tempio di Giove - Monumenti Greci

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Monumenti greci
Vai ai contenuti

tempio di Giove

Tempio di Giove Siracusa
Siracusa, tempio di Giove Olimpio.
Testi video filmato
Il tempio di Giove Olimpio si trova a Siracusa in via Elorina, dai siracusani località chiamata 2 colonne, di fronte al faro Carrozzieri-incrocio con via Lido Sacramento.
Dagli storici e chiamato anche Olympeion.
Secondo gli storici, nel tempio, c’era una grandiosa statua criselefantina realizzata in oro e avorio e rivestita da un manto d'oro offerto da Gelone, secondo (Cicerone, Verrine', II 4, 128), rubata da Verre.
Punto di riferimento per i naviganti, fu edificato su una collina prospiciente l’ingresso al porto grande con vista panoramica della costa di levante di Ortigia, ad est la costa del Plemmirio, e ad ovest l’intera città alta.
Fu costruito, nei primi decenni del VI secolo a.C., 550/540, sulla collina sovrastante le antiche Paludi Lisimelie, bonificate alla fine dell’800, oggi contrada Pantanelli, adiacente al sobborgo, chiamato Polichne, il quale, era probabilmente privo di mura, (Tucidide, VII 4)
Era raggiungibile via mare, da Ortigia, e dalle contrade Fusco e Canalicchio, dall’antica via Elorina, a quel tempo era un semplice sentiero attraverso le Paludi e un ponte in legno sull’Anapo.
Dalla pianta, molto allungata, metri 20,50 x60, si rileva che era esastilo periptero, con colonne Monolitiche, alte m. 8., 17 sui lati lunghi e 2 file di 6 colonne sulla fronte, la cella con pronao e adyton, uguale al tempio di Apollo in Ortigia, ma senza Opistodomo.
L'intercolumnio frontale era di metri 4,08 e quello laterale metri 3,75.
La parte superiore era rivestita in ceramica dipinta dagli abili artigiani ellenici che provvedevano dopo a fissare i pannelli composti, all’architrave lignea con supporti metallici.
I rivestimenti fittili erano realizzati in creta rosea fittamente cosparsa di pietra lavica triturata cosparsa di un sottilissimo strato di argilla purissima poi colorata con una base giallo-crema e infine decorata con colori bruno e paonazzo prima di essere cotti nelle fornaci ad alta temperatura.
Nel corso degli scavi effettuati da Paolo Orsi nel 1902 furono rinvenute anche numerose tegole piane che proteggevano il tetto e, oltre a frammenti di ceramica dipinta, anche alcune in bronzo, oggi esposti nel settore B del Museo archeologico aretuseo.
Dell’antico tempio, lungo oltre 20 metri, rimangono alcuni elementi lapidei del basamento, realizzato in poderosi blocchi in calcare tufaceo tratto tra dalla roccia cavata in loco, come dimostrato dal brecciame e scaglie, residui di lavorazione nell’area interna della cella e le intercapedini dello stilobate.
Il Peristilio, oggi sprofondato di oltre un metro nel terreno particolarmente friabile, secondo Paolo Orsi, poggiavano quasi certamente su un basamento in legno e terracotta.
Del colonnato, erano 8 monolitiche fino al tardo Settecento, ne restano solo due con 16 scanalature, collarino alla base, indice di arcaicità, e senza tracce dell’antico intonaco.
Era gestito e amministrato da sacerdoti di massimo rango della città.
Vero centro politico amministrativo, nel tempio era custodito il tesoro e le liste dei cittadini.
Lo storico Vincenzo Mirabella, al suo tempo, misurò le sei colonne allora esistenti.
Nel 1839 l’archeologo Lo Faso Pietrasanta fu il primo ad indagare le caratteristiche costruttive del tempio, basamento a gradini e proporzioni ipotizzando altezza, diametri e numero di scanalature delle due colonne superstiti.
Nel 1883, Francesco Saverio Cavallari e Adolfo Holm, esaminarono il versante orientale della collina Polichne e la circostante, Cozzo Pantano, osservarono tagli in roccia relativi ad un tracciato viario, forse dell'antica via Elorina, recuperando interessanti frammenti architettonici e terrecotte.
Nel corso degli scavi archeologici del 1953 sono stati ritrovati frammenti di ceramiche e portati alla luce 2 profondi fossati, forse opere di difesa risalenti all’epoca degli assedi cartaginesi o a quello romano.
I viaggiatori e gli artisti del Settecento e del primo Ottocento, tra i quali Jean Hoüel (1778), tramandarono disegni e foto.
Sconvolgente il commento di Houel il quale scrisse: “…I proprietari del campo dove sono le rovine del tempio di Giove, hanno distrutto completamente sia le colonne sia i capitelli che giacevano rovesciati per terra: li hanno frantumati e prelevati per costruire capanne e per arare più facilmente il terreno. Hanno preferito il piccolo beneficio di poche manciate di spighe, alla conservazione di queste rovine antiche per le quali non hanno rispetto.”
L'Olympieion o tempio di Giove, si trova a Siracusa in via Elorina in località conosciuta dai siracusani "2 colonne", di fronte al faro Carrozzieri-incrocio con via Lido Sacramento.



localizzazione, in rosso l'antica via Elorina


Il ricordo più antico del santuario ci riporta al 491 a. C, quando Ippocrate di Gela, dopo la vittoria all' Eloro sui Siracusani, si accampò presso il tempio,e scoprì ili sacerdote e altri in atto di depredare gli ex voto, e jl mantello della statua di culto, in parte d'oro. Egli rimandò indietro i predatori, e si astenne dal toccare i tesori del santuario (Diodoro, X 28, 1). Anche gli Ateniesi, quando nel 414 si accamparono intorno al tempio, non toccarono il tesoro del dio (Pausania, X 28, 6) È probabile che ben altrimenti si comportassero gli eserciti cartaginesi nel 391 e nel 309 a. C, e forse anche i Romani nel 214 (Livio, XXIV 33, 3). Del resto, lo stesso Dionigi aveva privato il dio del mantello. d'oro offerto da Gelone con il "denaro ricavato dalla preda cartaginese della battaglia di Himera, con l'ironico pretesto che il dio sarebbe stato assai più protetto dal freddo e dal caldo con un mantello di lana (Cicerone, De natura deorum, III 83). .Anche Verre rubò nel tempio un simulacro di Zeus Urios (Cicerone, Verrine', II 4, 128).

L'edificio sorgeva all'interno di un sobborgo chiamato Polichne (Tucidide, VII 4), che era probabilmente privo di mura. In esso venivano conservate le liste dei cittadini di Siracusa, che vennero intercettate dagli Ateniesi mentre i Siracusani tentavano di portarle in salvo nella città su una nave (Plutarco, Vita di Micia, 14). L'importanza del santuario come centro politico è dimostrata anche dal. fatto che l'anfìpolia di Zeus Olimpio, creata da Timoleonte, era anche la magistratura eponima della città (Diodoro, XVI 70, 6).
II tempio, scavato a più riprese (1893, 1902, 1953) e restaurato di recente, è piuttosto mal conservato. Ne resta parte del krepidoma, e tutto l'incasso della roccia in cui era inserita la fondazione, con due colonne del lato sud ancora in piedi. L'edificio era molto allungato (20,50x,60. m) e presentava una. peristasi di. 6 colonne per 17, probabilmente tutte monolitiche. come quelle del 'tempio di Apollo, alte, circa .8m, con un diametro inferiore di 1,84. L'intercolumnio frontale era_ di 4,08 m, quello laterale di 3,75. La cella era preceduta da un pronao, e seguita da un àdyton senza opistodomo: pianta molto simile dell'Apollonion, al quale si apparentano anche le terrecotte architettoniche. Alcuni aspetti più evoluti permettono di datare l'edificio a un'epoca leggermente più tarda (sempre comunque entro i primi decenni del VI sec. a. C.). Lo scavo del 1953 ha rivelato la presenza, accanto al tempio, di due profondi fossati, opere di difesa che, in base alla ceramica scoperta, possono essere attribuite a uno degli assedi cartaginesi o a quello romano.

L'attribuzione è certa grazie alle informazioni fornite delle fonti letterarie.
Lo Faso Pietrasanta , archeologo, nato a Palermo il 21 febbraio 1783, morto a Firenze il 15 febbraio 1863, presidente della Commissione di antichità e belle arti per la Sicilia, istituita in Palermo nel 1827, nel 1839, indagò e studiò le caratteristiche costruttive e stabilì altezza, diametri e numero di scanalature delle due colonne superstiti, l'esistenza di un basamento a gradini, proporzioni.
Precedentemente Vincenzo Mirabella le aveva misurate quando in sito era ancora 6 colonne del tempio.

Nel 1883 il sito venne indagato e studiato da Francesco Saverio Cavallari e Adolfo Holm, i quali, sul versante orientale della collina della Polichne, osservarono tagli in roccia relativi ad un tracciato viario, forse dell'antica via Elorina o di una via sacra che congiungeva il Fusco al santuario extraurbano, e recuperarono, sulla collina circostante, Cozzo Pantano, terrecotte e frammenti architettonici. Vedi anche: tempio Ninfa Ciane
Nel 1889 Francesco Saverio Cavallari iniziava la sua campagna di scavo per mettere in luce il tempio extra-urbano di Zeus Olimpio, ubicato sul costone roccioso che si alza sulla ex palude Lysimeleia, bonificata alla fine del XIX secolo, oggi contrada Pantanelli. In questa zona viene ubicata la cittadella greca della Polycne citata dallo storico Diodoro Siculo, nella quale era stato eretto il tempio di Zeus Olimpio o Olympieion. E’ significativo che lo stesso suburbio veniva denominato come Olympieion già da Tucidide, con riferimento al nome del tempio, che si impiantò con ogni probabilità su un preesistente centro cultuale indigeno. La particolare posizione sulla linea di ingresso nel Porto Grande lo caratterizza come riferimento a terra per i naviganti che arrivavano a Siracusa, tant’è che Cicerone ci tramanda che Giove fosse colà venerato come Urios, protettore dei naviganti. I Greci sfruttarono adeguatamente questo punto strategico, che si erge dal fondovalle creando una vera e propria cittadella fortificata, come le due trincee sui lati sud e est del tempio fanno ragionevolmente pensare. Esse sono il frutto dello scavo del 1953 di E. Lissi e potrebbero essere stati realizzati o per l’assedio cartaginese o romano. Una via sacra conduceva alla Polycne sfruttando i punti rocciosi della zona paludosa. Scrive l’archeologo Paolo Orsi, il quale riprese le indagini archeologiche sul tempio nel 1893, che il Cavallari “fu obbligato a ricoprire gli avanzi messi a nudo. Riorganizzato su nuove basi il servizio archeologico del Regno, e costituita una direzione autonoma in Siracusa, era naturale che gli avanzi di un tempio così ragguardevole, per quanto tenui essi fossero, dovessero essere restituiti in evidenza e messi a disposizione degli studiosi, ovviando al grave inconveniente che l’aratro passasse ogni anno e le mandre pascolassero liberamente là dove un giorno sorse la dimora ed il santuario del dio”.

resti del tempio di Giove conservati ed esposti presso il Museo archeologico Paolo Orsi

La campagna di scavo orsiana fu “condotta col doppio intento di rintracciare e mettere a nudo tutte le parti superstiti del tempio, e di raccogliere gli avanzi architettonici e decorativi ad esso pertinenti”. Fra i reperti furono scoperte diverse terrecotte architettoniche che facevano parte della decorazione dell’elevato ligneo del tempio. Si rammarica l’archeologo roveretano che, a causa della “secolare e persistente devastazione” intensa e continua, furono ben pochi i reperti riportati in luce. Il Tempio di Zeus Olimpio, datato alla prima decade del VI sec. a.C., esastilo periptero (2 file di 6 colonne sulla fronte e 17 sui lati lunghi, probabilmente monolitiche) con pronao, cella e adito è praticamente fratello gemello del tempio di Apollo in Ortigia. I rivestimenti fittili sono esposti nel settore B del Museo archeologico aretuseo. Dell’Olympieion lungo oltre 20 metri, rimangono alcuni elementi lapidei del basamento in posto e ben poco della parte superiore. I poderosi blocchi che compongono la base sono in calcare tufaceo di qualità ordinaria utilizzato dai Greci in fase arcaica. E’ probabile si tratti della roccia cavata in loco “giacchè l’area interna della cella e le intercapedini dello stilobate sono colmi di brecciame e di scaglie, relitti di lavorazione”. In una seconda fase i Greci caveranno la pregiata roccia calcare da cave più lontane come quelle di Fontane Bianche e Melilli. Le fondazioni sprofondano per poco più di un metro in un terreno particolarmente friabile il che fa supporre all’Orsi che le strutture epistiliari dell’edificio fossero in legname e terracotta. Del colonnato restano solo due colonne prive del capitello e logorate dal tempo e dall’incuria che non hanno più alcuna traccia dell’originario intonaco. Si tratta di 2 colonne monolitiche con 16 scannellature e con un collarino al piede, indice di arcaicità. Della cella non rimane nulla e, senza risultati, furono i saggi di scavo effettuati nel 1902 dall’Orsi all’interno dello stilobate, nella speranza di trovare almeno i cavi di fondazione della stanza sacra. Il coronamento dell’edificio era caratterizzato da terrecotte dipinte prodotte dalla stessa fabbrica. Erano realizzate in creata rosea fittamente cosparsa di pietra lavica triturata e cotte nelle fornaci ad alta temperatura. Prima della dipintura la superficie veniva cosparsa di un sottilissimo strato di argilla purissima e poi colorata con una base giallo-crema. Il decoro era poi realizzato con colori bruno e paonazzo affidando alla policromia funzione basilare. I rivestimenti fittili prodotti nelle botteghe degli abili artigiani ellenici venivano poi fissati all’architrave lignea con delle chiavi metalliche. Lo stesso Orsi ne rinvenne alcune in bronzo. La massima percentuale dei rivestimenti sono pertinenti alla sima. Il terreno restituì anche numerose tegole piane che proteggevano il tetto. Le terrecotte architettoniche sono elementi particolarmente caratterizzanti l’architettura templare arcaica d’Occidente e in Sicilia e a Siracusa in particolare, ebbero larga applicazione, quando i templi erano ancora per una buona parte lignei. Il ritrovamento di questi reperti è talvolta l’unica evidenza archeologica della cosiddetta “pietrificazione” dei templi che, in fase arcaica, erano ancora per metà realizzati di legno. Sappiamo che nel tempio di Zeus si custodivano le liste dei cittadini e rappresentava, quindi, anche centro politico come testimonierebbe il fatto che l’anfipolia di Zeus Olimpio, fondata da Timoleonte, era anche la magistratura eponima della città. Luogo di accampamento per eserciti, da quello degli Ateniesi nel 414 a.C., a quello dei Cartaginesi nel 391 e 309 a.C., e forse anche quello dei Romani nel 214 a.C. Sappiamo che Verre rubò dalla cella il simulacro di Zeus Urios. E di tutto questo oggi non rimangono che le tracce di fondazione e due sole colonne, particolare questo che, nella tradizione locale dá l’appellativo “i du’ culonni”! Il sito archeologico è sempre stato chiuso al pubblico. Sarebbe davvero importante valorizzare i miseri resti di questo tempio di così grande rilevanza storico-archeologica. Quasi mai visitato se non dagli addetti ai lavori, meriterebbe una giusta e doverosa divulgazione non solo per i turisti, ma per i siracusani, i quali si riapproprierebbero delle “due colonne”. Si tratta di uno di quei siti archeologici che vengono definiti minori, ma che è invece un luogo speciale da strappare dall’oblio e dall’incuria, da rendere fruibile, da proteggere e che, per la sua particolare ubicazione rende evidenza dell’inserimento delle architetture nel paesaggio elemento con il quale i nostri antenati Greci ben sapevano orchestrare.
Bibliografia:
P. Orsi, “L’Olympieion di Siracusa”, in.. Monumenti Ant. dei Lincei, XIII, 1903; E. Lissi, “Scavo presso l’Olympieion”, in Notizie Scavi, 1958.G. Gullini “L’architettura” in Sikanie , Storia e civiltà della Sicilia greca”, 1936.

il tempio di Giove immortalato da Henry Tresham 1751–1814



   Ettore De Maria Bergler. I ruderi del tempio di Giove Olimpico a Siracusa (part.), Palermo, Assemblea Regionale Siciliana- palazzo dei Normanni



 

Torna ai contenuti