatore Agati e Maiolino.
Salendo per via Capodieci, a sinistra, si trova l’antica chiesa di San Benedetto, edificata nel 1619, su progetto di Andrea Vermexio, oggi in uso dalla comunità ortodossa rumena. La facciata, mistilinea, ha il portale racchiuso tra semicolonne ioniche, e nel secondo ordine, le guglie e motivi curvilinei con una finta balaustra a bulbo e un finestrone centrale. L'interno, ad unica navata, ha stucchi di stile manieristico nelle cappelle laterali e nell'arco di trionfo. Il soffitto, in buona parte cinquecentesco, è a lacunari ottagonali con rose al centro. Sul fondo la tela d'altare opera di Mario Minniti (1625) che raffigura la morte di San Benedetto.
La chiesa di San Benedetto era annessa al contiguo Monastero Benedettino, fondato nel 1725 da Suor Cesarea del Cassaro che ebbe in dono il palazzo del XIV° secolo, dal fratello Pietro Parisio, Barone di Cassaro. Il monastero fu danneggiato gravemente dal terremoto del 1693 e numerose furono le monache che morirono sotto le macerie. Dell'originario impianto rimangono poche tracce sia a causa della trasformazione d’uso e alle successive modifiche dopo i danni del terremoto del 1693. Alla primitiva costruzione appartengono gli archi del portico ed altre strutture ogivali.
Il contiguo palazzo della famiglia Bellomo, edificio del XIII° secolo, che lo aveva abitato per tre secoli, oggi Galleria regionale di palazzo Bellomo, fu ceduto al confinante monastero benedettino nel 1725.  Dell'originario impianto rimangono la muratura a filari di piccoli conci squadrati fino all'altezza di m. 7,50 e comunque fino alla cornice marcapiano, e alcune stanze del piano terra coperte da poderose volte a crociera, e le grandi fosse a campana adibite a pozzi o granai. Le prime trasformazioni iniziarono nel sec. XIV quando per motivi spaziali fu abbattuto il muro di recinzione a settentrione, furono attuate le profonde trasformazioni del portico e fu iniziata la soprelevazione.
Di fronte la via San Martino con una delle più antiche chiese di Siracusa, pare VI° secolo d.C. Ampliata e modificata tra il XIV e quindicesimo secolo quando vennero aggiunti il rosone, e il portale d'ingresso che reca la data MCCCXXXVIII, (1338).
La parte superiore della facciata e con essa l’antico rosone, crollarono a causa del terremoto del 1693. L’attuale rosone è copia di quello della chiesa di San Giovanni, opera de siracusano Giuseppe Gallone, voluto dall'arcivescovo Luigi Bignami che fece restaurare la chiesa nel 1916/17.
È a tre navate con la centrale fiancheggiata da archi a sesto acuto poggianti su pilastri a sezione rettangolare, e con il soffitto in legno poggiante su capriate del XV secolo. Nelle navate laterali sono gli altari dedicati a S. Amatore, a tutti I Santi, a S. Elena, a S. Costantino e a S. Aloè. Sotto un altare il corpo di S. Vincenzo Martire proveniente dalle catacombe di S. Callisto in Roma. Sull'altare laterale da ammirare il polittico su tavola, opera di ignoto, indicato "Maestro di S. Martino", e un bellissimo crocifisso in legno del XVI° secolo.
Proseguendo per via Capodieci, a sinistra, il vicolo Bellomo, privatizzato arbitrariamente, e a destra al civico n.11, ciò che rimane dell'antica chiesa di Gesù e Maria, un ampio ed elegante portale, raffinato esempio di architettura seicentesca con severe linee geometriche mitigate da eleganti decorazioni floreali.
E infine, angolo via Roma, Palazzo Lantieri, forse famiglia genovese che qui risiedette. Su via Capodieci la parte originaria co tre portali arcuati del XVI° secolo, uno murato, e diversi balconi con inferriate bombate e mensoloni riccamente scolpiti. Il prospetto, su Via Roma, nella parte inferiore, ha cinque aperture arcuate intervallate da finestrelle quadrangolari. Nella parte superiore tre eleganti balconi, con due aperture quello centrale e una quelli laterali. Ad angolo due mascheroni grotteschi con funzione di grondaia.
La parte finale di Via Roma, in epoca medievale, era chiamata Turba. Al vescovo Giovanni Antonio Capobianco, (1649-1673), si devono gli attuali muraglioni costruiti con blocchi squadrati del duro calcare bianco siracusano. Accanto al civico 125 la magnifica edicola dedicata a Santa Lucia in un dipinto settecentesco che raffigura la Santa Siracusana sopra la
raffigurazione del quartiere della Turba con i suoi alti muraglioni, testimonianza della devozione alla Santa degli abitanti del quartiere.
Percorrendo la via Roma, a sinistra, civico 124, tra l’ex vicolo Bellomo e ronco Ardizzone, un palazzo settecentesco dalla facciata severa che sembra ricalcare canoni di Andrea Vermexio.
Accanto al vicolo, civico n.116, il palazzo Ardizzone, forse opera di Andrea Vermexio. Il palazzo è sito tra via Torres e via Conciliazione nella quale è la facciata posteriore. Dell'originaria costruzione sono il piano terra, contraddistinto dal portale con arco trapezoidale ed il piano nobile con la veranda, lo scalone nel cortile, le cornici tardo-rinascimentali e i cantonali a bugnato. All’interno un cortile quadrangolare dà luce ed espressione al severo scalone.
Al civico 106 il Palazzo Oddo, della seconda metà del secolo XVII°, con la facciata, austera ma elegante composta da tre ordini orizzontali inquadrati da poderosi pilastri a gradoni. Il portale d'ingresso di forma poligonale, massiccio, è inquadrato da due pilastri con capitelli tuscanici. Sul portale vi è il bassorilievo che raffigura lo stemma araldico del ramo siracusano della famiglia Oddo. Venne restaurato nei primi anni del 1900 dal proprietario dell’epoca commendatore Sipione che affidò la ristrutturazione e la sopraelevazione all’architetto Gaetano Avolio.  
Di fronte la parte dell’edificio del teatro comunale, nel ventennio sede del partito nazionale fascista, nel dopo guerra sede CGIL, e in tempi più recenti sede degli uffici tecnici comunali. Nei bassi in passato sede di un ufficio postale.
Proseguendo per via Roma, a destra, civico 65, la casa che diede i natali a Salvatore Chindemi, patriota, storico e poeta siracusano nato a Siracusa il 19 gennaio 1808, morto a Palermo il 3 febbraio 1874.
Sullo stesso lato, al civico 40, la chiesa di Santa Maria della concezione edificata alla fine del 1300 per volere del vescovo Giovanni Antonio Capobianco. Danneggiata dal terremoto del 1693 venne ricostruita nel 1656 su progetto del Bonamici e con la supervisione dei lavori dell'architetto Pompeo Picherali. La nuova chiesa fu inaugurata 17 marzo 1658.   
Annesso alla chiesa il monastero detto anche S. Maria delle monache, distrutto anch’esso dal terremoto del 1693, ricostruito come la chiesa, dal 1870 sede della provincia regionale di Siracusa.
Chiude l’antico quartiere medievale Duomo l’attuale via del consiglio reginale dove nel cantonale a sinistra, in alto, c’è il cartiglio dei Gargallo e a destra per quasi tutta la via le facciate posteriori di palazzo Gargallo e Lanza Bucceri.
A sinistra l’arco gotico che segna l’ingresso che dovrebbe essere la presunta camera reginale che, quasi certamente è un falso storico, sapendo per certo che la camera reginale, Istituita il 28 agosto 1305 e soppressa nel 1536 da Carlo V° Imperatore, XXVI° Re di Sicilia, ebbe sede nel già citato palazzo Beneventano di piazza Duomo. Sull'arco l’Arcangelo Gabriele armato di spada e nella mano una bilancia, simbolo della Giustizia che schiaccia il drago simbolo del male.
Siracusa terzo itinerario-quartiere Giudecca
Premessa storica
gli Ebrei a Siracusa
Gli Ebrei, presenti a Siracusa fin dal VIII secolo, già dal 1300 vivevano a Siracusa nel ghetto del rione San Giovanni fuori le Mura.
Alla fine del VII secolo d.C., si stabilirono nel rione della Giudecca, dove ebbero un Ospedale, una prima Sinagoga, dove oggi sorge la Chiesa di San Filippo, e una probabile seconda Sinagoga ove oggi c'è la Chiesa di San Giovannello, l’antico bagno rituale ebraico, la beccheria e le movimentate botteghe che in ogni tempo hanno conferito al quartiere vitalità e colore, anche dopo il terremoto del 1693, quando ripristinarono le antiche botteghe e con esse l'industrioso commercio.
Apprendiamo da Federico Fazio che, l’ospedale e atri servizi, potrebbero aver avuto sede nel complesso chiamato “baglio”, oggi degradato e in parziale stato di rudere, attuali numeri civici
26/32, all’angolo tra il vicolo dell’Olivo e la ruga della Plaza Vecha, (piazza vecchia), oggi via Alagona e che, secondo le fonti, era una casa con cortile, pozzo e forno, costruito sul sito di un precedente cortile e di un ampio spazio di pertinenza a giardino.
La tipologia del baglio, secondo Federico Fazio, era a pianta quadrangolare e comprendeva una costruzione in genere ospitante un pozzo e con le aperture tutte rivolte verso l’interno della corte. Nel presunto “baglio” di vicolo dell’Olivo, è documentata la residenza di un alto personaggio della comunità ebraica.
L’edificio, nella sua conformazione attuale, evidenziato dal rilievo di Federico Fazio, nel quale comprende, il “Viridario” e la scala catalana in pietra, le finestre all’interno della corte, il finestrone con motivo Tudor, confermerebbe che trattavasi di un plesso di notevole importanza.
Poche le tracce storiche rimaste e tra queste le lastre funebri, forse dell'area cimiteriale di Santa Lucia, rinvenute nel porto piccolo nel 1892 e oggi custodite nel cortile della Galleria Regionale di Palazzo Bellomo.
L’architrave bizantina è forse la prova che alla Giudecca soggiornarono gli Ebrei. Capodieci scrisse che il 2 Giugno 1811 ricevette in dono l’architrave dal proprietario della casa il Sig. Cataldo Naro e la portò al “patrio museo”. Sembra però che fosse già stata scoperta, alla metà del Settecento, nel giardino indicato quale “Viridario”, da Cesare Gaetani della Torre, il quale la tradusse in latino: “Siciliae et objacentium insularum veterum inscriptionum nova collectio, Palermo 1769. Clas VII.IX: «Et Zachariae nomen, e Locus, e quo suit Marmor defossum, Monumentum hoc esse Judaeorum aperte demonstrant; neque novum hoc in Sicilia”. (da “i luoghi degli Ebrei a Siracusa” di Federico Fazio).
Espulsi con l’editto del 31 Marzo 1492 alcuni optarono convertirsi al Cattolicesimo e rimasero in città.
L’antico quartiere Giudecca.
Storia, immagini, memoria, aneddoti e curiosità
L’antico quartiere medievale, era compreso, orientativamente, tra le vie Nizza, Galilei, via Roma e via della Maestranza.
L’impianto viario dei vicoli e stradelle ricalca quasi certamente, dal punto di vista planimetrico, l’antica tipologia greca a “stringas”, convergente nell’asse viario della via della Giudecca, la vecchia platea Judaice, allargata nel 1592 dai frati di San Francesco di Paola che per edificare il loro convento abbatterono un intero isolato di fronte all’ex sinagoga, oggi chiesa di San Giovannello.
Scavi archeologici recenti hanno permesso di individuare un tratto di strada est-ovest lunga circa 40 metri in prosecuzione del tracciato di ronco 1° e vicolo 2° alla Giudecca, parallelo a via Maestranza, che, secondo Giuseppe Pagnano, potrebbe essere l’assetto urbano medievale dopo il sisma del 1169.
La via della Giudecca inizia dall’incrocio con via della Maestranza, piazza Corpaci, e finisce ad angolo con la via Logoteta.
Nel dopoguerra e fino agli anni 60, “A Jureca”, brulicante di bambini e persone, era mitica e piena di vita. Venditori ambulanti che incantavano con il loro personale “vanniari” a cantilena, inconfondibile e riconoscibile dalla speciale nota, che noi ragazzi nella piena libertà cercavamo di imitare.
Imboccando la via Giudecca la prima cosa che sentivamo, noi ragazzi degli anni 40, era il profumo del pane, e dei biscotti appena sfornati nei vari panifici e i forni numerosissimi in tutta la via, una goduria per noi ragazzi di strada vissuti in quel dopoguerra di ricostruzione ma anche di fame.
Un vero mercato popolare dove potevi trovare di tutto. Bancarelle e botteghe di frutta e verdura, negozi di genere alimentari, macellerie, Giudice, Di Natale, Peluso, “a scanna ri Bittinchi”, di basso macello per le classi meno abbienti, e ancora le pompe funebri di De Grande, barbieri, fotografi, tabaccai, osterie, negozi di ferramenta e pitture, (Pizzo), e una miriade di attività turbinose che offrivano una capacità di servizio che abbracciava tutta Ortigia.
All’inizio della via, nei bassi a sinistra, un negozio di uccelli e gabbie, a seguire, frutta e verdura, negozio della famiglia Carnemolla, accanto la famiglia Lacagnina, un fornaio, e quindi il vicolo dell’Olivo dove, oltre a quanto già detto, si affacciano le facciate posteriori dei palazzi Ardizzone, Blanco, Danieli-Rizza e Pancali, con ingresso da via della Maestranza.
Subito dopo il vicolo, “u gazzusaru”, Gravè e poi piazza San Filippo con il chiosco di bevande e bibite frizzanti, carretti con frutta e verdura offerta a prezzi accessibili.
E poi l'abbandono e il declino! Oggi la Giudecca è muta e immobile e vive nei ricordi di qualcuno di noi “vecchi”. Qualche sfuggevole turista, passando da quelle parti, non riuscirà mai a capire cos’era la Giudecca di noi ragazzi del tempo che fu.
Il bar al servizio della zona era lo storico caffè Bottaro, a “cantunera” con ingresso da via della Maestranza, frequentato sopra tutto da operai. Poco più su al civico 10 della Giudecca, l’ingresso al palazzo e poi, se non ricordo male, il panificio Schiavo.
Ed ancora, a seguire, il portone di ingresso ad un palazzo con all’interno un cortile nel quale, a sinistra, un basso interno adibito a magazzino deposito mobili di Fazzina, con il quale lavorai per qualche tempo anche nel suo negozio di via Gargallo. In quello stabile, al primo piano l’abitazione del mio amico Marcello Spampinato e famiglia.
Poco più avanti, a destra, vicolo 1° alla Giudecca che conduce in via Laberinto, dov’è la facciata posteriore dell’antico monastero di Santa Maria delle Monache, e l’ingresso all’aula consiliare della provincia, risistemata negli anni 1870 e seguenti, su progetto di Gaetano Avolio con lavori diretti dall'Ingegnere Capo dell'ufficio tecnico Luigi Schisano, eseguiti dalla ditta Giuseppe D' Aquino che realizzò le decorazioni in legno noce, mentre quelle su pietra da taglio sono opere di Salvatore Agati e Luciano Patania. L’aula consiliare della provincia, attiva dal 1870 è stata utilizzata fino al 1970.
La via Laberinto, con un tortuoso percorso contornato dal retro della chiesa e del monastero di Santa Maria che assunsero le forme barocche attuali tra il 1652 e il 1658, ad opera di Michelangelo Bonamici, collega la via della Maestranza a via del Crocifisso.
Nel cantonale, angolo vicolo primo via Laberinto, il caratteristico palazzo barocco, 1698, della famiglia Midiri, poi Statella, ed oggi proprietà Bramante.
La via Laberinto, si immette in via del Crocifisso che collega la via Roma alla via della Giudecca, piazza San Filippo, con la splendida chiesa dedicata a San Filippo Apostolo che venne edificata nel 1742, dalla Confraternita di S. Filippo, nel sito dov’era la prima chiesa, interamente distrutta dal terremoto del 1693. Danneggiata dai bombardamenti del 1943 venne restaurata in tempi recenti.
In Via del Crocifisso, civico 74, con semplici ed eleganti forme in pietra calcarea, la bella edicola del Crocifisso, 152 x 155 cm. Venne realizzata, probabilmente dal proprietario della casa, a nicchia, con arco a tutto sesto a fascia e strisce decrescenti verso l'interno. Un cancelletto a due ante, in ferro battuto, inserito in un contorno di barre lanceolate crescenti verso la croce centrale, protegge e decora il quadro del crocifisso inserito sul fondo rettangolare e poco profondo.
Sotto la chiesa di San Filippo, pare sia un antico bagno rituale ebraico, chiamato delle puerpere, al quale si accede da una scala di 32 gradini.
Più avanti, dopo una serie di palazzetti in entrambi i lati, a sinistra, si giunge in piazza del Precursore dov’è la chiesa di San Giovanni Battista, sinagoga secondo le fonti, che chiude la piazza. L’antica chiesa, edificata Intorno al 1180 e distrutta dal terremoto del 1169, venne ricostruita intorno al 1380, in stile gotico e, successivamente, restaurata in stile quattrocentesco.
Alle spalle della chiesa, in via Alagona, sotto il palazzo Bianca, civico 52, pare sia l’antico miqveh al quale si accede tramite una scala di 52 scalini intagliati nella roccia che scendono ad una profondità di 18 metri, in una stanzetta rettangolare dove sono tre vasche dalle quali sgorga ancora l'acqua, vestiboli formati da archi di roccia e altre vasche.
A destra della piazza, vicolo dell’Arco, che conduce in via Mario Minniti, grande pittore siracusano, amico del Caravaggio, e che dipinse moltissime opere che si possono ammirare a Siracusa, in altre città della Sicilia, a Malta, in Francia ed all'Ermitage di San Pietroburgo. Mario Minniti nacque in una casa del predetto vicolo l'8 Dicembre1577 e morì nel Novembre del 1640.
Di fronte alla via Mario Minniti, la via Logoteta nella quale, subito a destra, vi sono il convento e la chiesa dei frati di San Francesco di Paola, dalle semplici forme barocche, edificato a partire dal 1705 con i lavori che durarono circa 30 anni. In ricordo della loro precedente chiesa demolita, fu imposto di incidere sulla sommità della cupola la dicitura, “DIVO ANTONIO ABATI”. Nella chiesa, c’erano pregevoli dipinti, come un quadro di Sant’ Antonio Abate, e uno di San Francesco di Paola, opere di Fragonio Messinese.
Di fronte al convento e la chiesa dei frati di San Francesco di Paola, la facciata posteriore del palazzo Midiri-Cardona con ingresso principale da piazza San Giuseppe angolo via Larga, civico n.33 danneggiato dai bombardamenti del 1943, in quel sito oggi piazzuola, fino agli anni 60 era la bottega del valente maestro Branciamore e figli. Il maestro, tra le tante cose esegui lavori presso il Duomo di Siracusa.
Nella stessa via, poco più avanti, a sinistra, vicolo delle Pergole, per noi siracusani “a vanedda e pecuri”, che in un caratteristico e tortuoso percorso si immette nella via del Crocifisso.
In via Logoteta, angolo via Roma, nel 1688, era stata edificata la chiesa della Madonna dell'Itria, danneggiata dal terremoto del 1693 e riedificata nel 1725 dalla Confraternita omonima che utilizzava i locali limitrofi quale sede. Con le leggi di soppressione del 7 luglio 1866, fu assegnata ad alcuni maestri scalpellini provenienti da Catania che lavoravano presso la costruzione del Teatro comunale. Il 14 gennaio 1874 venne demolita dal nuovo proprietario che vi costruì il suo palazzo.
Da via della Giudecca, seguendo la facciata laterale di palazzo Midiri-Cardona, forse anche Statella, si accede alla via Larga, antica via principessa Margherita fino all’attuale via del Teatro.
In via Larga, a cavallo della via del nome di Gesù, il settecentesco palazzo Meli del 1702, con grazioso atrio e fantasiose decorazioni rococò. Li, per diverso tempo, abitò Enzo Maiorca.
La piazza San Giuseppe è il centro e cuore del quartiere Giudecca caratterizzato da splenditi palazzi nobiliari ed edifici di culto di primaria importanza.
Da via Larga, subito a sinistra, il già citato palazzo Midiri-Cardona, oggi museo dei pupi.
A seguire, in un percorso antiorario, palazzo Randazzo, dove un tempo era un’operosa tipografia. Li visse Renato Randazzo, Grecista e Latinista siracusano, già preside del Liceo Classico Gargallo che un tempo aveva sede in via Tommaso Gargallo, ex monastero di San Filippo Neri.
Sul lato Ovest della piazza, palazzo Pupillo, in precedenza in stile settecentesco, ricostruito nella modernità del cattivo gusto di oggi.
Sul lato nord della piazza, angolo via Gaetano Zummo, l'antico monastero di Santa Maria Aracoeli, fondato nel 1559 da Benigna Platamone, vedova Montalto, barone di Canicattini. Dal 1870 fu asilo per l'infanzia, scuola femminile, comando militare, asilo infantile, e in tempi recenti sede dell'Istituto Nautico, oggi, nei locali a piano terra di via Gaetano Zummo, museo del Mare.
Annessa al monastero era la chiesa Santa Margherita, restaurata dal 1624 al 1628 e gestita dalla congregazione della santissima Annunziata.
Di fronte, la chiesa di Sant’Anna, come si legge in una lapide conservata nel vestibolo: "Questa cappella fu fundata et dotata da Lucrezia Gaudio per suo figlio Ger. Qui sepulto vedi alii atti del notaro Giacomo Maso 4 novembre 1604 et XXI IANU 1607".
La costruzione secentesca, a causa del terremoto del 1693 subì gravi danni e fu ricostruita nel 1727 in stile settecentesco, ad una navata, comprende un vestibolo e una torre campanaria. La cripta, scavata nella roccia, doveva essere un ossario come fa pensare il lucernario, ora chiuso, posto al centro. Secondo A. Privitera, la campana proveniva dalla chiesa di San Giovanni di Dio e i sacri arredi dal soppresso monastero di Montevergine.

La via Gaetano Zummo intitolata al celebre “ceroplasta” non ceroplastico come indica la targa della toponomastica, si immette sulla via Serafino Privitera.
Gaetano Zummo, nato a Siracusa nel 1656, morto a Parigi il 22 Dicembre 1701 all'età di 45 anni, è sepolto nella Chiesa di Saint Sulpice.
Definito il Michelangelo della cera, oltre alla sua incredibile produzione di statue in cera che descrivevano in modo minuzioso le varie componenti del corpo umano, l'abate Zumbo, aveva cambiato il cognome durante il soggiorno a Parigi, realizzò diversi " Teatri della morte " . Alcune di queste opere, cosiddette "cere della peste", sono conservate a Firenze presso il Museo della Specola ed a Londra presso il Victoria and Albert Museum. Il Professor Paolo Giansiracusa nel 1988, gli dedicò una mostra con monografia.
Il sotto quartiere Cannamela, comprendente via Gaetano Zummo, era delimitato da Ruga Larga, oggi via Larga, e confinava con la Turba e il mare a levante dov’era il bastione San Domenico o Cannamela. Il sotto quartiere, caratterizzato da diverse case palazzate, interamente trasformato nel XIII secolo, era costituito da trappeti per la raffinazione della canna da zucchero.
Il quartiere medievale della Giudecca, ad est, segue l’alta costa, dalla Turba fino all’attuale “affaccio” di piazza San Giacomo, la quale deve il nome al medievale bastione San Giacomo.
Contorna la costa, via Eolo, ma la via principale è via Nizza, nella quale c’è il prospetto posteriore del convento di San Domenico con una delle entrate prospiciente largo della Gancia, nel medioevo Bastione della Gancia. Seguendo la via, a sinistra, via del nome di Gesù, delimitata a destra dal palazzo un tempo prima sede della “casa Politi”.
A seguire, via Larga con un bellissimo palazzo settecentesco, con paramenti e i bassi di sicura origine medievale.
Poi l’inizio di via Alagona della quale abbiamo già parlato e aggiungiamo solo che al civico 41, nel settecentesco palazzo Corpaci, poi proprietà di Remo Romeo, medaglia d’argento del Presidente della Repubblica quale benemerito della cultura e dell’arte, vi era il museo del cinema, fondato nel 1995, dall’instancabile professor Remo Romeo che lo ha chiuso recentemente.
Sulla costa sovrastante punta Malevie o Majaria, davanti a via Eolo, il medievale forte Vigliena, per noi siracusani, “u centralinu”, distrutto dai primi bombardamenti del 1943, in quanto sede della stazione ponte radio, sulla direttrice Berlino-Siracusa-Tripoli.
Quasi alla fine di via Nizza, il convento di Sant’Agostino, edificato nel XIV e XV secolo, sul sito della chiesa del Santo Sepolcro, come scrisse il Privitera, “il luogo più ameno e più bello, rimpetto a mezzogiorno, sovra il mare, vicino alla muraglia di città". Ingrandito e abbellito dai frati agostiniani protetti dei regnanti aragonesi, dal 1866, convento e chiesa, furono adattati per ospitare gli uffici dell'Intendenza di Finanza, le Guardie Demaniali, scuole medie femminili, ed oggi sede del Museo del Papiro di Corrado Basile.
Chiude il lato est della piazza San Giuseppe, il convento, “regio”, di San Domenico, eretto nel 1222, in parte danneggiato dal terremoto del gennaio 1693. Dell'imponente fabbrica medievale resta uno dei due chiostri. Ricostruito secondo gli schemi tipologici del settecento, l'ex convento confina con la via del Nome di Gesù e dal lungomare di Levante con rispettivi ingressi. Dal 1870 fu prima ospedale, poi caserma della fanteria ed oggi stazione Carabinieri Ortigia.
A seguire il settecentesco palazzo della famiglia Rau, al primo piano abitato dalla famiglia Laboratore, e al piano terra, con ingresso sul prospetto laterale, l’ex sede della storica Galleria Roma di Corrado Brancato che cessò l’attività il 17 Giugno 2015.
Nel 1453, i cristiani di Grecia, scampati alla strage dei musulmani guidati da Maometto II, ottennero dal Senato la concessione della Chiesa di San Fantino che tra il 1752 e il 1754 vi si officiava con rito greco. Demolita nel 1754, al suo posto, la corporazione dei falegnami fece edificare l’attuale chiesa di San Giuseppe che campeggia al centro della piazza.
I lavori vennero eseguiti da Carmelo Bonaiuto, forse anche autore del progetto, dalla forma chiaramente desunta dall'architettura vermexiana. La chiesa, a pianta ottagonale, con ingresso principale a sud della piazza, è ad unica navata con l'apparato decorativo che ricorda alcuni lavori documentati di Luigi Alessandro Dumontier. L’interno, ricco di decorazioni e stucchi rococò, presenta ad ovest un corpo allungato per il presbiterio. È conservata all’interno copia del seppellimento di Santa Lucia opera di Giuseppe Politi che la realizzò nel 1820.
Nell’attuale via del Teatro, già via principessa Margherita, si erge il magnifico Teatro Comunale, edificato nel 1875-1879, nel sito dov’era il Monastero dell'Annunziata e il palazzo del principe della Cattolica.
I lavori, iniziati 1872, vennero affidati all'ingegnere militare Breda che predispose il progetto poi modificato dall’architetto Damiani D’Almeyda che completò i lavori. Vennero utilizzati i materiali di risulta degli edifici abbattuti.
Nella facciata principale, all’ingresso, un ampio porticato per la sosta delle carrozze. Nel cantonale, angolo via del teatro e via Roma, in alto, scolpita nella pietra calcarea, è un’aquila, simbolo della città, scolpita dal siracusano Amato, mentre le maschere teatrali e i simboli delle muse nei prospetti dell'edificio sono opera di maestri scalpellini venuti da Catania.
All' interno del Teatro un ampio foyer dava accesso alla direzione, al guardaroba, all'ingresso della platea, al caffè e, a sinistra e a destra, alle scale dei palchi.
Nella sala principale che poteva ospitare 700 spettatori, erano presenti tre ordini di palchi, il loggione con le panche e un ampio palcoscenico, con il ridotto, i camerini e un'orchestra.
Il telone del sipario principale raffigura Dafne in un bosco popolato da ninfe a simbolo della poesia bucolica che a Siracusa con Teocrito ebbe le proprie origini.
Il Teatro venne inaugurato nella primavera del 1897, con la rappresentazione della "Gioconda" di Ponchielli e del "Faust " di Gounod.
L’attività del teatro è stata brevissima: circa sessant’anni. Chiuso per restauri nel 1957, dopo la rappresentazione del "Il Trovatore" di Verdi, "La Bohème” di Puccini, "La Cavalleria Rusticana di Mascagni e "I Pagliacci di Leoncavallo. Restaurato in tempi recenti non ha ancora ripreso la sua piena funzione.
Una leggenda metropolitana di Siracusa vuole che il Teatro, come detto, edificato sul sito di un edificio sacro e con i conci del demolito monastero dell’Annunziata, è nato sfortunato. Verificandone la storia sembra proprio che sia così.
Testi consultati: Ortygia, quartieri medievali n. 2 di Paolo Gianiracusa; I luoghi degli Ebrei di Federico Fazio; chi erano gli ebrei siciliani di Mariarosa Malesani.
Rielaborazione testi, progetto e montaggio a cura di Antonio Randazzo.
musica di sottofondo tratta da "I Cantu Novu".
Oggi il teatro comunale muore di inedia! Ai miei tempi a Siracusa era normale sentire cantare le romanze delle grandi opere liriche ed era un piacere ascoltarle dalla voce di cantanti improvvisati. Personalmente non sono mai stato ad assistere a spettacoli nel nostro teatro ma so e canticchio spesso arie del Rigoletto, di cavalleria rusticana, norma, Madama Butterfly ed altre. Culacchi ri buttigghia diceva mia madre. Imparai a cantare o meglio canticchiare sentendo cantare Gianni Salerno, u biondu. Stessa cosa per le tragedie del teatro greco. I teatri svolgevano a margine una funzione culturale per noi giovani di allora anche senza assistere agli spettacoli che certo costavano. Recondita armonia, oppure, cortigiani di razza d'annata, e ancora un bel di vedremo sollevarsi un fil di fumo ecc. ecc. si discuteva nei bar, dai barbieri o nelle sartorie con persone che amavano liriche o tragedie e tutti noi apprendevamo cose che non potevamo conoscere per ragioni economiche.
Infine si sappia che il teatro aprì solo grazie alla tenacia e al provvidenziale intervento di un gruppo di amici e, in particolare, della Sezione Siracusana dell'Associazione Nazionale Carabinieri che, con il suo presidente, Valentino De Ieso, collaborato da altri soci e amici, quali Giorgio Scribano e Barone Francesco, smantellarono i paletti burocratici, ottenendo i permessi necessari che consentirono oltre ad altre cose, anche l'allaccio alla cabina ENEL.
La riapertura venne inaugurata con i festeggiamenti per il novantesimo anniversario della fondazione della Sezione ANC di Siracusa il 14 Gennaio 2017.
E poi! Il nulla grazie alla atavica nullità di chi dovrebbe e non fa.
Siracusa-quarto itinerario.
Il quartiere Graziella.
Premessa storica.
La Graziella dalle origini ad oggi.
La zona oggi chiamata Graziella, in passato anche quartiere San Paolo, in epoca greca, secondo gli storici, oltre che zona sacra con il tempio di Apollo, era anche il primo insediamento dell'Agorà.
Quasi certamente zona mercatale, magazzini e depositi, rivendite e scambi commerciali, con il porto sulla costa nord est difeso da mura e bastioni.
Sotto l'attuale livello del mare, a mt.1,80, nel mare antistante il Talete, ci sono le strutture di fondazione degli arsenali militari del 6/5 sec. a. C.
Sotto il basamento di fondazione del forte Casanova, (XV/XVI secolo), che si trovava dietro l'ex edificio postale, tra punta del Gallo e forte San Giovannello, (scavi Basile), sono state trovate le fondazioni e i basamenti di una torre più antica di epoca ellenistica che confermerebbe facesse parte della cinta muraria che contornava il periplo di Ortigia, quasi certamente riutilizzato nel 500 dagli spagnoli quando anche loro trasformarono l'isola in una cittadella fortificata munita di alte mura e bastioni anche a cavallo tra porto piccolo e costa nord, attuale circolo velico, dov’era forte del Gallo superiore.
L’impianto viario si deve quasi certamente agli Arabi che conquistarono Siracusa nell'878, distruggendo quasi completamente l'intera città creandone una nuova, molto disordinata, frutto di interventi spontanei.
In epoca greca e spagnola la zona attuale Darsena, piazza Pancali, e l’intero quartiere “nuovo”, sorto ai primi del 900, era of limits per i siracusani essendo zona militare, prima creata da Dionisio e, poi, con la caserma spagnola, porte Ligni, (1673), e Reale, (1578), difese dai bastioni San Filippo e Santa Lucia.
Della iniziale pianificazione greca rimane solo il tracciato tortuoso di via Dione, antico decumano maggiore, via Mirabella e via Resalibera, già via Diana, antico decumano minore, nelle quali sono evidenti tracce delle modifiche apportate dai romani e gli assetti di epoca medievale.
L’antico quartiere Graziella
Storia, immagini, memoria, aneddoti e curiosità.
L'antico quartiere medievale della Graziella, confinava con il quartiere Sperduta, Bottai e Mastrarua.
Il quartiere, deve il nome alla particolare devozione dei pescatori e loro famiglie verso la Madonna delle Grazie e ciò è testimoniato dalle numerose icone e sculture mariane sparse lungo le vie Mirabella, Dione, Vittorio Veneto e Delle Grazie.
Ancora oggi mantiene l’assetto architettonico originario che nel tempo ha compromesso la stabilità e anticipato la fatiscenza con sovrastrutture, sopraelevazioni e nuovi corpi aggregati.
Nel 500 subì trasformazioni più degli altri quartieri, quando furono demolite le casette intorno alla chiesa di S. Paolo e, nel 700, quelle sulla linea di mare del primo tratto della Mastrarua fino al forte di S. Giovannello.
Il nucleo urbano era a forma triangolare, definito a sud dalla via Bottigarelli, oggi via Resalibera, ad ovest da via Scopari oggi via Dione, e ad a est dalla Mastrarua, oggi via Vittorio Veneto. Le tre strade si diramavano in vie e vanelle, penetrando nel cuore del quartiere, fino allo slargo di Santa Maria delle Grazie.
Era caratterizzato da una piazzetta centrale, largo Graziella, da vicoli e vicoletti, cortili, dammusi e un intricato dedalo di viuzze di origine araba.
Centimoli, (piccoli molini per il grano), azionati da muli del periodo inglese, e trappeti per la macinazione di olive, esistenti fino al 1837, recinti e corti racchiuse, alle quali si accedeva da un portale, botteghe di sartori, bordonai e carrettieri, riconoscibili anche dai carri parcheggiati per strada, bettole, casette dei pescatori, a piano terra, rese anguste dalla necessità di ricoverare gli attrezzi, dei contadini, più spaziose e dotate a volte di stalle per l'asino e il cavallo. Non esistevano cucine, si cucinava all'aperto.
Un tentativo di ristrutturazione avvenne con l’edificazione del carcere Borbonico che fino ad allora aveva sede in via delle Carceri Vecchie e con la demolizione dei piccoli tuguri dei marinai e dei vetturali.
Nel 1843, ad ovest, attuale via Emanuele De Benedictis, venne edificato quell’enorme blocco, “u dammusu”, nel tentativo di occultare le fatiscenze della Graziella e il groviglio spontaneo di case.
Nel 1853, furono demoliti i caseggiati compresi tra via Persichelli di fronte al Ramparo della torre Casanova e la vanella della Bagnara, che comporterà variazioni dell'assetto viario e degli spazi sociali tra persone e, nel 1841, le case a piano terra del piano dei Lettighieri.
Nel 1849, su progetto dell’ingegnere Luigi Spagna, che seguì, in parte il precedente progetto Alì, venne edificato il carcere borbonico, inaugurato nel 1856, e chiuso definitivamente nel 1991.
Il borbonico carcere, all’esterno, è di forma rettangolare, mentre all’interno la struttura ottagonale permette di abbracciare simultaneamente la vista di tutto il complesso. Sulla chiave di volta dell’arco d’ingresso è scolpito a rilievo un occhio ed è per questo che dai siracusani viene chiamato, “a casa cu n’occhiu”.
Largo alla Graziella, recentemente pavimentata, le vie Arizzi, delle Grazie e i vicoli Bonanni, Bagnara, sono le strade della Graziella che meglio esprimono i significati compositivi e funzionali di questo quartiere dei pescatori.
Via Resalibera. La via Resalibera, decumano minore in epoca romana, con analogo tracciato urbanistico della Graziella ricco di ronchi, vicoli e cortili, negli anni 60 era trafficatissima per le attività commerciali e artigianali che vi erano inserite. La veste architettonica, prevalentemente settecentesca, i balconcini barocchi a petto d'oca, i portali dalle decorazioni bizzarre, le fantasiose scale all'aperto, frammenti di colonne romane di granito, pannellini scultorei di pregevole fattura, stemmi di casati nobili, una maestosa ed elegante finestra seicentesca e i vari stili dei diversi periodi, documentano, meglio delle pagine di un libro, la storia di Siracusa. Il piano terra dalle case veniva adoperato come bottega o magazzino con le abitazioni al piano superiore.
Via Dione. La Via Dione, antico decumano maggiore, è il percorso più antico di Ortigia che conserva esempi di architettura minore del Settecento siracusano nei prospetti piccoli con eleganti balconate e mensole fantasiosamente decorate e grossi frammenti di costruzioni scampate al terremoto del 1693. In epoca fascista venne demolita la quattrocentesca Casa Pria in stile aragonese, tra i più significativi esempi della passata architettura. Il secondo tratto di via Dione, intricatissimo, pieno di vicoli e ronchi, che da via Resalibera conduce al mare, appartiene al quartiere Graziella.
La Fede genuina e popolare
Edicole votive e luoghi di culto
A nord della piazza, ronco 2° alla Graziella civico n°18, un tempo c’era la cappelletta dedicata a Santa Maria della Grazia, demolita nel 1864, e al suo posto, per ricordo, rimane l'edicola, che misura cm 115 x 180, ad essa intitolata e dalla quale alcuni anni fa è stata asportata la bella immagine in essa contenuta.
L’edicola in pietra calcarea e intonaco, è a forma di nicchia, con una aggettante mensola che sorregge due piedritti ricoperti da eleganti elementi floreali. Sovrastante la nicchia un frontone curvilineo, all'interno del quale, due volute ricurve e il simbolo di Maria coronato che domina sulla nicchia sovrastante. In alto, al centro, un crocifisso scolpito nella roccia calcarea completa l’estetica. In origine la nicchia era chiusa con uno sportello in legno e vetro e da un piano in legno. Il Quadro che era all'interno, che a sua volta sostituiva una scultura precedentemente rubata, era una stampa su carta, con una spessa cornice dorata e raffigurava, la Madonna precedente, in un atteggiamento più materno.
Edicola nel cantonale tra via Dione e via dell’Apollonion. Realizzata in malta cementizia e legno, 50 x 90 centimetri, a nicchia che fuoriesce dalla parete, riparata da una piccola tettoia a due falde che segue la linearità del frontone triangolare. In origine era dedicata alla Madonna della Provvidenza, raffigurata col bambino in un abbraccio affettuoso, stampata su carta. Oggi vi è un dipinto del 2012 firmato da Salvatore Accolla, che raffigura la Madonnina delle Lacrime.
Edicola in via Dione, civico n.134. Non si hanno notizie a chi era dedicata. Misura 107 x 170 centimetri. Dalla forma semplice, a nicchia rettangolare, con cornice in pietra calcarea e intonaco color ocra è arricchita, nella parte superiore, da un frontone triangolare aggettante. Era protetta da uno sportello in legno con vetro e da un cancelletto in ferro battuto ancora esistente.
Edicola in via Apollonion, accanto alla chiesa di San Paolo, dedicata in origine alla Madonna della Provvidenza, era rappresentata in un dipinto su tavola, a mezzo corpo, seduta, avvolta nel manto e in una tunica, aureolata, e sul braccio destro il Bambino Gesù. Misura 78 x 100 centimetri, a nicchia ed è inserita all’interno di un portale a bugne, murato e rivestito in marmo e con la chiave di volta decorata da uno stemma in parte distrutto. Oggi, all’interno, c’è un dipinto della Madonna delle Grazie racchiuso in una cornice color oro e protetto da un vetro e un cancelletto in ferro.
Edicola in via Dione n° 27, dedicata alla Madonna della Catena, 110 x 160 centimetri, a nicchia paretale. Nel dipinto su tela del sec. XIX°, la Madonna col Bambino è rappresentata insieme a due fedeli all’interno di una stanza o cella con una finestra a barre da cui penetra un fascio di luce divina. Restaurata nel 1960 quando furono inserite delle lastre di marmo lungo la cornice esterna e la mensola d’appoggio, contornata da balaustra in ferro battuto e sostenuta da due cagnoli rivestiti anch’essi in marmo. In origine era più semplice e protetta da una porticina in legno.
Edicola in via Resalibera civico n. 21, 40 x 50 centimetri, dedicata a Gesù e San Giovanni Battista, scolpiti ad alto rilievo, entrambi in tunica. A nicchia, in pietra calcare, arricchita da una decorazione a conchiglia. La statuetta di Gesù, a destra, è aureolata, mentre San Giovanni, a sinistra, è acefala e con bastone.
Edicola in riva della Posta, angolo via Raffaele Lanza, con le originali modanature architettoniche che racchiudono la nicchia all’interno della quale è la statua dipinta di Santa Lucia in un tipico atteggiamento di implorazione verso il cielo. Le mani sorreggono i classici simboli del martirio. Gli occhi e la fiamma, rappresentano la luce e la palma che rappresenta più propriamente il martirio. La lastra di marmo sottostante ricorda ai posteri i terribili avvenimenti del terremoto che colpì Messina nel dicembre del 1908.
Edicola in via Resalibera, civico n.23, a nicchia, con arco a tutto tondo racchiusa da un cancelletto in ferro battuto e all’interno, una statuetta di Santa Lucia.            
Edicola in via Paolo Sarpi civico n. 5, 90x120 centimetri, in malta cementizia, a nicchia, un tempo dedicata a San Nicola di Bari, oggi in disuso ed in pessime condizioni. Dalle linee geometriche essenziali, presentava due piedritti privi di decorazione, sormontati da un architrave e un frontone triangolare leggermente aggettante. Uno sportello in legno e vetro e un cancelletto in ferro battuto, sopra una mensola in marmo sporgente dieci centimetri, proteggevano l’immagine dalle intemperie e furti. L'immagine del Santo era in stampa su carta, con la mitra e in veste di arcivescovo di Mira e col bastone episcopale, aureolato.
Edicola in via San Pietro, civico n. 2, incrocio via Resalibera, dedicata a San Giuseppe con la statua del Santo che tiene affettuosamente per mano il Bambino già cresciuto, opera di Luciano Pistelli datata 19 marzo 1928, in legno, cartapesta e stucco. L’edicola è in pietra da taglio e misura cm 135 x 200, a nicchia, con larga fascia a forma di arco a tutto sesto che poggia su una mensola sormontata da un articolato cancelletto in ferro battuto che ricopre uno sportello in legno. Una tettoia ripara l’edicola dalle acque piovane. Sul muro, sotto l’edicola, vi è una lastra in marmo grigio in cui sta scritto: A TE O BEATO GIUSEPPE STRETTI DALLE TRIBULAZIONI RICORRIAMO E FIDUCIOSI INVOCHIAMO IL TUO PATROCINIO.
In via Sarpi, tra i ronchi I° e II° a San Nicola, vi era la chiesa del convento di Montesanto o San Nicola di Bari, dove nel 1653 si erano traferiti i Carmelitani che vi restarono fino al 1735, quando venne demolita, assieme alle case adiacenti, su ordine del marchese Diego Orsini, comandante della piazzaforte spagnola. Venne ricostruita e nel 1905 fu demolita, su determina del Prefetto, per motivi di sicurezza. Nel cortile del ronco V° alla Graziella, un rosone e un'iscrizione, ricordano l’antica chiesa.
Gli edifici di culto più importanti del quartiere, edificati quasi certamente con i materiali in buona parte sottratti ai monumenti della classicità, sono:
La basilica di San Pietro, del IV° secolo che è una delle più antiche chiese di Ortigia. Nel VII° secolo, furono spostate, da ovest ad est, la facciata e l’abside e venne ampliato il complesso con l’aggiunta di un nuovo corpo di fabbrica, ossia un transetto tripartito e mono absidato. Nei primi anni del 400 vennero chiuse le precedenti aperture e realizzato il portale gotico attualmente esistente. La chiesa, oggi è auditorium, ed è uno dei pochi esempi in Ortigia di uso corretto del patrimonio storico-artistico.
La chiesa di San Paolo venne edificata nel XVII° secolo nel sito dov’era l’antica basilica paleocristiana. È ad un’unica navata, ricca di elementi architettonici in stile barocco, come la volta a botte e i bassorilievi geometrici che la adornano e agli altari sormontati da prestigiose opere d’arte sacra, tra le quali, un crocifisso in legno. La facciata è coronata da un elegante frontone triangolare con il portale circondato da colonne corinzie che sorreggono due timpani. Quello superiore di forma semicircolare e quello inferiore, spezzato, con al centro una targa in latino in memoria della visita di San Paolo alle comunità cristiane di Siracusa. Più in alto, in un rosone di vetro policromo, è raffigurata l'effige del Santo. Sul timpano l’iscrizione che ricorda la visita di San Paolo a Siracusa, “HIC OLIM SYRACUSIS TRIDUO MANENTIS”.
La chiesa di San Pietro al Carmine, annessa al convento dei Carmelitani riformati, si trova in piazza del Carmine, di fronte all'antico monastero del Ritiro. Venne edificata nel XVII° secolo sull’antica chiesa trecentesca della quale, alcuni elementi, sono visibili all'interno. È a tre navate, delimitate da quattro archi a tutto sesto per ognuno dei due lati, ed è impreziosita dagli altari e 2 statue di marmo di Sant’ Agata e Santa Lucia, poste ai lati dell'altare maggiore. Delimita la navata centrale, un panneggio di stucco a frange dorate raccolte in un nodo, sulla cui sommità vi è uno scudo crociato sostenuto da due putti. Nel 1750, la chiesa e la cappella della Madonna vennero fatte restaurare da Giuseppe Arezzo, Barone della Targia.
Convento dei Carmelitani riformati. Intorno al 1555, i Carmelitani riformati, che seguivano la regola di Sant’Alberto, edificarono il loro convento e la chiesa, dedicandola, a Santa Maria Otrigidia, come la precedente che era stata demolita. La chiesa venne edificata nei terreni donati dalla signora Tommasa de Bolena, attuale piazza del Carmine. Nel 1866 il convento fu trasformato in caserma dei Carabinieri Reali. In seguito, l'immobile, restaurato, venne utilizzato come scuola e poi abbandonato all’incuria.
Anche le abitazioni private del quartiere vennero edificate con i materiali delle macerie ammonticchiate negli spazi comuni a seguito del terremoto del 1693 e, con grossi blocchi squadrati di calcare, sicuramente asportati dal vicino tempio di Apollo che sono ancora visibili nei cantonali e nelle fondazioni di via Arizzi.
Le zone più povere e degradate del quartiere erano la Bagnara e la Carrubba, così chiamata per l'unico albero ombroso del rione privo di altri spazi verdi, mentre nelle vie Appia e della Solitudine, parallele a via Resalibera, vi erano case a piano elevato con accurate rifiniture, spesso con terrazzi eleganti e soleggiati, come quella di don Salvatore Urso e di don Salvatore Stella, ricchi borghesi arricchiti con il commercio e le piccole industrie, del sacerdote Luciano Miceli, e la gradevole abitazione della vedova Buttafuoco sulla omonima via.
I Ronchi, veri e propri luoghi di socializzazione tra gli abitanti che ne fruivano, nacquero successivamente da corruzione dei cortili, divisi a metà da nuovi edifici. Da via Scopari, i cortili si ramificavano in vicoli e vanelle e, comunicando tra loro, si raccordavano tutti al largo della Graziella.
Nei ronchi, profondissimi e tortuosi, le case avanzano e retrocedono senza alcun ordine e si incastrano quasi a soffocarsi in un disordine architettonico che permane in tutto il quartiere e particolarmente, nel ronco del Carmelo, nel vicolo Ildebrando e nel ronco 1° alla Resalibera.
Nel Ronco I° e nel Vicolo Ildebrando, fino agli anni 60, erano ancora visibili le lastre di lava della pavimentazione stradale voluta dall'Adorno nel terzo quarto del XIX secolo.
Il cortile, legato ad una cultura popolare molto antica, era arredato spesso da un'edicola votiva, dalla pila per lavare i panni o ancora dalla fontana e da tante piante di basilico e di fresche campanelle, testimonianza di una piccola società a misura d'uomo.
La condizione sociale degli abitanti era leggibile nella vivacità della toponomastica. Dagli scopari, ai cofìnari, ai sartuzzi, ai quartarari, cortile dei ciaravoli, “guaritori”, il cortile dello Rabito, la contrada Tagliavacche, la casa di Giacomo lo sfasciato, la cantonata di Sebastiano Rizza, alias Caronte, forse un battelliere, che per evitare la strada dei Pantanelli, spesso intransitabile, traghettava merci e persone dall'Anapo a Porta Marina.
Camminando per le vanelle, piene di vita, dove gli artigiani vi esponevano i manufatti, si imparava a conoscere la grande famiglia cittadina.
Le mura creavano un sentimento di unità tra gli abitanti e, al tramonto, si chiudevano le porte della città che isolata dal mondo esterno, piombava nel buio rotto solo da pochi fanali a olio e dalle fiammelle tremolanti davanti alle immagini sacre.
Nonostante le case poverissime, ricavate nel nulla, la miseria e il degrado, alla Graziella si respirava un’aria di intimità e colore che rendevano unico il quartiere.
storie e curiosità
memoria e ricordi
Ronco del Carmelo, “u cuttigghiu e pocci” così chiamato perché un tempo, pare sia stato abitato da Ebrei che allevavano i maiali.
Tra le tante bettole del quartiere, la più famosa e frequentata, era la famosa “’ncantina di Pilluccio”, aperta nel 1918 da Giuseppe Favara inteso Pillucciu. Nel 1936 la gestione passò al figlio Sebastiano Favara, “u zu Ianu Pillucciu”, che la gestì fino alla chiusura avvenuta negli anni 70. Era sita in largo alla Graziella, civico n.31 e nei giorni di mal tempo e tempesta, quando non si poteva andare per mare o lavorare nei campi, luogo di socializzazione e ritrovo di pescatori e contadini. Ottimo vino, e pietanze a base di polpo, uova sode, lumache, (‘ntuppateddi, crastuna e babbuci), legumi, (fasola, ciciri, lenticchia e favi), e poi, tutti i ”pitiddeddi”, anche a credito, (a crirenza), con debiti che si pagavano puntualmente a fine settimana o con i guadagni del primo lavoro.
La tragedia del "Nova Margherita". Intorno alle ore 16 del 12 marzo '52, il peschereccio "Nova Margherita", fu distrutto dallo scoppio di un siluro a ridosso della costa sud di Siracusa, nella piccola rada di Massoliveri, tra l'imboccatura del Porto Grande e Capo Murro di Porco, là dove qualche anno dopo, sarebbe sorto il villaggio turistico "Il Minareto".
L'equipaggio del "Nova Margherita", aveva recuperato nei fondali del porto, un siluro inesploso, triste residuato degli attacchi bellici della seconda guerra mondiale.
9 le vittime della tragedia e un sopravvissuto, Sebastiano Bordato, Francesco Bandiera, comandante, Egidio Cappuccio, Angelo Cappuccio, Francesco Mincella, Angelo Mincella, Angelo Romeo, Salvatore Lentinello, Corrado Caldarella, l'unico superstite, Sebastiano Veneziano, deceduto nel 1980.
Nel 1957 furono chiamati sposi in bottiglia. La vicenda ebbe origine dal lancio in mare di nove bottiglie nel canale di Gibilterra, una delle quali, quella lanciata da Edor PeraKe Viking, un cuoco svedese, imbarcato nel 1957, dove vi era un suo messaggio d’amore. Galleggiando per miglia e miglia, la bottiglia, giunse nelle acque di Siracusa, dove venne raccolta da un pescatore zio di Paolina Puzzo di 18 anni, nel 1957 abitante a Siracusa in vicolo Bonomi 38 che contattando il marinaio, un anno dopo la sposò e il matrimonio venne celebrato nella vchiesa dei Miracoli il 4 Ottobre 1958 come da certificato di matrimonio di quella parrocchia, n.233, e oggi vivono in Svezia, precisamente a Fkara a 250 km da Stoccolma.
A proposito della via, oggi Resalibera, secondo testi citati da Federico Fazio, in origine pare dovesse essere Salibra. L’etimo, riconducibile al periodo arabo, sembra riferirsi ad una croce o ad un incrocio. la Salibra, scrive Capodieci nel 1810, «si diceva ancora in questo tempo [1430] delli Petri Niuri» e nel 1225 aveva ospitato i Padri Conventuali.

Siracusa quinto itinerario
quartiere Maestranza
la Maestranza
premessa storica
In epoca greca e romana, la via della Maestranza, secondo gli archeologi, era il decumano maggiore che, orientativamente, seguiva il tracciato dal belvedere San Giacomo e via Amalfitania incrociando il decumano via Dione via Roma.
Gli scavi archeologici condotti nel tempo hanno portato alla luce, sotto palazzo Pizzuti, all’angolo fra via Roma e via Maestranza, avanzi di un edificio monumentale pubblico di epoca greca attestato lungo un decumano della città antica confermando l’assetto abitativo originario della zona;
anche gli scavi archeologici del 1977-1980-1996 e1998, nell’area compresa fra via Roma, convento di Santa Maria e via del Labirinto, hanno portato alla luce, resti di strutture risalenti all’età proto-storica fino all’epoca moderna che hanno confermato l’ipotesi di ricostruzione della maglia urbana antica;
in particolare, nel 1978, durante i lavori condotti nella zona della Prefettura, sono stati portati alla luce una serie di pozzi di varie dimensioni contenenti ceramiche di produzione locale, etrusca, fenicia, corinzia, argiva e greco-orientale che, secondo Fouilland, dimostrerebbero l’esistenza di un santuario nel sito sotto il Palazzo della Prefettura;
sempre nello stesso anno1978 è stato ritrovato un asse viario disposto in senso ovest-nord-ovest/est-sud-est, di metri 2,50/2,80 di larghezza, scoperto ed esaminato per circa 40 metri di lunghezza. La strada, delimitata sui lati nord e sud da muri in pietrame, constava di una serie di dieci livelli pavimentali sovrapposti, di cui uno solo dei più recenti in acciottolato. I frammenti ceramici inseriti sui battuti stradali hanno permesso di datare la realizzazione del primo tracciato viario intorno al 700 a.C.
I ritrovamenti di fondamenta di strade di epoca molto antica, forse anche proto-storica, resti di una capanna della parte finale della facies di Cassibile, resti di abitato indigeno della prima metà del IX° secolo a.C. e materiali vari di origine greca e romana, databili in periodi che vanno dal III° all’ VIII° secolo a.C., dimostrano la frequentazione millenaria dello “scoglio” Ortigia.
L’antico quartiere della Maestranza.
Storia, immagini, memoria, aneddoti e curiosità
Nel medioevo il quartiere, secondo Paolo Giansiracusa, confinava con il quartiere Mastrarua, Giudecca, Sperduta e Bottai. Oggi comprenderebbe l’intera via della Maestranza, da largo Belvedere San Giacomo fino a piazza Archimede esclusa.
In epoca medievale asse antico di collegamento tra la via Mastrarua e via Roma, era la strada rappresentativa della nobiltà locale e del potere laico cittadino.
Nel 1693 fu quasi interamente distrutta dal terremoto e ristrutturata nel 700. Gli edifici sorsero quasi sempre sui perimetri delle costruzioni precedenti e, ancora oggi, i ricordi architettonici della città quattrocentesca, sono visibili nelle parti basse e interne, sotto o dentro le strutture barocche di molti edifici nobiliari.
I nobili. incaricarono abili architetti, capi-mastri e i più abili scalpellini, i quali, utilizzando le pietre più pregiate, realizzarono una unità architettonica inimitabile, in un susseguirsi pressoché ininterrotto di antichi palazzi che, in epoca barocca, vennero abbelliti da cornicioni, mascheroni, balconate in ferro battuto e da mensole scolpite.
Da sempre, è il settore della città più rappresentativo, elegante e scenografico, nei suoi edifici nobiliari e nel gusto e le idee che diverse generazioni di architetti, capi-mastri e scalpellini profusero. Quasi tutti i palazzi, al piano terra, presentano alti e profondi ambienti utilizzati come magazzini e/o botteghe “putie” dalle maestranze artigiane della città.
Fino agli anni 60/70, era il settore più dinamico ed attivo di Ortigia, caratterizzato da attività commerciali e artigianali di ogni genere comprese farmacie, librerie, rivendite tabacchi, bar e pasticcerie.
Le condizioni strutturali e funzionali della sua architettura sono rimaste pressoché immutate dal XVIII° secolo ai nostri giorni.
Via della Maestranza, una via da leggere attentamente in una grande passeggiata tra le vestigia settecentesche, forse uniche del genere. Partendo da Piazza Archimede il primo palazzo a destra, dall’originale cantonale, angolo via Roma è palazzo Interlandi-Pizzuti, civico n.2. Edificato nel XVIII° secolo, sull'area del precedente palazzo Landolina, in stile barocco, venne arricchito successivamente con elementi in stile liberty. I portali di ingresso sono ad angolo e nelle due facciate, una sulla via della Maestranza e l’altra in via Roma, contraddistinte da una serie di arcate con chiave di volta liberty e con decorazioni geometriche.
Nel basso centrale, angolo via della Maestranza-via Roma, negli anni 50/60 vi era lo storico calzaturificio "Varese".
Di fronte, al civico n.1 di piazza Archimede, angolo via della Maestranza, un tempo palazzo Zummo, (1628), e poi Corvaja, opera di Giovanni Vermexio. Distrutto dai bombardamenti del 1943, venne demolito e al suo posto venne edificato il palazzo ex Cassa di Risparmio V. E. di Gaetano Rapisardi, oggi sede della Prefettura.
le sculture che adornano i balconi sono opere dello scultore, siracusano di adozione, Salvo Monica, grande artista nato ad Ispica
per evitare di trascurare qualcosa proseguiremo a zig zag per visionare e conoscere i palazzi a destra e a sinistra della via.
Sulla via della Maestranza, civici n.7/9/11, c’è palazzo Dumontier. Venne edificato nel XVIII° secolo ed è contraddistinto da un interessante portico al piano terra realizzato con colonne romane riutilizzate. In proposito Serafino Privitera, “Storia di Siracusa antica e moderna», Napoli 1879”, scrisse: “altre otto, colonne di granito egizio, ne furono appresso situate ad ornato e sostegno della loggetta in casa dei Signori Dumontier alla Maestranza”.
Sempre a sinistra, al civico 13/15 e seguenti, c’è palazzo Impellizzeri-Vianisi, edificato nel XVIII° secolo e successive modifiche del XIX° secolo quando, nel 1894, venne realizzato il pesante prospetto esterno. All'interno si conservano graziose strutture settecentesche tra cui una bella loggia.
Nel basso, al civico n.13, negli anni 50/70, vi era la storica salumeria del cavaliere Silvio Guido, il più rinomato negozio della città dove si potevano acquistare i migliori salumi e le più profumate miscele di caffè tostato.
Di fronte, a destra, civici 4 e seguenti, palazzo della Prefettura che in realtà è l’antico convento di Santa Maria delle Monache con la facciata principale su via Roma e il retro su via del Laberinto.  Fu in parte danneggiato dai bombardamenti del 1943. La parte che è su via Roma, fu anche caserma delle camice nere fino alla fine della guerra.
All’interno, con ingresso da via del Laberinto, nella parte posteriore dell’antico monastero di Santa Maria delle Monache, c'è la sala del consiglio provinciale.
Nella via del Laberinto, sulla destra, il portale d'accesso al convento con arco, tipicamente tardo-medievale e siracusano, con i suoi conci a ventaglio e le terminazioni della cornice con dei peducci ornati in stile catalano. Il dammuso che sovrasta l'imbocco, passaggio sospeso e coperto tra due edifici, consentiva il passaggio ai religiosi senza uscire nella pubblica via.
L’aula consiliare della provincia, risistemata negli anni 1870 e seguenti, su progetto di Gaetano Avolio, con lavori diretti dall'Ingegnere Capo dell'ufficio tecnico Luigi Schisano, eseguiti dalla ditta Giuseppe D' Aquino, che realizzò le decorazioni in legno noce, mentre quelle su pietra da taglio sono opere di Salvatore Agati e Luciano Patania. L’aula consiliare della provincia, attiva dal 1870 è stata utilizzata fino al 1970.
Nei bassi di via della Maestranza, oggi civici 20/22, c’era la casa del Libro fondata nel 1930 da Matteo Mari, titolare della SEI filiale di Catania, e nel 1936 ceduta a Rosario Mascali, poi gestita dal figlio Lorenzo che la cedette all’attuale proprietaria. Nei bassi, civici 26/28, il negozio di tessuti di Mascali Giusto.
Di fronte, angolo via dei 4 Santi coronati, civico n. 33, palazzo Bonanno, edificato tra la fine del secolo XVII e l’inizio del XVIII dall'omonima famiglia Bonanno aristocratica feudataria di Belvedere e delle contrade limitrofe. Sull’arcata del portone si legge la data del 1762.
Il palazzo Bonanno pervenne a Vito Verga negli anni 40. Al civico n. 35 vi era la farmacia Siena, marito della figlia di Verga. Noi bambini della zona salivamo, pericolosamente, sulle rovine del palazzo per vedere il film nella limitrofa Arena Verga che aveva l'ingresso da via dei santi coronati.
Nei bassi, civici n. 41/43, c’era l’eccellente e rinomata pasticceria Marciante e, al civico 45, all’interno del cortile, oltre a numerose case di abitazione, anche la falegnameria del maestro Aprile.
Di fronte, a destra, ai numeri civici dal 50 al 56, angolo ronco Capobianco, palazzo Zapata- Gargallo, ricostruito nel Settecento su strutture catalane preesistenti, conserva ancora intatta la sua imponente scala esterna di fattura catalana e alcune graziose finestre del piano nobile che danno sul cortile.
Nei bassi, ai civici dal n.50 al n.56, la storica libreria di Adolfo Tageo. Negli ampi locali, anche se la sala vendita era piccola, organizzò a Siracusa il mercatino del libro usato che consentiva alle famiglie indigenti di poter comprare a buon prezzo i libri per i loro figli.
In fondo al ronco Capobianco, il convento del SS. Salvatore e la facciata della settecentesca chiesa di Santa Teresa, chiusa al culto il 19 giugno 1924. Negli ampi locali, fino a tempi recenti, c’era una tipografia.
In via della Maestranza, ai civici dal n. 58 al n. 64, angolo ronco Capobianco, il palazzo Regina. Nei bassi, negli anni 50/60, vi era la merceria Lombardino e accanto la rivendita di bombole della Pipigas.
Di fronte, al civico n.55, palazzo Spagna, edificato nel 1762. Al piano di sopra conserva una quattrocentesca finestrella in stile Tudor. Nei bassi, anni 50/60, vi era la storica farmacia Carbone, e più giù, ad angolo, con ingressi da piazza Corpaci, il negozio di tessuti fratelli Italia.
A destra, civico n.72 e adiacenze, palazzo Romeo Bufardeci dall’imponente facciata a quattro ordini architettonici. Venne edificato nel 1840 come si rileva nella lastra di lava all’ingresso. All'interno un interessante portico-colonnato ad “U”, notevolmente alto per dare luce agli ambienti del piano ammezzato, mentre al piano terra, sotto il portico, un tempo vi erano alcune botteghe artigiane e commerciali e, quindi, l'edificio aveva la triplice funzione commerciale, artigianale e residenziale. Accanto, al civico n. 80, negli anni 50/60, c’era il popolare bar Bottaro, frequentato da contadini e operai.
Di fronte, nella piazza Corpaci, la chiesa dell’immacolata, un vero museo di sovrapposizioni stilistiche e di stratificazioni strutturali antiche del XIV° secolo, (le maestose due arcate gotiche del presbiterio), e del XV secolo, le crociere della sagrestia, coeve alle tracce del chiostro dell'originario convento di San Francesco, che sorge sul lato nord.
Sono inoltre visibili alcune opere di ristrutturazione del XVI secolo, (le arcate dipinte sul fianco nord della navata), e le grandi opere di completamento, attuate nel XVIII secolo, da Pompeo Picherali. La facciata, costruita tra il 1762 e il 1769, con il suo volume convesso e l'apparato decorativo, ricordano le opere di Luciano Ali.
Lungo la facciata laterale, nei bassi civici 69/71, la sala da barba Scapellato, e più giù, civico 81, ingresso secondario della chiesa, il calzolaio Miceli, padre del mio amico Pippo.
Negli anni 50/60, la parrocchia era retta da padre D'Asta aiutato dallo zio padre Ferrante. Era un luogo di accoglienza per noi bambini della zona e li trovavamo il modo di giocare e fare dello sport che ci aiutava crescere. L'Associazione cattolica giovanile era curata dal presidente Sergio Infantino, attento e disponibile studente universitario, poi missionario all’estero.
Di fronte, al civico n.90, palazzo Ardizzone. Negli anni 50/60, nel basso, mi pare al civico 92, c’era un ufficio postale.
Accanto, civico 104, palazzo Blanco di origine quattrocentesca e con lo stemma gentilizio sulla chiave di volta dell’ingresso.
Di fronte, civico n.93, palazzo Migliaccio-Reale.
Accanto, al civico 108, palazzo Reale-Riscica del XVIII secolo, con un interessante portale a larghe bugne e, sulla chiave di volta lo stemma della famiglia Strangers.
Di fronte, civico n.110, palazzo Daniele-Rizza, ricostruito nel Settecento su strutture quattrocentesche ancora visibili nella cortina muraria a conci squadrati della inconfondibile tecnica chiaramontana, sebbene radicalmente trasformato.
Al civico n.112, palazzo Pancali.
Di fronte, civico n.93, palazzo Bucceri Cassone, dove negli anni 50/60, all’interno dell’ampio cortile, vi era il cinema Olimpia.
Al civico n.114, palazzo Pisacane, dove negli anni 50/70, c’era il panificio Ventura.
Di fronte, al civico n.99, palazzo Impellizzeri, del XVIII secolo, contraddistinto da tre ordini architettonici, fantasiose balconate ed un interessante frontone con il fregio sopra il balcone principale datato 1894. All’interno, nella pavimentazione policroma, la lettera "G" della Loggia massonica di appartenenza e stemmi dei casati.
Al civico n.111 di via della Maestranza, angolo via Vittorio Veneto, già Mastrarua, altro palazzo Impellizzeri dove abitava il mio compagno scolaro Benito Di Marco, poi avvocato.
Di fronte, al civico n.136, angolo Belvedere San Giacomo, palazzo Bozzanca-La Rocca dove abitava il mio compagno scolaro Gervasi, poi Notaio.
La via della Maestranza finisce in Largo Belvedere San Giacomo, così chiamato perché in epoca spagnola c’era il bastione San Giacomo, edificato nel XVI secolo e demolito nel 1883.
Negli scogli a mare, negli anni 50/60, ogni anno veniva realizzato, da Don Severino Di Mauro, detto “culu i truscia”, lo stabilimento balneare “Nettuno”. Noi ragazzi ne fruivamo, senza pagare il biglietto, nuotando dagli scogli della limitrofa Santa Croce.
Don Severino, che aveva in concessione dal Demanio i due grandi scogli sottostanti Belvedere San Giacomo, nei difficili anni del dopoguerra, già nella prima metà di giugno di ogni anno, sistemava pali e tavolacci per far funzionare al più presto lo stabilimento “Nettuno”, che permetteva ai siracusani di bagnarsi in un mare limpidissimo a quattro passi da casa e che veniva costruito con tavole di legno grezzo dipinte a mano.
Le cabine che si prenotavano in un chioschetto, proprio all'imbocco della scala che conduceva sulla piattaforma di legno, erano costruite su palafitte nelle quali, all'interno, c'erano delle botole che permettevano alle donne di accedere direttamente in mare tramite una scaletta, senza così essere viste dagli uomini. Durante un'improvvisa mareggiata con mare forza otto, il Lido fu completamente distrutto e non fu più realizzato.
13- Faccia disperata. (Belvedere San Giacomo) Guarda che spettacolo la natura, le onde del mare di traverso coprono lo scoglio a punta. Schiuma bianca al largo è l’Isola dei Cani. Il tempo si ferma per ricordare. Il canto squillante del gallo di donna Pudda sveglia il quartiere. Un contadino esce di casa di primo mattino per incominciare presto la sua giornata. Lui va! Il grecale sbatte il mare sopra la costa, schizzando le donne disperate che aspettano il rientro dei loro uomini. È il punto più alto della costa per vedere le barche entrare nel porto. Notte insonne dovettero passare per l’amaro pane all’acqua e al vento. Una voce grida e tutte in coro sono qui! sono qui! Nessuno manca all’appello, meno male!
Siracusa sesto itinerario
Il quartiere Maniace
Premessa storica
I luoghi dall'origine ai nostri giorni
Le fonti storiche tramandano che nell’estrema cuspide meridionale di Ortigia, in epoca greca, vi era il tempio di Hera e in tarda età repubblicana la dimora di Verre.
Secondo gli archeologi, il decumano maggiore, direttrice tempio di Apollo-tempio di Athena, attuale via Dione-via Roma, proseguiva fino a giungere e collegare il tempio di Hera.
Le ricerche condotte nel 1926 da Paolo Orsi, non confermarono l’esistenza delle strutture greche e romane citate dalle fonti, e nemmeno elementi utili alla individuazione di quelle bizantine e arabe.
Gli storici tramandano che nel 1038, il capitano bizantino Maniace, fece edificare in quel luogo una torre di difesa militare.
Federico II di Svevia, Hohenstaufen, “stupor mundi”, (1194 - 1250), in quello stesso sito fece edificare il monumentale “castello”, chiamato impropriamente Maniace, a partire dal 1232 e completando i lavori di fortificazione nel 1239, come si evince dalle famose lettere lodigiane datate 17 novembre 1239, inviate da Federico a Riccardo da Lentini.
Durante i lavori di restauro, l'esame sui conci messi in opera nella fabbrica federiciana, hanno rivelato il reimpiego di materiali di spoglio sia greci che bizantini, provenienti dalle costruzioni preesistenti nel sito.
Nel corso dei secoli, come tutta Ortigia, il quartiere subì gravissimi danni a causa dei vari terremoti del 5 e 10 agosto 1542 e del 9 e 11 gennaio 1693, che fece crollare il campanile della chiesa di Santa Maria della Porta sopra Aretusa oltre a varie mura e case.
La notte del 5 novembre 1704 un fulmine cadde sul castello facendo scoppiare la polveriera e la violenta esplosione distrusse la chiesa e il torrione.
Nonostante il funesto terremoto del 9 e 11 gennaio 1693 rimasero alcune strutture medievali ancora oggi visibili.
Il quartiere Maniace
Storia, immagini, memoria, aneddoti e curiosità.
Antichissimo quartiere ricco di storia, monumenti ed edifici nobiliari che raccontano la magnificenza e la potenza, anche militare, della città.
Nel sottosuolo, mai scavato archeologicamente, salvo sotto il Maniace, sicuramente esistono tracce di frequentazione indigena, sicula e greca e, in particolare, l’antica via sacra che collegava il tempio di Hera sulla punta estrema di Ortigia ai templi di Apollo ed Athena in prosecuzione del decumano maggiore, attuale via Dione-via Roma.
Nel medioevo, era racchiuso e contornato da alte muraglie del Maniace, separato dall’abitato da profondi fossati, e dalle alte mura del lungomare di levante, Ortigia, e di ponente, Alfeo.
Il quartiere, secondo Paolo Giansiracusa, confinava con il quartiere Duomo e il quartiere Giudecca, (via Capodieci Turba e via Serafino Privitera).
Storicamente era caratterizzato da funzioni militari difensive con le fortificazioni e il castello, ma anche sede di antichi e operosi mulini, concerie e botteghe artigiane per la lavorazione del pellame per l’abbondanza di acqua dell’Aretusa e di tutta la zona circostante, come documentato dal Gaetani e dal Capodieci nei loro Annali di Siracusa.
Ancora oggi conserva la configurazione architettonica e urbanistica descritta dal Privitera, e, nonostante l'incuria, una omogeneità architettonica e urbanistica difficilmente riscontrabile in altri settori dell'isola.
Dal Duomo, percorrendo la via Pompeo Picherali, si giunge alla storica fonte Aretusa, cantata da poeti e viaggiatori.
L'acqua del fonte Aretusa, l’occhio della Zillica, in mare nei pressi della fonte, come tutte le polle d’acqua di Ortigia sono alimentate dal bacino sotterraneo che secondo i geologi, si trova nella profondità del porto grande.
Come bene ha documentato il Mauceri, in effetti è uno dei tantissimi sfoghi della falda freatica iblea, la stessa che alimenta la fonte Ciane dal lato opposto del Porto Grande.
Attraversando terreni calcarei, spesso fragili e permeabili, le acque si incanalano sotto terra e ricompaiono in superfice appena incontrano un terreno roccioso poco permeabile.
La fonte Aretusa sgorga a circa 0,65 metri sul livello del mare e risente dell'influenza delle stagioni, delle alluvioni, e di tutti quei fenomeni che nel territorio si possono verificare.
Durante il terremoto del 1169 la fonte seccò per qualche giorno e quando le acque ricomparvero, erano salmastre.
Nel 1506 scomparvero e diedero vita a molte altre fonti; nel 1623 crebbero per 3 giorni fuori misura; nel 1793, a causa di alcune alluvioni, cominciarono a scorrere per 3 giorni torbide per la terra; nel 1870, essendo piovuto poco per parecchi anni, le acque dell'Aretusa e di tutte le altre sorgenti e dei pozzi vicini, scomparvero per ricomparire e scorrere normalmente col ritorno delle piogge.
La fonte, in epoca greca, era fuori le mura difensive della città ed era raggiungibile da una scala profondissima scavata nella viva roccia e dalla porta chiamata Saccaria che si trovava nella muraglia attuale largo Aretusa.
Secondo il Mauceri, sul lato meridionale della casa Politi, vi era la chiesa di Santa Maria della Porta, distrutta dal terremoto del 1693 e non più riedificata.
Ricostruzione congetturale della fonte e delle fortificazioni, in epoca greca, a cura di Luigi Mauceri.
Largo Aretusa, in epoca spagnola, era il bastione Fontana edificato nel XVI secolo con l’annessa porta Saccaria realizzata nel 1762.
In epoca Borbonica, il bastione, separava ermeticamente l’attuale villetta Aretusa, dov’era lo slargo e il piccolo molo con la Casina sanitaria, dalla mitica fonte Aretusa.
Non esistevano ancora l’attuale passeggio Adorno e la villetta Aretusa realizzati alla fine dell’800.
Ogni sera, al tramonto, il sole indora il ponente e inebria gli amanti di questa terra.
12-Ortigia amuri miu. Vadda chi beddu tramontu se ti metti o spiazzettu, viri u suli e pantaneddi s’arrizzetta ‘nta l’iblei. Veni veni furasteri ccà passò a storia ‘ntera. Vadda sta funtana bedda, nesci frisca i sutta terra. Archimedi ‘nta so sfera ‘mmaginò stu gran futuru, ‘nta sta costa frastagliata anniricò tanti straneri. Viri chi magni cenza ri sti pettri antichi ie saggi. Veni ccà tra mari e suli ‘nta stu ciauru celesti. Quanta é bedda ccà a staciuni, sunu quattru e pari una, ‘nta stu locu ri malia tanti già passaru i ccà. Ri chiù granni fommu capaci ri puttalla a ‘sta ruvina, quanti  gghi strummintusi appò na scappari fora. Nuddu ié profeta rintra ‘nta sta terra futtunata, sulu quannu arriva a morti i chiangemu tutti pari. Veni veni viandanti ca u viddicu ié sempri ccà, ’nta sta terra luminusa ‘ncuminciò a civiltà.
12. Ortigia amore mio. Guarda che bel tramonto dal passeggio Aretusa, vedi il Sole ai Pantanelli si sistema tra gli Iblei. Vieni vieni forestiero qui passò la storia intera. Guarda questa fontana bella, sorgere fresca da sotto terra. Archimede nella sua sfera immaginò questo gran futuro, in questa costa frastagliata bruciò tanti stranieri. Guarda la magnificenza di queste pietre antiche e sagge. Vieni qui tra mare e Sole in questo profumo celeste. Quanto è bella qui la stagione, sono quattro e sembra una, in questo luogo di magia tanti già passarono da qui. Da grande città che era fummo capaci di portarla a questa rovina, quanti figli geniali dovettero fuggire fuori. Nessuno è profeta in questa terra fortunata, solo da morti li piangiamo tutti quanti. Vieni vieni viandante l’ombelico è sempre qui, in questa terra luminosa incominciò la civiltà
Sotto la sindacatura del barone Borgia, "venne tolto quell'oscuro ridotto di garrule e disoneste lavandaie, in cui era stato da tempo mutato il celebre fonte Aretusa, e si die una forma di semicerchio al bacino, ora adorno delle piante rigogliose del siracusano papiro, popolato di pesci natii e di uccelli acquatici ed abbellito di sopra di pilastri intagliati a fregi e di ringhiere" (Privitera, Storia di Siracusa, volume II. pag. 383).
Alimentate dalle stesse acque della fonte Aretusa, sul lungomare Alfeo, numero civico 6, proprietà Cannizzo e numero civico 11/A, proprietà Bongiovanni e ancora largo Aretusa, numero civico 5, vi sono le antiche concerie sul conto delle quali ne parla in maniera sfumata a proposito della descrizione della fonte Aretusa, Tommaso Fazello, nel “De Rebus siculis”, 1558.
Le vasche sono cavità artificiali intagliate nella roccia in epoca greca, con le stesse caratteristiche delle Latomie, (pareti ad imbuto rovescio con forte rastremazione alla base).
Nel Cinquecento e nel Seicento furono utilizzate per la “concia dei cuoiami”.
Il primo rilievo delle concerie della zona della fonte Aretusa fu eseguito nel 1880-81 da Cristoforo Cavallari il quale ne segnalò tre, due nella striscia compresa tra il Lungomare Alfeo e la Via Maniace e una sotto le abitazioni ad est dell'Aretusa.
il vasto piazzale Aretusa nel tempo ha ospitato eventi culturali e giochi ludici di altissimo livello.
La principale via del quartiere era ed è la via Maniace che inizia da largo Aretusa e conduce al castello di Federico II° nella quale ci sono: al civico 32, il palazzo Fortezza, imponente costruzione settecentesca in stile barocco con l'imponente e altissimo portale a bugnato, chiuso da un grazioso concio di chiave, modellato dagli emblemi del Casato. La pavimentazione dell’atrio è realizzata a riquadri campiti con ciottoli di fattura settecentesca;
al civico n.55/56, palazzo Blanco, elegante costruzione seicentesca attribuibile ad Andrea Vermexio per gli elementi architettonici e le decorazioni tardo-rinascimentali della facciata. Fu, forse, residenza stessa dei Vermexio. Apparteneva a Vincenzina Anna Carmela Blanco IX° ed ultima generazione dei baroni di Furmica che il 13 gennaio 1957 sposò Giuseppe Barone.
Parallela alla via Maniace, la via Salomone, dal tracciato angusto e tortuoso aperto tra i grossi volumi delle residenze di via Maniace e i complessi monumentali dello Spirito Santo e dell'ex Ospedale Militare di Santa Teresa, che conserva ancora i ricordi dell'architettura tardo-gotica
al civico senza numero, angolo vicolo Plemmirio, il palazzetto di civile abitazione, opera di fine 800, primo 900, con un intero cantonale a conci squadrati in buono stato di conservazione;
al civico numero 56, al piano terra, all’interno di una ex falegnameria, in un muro interno di origine trecentesca, una porticina ogivale con ventaglio di conci squadrati e una finestrella con peducci, forse nicchia;
al civico n. 52 palazzo Lanza, ora Di Dato e Di Majo, una originale costruzione barocca dagli aspetti formali e decorativi raffinati ed eleganti con la massiccia loggia a bifora e, sotto, l'imponente portale a bugnato di arenaria gialla alternata a calcare bianco, magazzini al piano terra e alloggio al piano superiore distribuito a corridoio parallelamente alla strada;
al civico senza numero, nel cantonale angolo via Maddione, più tarda, la graziosa casa Cassone con elegante modellato e colonnina con capitello a foglioline.
Accanto al civico numero 38, l’edicola votiva dedicata, forse, alla Madonna Odigitria, patrona della Sicilia.
Sulla costa di levante, lungomare Ortigia, la stupenda chiesa dello Spirito Santo che sorge su un antico luogo di culto in sostituzione di una precedente costruzione distrutta dal terremoto del 1693;
La chiesa, fu progettata nel 1727 da Pompeo Picherali, con due ordini sormontati da una trifora e divisi da un imponente cornicione dalla linea spezzata altamente plastica. Tutta la facciata, risolta con bianco luminoso calcare, è un continuo gioco di piani e di sagome definito in ogni nodo strutturale con decorazioni morbide e fantasiose.
L'interno luminoso e imponente, ricco di qualità plastiche e pittoriche, è un modello di riferimento per l'architettura locale del Settecento.
Il motivo delle colonne abbinate al pilastro e la linea spezzata delle cornici, che si ripercuote nelle dilatazioni spaziali, rendono il volume interno vario e dinamico.
L'Arciconfraternita dello Spirito Santo, operante da 380 anni, venne istituita nell'anno 1652 da Mons. Giovanni Antonio Capobianco, Vescovo di Siracusa ed approvata dal Monarca in Madrid in data primo Agosto 1652.
Durante i riti della Settimana Santa, i confratelli sfilavano incappucciati per le strade di Ortigia con i caratteristici costumi e la lampada ad olio.
Il Giovedì Santo, nella chiesa, veniva allestito il rituale sepolcro, “u sapurcuru”, che era la rappresentazione di una tappa della Via Crucis, allestita con statue a grandezza d'uomo, variata ogni anno con diverso tema delle stazioni della via Crucis.
Limitrofo alla chiesa, al civico n.3, palazzo Platania, elegante costruzione barocca del 1720, con il massiccio e imponente portale d’ingresso a bugne gialle e bianche e, nella parte superiore della facciata, ricco di dinamismo e di giochi plastici.
Poco più avanti l’antico plesso del monastero di S. Croce, o delle Ree pentite istituito il 4 maggio 1568 dalla vedova suor Benigna Romano, terziaria cappuccina che lo eresse a sue spese per dare riparo alle donne che si trovavano in lite con i mariti. Funzionò da reclusorio fino al 1800 quando fu soppresso.
la chiesa di Santa Teresa, ingresso dalla via omonima, venne edificata, insieme al convento, a partire dal 6 novembre del 1667 e fu il vescovo Antonio Capobianco che nel 1650 pose la prima pietra. La chiesa restò aperta al culto come cappella Regia e nel 1861, annessa al Distretto
militare, venne adibita a magazzino per le armi mentre il convento fu unificato al plesso del monastero delle Ree pentite.
La via Santa Teresa è la più ampia e luminosa del quartiere contraddistinta da un insieme quasi omogeneo di interessanti costruzioni settecentesche. Sul lato sud le costruzioni più significative sono quelle dei numeri civici 7, 15 e 23 con balconcini a ringhiera in ferro battuto a petto d'oca e mensole fantasiosamente intagliate.
In via San Martino, una delle più antiche chiese di Siracusa, forse del VI° secolo d.C.,
ampliata e modificata tra il XIV/XV secolo con le aggiunte del rosone e del portale d'ingresso sul quale è incisa la data, MCCCXXXVIII, 1338.
La parte superiore della facciata e con essa l’antico rosone, crollarono a causa del terremoto del 1693. Venne restaurata dall'arcivescovo Luigi Bignami nel 1916/17 che fece aggiungere l’attuale rosone, copia di quello della chiesa di San Giovanni, opera del siracusano Giuseppe Gallone.
La chiesa è a tre navate con la centrale fiancheggiata da archi a sesto acuto poggianti su pilastri a sezione rettangolare e con il soffitto in legno poggiante su capriate del XV secolo.
Nelle navate laterali sono gli altari dedicati a Sant’Amatore, a tutti i Santi, a Sant’ Elena, a San Costantino e a Sant’Aloè. Sotto un altare il corpo di San Vincenzo Martire proveniente dalle catacombe di San Callisto in Roma. Sull'altare laterale da ammirare il polittico su tavola, opera di ignoto, indicato "Maestro di S. Martino", e un bellissimo crocifisso in legno del XVI° secolo.
Nella stessa via San Martino, ai civici n. 5, notevolmente manomesso dalle superfetazioni, e al n. 14, ancora intatto nella sua struttura originaria, tipiche costruzioni siracusane dell'ultimo Settecento.
La via Capodieci segna il confine con il quartiere Duomo.
Al civico senza numero, c’è palazzo Naro, antico edificio ristrutturato e modificato nel 1905 da Gaetano Avolio che progettò la nuova facciata e diresse i lavori durati 4 mesi, eseguiti a cottimo, dall'Impresa Salvatore Agati e Maiolino.
Ad angolo. tra via della Conciliazione e via Capodieci, ciò che resta del palazzo Steri Magno del XV secolo, parte del paramento murario originario, la curiosa "porta dei morti" e, all’interno alcuni archi a sesto acuto databili all'incirca tra XIV e XV secolo oltre a particolari del fabbricato quattrocentesco degni di uno studio più approfondito.
A sinistra, angolo via delle Vergini, si trova l’antica chiesa di San Benedetto, edificata nel 1619, su progetto di Andrea Vermexio, oggi in uso dalla comunità ortodossa rumena.
La facciata, mistilinea, ha il portale racchiuso tra semicolonne ioniche, e nel secondo ordine, le guglie e motivi curvilinei con una finta balaustra a bulbo e un finestrone centrale. L'interno, ad unica navata, ha stucchi di stile manieristico nelle cappelle laterali e nell'arco di trionfo. Il soffitto, in buona parte cinquecentesco, è a lacunari ottagonali con rose al centro. Sul fondo la tela d'altare opera di Mario Minniti (1625) che raffigura la morte di San Benedetto.
La chiesa era annessa al contiguo Monastero Benedettino, fondato nel 1725 da Suor Cesarea del Cassaro che ebbe in dono il palazzo del XIV° secolo, dal fratello Pietro Parisio, Barone di Cassaro. Il monastero fu danneggiato gravemente dal terremoto del 1693 e numerose furono le monache che morirono sotto le macerie. Dell'originario impianto rimangono poche tracce sia a causa della trasformazione d’uso e alle successive modifiche dopo i danni del terremoto del 1693. Alla primitiva costruzione appartengono gli archi del portico ed altre strutture ogivali.
Il contiguo palazzo, edificio del XIII° secolo, appartenuto alla famiglia Bellomo che lo abitò per tre secoli, fu ceduto al confinante monastero benedettino nel 1725 ed oggi è sede della Galleria regionale di palazzo Bellomo.
Dell'originario impianto rimangono la muratura a filari di piccoli conci squadrati fino all'altezza di m. 7,50 e comunque fino alla cornice marcapiano, e alcune stanze del piano terra coperte da poderose volte a crociera, e le grandi fosse a campana adibite a pozzi o granai.
Le prime trasformazioni iniziarono nel sec. XIV quando per motivi spaziali fu abbattuto il muro di recinzione a settentrione, furono attuate le profonde trasformazioni del portico e fu iniziata la soprelevazione.
Nella stessa via Capodieci, a sinistra, il vicolo Bellomo, privatizzato arbitrariamente, e a destra al civico n.11, ciò che rimane dell'antica chiesa di Gesù e Maria, un ampio ed elegante portale, raffinato esempio di architettura seicentesca con severe linee geometriche mitigate da eleganti decorazioni floreali.
Infine, angolo via Roma, Palazzo Lantieri, forse famiglia genovese che qui risiedette. Su via Capodieci la parte originaria con tre portali arcuati del XVI° secolo, uno murato, e diversi balconi con inferriate bombate e mensoloni riccamente scolpiti.
Il prospetto, su Via Roma, nella parte inferiore, ha cinque aperture arcuate intervallate da finestrelle quadrangolari. Nella parte superiore tre eleganti balconi, con due aperture quello centrale e una quelli laterali. Ad angolo due mascheroni grotteschi con funzione di grondaia.
La parte finale di Via Roma, in epoca medievale, era chiamata Turba. Si devono al vescovo Giovanni Antonio Capobianco, (1649-1673), gli attuali muraglioni costruiti con blocchi squadrati del duro calcare bianco siracusano.
Accanto, al civico 125, la magnifica edicola dedicata a Santa Lucia in un dipinto settecentesco che raffigura la Santa Siracusana sopra la raffigurazione del quartiere della Turba con i suoi alti muraglioni, testimonianza della devozione alla Santa degli abitanti del quartiere.
Semplici, autentici e funzionali, i prospetti sulla costa di ponente del Lungomare Alfeo, dove, negli ariosi e soleggiati ambienti sono allocati i servizi, la zona pranzo e le cucine, normalmente collegati tramite un corridoio stretto e buio sotto o accanto alla scala impiantata dal lato di Via Maniace, dove, al piano superiore, sono gli alloggi e gli ambienti rappresentativi.
I miei ricordi
Negli anni 50/60, accanto alla fontana, ogni giorno u zu vittoriu approntava il suo carretto dove esponeva pupi siciliani, cartoline illustrate e oggetti per turisti;
al civico numero 2 di largo Aretusa, abitava la famiglia del calzolaio Giangreco, poi emigrata al nord;
al civico n. 10 il barbiere “mastru Taccuni” e al piano superiore il mio amico Mario Puglisi.
In via Maniace, angolo via Santa Teresa il negozio di frutta e verdura di Maiore, “renti r’oru”, e al civico n.47, angolo ronco III, il fratello, anche lui “renti r’oru”, venditore ambulante, marito di mia zia “cuncittina”, sorella di mio padre; nel portone quasi di fronte, “Pippu Malfa”, bidello della scuola d’Arte e valente restauratore, mio maestro; più avanti “taninu” col suo negozio di alimentari; via delle Sirene, nel palazzetto angolo via Salomone, civico numero 5, abitava “ ma zu Tanuzzu” al secolo Randazzo Gaetano, fratello di mio padre, vigile urbano del comune di Siracusa, con la moglie Mariannina; in quella via nacque e visse mia moglie fino ai suoi venti anni.
Siracusa settimo itinerario
Quartiere Spirduta
Premessa storica
Il quartiere fu certamente frequentato in epoca remota, come dimostrato dal ritrovamento in via dei Mergulensi, di fronte a palazzo Mergulensi-Montalto, lato destro scuola elementare, di un muro di contenimento di età arcaica, probabile datazione V secolo a.C., e altre strutture tra cui alcuni pozzi di età medievale.
(scavi condotti dalla dottoressa Musumeci e mai pubblicati).
Nel sito, recintato e lasciato a vista, vi è una struttura che sembrerebbe una fornace con a fianco pietre a forma di crogiolo per colatura di metalli fusi che potrebbero essere connessi ad una attività lavorativa di fusione di metalli.
Il blocco di marmo bianco cipollino con incisioni geometriche circolari fra le strutture esistenti, fanno pensare alla provenienza dal restauro di palazzo Montalto.
Mura perimetrali di un grande edificio di epoca greca, secondo Fernando Lazzarini, disegnatore della Soprintendenza, pare siano sotto palazzo Montalto.
Un gruppo di studiosi della Facoltà di Architettura di Reggio Calabria, che condussero una dettagliata ricerca, avanzano l'ipotesi che, in età romana o tardo - ellenistica, vi sia stata una struttura monumentale che definiscono: "Grande recinto porticato nel quartiere Spirduta".
L’ipotesi fa pensare all’esistenza ad un ampio spazio pubblico attorniato da strutture porticate, recinto e propilei, forse agorà, foro, o pretorio, confermate dagli scavi archeologici condotti nella limitrofa via della Maestranze.
Gli scavi archeologici condotti nel tempo hanno portato alla luce, sotto palazzo Pizzuti, all’angolo fra via Roma e via Maestranza, avanzi di un edificio monumentale pubblico di epoca greca attestato lungo un decumano della città antica confermando l’assetto abitativo originario della zona; anche gli scavi archeologici del 1977-1980-1996 e1998, nell’area compresa fra via Roma, convento di Santa Maria e via del Labirinto, hanno portato alla luce, resti di strutture risalenti all’età proto-storica fino all’epoca moderna che hanno confermato l’ipotesi di ricostruzione della maglia urbana antica; in particolare, nel 1978, durante i lavori condotti nella zona della Prefettura, sono stati portati alla luce una serie di pozzi di varie dimensioni contenenti ceramiche di produzione locale, etrusca, fenicia, corinzia, argiva e greco-orientale che, secondo Fouilland, dimostrerebbero l’esistenza di un santuario nel sito sotto il Palazzo della Prefettura;
sempre nello stesso anno1978 è stato ritrovato un asse viario disposto in senso ovest-nord-ovest/est-sud-est, di metri 2,50/2,80 di larghezza, scoperto ed esaminato per circa 40 metri di lunghezza. La strada, delimitata sui lati nord e sud da muri in pietrame, constava di una serie di dieci livelli pavimentali sovrapposti, di cui uno solo dei più recenti in acciottolato. I frammenti ceramici inseriti sui battuti stradali hanno permesso di datare la realizzazione del primo tracciato viario intorno al 700 a.C.
I ritrovamenti di fondamenta di strade di epoca molto antica, forse anche proto-storica, resti di una capanna della parte finale della facies di Cassibile, resti di abitato indigeno della prima metà del IX° secolo a.C. e materiali vari di origine greca e romana, databili in periodi che vanno dal III° all’ VIII° secolo a.C., dimostrano la frequentazione millenaria dello “scoglio” Ortigia.
Nel 1960, nell’area tra via Gargallo- palazzo Gargallo e via dei Mergulensi, abbattuti tutti gli edifici per edificare quel palazzone esistente, vennero rinvenuti basamenti e mura di epoca greca subito interrati senza mai essere studiati dagli archeologi del tempo.
Il complesso abitativo preesistente era stato bombardato nel 1943 e quindi in precarie condizioni statiche.
Il palazzo ad angolo di via dei Gracchi-Mergulensi, sede dei nostri giochi, era sicuramente di origine medievale e probabilmente appartenuto a famiglia gentilizia.
All’interno dell’androne c’era la struttura di un grazioso pozzo squadrato con sulle pareti bassorilievi e cornici intagliate e sul fondo uno scalone in pietra calcarea decorato a festoni. Sulla facciata di via Gargallo, nei bassi, magazzini, botteghe artigiane e civili abitazioni anche nei piani superiori.
La Camera Reginale, costituita il 5 aprile 1361, concesse a vari nobili il potere di abbattere vecchi casamenti per edificare i loro palazzi gentilizi secondo i dettami stilistici dell’epoca.
Il quartiere Spirduta
Storia, immagini, memoria, curiosità e…
L’antico quartiere medievale della Spirduta, secondo Paolo Giansiracusa, confinava con i quartieri Bottai, Graziella, Mastrarua e Maestranza.
Spirduta è il vero nome del quartiere, come dimostra una cartella calcarea conservata nel secondo cortile del Museo di Palazzo Bellomo, nella quale è scritto: "Anno Domini 1365 Martii 29 Ser. Reg. Costantia Concessit Hanc Manistallam vulgo Spirduta Baroni Philippo Montalto", (Serafino Privitera, Storia di Siracusa, 1879),
così liberamente tradotto: l’anno 1365 il Barone Filippo Montalto, ottenne dalla Regina Costanza, la concessione della zona dal volgo chiamata Spirduta, per costruire delle stalle per cavalli.
Il cippo per precisarlo venne eretto dai Montalto, ai quali, dopo la morte della Regina Costanza d'Aragona, veniva contestato il loro diritto di proprietà della zona “Spirduta”.
Il nome “Spirduta”, Sperduta, con molta probabilità era utilizzato dal volgo in riferimento ad un luogo sperduto rispetto al centro urbano.
Nel parlare siracusano, la parola “spirduta”, significa che si è perduta, e, leggende metropolitane, raccontano di una bambina che si “perse” in quella zona, anche se perpetuato, probabilmente, per l’intrigato dedalo dell’impianto viario costituito da vicoli e vicoletti, come in parte rilevabile dalla mappa del Cavallari del 1881 e dal catastale del 1932.
Come tutta Ortigia, la zona del quartiere Sperduta, venne distrutta dal terremoto del 9-11-Gennaio 1693.
La struttura urbana, con le tipiche caratteristiche di origine araba del quartiere, rimase intatta fino agli anni antecedenti la prima guerra mondiale e, intorno al 1910, su progetto di Luigi Mauceri, prima elaborazione 1891, vennero abbattute numerose costruzioni realizzando un largo spazio su cui edificare, “i scoli novi”, scuola elementare Mazzini oggi.
Il progetto Mauceri, poi rielaborato, prevedeva lo sventramento dei quartieri Spirduta e Graziella per realizzare le nuove arterie destinate a mettere in diretta comunicazione la vecchia città con la nuova, da Via Maestranza, attraverso i rioni "Spirduta" e "Graziella" fino a Via Vittorio Veneto, (allora Via Gelone), e poi verso il Tempio di Apollo (indicato nella planimetria come Tempio di Diana) e infine verso il ponte Umbertino e il Rettifilo. Meno male che non fu mai realizzato.
La scuola elementare Mazzini, tra alterne vicende, fu completata nel 1928, ed inaugurato l'anno successivo.
Del tracciato urbano, disordinato, ma caratteristico, restano parte di via dei Tintori, ronco Bentivegna, “u cuttigghiu criveddu”, ronco Specula, via G. Mendozza. ronco Spiraglio e San Tommaso in via Mirabella, oltre a ronco Politi in via Gargallo e al civico 61, “u puttuni” Minniti.
I vicoli, i ronchi, i cortili costituivano un privilegiato luogo di incontro, quasi un prolungamento delle private abitazioni, e come in tutto il quartiere, a piano terra, vi erano le botteghe commerciali ed artigianali, le così dette “le putie”, e sopra di esse, le abitazioni.
A quell’epoca, la vita sociale era a misura d’uomo e la gente, seduta abitualmente davanti agli usci, commentava ogni piccolo avvenimento allacciando rapporti umani intensi e relazione molto vivaci.
Il quartiere è contraddistinto da palazzi nobiliari di pregio frammisti, senza pregiudizi, ad abitazioni di minore cubatura e di scarsa importanza, ma sempre funzionali ed interessanti.
I bassi delle vie principali, vicoli e cortili, della Spirduta, in passato, erano adibiti ad abitazione, anche se tante, spesso, formate da una sola stanza con annessi e precari servizi. L’intero quartiere era anche ricco di attività commerciali e artigianali e centro propulsore di eventi con una intensa operatività scolastica e culturale per la presenza di istituti e licei di altissimo livello.
Oggi la principale del quartiere è via dei quattro Santi Coronati, ex via Montalto, anch’essa in origine stretta e collegata con gli intrigati e numerosi vicoli e vicoletti tra via Montalto e via Ciclope e, attraverso la via dei Gracchi, oggi Mergulensi, con via Gargallo e via Mirabella.
La via dei quattro Santi Coronati è così chiamata perché c’era la chiesa eretta nel 1515, dedicata, secondo la tradizione, ai 4 Santi: Secondo, Carpoforo, Vittorino e Severiano.
La chiesa, già dagli anni '20, era sconsacrata ed usata dai confratelli, muratori e scalpellini, per adunanze e cerimonie.
Venne bombardata e demolita nel 1943, e di essa s'intravedono ancora il portale e alcuni resti, tra i quali, sull’architrave in conci di pietra della piccola porta laterale, scolpiti in rilievo, i simboli della confraternita dei muratori e scalpellini, un compasso, un martello e una squadra.
Era la chiesa dei Muratori e Scalpellini (Notar Tommaso Pattavina, anno 1705-1706 volume n. 1139 e atti del Senato volume. n. 52 pag. 211 retro, sottoposti alle regole della corporazione d'arti e mestieri.
Nella chiesa, ci ricorda il Privitera, esisteva un quadro rappresentante il martirio dei "quattro incoronati" che il Capodieci attribuiva al Caravaggio.
A sinistra, angolo via Maestranza, la facciata destra del palazzo Bonanno, demolita dai bombardamenti del 1943 e riedificata negli anni 50/60 dai Verga alla quale era pervenuta.
Sul retro del palazzo, negli anni 50 vi era ancora un grande e rigoglioso giardino di aranci e di limoni, con palmizi, qualche ficus ed aiuole fiorite, poi trasformato in cinema all’aperto e infine nell’attuale teatro Verga, mai completato, nonostante lo spreco di ingenti somme di denaro pubblico del proprietario Ente Provincia di Siracusa.
Nell’angolo, tra il giardino e il palazzo, nei primi decenni del novecento, vi era la bottega-teatro di don Ciccio Puzzo, rinomato artigiano e memorabile animatore dell'"opera dei pupi sul conto del quale ancora si tramandano esilaranti aneddoti, come per esempio: con un sol colpo Rinaldo ne ammazzò cinquecento! - recitava con enfasi il puparo e il pubblico replicava ogni volta con la frase "Cala don Ciccio!"
Negli anni 40/50, spesso, nello spazio utilizzato quale cinema all’aperto, erano ospitate giostre e baracconi e, in periodo di feste carnevalesche, era trasformato in “casotti” per la pesca “sotto novanta” ed altri giochi ludici.
Il giardino confinava con un caratteristico cortile medievale dove, tra gli altri, abitava Don Mommu, al secolo Girolamo Stanzione, colorito olivastro con naso voluminoso e aquilino, portiere e bidello delle scuole elementari, reduce di guerra, con coppola in testa in qualsiasi stagione, sempre attento al suo lavoro, apparentemente alto e temibile per il nodoso bastone che lo accompagnava per via di un difetto alla gamba.
Il cortile e il palazzo, bombardato nel 1943, confinante con via dei Gracchi, oggi Mergulensi, vennero abbattuti e al suo posto fu edificato quel mostro di cemento, sede oggi della biblioteca comunale, a perenne vergogna degli amministratori del tempo e dell’ingegnoso palazzinaro che negli anni 60 chiuse con quell’ammasso di cemento, assassinandolo, il grazioso Palazzo Gargallo, splendido monumento quattrocentesco in stile Catalano.
Il palazzo, dal 500 proprietà della famiglia Gargallo, danneggiato seriamente dal terremoto del 9/11 Gennaio 1693, venne restaurato e abitato dai Gargallo dal 700 fino alla fine dell’800.
I restauri del 1939 cancellarono l’antica facciata Catalana e, i locali interni, in parte modificati, nel dopo guerra, furono sede del Liceo Scientifico e poi, ancora oggi, sede dell’archivio Notarile distrettuale.
Della struttura settecentesca rimangono il cortile, lastricato e decorato con ciottoli e pietre di fiume e il pozzo collegato ad una sorgente sotterranea. In basso uno splendido porticato antistante i locali a piano terra che conservano ancora interessanti elementi architettonici quattrocenteschi e, una veranda sulla quale si affacciano finestre a bifora. Fu parzialmente ricostruito da Francesco Fichera
Nella parete a sinistra, tra l’ingresso e il civico n. 24, fino agli anni 60, vi era l’edicola di San Gaetano, circondata da una fiorente Bouganville. Danneggiata dai bombardamenti del 1943 e poi demolita, oggi purtroppo non più esistente. Oltre al quadro con l’immagine di San Gaetano e sotto, incisa su marmo, c’era la preghiera dedicata: O padre San Gaetano benedici e proteggi i tuoi devoti fa che essi solleciti primamente del Regno di Dio ti abbiano padre sempre provvido nei bisogni della vita.
11-Via Gargallu. San Gatanu nun cc’è chiù pi viriri a fini ca facisti. Tristi e strazianti u to silenziu, se penzu a quanta gioia circulava. I chiova ro scapparu, a serra ro siggiaru, scrusciu iera ma rallegrava. La Runa vinnennu, Stefunu ‘nfunnannu, u ciauru ri pani n’arricriava u nasu Currennu e vuciannu scurrevunu i iunnati, rirennu pi nenti vulennu beni a tanti. Maricchia cusennu, Cuncittina rizzittannu, vivevumu filici ‘nta stu locu ri paci. Machini nu’ c’erunu, che ligna si cuceva, iù vissi ‘n allegria a prima vita mia. Ora ca sugnu ranni rioddi e nustalgia mi pottuni ‘nti tia, pinsannu e suspirannu ca nun po chiù siri iessiri com’eri. 11-via Gargallo. l’edicola di San Gaetano non c’è più per vedere la fine che facesti. Triste e straziante il tuo silenzio, se penso a quanta gioia c’era in giro. I chiodi del calzolaio, la sega del sediaio, rumore era ma rallegrava. La Runa (alimentari) vendendo, Stefano Marino infornando, l’odore di pane godeva il naso. Correndo e vociando scorrevano le giornate, ridendo per niente volendo bene a tanti. Mariuccia mia nonna cucendo, mia madre Concettina facendo i mestieri, vivevamo felici in questa oasi di pace. Auto non ce ne erano, con la legna si cucinava. io vissi in allegria la mia
gioventù. Adesso che sono anziano ricordi e nostalgia mi portano da te, pensando e sospirando che non puoi essere com’eri allora.
Al civico numero 24 abitava mia nonna, donna Maricchia, una delle più brave e stimate sarte della città, anziana donna, rimasta vedova nel 1905 a soli ventiquattro anni, incinta, e con altra figlia di due anni, mia madre!
A sezioni aperte della Corte D’Assise, era uno spettacolo mai dimenticato, vedere passare davanti la mia casa i due carabinieri in alta uniforme, gli appuntati Rosario Cavallaro e Colonna, che andavano a presidiare l’aula. Immagine, immortalata nella mia memoria e poi rivista in tanti quadri e disegni di grandi e piccoli artisti, come il mio degli anni 70.
Essendo io nato nel 1940 in via Gargallo, al civico numero 28, e li vissuto fino a vent’anni, conosco ogni angolo ed ogni pietra di quel mio quartiere e, quindi, conservo memoria fotografica e vissuta della zona e sono testimone oculare dello scempio perpetrato nel 1960 e documentato dalle foto d’epoca.
Nella stessa via Gargallo, al civico numero 67, c’è il convento di San Francesco d'Assisi edificato dai frati minori conventuali alla fine del 1200, li furono ospitati per diversi anni i Cavalieri di San Giovanni Gerosolimitano, cacciati da Rodi.
Il convento, fu ingrandito e restaurato nel 1613 e dopo il terremoto del 9/11 Gennaio 1693. Nel 1866, divenne proprietà del Comune di Siracusa che lo riadattò trasformandolo in palazzo di Giustizia con annessi, Tribunale civile e penale, Corte d'Assise e uffici della Pretura.
Nella stessa via, al civico numero 61, l’ingresso al cortile del cosiddetto Portone Minnìti, dove in fondo, attuale Nottola, vi erano le rimesse per le carrozze di alcuni ricchi della zona e le stalle per i cavalli, dove, in una in particolare, si svolgeva la monta equina praticata da uno stallone detto, 'u cavaddu i Marotta.
Nei piani alti del primo cortile abitavano nobili decaduti e in quasi tutti i bassi, prolifiche famiglie, Mudanò l'attacchino, i Corso carrettieri, detti i tuttedda, i Baio, il maestro di musica Gentile, i Mazzone e le botteghe artigiane degli ebanisti Cusi, Disco e Antoci.
Nella piazzetta dei Cavalieri di Malta la sconsacrata chiesa di San Leonardo, o San Biagio, ai miei tempi falegnameria del maestro Sebastiano Piccione.
La chiesa, venne edificata nel 1500 dai Cavalieri Gerosolimitani. Danneggiata dal terremoto del 9/11 Gennaio 1693, precisamente nel 1768, come da lapide incisa conservata nei magazzini del Museo Bellomo, sulla quale è precisato che il restauro fu promosso dal Cavaliere di Malta fra Diego Gargallo, progettista Carmelo Bonaiuto e lavori eseguiti da Luciano, Gaspare, Gaetano e Saverio Ali, i quali, modificarono completamente la facciata e l'assetto interno coprendo con stucchi e gesso le navate e il soffitto.
Nel 1878 la campana fu comprata dal parroco di S. Martino al prezzo di L. 329 e collocata sul campanile di quella chiesa.
Durante l'ultimo restauro sono venute alla luce gli archi, la cornice che attraversa tutta la navata e le otto capriate originali del tetto che poggiano su sostegni recanti incisa la croce ad otto punte dell'Ordine del Santo Sepolcro.
La facciata, armoniosamente convessa, ha il portale decorato con modanature ed elementi floreali nella chiave e nelle due decorazioni laterali. Una grande finestra elegantemente incorniciata sovrasta il portale completando l'aspetto barocco della costruzione. Oggi proprietà del Comune di Siracusa l'immobile è adibito a spazio espositivo.
Negli anni 40 nella piazzetta c’era l’ingresso all’ipogeo ricovero anti bombardamenti, prospiciente il civico numero 29 che era adibito a bottega artigiana di Don Jachinu Nardone, costruttore di sedie.
A quel tempo la via Gargallo, sempre linda e pulita e potremmo dire che era rappresentativa di tutte le realtà del tempo a Siracusa, essendo abitata da tante famiglie d’origine umile, ma tutte oneste e dedite al lavoro, la mia, Sequenzia, Rosano, Vinci, Spatafora, Leone, la mia levatrice, signora “Lalla” e, potrei continuare per ogni porta o portone.
Oltre al tenente Sinatra, comandate dei vigili urbani e la famiglia Romeo, presidi delle scuole, professori e maestre, due tabaccai, uno all’inizio della via ed uno alla fine nella piazza dell’Immacolata, cantine ed osti, una salumeria, un tipografo con propria tipografia, pittori, bravi artisti, tutta una famiglia di “pupari”, falegnami ed ebanisti con attrezzate botteghe, la segheria per il taglio del legname per poi poterlo lavorare nelle botteghe, calzolai, sarti dove nelle loro botteghe, il pomeriggio, concerti di fisarmonica mandolino e chitarra per tutti.
In via Gargallo, il liceo classico Gargallo, allocato nello storico palazzo del convento di San Filippo neri, edificato nel 1650, opera attribuita a Luciano Ali. Nel 1750, l'oratorio di S. Filippo Neri, mantenendo il nome, fu trasformato in Collegio di S. Carlo e con l’unità d’Italia adibito a scuole ginnasiali e liceali.
Nel 1943 gli occupanti Inglesi adibirono a loro caserma l’edificio del glorioso Liceo Gargallo sistemando le cucine al piano terra nell’ultima stanza a destra, trasformando la finestra in porta di accesso. I soldati ci sembrarono santi salvatori perché per ogni servizio che facevamo per loro ci davano una pagnotta di pane fresco.
A ripensarci sono umiliato perché dovetti subire la loro “spacchiusaria”.
Nel quartiere, un tempo, vi era anche la chiesa della Madonna Santissima degli Angeli. Era sita in zona attuale ronco del Pozzo, in un magazzino donato il 24 ottobre 1615 dal barone don Giuseppe Montalto di Milocca, abitante nella sua casa ai Consoli dei Bottegai. Unica testimonianza rimasta un bassorilievo raffigurante un angelo con un candelabro incassato, in alto, in una parete, di ronco del Pozzo.
La congregazione dei Bottegai, formata da persone unite da una medesima particolare devozione, ogni anno, sorteggiava tra le orfane, una giovane a cui veniva data la dote di dieci onze.
Da piazza Archimede, angolo via Dione, confine ovest del quartiere, percorrendo la stretta via Montalto dove sono ancora oggi visibili rimanenze trecentesche, c’è il Palazzo Montalto già Mergulensi, autentico gioiello, edificato nel 1397 in stile gotico-chiaramontano.
Il palazzo subì danni a causa del terremoto del 1693, forse la scala e la loggia, ma per fortuna rimase integra la facciata sulla quale sono da ammirare le tre grandi finestre del piano nobile, una bifora, sulla quale c’è un piccolo rosone quadrilobo, “quadrifoglio” a traforo; sulla trifora un rosone a forma di stella di Davide a sei punte e, sulla monofora, un rosone a forma di croce greca sormontata da un leone.
La facciata, conserva i paramenti originali e il portale di ingresso ad arco cordonato terminante con due giragli.
Nel cortile interno c’era l’uscita posteriore del caffè Liistro, con ingresso principale da Piazza Archimede; a sinistra, l’affittacamere con il servizievole “Ninnello” e la scuola di taglio e cucito delle sorelle Fazzina.
Nell’androne principale la bottega restauro di Pippo Malfa, dove lavorai per qualche anno. In precedenza, anni 40/50, c'era la bottega dei fabbri, fratelli Vincenzo e Vittorio Quadarella.
Salendo per lo scalone, a destra, al primo piano, abitava la famiglia Sinatra e al piano di sopra le famiglie: Innoccenti, Gibilisco, le sorelle Italia, Cecè Genovese e Pippo Montalto.
Il palazzo, è stato restaurato nel 1984, a cura della locale Sovrintendenza ai Beni Ambientali, ma rimane poco utilizzato per l’ignavia del Comune proprietario e gestore del monumento.
Nella stessa via dei Mergulensi, civico numero 21, angolo via dei Tintori, c’è palazzo D'Amico, edificio seicentesco di civile abitazione, elegante costruzione di scuola vermexiana, che presenta elementi di carattere religioso come il medaglione con raffigurazioni della vita di Cristo in pietra scolpita sul portale e, sul tetto, una croce in posizione arretrata. L’edificio, forse, appartenne ad una famiglia gentilizia particolarmente devota, o ad un religioso d'alto rango o ancora poteva sede di una congregazione religiosa.
La via dei Tintori, prende il nome dagli antichi artigiani ebrei della zona, tintori di cotone, lana e panno. Ancora oggi è uno straordinario aggregato di stradine, vicoli, ronchi, cortili e piccoli slarghi risalenti alla dominazione araba durata dall’ 878
al 1038 d.C.
È l’unico percorso superstite che testimonia la struttura labirintica originaria dell'intero rione e nel quale sono visibili ancora elementi di architettura gotica trecentesca, come il portale di ingresso al civico numero 11, dove, oltre ai paramenti originali, c’è l’arco gotico che immette, tramite un androne, ad un vasto cortile, anch’esso ricco di rimanenze medievali.
La via Dione, il percorso più antico di Ortigia che conserva esempi di architettura minore del Settecento siracusano, antico decumano maggiore, segna il confine con il quartiere Bottai.
La chiesa di San Tommaso, chiusa al culto, venne fatta costruire dal vescovo Lorenzo nel 1199 in stile normanno, visibile nel portale con ingresso murato in via Mirabella, e nell'altro rimaneggiato. L'interno, dov’è conservato il corpo del beato Andrea Xueres dei padri Predicatori, è a tre navate con pochi elementi originari rimasti per le successive trasformazioni.
Al civico numero 23, il quattrocentesco Palazzo Abela-Danieli, sopravvissuto alla furia distruttrice del terremoto del 1693, in stile gotico-catalano con influssi arabi, conserva, nel prospetto, i paramenti originali e il portale di ingresso ad arco cordonato terminante con due giragli. Negli anni 50 il piano superiore fu sede dell’istituto commerciale.
Il piano nobile, ricostruito in epoca tarda settecentesca, presenta balconcini racchiusi da semplici ringhiere sormontati da travoni in pietra, e, nell’androne e nel vasto cortile, il grazioso loggiato settecentesco con gli ambienti di civile abitazione.
Al civico numero 31, la scuola statale d’Arte, poi Istituto, dal 1900 al 1970 allocata presso l’antico Monastero del Ritiro edificato nel 1717 e soppresso nel 1890. Io stesso frequentai la scuola dal 1951 al 1955.
la Scuola d’arte applicata di Siracusa, fu operativa dal luglio 1866 nei settecenteschi locali dell’ex Monastero del ritiro. Prima Direttrice Anna Maria Gargallo dei Marchesi di Castel Lentini. Dal 1890 primeggiò tra le scuole del Regno grazie all’operatività del direttore, Giovanni Fusero, tanto che venne citata ed elogiata, nel 1902, sulla rivista “Arte italiana decorativa e industriale”, diretta da Camillo Boito.
Nel 1904 partecipa e riceve il diploma dell’esposizione Universale di Saint Louis; nel 1907 partecipa a Roma alla Mostra delle Scuole Industriali e Commerciali nel Palazzo delle Belle Arti, nel 1910, è presente all’Esposizione Universale Internazionale di Bruxelles e nel 1911 all’Esposizione Internazionale di Torino. Nel 1914, docenti e allievi, collaborarono alla realizzazione delle Rappresentazioni Classiche al Teatro greco di Siracusa.
Di fronte alla chiesa del Carmine, al civico senza numero, l’ingresso principale di palazzo Gargallo, confinante, nel retro, con via dei Mergulensi-ronco del pozzo e che, nonostante più volte restaurato, conserva i paramenti originali e il portale di ingresso ad arco cordonato terminante con due giragli.
In fondo a via Mirabella, al civico n.53, il palazzo Bongiovanni, edificato nel 1772 sulle rovine di edifici medievali distrutti dal terremoto del 1693, in stile rococò, uno degli ultimi esempi del barocchetto siciliano, recentemente proprietà del professor Lucchese.
In questa provincia “babba”, le regole contavano, adulti e bambini ne conoscevano i valori. Bambini cresciuti troppo in fretta, in via Mirabella e alla Santa Croce ci raccoglievamo. La scuola fu la strada, prima e dopo la guerra, tra AM lire e soldi fuori corso. Al Talete e alla Sperduta, correvamo sbandati, pidocchi per amici e cimice affamate. Grande fu la gioia per il brodo di piedi di bue. Pane e acqua pazza fu il vero nutrimento e grazie a lei sono che benedico quei giorni
Testi rielaborati e sintetizzati da Antonio Randazzo tratti da: Ortygia 2 illustrazione dei quartieri della città medievale di Paolo Giansiracusa,Dicembre 1981; Luigi Mauceri, La fonte Aretusa nella leggenda, nella storia e nell'idrologia, Torino 1939; Siracusa Sveva, guida ai monumenti della provincia.




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