tempio Ninfa Ciane - Monumenti Greci

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Monumenti greci
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tempio Ninfa Ciane

Tempio dedicato alla Ninfa Ciane a cura di Laura Cassataro, tratto da “I SIRACUSANI” anno V N. 28 novembre-dicembre 2000

Prospetto della casa rurale (masseria Navora)

Cavallari ritiene che il muro completo del tempio fosse di m.36,33: si trattava, quindi, di una struttura molto ampia, che superava 1000 mq, i cui paramenti murari esterni non risultavano finemente rifiniti. Le pareti interne presentavano tracce di muratura e la pavimentazione era forse realizzata a mosaico, come il rinvenimento di cubetti di m 0,04 nel terreno circostante, gli fece pensare.
La colonna orfana era riuscita a rimanere in compagnia di un'altra, per più di cento anni;
   
oggi è sola e... a testa in giù. L'intensa attività edilizia che caratterizzò, com'è noto, la colonia corinzia Siracusa, si estrinsecò in tutte le tipologie architettoniche, raggiungendo livelli ottimali e dimostrando l'alto grado di specializzazione delle maestranze. La sola estensione della città greca, che nel periodo ellenistico raggiunse l'apice dei 325 ettari di superficie costruita, basterebbe da sola a testimo-niare l'enorme valenza urbanistico- architettonica della "più grande città greca e la più bella di tutte", come la definì Cicerone nel noto passo delle Verrine (11,4). Ma la città greca vive principalmente del proprio territorio: essa è da considerarsi, quindi, come il pianeta attorno al quale, fuori dalle mura di fortificazione, orbitano piccoli satelliti, i suburbi e i luoghi sacri. L'avvio alla fondazione coloniale non è mai disgiunto dalla sacralizzazione del sito prescelto. E se il "sacro" ci appare monumentale e maestoso nei templi entro le mura, al di fuori di queste ha generalmente dimensioni assai più modeste, come nell'Antro a Scala Greca e nella favissa a Belvedere dedicati ad Artemide, nel santuario di Apollo Temenite e in quello della Stazione nonché nel tempio di Ciane, con l'unica eccezione forse dell'imponente tempio dedicato al padre degli dei (Zeus Olimpio) nell'altura di Policne. Dal punto di vista topografico è indubbio che i santuari extraurbani erano ubicati in punti nevralgici per il controllo del territorio, andandosi ad atte-stare, nella maggior parte dei casi, nei siti interessati da preesistenti culti indigeni determinandone la ellenizzazione.
Tracce evidenti di riutilizzo di blocchi 'antichi' si possono osservare sui muri a secco più o meno ricoperti da remi e pale di fichidindia e nella muratura della casa stessa che presenta alcuni squarci.
Nell'affrontare il problema dei santuari extraurbani di Siracusa ho rilevato che gli storici ne indicano sempre l'ubicazione con la possibile precisione, mentre di quello della ninfa Ciane fanno un troppo generico riferimento alla zona della fonte.
L'assetto geomorfologico del territorio in questione era, sino alla bonifica della fine dell'800, com'è noto, essenzialmente paludoso (era la palude Lisimelia o Syrakò). Se una struttura templare era stata costruita, essa doveva necessariamente sorgere su un'altura ed in relazione visiva con l'olimpeion sulla Policne (oggi "Due Colonne": con riferimento alle uniche due colonne superstiti) e non doveva essere troppo vicina al laghetto- sorgente (Testa della Pisma e Pismotta) per gli stessi motivi. Nel 1887 il cavaliere Francesco Saverio Cavallari, primo direttore del museo archeologico di Siracusa, pubblicava un interessante (ma oggi forse dimenticato) rendiconto di scavo effettuato nel territorio, sul Cozzo Scandurra.
Racconta il Cavallari che il notaio Concetto Chimirri, "assai devoto all'incremento del Museo Siracusano", donò ad esso una "preziosa scultura". Si trattava di una grondaia a testa leonina in pietra calcarea attaccata ad un frammento di sima dell'altezza di m 0,34 e della lunghezza di m 0,465. Questo reperto era venuto casualmente alla luce durante alcuni lavori di cava sul Cozzo Scandurra. I picconieri, i quali avevano il compito di costruire un muro a secco nella proprietà vicina del Sig. Antonino Di Silvestri, "trassero grande quantità di massi squadrati di tufo calcare, coi quali, rompendoli, fecero il nuovo muro per la lunghezza di 150 metri". Il rinvenimento della gronda e dei numerosi blocchi su una delle colline attorno alla Fonte Ciane, mise subito il Cavallari in grado di affermare che "così ci fosse indicato il luogo ove sorgeva il sacrario dedicato alla Ninfa, da cui la famosa fonte ebbe nome". Autorizzato dall'allora proprieta—rio barone Giuseppe Scarichimi, l'archeologo iniziò la sua campagna di scavo riportando alla luce non solo un frammento di un'altra grondaia a testa leonina, ma resti "di antico muro, e molti e grossi frammen ti fittili, collegali con grappe di piombo, e pezzi di tegole e di tegoline curvilinee ".
Si riuscì così a seguire la parte perimetrale dell'edificio: per intero, il muro occidentale lungo metri 36,33; parzialmente i muri settentrionale (per metri 10) e meridionale (perimetri 20); totalmente asportato dai picconieri il muro orientale. Benché questi ultimi non si fossero limitati a quest'asportazione, ma avessero praticato, nella parte basamentale, un vero e proprio scavo in profondità, Cavallari riuscì a ricostruire la pianta della costruzione che a lui risulta essere quadrata. Due pezzi di colonne in pietra calcarea scanalate furono gli unici altri elementi architettonici ritrovati nell'angolo Nord-Ovest della struttura. Lungo le parti perimetrali interne dei filari dei muri la presenza di una serie di "recipienti rotti e restaurati con grappe di piombo, disposti l'uno appresso all'altro, con piccolissimo intervallo, non poggiati sopra solido suolo, ma conficcati in uno strato cretaceo, e lateralmente murati in calcestruzzo" potrebbero far pensare alla funzione cultuale del fabbricato. "Tutto adunque dimostra, che in questo Cozzo di Scandurra fosse stato eretto un edificio decorato di colonne, che pel loro diametro di metri 0,49, bene potevano sorgere sui muri, che hanno lo spessore di metri 0,56. Il quale edificio altro non poteva essere se non il santuario della Ninfa Ciane (tès Kuànes ieròn, Diod. XIV, 72), donde nel 396 av. Cr. Dionisio attaccò i Cartaginesi comandati da Imilcone ".
Chi volesse oggi individuare sulla carta dell'Istituto Geografico Militare la denominazione Cozzo Scandurra (che doveva far parte del feudo del barone omonimo) rimarrebbe deluso, perché di esso non v'è traccia. Il nome del barone, invece permane nel Canale Scandurra (Sgandurra, nel Foglio di mappa 92 di Siracusa) realizzato per bonificare la palude alla fine dell'800 e nella contrada a Nord della Sorgente del Ciane. Volendo, quindi, individuare il sito da Cavallari segnalato, non restava che il sopralluogo sul territorio. Dopo giorni e giorni di ricerche e di indagini presso la gente del luogo, in particolare alle Masserie Napoletano e Biancuzza, che rivelaro-no difficoltà maggiori del previsto a causa soprattutto delle trasformazioni agrarie intervenute in un lungo arco di tempo, sono riuscita a trovare nell'attuale località Biancuzza il muro a secco, lungo 150 metri, realizzato con i blocchi rotti provenienti dal Cozzo Scandurra, in gran parte nascosto dai rovi. Sotto i fichidindia si intravede un muro a secco e, in primo piano, un blocco sporgente del tempio (uno dei tanti reimpiegati) che sembra voglia farsi notare dal passante!


Di fondamentale importanza è stata la dichiarazione del Sig. Diego Beliamo, proprietario di un fabbricato vicino, il quale mi ha raccontato di aver visto, nel 1998, durante una delle sue passeggiate a cavallo, due colonne antiche nei pressi di un caseggiato rurale abbandonato, che non doveva essere lontano dal predetto muro a secco. La ricerca ha dato esito positivo. Dentro un agrumeto ho individuato il caseggiato rurale: lungo il prospetto della casa biancheggiava tra le erbacce una sola colonna. La casa risulta chiaramente costruita per largo tratto sopra un filare di grossi blocchi di pietra calcarea regolarmente squadrati e che ritengo costituiscano il limite del basamento del tempio, nella loro giacitura originaria, che probabilmente prosegue al di sotto del pavimento della casa. Altri blocchi, non integri, sono a questa accostati a mo' di zoccolatura tanto che, davanti alle soglie delle porte fungono da gradini. Delle due colonne viste sino al '98 dal Sig. Beliamo ne rimane soltanto una, per di più fissata capovolta. L'imoscapo, infatti, si trova nella parte superiore e la parte inferiore, non più aderente alla superficie di base, è sostenuta con inzeppatura di frammenti vari. Tracce evidenti di riutilizzo di blocchi "antichi" si possono osservare nei muri a secco, più o meno ricoperti da rovi e pale di fichidindia, e nella muratura della casa stessa, che presenta alcuni squarci. Nel terreno circostante, smosso dall'aratro, il cocciame più vario affiora differenziandosi per il colore rossastro. Non credo ci possano essere dubbi sul fatto che la descrizione del Cavallari sia da riferirsi a questo sito, oggi Masseria Navora. Nonostante la costruzione della casa rurale sia sicuramente anteriore alla legge n. 1089 del 10 giugno 1939, non si può fare a meno di rammaricarsi per quello che rappresenta il completamento di una vera e propria distinzione già in atto fin da epoca lontana, se è vero, come è vero, che già nel 1887, l'archeologo parlava di avanzi di costruzioni. Non si può, poi, tacere del totale stato di abbandono di quel poco che oltre un secolo fa era stato individuato. La scomparsa di una delle colonne e la riutilizzazione di blocchi della antica struttura nella costruzione o nel rifacimento di muri a secco, sono segni di una troppo lunga rinunzia ad ogni azione di tutela e salvaguardia, che ci si augura cessi prontamente per la salvezza di quei brandelli lapidei, che non devono cadere nell'oblio.

Le fonti letterarie
La ninfa Ciane fu oggetto di un vivissimo culto presso i greci di Siracusa, i quali a lei facevano sacrifici presso e nelle acque della fonte sacre, dedicandole quindi un tempio, come ci rende noto Diodoro.
Lo storico di Agira, infatti, riferendo i fatti precedenti la disfatta dei Cartaginesi di Imilcone, accampati alla Policne, presso il Tempio di Zeus Olimpio, ad opera di Dionigi nel 396 a.C., così si esprime: "Dionisio, appena informato della sventura cartaginese, armò ottanta navi e ordinò ai navarchi Faracida e Leprine di attaccare all'alba le navi nemiche; egli, invece, essendo la notte senza luna, fece fare un largo giro all'esercito, passò dal Tempio di Ciane e, all'alba, si avvicinò all'accampamento senza che i tiemici se ne accorgessero" (XIV, 72). Friedrich Mùnter, nel 1788 scriveva: "Nel lido di tale ruscello (il Ciane) vi era allora un Tempio, ora totalmente distrutto, consagrato alla Ninfa Ciane, di cui fanno ricordo gli antichi". Vincenzo Mirabella, nel 1807, dopo aver riportato il Inano di Diodoro, ritiene "molto verisimile essere stato questo tempio dedicato a costei" e ci offre anche la sua ubicazione nella carta a corredo, non lontano dalla fonte Ciane.
Nella cartina di Vincenzo Mirabella il tempio di Ciane è ubicato in maniera generica nei pressi della fonte omonima




Serafino Privilera, nel 1879 (Storia di Siracusa): " Era buia la notte, ed egli (Dionisio) con le truppe uscito alla campagna per vie non peste, lasciandosi a mancina le paludi, la fonte e il Tempio di Ciane, risalendo il giro del colle Olimpico, in sul sorgere del sole trovassi schierato di fronte ai nemici". 
Di recente (1992) Brian Caven (Dionisio di Siracusa): "In una notte senza luna Dionisio condusse le sue forze fuori della città, attraverso il fiume Anapo e intorno al fianco sinistro della postazione di Imilcone nelle vicinanze del tempio di Ciane (situato, senza dubbio, vicino alla sorgente del fiume omonimo)".
La leggenda
C'era una volta una leggiadra ninfa di nome Ciane (in greco Kyane, Vazzurra). La sua storia, come tante altre storie di giovani ninfe, viene variamente narrata dalle fonti: Diodoro Siculo, Plutarco, Ovidio.
Gli aneddoti, intrecciandosi, ci rendono viva la presenza della fanciulla legata al culto di Denietra e Kore, quindi, al rito della fertilità.
Traendo origine dal sostrato indigeno, la sua leggenda si lega ad una trasformazione in acqua: una sorgente che scaturendo dal basso forma un fiume, il Ciane (oggi famoso per la presenza del papiro).
Si racconta come la ninfa, piangendo disperatamente per il rapimento dell'amica Core (Persefone) da parte di Ades (Plutone) che ella, con i suoi occhi, aveva visto sparire sotto terra, si fosse trasformata, proprio nel punto della voragine, in sorgente. Questa metamorfosi sarebbe stata, secondo un'altra versione, determinata da Plutone indispettito per la presenza della ninfa.
Eracle, durante le sue peregrinazioni, avendo appreso questa triste, leggenda, volle rendere onore a Demetra e Core, sacrificando il migliore dei suoi tori che fece immergere nelle acque di Ciane. Egli, inoltre, prima di andare via, "ordinò agli indigeni di offrire ogni anno sacrifici a Core e di celebrare presso la fonte Ciane una riunione solenne e un rito sacrificale" (Diod. IV, 23). Sappiamo infatti che i greci di Siracusa istituirono le "panegiris" di Ciane, feste annuali che si svolgevano con cortei di uomini e di donne e, non solo con il sacrificio di un bue nelle acque cerulee della fonte, ma anche portando in processione pani di giuggiolena e miele in forma di genitali femminili, chiamati "mylloi ". Il mito di Ciane ha, quindi, una forte connotazione propiziatoria e di fertilità e, come quello di Aretusa, si abbina inevitabilmente ad un amore impossibile, quello di Anapo che, trasformato in fiume riuscirà ad unirsi a Ciane alla foce, come ci racconta Ovidio: "quoque suis Cyanem miscet Anapus ". Una variante al mito di Ciane ci viene tramandata da Plutarco: Ciane sarebbe stata violentat a dal padre Cianippo, in stato di ubriachezza, per disegno di vendetta del dio Dioniso al quale egli aveva recato oltraggio. Scoperta la verità Ciane avrebbe ucciso il padre e sé stessa nel punto ove ancora oggi è la fonte, liberando oltretutto Siracusa dalla pestilenza che vi si era abbattuta a causa del terribile misfatto.
Blocco errante di finissima pietra calcarea che potrebbe essere un capitello. Nonostante il saccheggio perpetuatosi già in antico, quello che rimane è di grandissimo interesse e potrebbe ancora fornirci parecchie informazioni non solo sulla planimetria, ma anche sull' alzato del tempio, nonché sul culto vero e proprio che qui vi si officiava e sulla cronologia del santuario che, a detta degli studiosi, dovrebbe essere uno tra i più antichi impiantati nel territorio siracusano.

Nel Museo Archeologico P. Orsi di Siracusa è possibile ammirare la Testa di Laganello (dal nome della contrada ad est del fiume Ciane), testa femminile, di forma cubica, gli occhi grandi
e realizzati in superficie, i capelli a trecce e il polos sul capo; opera di un artista locale degli inizi del VI sec. a.C. Le dimensioni notevoli farebbero pensare ad una statua di divinità o forse... di ninfa, magari di Ciane. Dallo stesso territorio provengono interessanti materiali votivi (V sec. a.C.) come, ad esempio, un piccolo braciere in argilla che presenta tre anse con teste di toro, decorato nella parte superiore del piede, con una testina femminile e una statuetta fittile di dea in trono.
 

grondaia a testa leonina-forse appartenente al tempio-museo archeologico siracusa

Il mito e la storia
Cantarono i poeti la triste sventura della ninfa Ciane, come quella di Aretusa, le cui limpidissime acque appariscono in due celebrate sorgive, la prima ad ovest, nord-ovest dell'Olimpico ed a mezzogiorno dell' Anapo, e Ma seconda nell' isola di Ortigia. Le acque di queste due fonti hanno la stessa origine e scorrono sotterraneamente nel centro dell'Agro siracusano, tracciando una linea retta, la quale comincia ad apparire nei luoghi chiamati la Pisma e la Pismotta, riapparisce dentro il Porto grande in varii punti e sgorga, come se fosse un fiume sotterraneo, alla fonte Aretusa.
Sulla natura del suolo dell'Agro siracusano e sulle acque che traversano sotterraneamente tutta questa contrada non abbiamo altro ad aggiungere a quanto si è detto nella cit. Top. Archeologica di Siracusa Cap. IV. « Ricerche sulla provenienza delle acque potabili e sulla distribuzione di esse nell'antica Siracusa. » Nel corso di quel capitolo l'Ingegnere Cristoforo Cavallari di¬mostrò con accurate ricerche e con una tavola altimetrica e profili longitudinali e trasversali, qualmente sotto i basalti ed i tufi, uno stratQ di argilla impermeabile conduce un fiume di acque,che dai monti Iblei sboccano sotterraneamente nel depresso Agro siracusano e ne apparisce una grande quantità nelle cen- nate fonti non solo, ma in tutti quei luoghi quasi al livello del mare ed anche sottostanti a questo, ove lo .strato dell'argilla è denudato.
La presenza delle correnti di lava vulcanica sotto marine della Valle di Noto, come l'ha chiamato il geologo Sartorius von Wal- tershausen, si palesa nel sottosuolo dell'Agro siracusano, e la variata pressione delle acque latenti prova, che nei vuoti delle varie correnti di quelle lave sotterranee si palesa da pertutto.
E molto probabile che la fonte Ciane siasi manifestata da uno sprofondamento della superficie del suolo dovuto agli sconvolgimeuti vulcanici ed alla forza esplosiva delle acque che in gran-dissima quantità fluiscono' rinchiuse tra le grandi cavernosità delle correnti sotterranee di lava. La Pisma e la Pismotta della Fonte Ciane, sono probabilmente due sprofondamenti del suolo ed ivi sgorgano quelle copiose acque.
Il mito che Proserpina e il suo rapitore Plutone discesero all'inferno per la fonte Ciane ebbe probabilmente origine dalle forze naturali non comprese, per creare una religione ideale della fantasia del mondo pagano. ,
Il territorio phe circonda questa fonte è stato solamente studiato per porre in armonia le descrizioni dei classici riferibili agli assedi sostenuti dai Siracusani, ma ricerche topografiche ed ar¬cheologiche non se ne sono fatte sinora. Tutti gli scrittori -antichi e moderni Sostengono che dovea esistere un tempio dedicato a quella Ninfa, ma dove potè,a essere collocato, una volta che i dintorni delle due sorgenti di sopra notate sono pieni di melma e delle acque della palude, detta del Pantano.
Le acque delle due sorgive si riuniscono con quelle dell'Anapo. Solamente nel tratto ove scorrono quelle della fonte cresce spon-taneo il papiro, poiché questa pianta non vegeta punto in quella parte ove si riuniscono le acque della sdrgiva con quelle dell'A¬napo. Questo fatto fa credere con ragione, che per vegetare il papiro, l'acqua deve avere uua data temperatura costante, e poi¬ché questa condizione non ha l'acqua dell'Anapo, il papiro non vegeta ove le due acque sì riuniscono , risultandone variabile la temperatura.
Tutta la contrada ove scorrono le acque della Ciane è cir¬condata da tanti monticoli, volgarmente chiamati Cozzi con i nomi delle varie contrade. In queste piccole collinette sotto uno strato di terra vegetabile di quasi un metro, s'incontra uno strato di argilla non rimaneggiata, e ciò fa supporre che queste collinette fossero sollevazioni parziali dovute alla natura vulcanica del sottosuolo. Uno di questi Cozzi chiamato Scandurra dista meno di un chilometro dalla fonte Ciane ed è situato quasi all'Ovest dell'Olimpico avente a nord, nord-ovest l'Anapo; ed in questo luogo s'intrapresero dei piceoli scavi nel Maggio 1887 1 nell' occasione di osservisi trovato Una grondaja di tufo calcare rappresentante una grande testa di leone chiomata con la. bocca aperta, la lingua sporgente e la gola forata per lo scolo delle acque, larg. m. 0, 465, alta m. 0, 34, conservando una parte inferiore del Sima. Lar prima cosa che s'incontrò negli scavi da noi personalmente diretti, fu uh frammento della parte interiore della bocca del leone di un altra grondaja eguale a quella antecedentemente trovata ed un enorme quantità di frammenti di grandi vasi di terra cotta, e molti pezzi di piombo che servirono, come dopo si constatò, a fortificare quei grandissimi recipienti per conservare liquidi.
Questi trovamenti accennavano la possibilità di trovare gli avanzi di qualche tempio o almeno di qualche edicola, dappoiché la presenza delle grondaje in quel sito facevano supporre l'esistenza di un edificio coperto.
E in fatti proseguiti gli scavi si rinvennero le costruzioni di un edifizio di pezzi squadrati e ben connessi al posto antico e di accurata fattura. La lunghezza del muro occidentale è metri 36, 33, della lunghezza di quello meridionale ne esisteva solamente met. 20, ma dei detriti scoperti si riconobbe che l'edifizio a di forma quadrata ed in conseguenza anche questo lato dovea essere lungo met. 36,33.
Questo muro che circonda l'edifizio si compone di due filari di pezzi dello spessore di cm. 56, e della lunghezza di ogni pezzo m. 1, 20, ma senza fondazione. Fatto un saggio si constatò che il primo filare poggia sopra uno strato di argilla non toccata. Ciò esclude una grande elevazione dell' edifizio e quindi non avrebbe luogo supporre il coronamento di un tempio decorato di grandissime grondaje; queste però si trovarono al posto antico e quindi si deve ricorrere all'idea, che una fonte artificiale decorata da quelle grondaje esistesse nel sito stesso.
I saggi fatti nell'area del quadrato, altri risultati non diedero, se non che il rinvenimento di frammenti di un mosaico a grossi pezzetti, ed una fila di grandissime anfore di terra cotta, disposte in giro alle citate mura di cinta e quasi in contatto di esse mura, ma distanti una dall'altra cent. 15. Calcolando la curva, il diametro massimo di ognuno di detti recipienti arriva a m. 1, 85, e l'altezza approssimativa a m. 1, 90. Egualmente si trovarono in questo scavo, verso l'angolo interno nord-ovest dello edifizio, due tronchi di colonne del diametro di m. 0, 45, con scanelli larghi cm. 7, 8, ed una fascia all'imoscapo di cm. 12.
L'esistenza di colonne fa supporre che una decorazione architettonica dovesse ornare l'edifizio, ma la piccolezza del loro diametro esclude 1' idea che le colossali grondaje potessero far parte del coronamento di una trabeazione proporzionata al diametro delle citate colonne nel sito stesso trovate, quindi più ci confermiamo nel concetto che le grondaje non facessero partedi una decorazione architettonica, ma bensì di una grandiosa fonte artificiale, da dove si facevano sgorgare le acque sacre alla Ninfa Ciane, per celebrarvi le annue feste popolari di antichissima data, in ricordanza del mito di Ercole, che fece in quella fonte sommergere il più bel toro del suo gregge in onore di Plutone e di Proserpina.
I dintorni della fonte Ciane poco si potevano prestare alla celebrazioue delle feste popolari ed annue, trovandosi, come abbiamo detto, quei luoghi pantanosi e pieni di melma, che non lasciano nè spazio, nè la possibilità per potervisi riunire il popolo, quindi quelle feste non si sarebbero potute celebrare che sulle alture di quelle colline chiamati Gozzi che circondano la fonte in parola.
Or l'edifizio -e gli oggetti antichi nel Cozzo Scandurra, ci fan supporre essere uno di quelli appositamente destinati alla celebrazione delle feste, e i recipienti in grandissimo numero riuniti in quel sito, ci confermano, che nelle feste venivano riempiti delle sacre acque della sorgiva Ciane, le quali poi si facevano sgorgare da una fonte artificiale, alla quale, come abbiam detto, dovevano appartenere le grondaje trovate sul posto.
Lo stile delle, citate grondaje con le teste di leone non è arcaico, esse evidentemente appartengono a quell'epoca in cui le arti sfoggiavano larghe forme tondeggianti e grandiose, che costituivano la speciale caratteristica delle opere di plastica del IV sec. a. C., rispondente forse all'epoca di Dionisio, dopo la vittoria che questo tiranno riportò contro i Cartaginesi nello stesso campo fortificato all'Olimpico, alle Castella ed all'intorno della fonte Ciane, alla cui estrema sinistra trovasi il Cozzo Scaudurra.
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