Ortigia
dipinto di Philippe Hakert conservato presso la reggia di Caserta
disegno 1772 o 1777
vignetta
veduta di Siracusa pre-terremoto del 1693, opera dell'olandese Schellinks, 1664 notare il torrione campanario della chiesa del Duomo
panorama dal dirigibile
costa di levante dal dirigibile
plastico di Ortigia in osso e legno XIX sec. conservato presso il Museo Bellomo
Urbem Syracusas maximam esse Graecorum, pulcherrimamque omnium saepe audistis. Est, iudices, ita, ur dicitur; nam et situ est cum munito, tum ex omni aditu, vel terra, vel mari preclaro ad aspectum; et portus habet proprie in aedificatione, adspectuque Urbis inclusos: qui cum diversos inter se aditus habeant, in exitu coniunguntur et confluunt. Eorum coniunctione pars oppidi, quae appellatur Insula, mari disiuncta angusto, ponte rursum adiungitur. TRADOTTO:Avete sempre sentito dire che la città di Siracusa sia la più grande e la più bella delle città greche. E', o giudici, proprio come dicono; ed infatti il sito è ben protetto ed è di aspetto magnifico da ogni lato, sia da terra, sia dal mare; ha due porti che si insinuano profondamente nell'abitato e che, benchè abbiano due distinte imboccature, si congiungono e confluiscono tra loro nella parte terminale. Quella parte della città, chiamata Isola (n.d.t. Ortigia), che è separata dalla terraferma da uno stretto braccio di mare, in coincidenza con la congiunzione dei due porti è unita alla terraferma stessa da un ponte. Ea tanta est Urbs, ut ex quatuor Urbibus maximis constare dicatur; quarum una est ea quam dixi Insula, quae duobus Portibus cincta, in utriusque Portus ostium aditumque proiecta est, in qua domus est, quae Regis Hieronis fuit, qua Praetores uti solent. In ea sunt aedes sacrae complures: sed duae quae longe caeteris antecellunt. Dianae una, et altera quae fuit ante istius adventum ornatissima, Minervae. In hac Insula estrema est fons aquae dulcis, cui nomen Arethusa est, incredibili magnitudine, plenussimus piscium, qui fluctu totus operiretur, nisi munitione, ac mole lapidum a mare disiunctus esset. La Città è tanto grande che si può considerare composta da quattro città: una delle quali è la già citata Isola, che è delimitata dai due porti, e che si protende fino all'imboccatura di entrambi, dove sorge il palazzo che fu del re Ierone e che è utilizzato dai Pretori. In essa vi sono molteplici edifici sacri, ma soprattutto due che primeggiano su tutti gli altri. Uno è il tempio di Diana e l'altro, splendidamente adorno prima dell'arrivo di costui (Verre), il tempio di Minerva. All'estremità di tale Isola sgorga una sorgente di acqua dolce, chiamata Aretusa, di incredibile vastità, stracolma di pesci, che sarebbe ricoperta dalle onde del mare, se non fosse separata da questo da una vasta muraglia.
ORTYGIA
di:Paolo Giansiracusa
Gli scavi di Paolo Orsi eseguiti, all'inizio del secolo in diversi punti dell'isola hanno confermato la presenza dell'elemento siculo alla luce diverse tracce di un insediamento preesistente alla colonia greca. I reperti più significativi furono messi in luce nel perimetro del Palazzo Arcivescovile ed in prossimità della Fonte Aretusea, nel perimetro della Casa Politi.
Le tracce di un abitato siculo nei pressi della fonte Aretusea hanno una rilevante importanza per la comprensione della successiva città greca. La fonte con le sue risorse idriche rappresenterà infatti anche per i colonizzatori greci un punto di riferimento obbligatorio e quindi un elemento guida dello sviluppo urbanistico della città-ellenica. Il tracciato viario attualmente ricadente sulle vie Cavour, Landolina, Picherali deve infatti ritenersi un segno viario di origine sicula confermato dai colonizzatori greci. Ma non solo la fonte costituiva la parte di elemento guida nella distribuzione urbanistica della città sicula e poi greca; c'è infatti da tenere in giusta considerazione, anche la chiave difensiva dell'isola e dell'intera . baia siracusana: il promontorio attualmente qualificato con le strutture sveve del Castello Maniace.
Le due estremità dell'isola Ortygia e del PIemmirio costituivano la porta obbligatoria di ingresso al Porto Grande, necessariamente dunque fin dal primo insediamento abitato dovevano essere caratterizzate quanto meno da un punto di vedetta.
Considerata la posizione del promontorio di Ortygia con l'ingresso dell'isola, che sicuramente come ha supposto il Mauceri (Luigi Mauceri, 1928) doveva ricadere dietro l'attuale palazzo delle Poste collegandosi ad una muraglia che doveva arriva nella zona dell'Arsenale allo sbarcadero S. Lucia, è facile pensare che lo scoglio fosse diviso in due parti circa uguali da un sentiero diretto che dall'ingresso arrivava al promontorio.
II sentiero fu riconfermato dai greci i quali lo elevarono all'importanza, di via principale conferedogli già fin dal secolo VII il carattere di via sacra. La via, attualmente ricadente nell'asse urbano della via Dione e dalla via Roma (di quest'ultima solo una parte del secondo tratto), servì infatti per l'imperniazione delle due aree sacre dell'Artemision e dell'Athenaion. Ancora oggi, con una giusta eliminazione ideale delle trasformazioni apportate dalla lunga stagione medievale, è possibile notare l'allineamento perfetto esistente tra il Tempio dorico arcaico di Apollo ed Artemide e quello lievemente più antico di Atena (attualmente nascosto sotto il perimetro del palazzo del Senato ed inparte anche sotto l'attuale via Minerva).
La via Sacra fu confermata tale anche dai gamori e dai dinomenidi i quali nelle modifiche e ricostruzioni dell'Athenaion rispettarono sempre l'allineamento precedente. Anche il terzo tempio dedicato ad Athena quello fatto costruire da GeIone neI 480 a.C. per festeggiare la vittoria di Imera, rispetta infatti l'originario allineamento stradale.
Le due aree sacre erano rivolte verso la strada, i templi greci sono infatti orientati ad oriente e, da considerazioni personali sulle proporzioni e le dimensioni ne deriva che da tale Iato presentavano i fronti leggermente arretrati rispetto alle schiere degli altri edifici.
A quest'asse, che può considerarsi il cardo della città greca, furono attestati sia ad oriente che ad occidente dei quartieri planimetricamente regolari. Ancora oggi i quartieri della Giudecca e dei Bottari presentano delle caratteristiche urbanistiche che consentono di leggere nel loro tessuto viario le insulse dell'antica città greca.
Anche in questo caso bisogna evidentemente tener debito conto delle trasformazioni avvenute nel tempo .Cito per tutti il caso della via Del Collegio la quale nacque per traslazione di una via più antica allorquando fu abbattuta la chiesetta, di San Giuseppe dei Bottari per costruire il complesso gesuitico. La vecchia strada, appartenente al tracciato viario greco, è dunque coperta dall'attuale chiesa. L'accenno ad una vecchia strada,occlusa dopo il terremoto del 1693, c'è anche nel ronco dell'isolato compreso tra Ia via dell'Amalfitania e via GemmelIaro.
Si tratta di trasformazioni che, attraverso una attenta analisi di vecchie planimetrie, di vecchi catastali e di altro materiale iconografico, e archivistico, è facile individuare e rilevare in tutto il territorio dell'isola.
Con la conquista romana (212 a.C.) l'impianto greco, dovette essere sottoposto ad una revisione urbanistica e forse in concomitanza con le nuove teorie sulla ventilazione, l'aerazione, il soleggiamento, la circolazione, ecc. la città dovette subire delle trasformazioni ancora leggibili nell'asse viario determinato dalla via dell'Amalfitania e della via della Maestranza il quale dovette avere la funzione di decumano maggiore.
Altri tracciati modificati ed in parte creati dai romani possono essere identificati nei decumani minori di via Resalibera, via Mirabella, via Larga.
L'intervento romano fu comunque più incisivo extra-moenia nell'area compresa tra il foro ed il ginnasio.
Nel Medioevo l'importanza politica della città ebbe una notevole riduzione ed il perimetro urbano si restrinse al punto da occupare solo l'isola di Ortygia.
La Pentapoli che al tempo di Dionisio poteva vantare urta recinzione urbana di 27 km. nella stagione medievale perse l'importanza acquisita durante il periodo classico.
Fuori le mura rimasero solo poche costruzioni e queste quasi tutte di natura religiosa. Si trattava in genere di monasteri e di chiese di antichissima origine sui quali non è stato ancora terminato uno studio che analizzasse la loro relazione con il territorio, la campagna e la città.
Intra-moenia l'architettura fu spesso sottoposta a dure prove e ciò a causa degli incendi, dei saccheggi, dei terremoti, ecc, Ogni evento ebbe la funzione di complicare l'ordine razionale dell'architettura e dell'urbanistica precedenti.
Nei quartieri più popolari (quelli dei pescatori e degli artigiani) le trasformazioni furono più accentuate ed il groviglio architettonico è, ancora oggi di non semplice lettura. Nel Medioevo nell'isola andò generandosi una sorta di settorizzazione di tipo sociale la quale determinò una singolare gerarchia di valori architettonici ancora oggi evidente.
I due assi principali della città con la loro intersezione cruciforme determinarono quattro grossi settori urbani a loro volta caratterizzati da sub-settori i quali svolgevano un ruolo specifico nel complesso civico.
Avete spesso sentito dire che Siracusa è la più grande città greca, e la più bella di tutte. La sua fama non è usurpata: occupa una posizione molto forte, e inoltre bellissima da qualsiasi direzione vi si arrivi, sia per terra che per mare, e possiede due porti quasi racchiusi e abbracciati dagli edifici della città. Questi porti hanno ingressi diversi, ma che si congiungono e confluiscono all'altra estremità. Nel punto di contatto, la parte della città chiamata l' isola , separata da un braccio di mare, è però riunita e collegata al resto da uno stretto ponte. La città è così grande da essere considerata come l'unione di quattro città, e grandissime: una di queste è la già ricordata "isola ", che, cinta dai due porti, si spinge fino all'apertura che da accesso ad entrambi. Nell ' isola è la reggia che appartenne a lerone II, ora utilizzata dai pretori, e vi sono molti templi, tra i quali però i più importanti sono di gran lunga quello di Diana e quello di Minerva, ricco di opere d'arte prima dell'arrivo di Verre.
All'estremità dell'isola è una sorgente di acqua dolce, chiamata Aretusa, di straordinaria abbondanza, ricolma di pesci, che sarebbe completamente ricoperta dal mare, se non lo impedisse una diga di pietra.
L'altra città è chiamata Acradina, dove è un grandissimo Foro, bellissimi portici, un pritaneo ricco di opere d'arte, un'amplissima curia e un notevole tempio di Giove Olimpio; il resto della città, che è occupato da edifici privati, è diviso per tutta la sua lunghezza da una larga via, tagliata da molte vie trasversali.
La terza città, chiamata Tycha perché in essa era un antico tempio della Fortuna, contiene un amplissimo ginnasio e molti templi: si tratta di un quartiere molto ricercato e con molte abitazioni.
La quarta viene chiamata Neapolis ( città nuova), perché costruita per ultima: nella parte più alta dì essa è un grandissimo teatro, e inoltre due importanti templi, di Cerere e di Libera, e la statua di Apollo chiamata Temenite, molto bella e grande, che Verre, se avesse potuto, non avrebbe esitato a portar via.
Cicerone
(Verrine,II 4,117-119)
ARCHIA BACCHIADI -secondo la leggenda-
fondatore di Siracusa
Testo tratto da:
LA SICILIA ILLUSTRATA
di:Gustavo Chiesi
Secondo Strabone, che scrive pochi decenni più tardi, Siracusa sarebbe stata costituita da cinque città (VI 2, 4): la quinta è probabilmente da identificare con le Epipole, il grandissimo pianoro che domina la città a nord-ovest, che però rimase, anche nei periodi di massima estensione della città, quasi completamente disabitato, tranne poche frange marginali.
Queste descrizioni si riferiscono evidentemente alla città tardo ellenistica, che è il risultato di un lungo processo storico. La ricostruzione di questo processo, e della topografìa di Siracusa nei vari periodi, può basarsi su descrizioni di età diverse, da quella tucididea dell'assedio ateniese, preziosa per ricostruire la situazione più antica, a quelle di Diodoro, sparse per tutta la sua opera, a quelle di Livio e di Plutarco, a proposito dell'assedio romano. Si tratta di dati indispensabili, ma insufficienti, e talvolta poco chiari e contraddittori, che oggi possiamo integrare con la documentazione archeologica, arricchitasi di molto nel corso degli ultimi anni.
Le più antiche abitazioni di coloni trovate in Ortigia nell'area del Municipio e della Prefettura (degli ultimi decenni dell'VIII secolo) sono dei semplici ambienti quadrati o rettangolari (4x4 o 4x2,50 m), simili a quelli di Megara Iblea e di Eloro, che però si dispongono già secondo allineamenti che saranno ripresi nella successiva pianificazione del VII secolo: segno che quest'ultima tenne conto di una originaria e organizzata divisione in lotti realizzata fin dal primo stabilimento della colonia. La creazione di un sistema regolare di insulae, che resterà definitivo, si può datare, in base ai dati degli ultimi scavi, intorno alla metà del VII secolo. L'intera superfìcie (in media circa 1500 m di lunghezza per 600 di larghezza) venne suddivisa da un reticolo regolare di vie, larghe intorno a 2,50 m, determinanti una serie di isolati allungati, ampi 23-25 m. Questo impianto urbanistico si conserverà, attraverso il medioevo, fino all'età moderna, ed è in parte ancora leggibile: nel lato orientale ne hanno conservato l'andamento, da nord a sud, via Resalibera, via Mirabella, via Maestranza. In quest'ultimo caso, lo scavo di un grande edifìcio antico all'angolo con via Roma, realizzato nel 1909, ha confermato l'antichità dell'allineamento. A sud di via Maestranza, il quartiere della Giudecca ha conservato in gran parte anche le dimensioni degli isolati antichi. Lo scavo in questa zona (1891) di ben 34 pozzi con materiale del VII secolo, a poca distanza gli uni dagli altri, era stato già rottamente interpretato dall'Orsi in rapporto con resistenza di un gran numero di piccole case arcaiche. Una identica situazione si può leggere nel quadrante nord-ovest dell'isola, tra la via Cavour e il mare. Una porta tra due torri quadrangolari, scoperta recentemente in via XX Settembre, è collocata all'estremità di uno degli assi est-ovest. L'apertura, negli anni ''30, di via del Littorio (attuale via Matteotti) ha pienamente confermato l'andamento planimetrico così ricostruito, del quale sono stati ritrovati ampi settori, con edifìci e strade. Del resto, lo stesso orientamento degli edifìci antichi rimasti sempre in vista, come i templi di Atena e di Apollo, coincide, con lievi variazioni, con l'orientamento generale del quartiere. Ciò significa che questo non è posteriore all'inizio del vi secolo, data dell'Apollonion.
Oltre ai numerosi santuari, dei quali tratteremo in seguito, in Ortigia erano gli arsenali destinati alla costruzione delle navi e depositi di armi. Le navi da guerra erano concentrate soprattutto nel Porto piccolo, a nord-est dell'isola, il vero e proprio porto militare (detto anche Lakkion). A partire dai Dinomenidi, l'isola ospitò poi le dimore dei tiranni, più volte distrutte e ricostruite nel corso della travagliata storia della città. Il palazzo dovette assumere dimensioni imponenti soprattutto a partire da Dionigi il Vecchio, che evacuò interamente Ortigia dei suoi abitanti, per sostituirli con la propria corte, gli amici e i mercènari, e dotò l'isola di mura autonome. Le lettere di Platone ci consentono di farci un'idea di questa dimora, dotata di ampli giardini, e suddivisa in parti via via più inaccessibili, difese da alte mura. Sappiamo che il recesso più intimo della dimora di Dionigi era costituito da una piccola isola, separata dal resto tramite un canale con un ponte levatoio, che il tiranno poteva alzare per ritrovarsi completamente al sicuro (Cicerone, Tusculanae, 5, 59); è probabile che il cosiddetto « Teatro marittimo » di Villa Adriana, a Tivoli, ne sia un'imitazione.
L'edifìcio, distrutto da Timoleonte (Plutarco, Vita di Timoleonte, 21), fu ricostruito in forme più sontuose da Agatocle: ad esso doveva appartenere l'edifìcio detto « dei 60 letti », che sarebbe stato il più sontuoso della Sicilia (Diodoro, XVI 85). Il palazzo, abitato in seguito da Ierone II e da Ieronimo, divenne dopo la conquista romana — come abbiamo letto in Cicerone — l'abitazione del pretore, governatore della Sicilia. È incerto dove esso fosse esattamente collocato, anche se sappiamo che doveva essere in prossimità dell'arsenale, e a una certa distanza dalle estremità dell'isola. Sono escluse, naturalmente, anche le zone che hanno conservato la planimetria arcaica, a isolati allungati: tutto considerato, poiché si doveva trattare tra l'altro di un complesso di edifìci di dimensioni notevoli, sembra probabile che esso debba essere localizzato nell'area circostante alla piazza Archimede, tra il tempio di Apollo e quello di Atena. Un indizio in questo senso è costituito dalla scoperta, nel corso dell'apertura di via del Littorio, di un'iscrizione tardoantica, in cui un governatore di Sicilia altrimenti ignoto, Flavio Gelasio Busiride, dichiara di aver restaurato in un tempo particolarmente breve il praetorium (stesso nome anche in Cicerone, Verrine, II 4, 54), e cioè la sede dei governatori di Sicilia, che s'identifica, come si è detto, con la reggia di Ortigia. Si può pensare a un restauro avvenuto dopo le distruzioni provocate dalle invasioni dei Vandali. Al palazzo dovrebbero appartenere le grandiose strutture in opera quadrata rinvenute lungo la via del Littorio. Sempre nell'isola erano i grandi granai costruiti da Ierone II per ospitare il prodotto delle decime, che affluiva in città dopo la promulgazione della sua legge in merito (Livio, XXIV 21). Dei santuari esistenti nell'isola (conosciamo i culti di Apollo, Artemide, Atena, Esculapio, Gè Olympia) parleremo a proposito delle strutture ancora esistenti.
L'isola dovette essere collegata alla terraferma quasi subito, tramite un terrapieno, che fu più tardi sostituito da un ponte. Questo divideva, come ricorda Cicerone, il Porto grande, a sud-ovest, dal Porto piccolo, a nord-est. Quest'ultimo era il porto militare già all'epoca dell'assedio ateniese, e per questo era incluso all'interno delle mura. Diodoro Siculo ricorda le torri che seguivano i margini del Porto piccolo, con iscrizioni di Agatocle realizzate in pietre di vari colori (XVI 85, 2).
maappe ortigia varie epoche