Tempio di Athena - Monumenti Greci

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Monumenti greci
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Tempio di Athena

Tempio di Athena

l tempio di Athena, Minerva per i romani, si trova in piazza Duomo a Siracusa, inglobato nella chiesa del Duomo.

Fu edificato su un precedente tempio arcaico
Fin dalle origini, già dai primi abitanti di Ortigia, la zoma di piazza Duomo e adiacenti furono destinate a luogo sacro.
Il tempio venne edificato punto più elevato e centrale di Ortigia.
    

Il tempio venne inglobato nelle strutture della chiesa del Duomo, dedicata alla Vergine.
Sia la pianta che l'alzato erano di tipo canonico, con la contrazione degli ultimi intercolunni laterali.

Le colonne avevano un leggero rigonfiamento nella parte centrale (entasis) e 20 scanalature, mentre gli echini dei capitelli erano leggermente schiacciati (quest'ultimo è un elemento che permette di datare gli anni della costruzione).
La cella, libera da sostegni intemi, si concludeva con l'opistodomo, un ambiente posteriore alla cella.
I gocciolatoi, da cui defluiva l'acqua piovana, avevano la forma di protomi leonine (decorazione a forma di testa di animale), valorizzando la plastica ferocia, mentre lo scudo dorato del frontone est (via Roma) rappresentava il punto di riferimento per i marinai che arrivavano o partivano da Siracusa.
Era finemente decorato per tutto il perimetro.
decorazioni in terracotta conservati presso il museo archeologico Paolo Orsi

Cicerone Platone e Ateneo di Naucrati confermano che era dedicato.a Minerva o Atena.
Importante oratore e testimone di questo tempio fu il romano Marco Tullio Cicerone che ci ha lasciato grandi dettagli sulla sua composizione raccontando come questo tempio fosse stato rispettato dal conquistatore di Siracusa e dal generale e console Marco Claudio Marcello,mentre invece fu depredato dal pretore Gaio Licinio Verre:
(latino)
«Aedis Minervae est in Insula, de qua ante dixi; quam Marcellus non attigit, quam plenam atque ornatam reliquit; quae ab isto sic spoliata atque direpta est, non ut ab hoste aliquo, qui tamen in bello religionem et consuetudinis iura retineret, sed ut a barbaris praedonibus vexata esse videatur. Pugna erat equestris Agathocli regis in tabulis picta; iis autem tabulis interiores templi parietes vestiebantur. Nihil erat ea pictura nobilius, nihil Syracusis quod magis videndum putaretur. Has tabulas M. Marcellus cum omnia victoria illa sua profana facisset, tamen religione impeditus non attigit; iste, cum illa iam propter diuturnam pacem fidelitatemque populi Syracusani sacra religiosaque accepisset, omnes eas tabulas abstulit, parietes, quorum ornatus tot saecula monserant, tot bella effugerant, nudos ac deformatos reliquit.»

(italiano)
«C'è un tempio di Minerva sull'isola, di cui ho già parlato, e che Marcello non ha toccato, lo ha lasciato pieno di tutti i suoi tesori e ornamenti, ma che così è stato svuotato e "attaccato" da Verre, che sembra essere stato nelle mani non di un nemico - i nemici, anche in guerra, rispettano i riti della religione e i costumi del paese, ma (nelle mani) di un qualche pirata barbaro. C'era la battaglia della cavalleria del Re Agatocle, perfettamente dipinto in una serie di figure, e con queste figure erano ornate le mura interne del tempio. Niente era più nobile di quei dipinti; Non c'era niente a Siracusa che valeva vedere di più.Queste figure Marcello, che con ogni sua vittoria prendeva tutto, non le toccò, impedito dalla sacralità (di esse); Questo (Verre), dopo la lunga pace e la lealtà dei Siracusani, li ha accolti come sacri e sotto la protezione della religione, portando via queste figure che sono rimaste inviolate per tanto tempo e che sono sfuggite a tante guerre, lasciando nude e deformate le mura.»


Aveva sei colonne frontali e quattordici su ogni lato, incluse quelle angolari.
All'interno delle colonne c'era uno spazio circondato dai muri del santuario del tempio.
All'esterno del santuario erano poste due colonne, più grosse di quelle perimetrali. Tra di esse era posto l'ingresso da dove si entrava nella prima stanza.
Il santuario era composto da tre parti; ad ogni estremità interna c'era una piccola anticamera che bisognava attraversare per entrare nella parte centrale dove si trovavano l'altare e la divinità.
In pratica dall'esterno del tempio, si accedeva, prima, in queste anticamere e, attraverso tre intervalli o intercolumni, ci si immetteva nel santuario collocato dietro una porta chiusa.
I muri del santuario presentavano, all'interno, nicchie scavate su ogni lato ed erano sormontati, secondo la descrizione del Mirabella, da una volta.
Il tempio era di ordine dorico; lo si può vedere dalle colonne laterali ancora esistenti sulla parete nord, oggi via Minerva.
Mirabella afferma che la lunghezza totale del tempio era di circa 27 tese, la larghezza era di dieci e mezza.
Le costruzioni moderne che circondano l'edificio non consentono di prenderne le misure in modo esatto; ma ciò basterà, probabilmente, a dare un'idea generale.
Mirabella scrive ancora che una torre quadrata si innalzava al di sopra del tempio e che in cima alla torre era appesa l'egida di Minerva, vasto scudo di rame dorato.
I raggi del sole riflessi lo facevano scorgere in mare da molto lontano.
I naviganti che partivano dal grande porto, dopo aver rivolto i propri voti a Giove Olimpio, nell'altare eretto in suo onore sulla sponda prossima al suo tempio, s'imbarcavano e portavano con sé vasi, dolci, miele, incenso, fiori e aromi; lasciavano la riva c'on queste provvigioni e nel momento in cui perdevano di vista l'egida di Minerva gettavano tutto in mare, come offerta a Nettuno e a Minerva, pregando queste divinità di favorire una felice navigazione.
L'interno del santuario del tempio di Minerva, al tempo in cui i romani conquistarono la Sicilia, era decorato con superbe pitture. Si cita, tra l'altro, il quadro di Mentore nell'atto di liberare un Icone da una spina conficcata nella zampa e quello raffigurante la celebre lotta d'Agatocle a cavallo. Questo quadro copriva un'intera parete del santuario e niente era considerato di pari livello artistico a Siracusa.
C'erano inoltre ventisette ritratti dei re e tiranni della Sicilia, opere eccellenti di cui Cicerone parla abbondantemente.
Mirabella ci dice che questo tempio era allineato esattamente tra ovest ed est in modo che, il giorno dell'equinozio, il sole tramontando si trovava di fronte alla porta principale ed i suoi raggi attraversavano il tempio da un'estremità all'altra. Questo fenomeno permetteva di conoscere con esattezza il momento e l'ora giusta dell'equinozio.
l'altare del tempio di Athena-ricostruzione da Paolo Orsi

tempio di atena e Artemision, ricostruzione congetturale

Il tempio di Athena secondo Gustavo Chiesi
Testimonianza di un viaggiatore dell'800
Il tempio di Minerva, trasformato nell'era cristiana in Cattedrale, è uno dei più antichi monumenti dorici che si conoscano. Fu edificato durante il governo dei Geomori, sei secoli avanti Cristo, più di un secolo prima che Atene avesse il suo Partenone.

Era un periptero exastilo basato su d'uno stilobate a tre ordini di gradini, della lunghezza di oltre cinquantaséi metri e largo ventidue. Aveva trentasei colonne di stile dorico arcaico — come lo mostrano i capitelli esistenti sulla parte ancora scoperta dell'attuale duomo, simili a quelli dei templi antichi di Selinunte e dei capitelli del tempio di Giove Polieo (Santa Maria dei Greci) nell'Acropoli Agrigentina.
Delle sue trentasei colonne, tredici murate si veggono ancora nel lato nord e nove al sud della chiesa; erano alte metri 8,71, con due metri di rilievo od aggetto dal muro che le legava. Che questo tempio fosse proprio consacrato a Pallade, la sapiente figlia dell'Olimpio, è dubbio: la sua vicinanza alla fontana Aretusa lo farebbe piuttosto credere dedicato a Diana protettrice delle chiare, fresche e dolci acque, di quella celebre fonte, cantata dai poeti dell'antichità assai più di quello che dal cantore di Laura non fossero le sorgenti di Sorga, in Valchiusa. La tradizione però, poggiandosi in gran parte sulle attestazioni di Cicerone — che fu anche Pretore in Siracusa — nelle Verrine, lega questo tempio alla Dea del sapere; e non saremo noi che verremo ora a spogliare Minerva di tanto onorevole attributo. Di questo tempio, gli antichi, e Cicerone in ispecie, ci hanno lasciato memorie e descrizioni pressoché strabilianti. Le pareti interne erano rivestite di tavole preziose sulle quali vedevansi ritratti i tiranni o dominatori delle città non solo, ma anche gli uomini più illustri in Sicilia nati: e la battaglia equestre data da Agatocle ai Cartaginesi e quel Mentore siracusano che tolse al leone la spina infittasegli nel piede.
Queste pitture erano considerate come capi d'opera dell'arte pittorica d'allora, tanto che gli artisti vi traevano dalle città della Sicilia, della Grecia, della Campania e da Roma stessa, a studiarle.
Le porte del tempio istoriate a rilievi d'oro e d'avorio erano di mirabile fattura e di pregio inestimabile, e portavano scolpita Medusa coll'anguicrinito capo, riboccante di terribile espressione.
Cicerone, parlando della bellezza di questo tempio, invoca la testimonianza dei Greci e dei Romani che avevano, come lui, potuto ammirarlo in tutto il suo splendore, e nella sua requisitoria contro Verre, che con mano rapace osò spogliarlo di ogni ricchezza, ricorda che lo stesso Marcello, il conquistatore di Siracusa, si era inchinato davanti alla maestà di quel tempio e ne aveva rispettati gli ornamenti e le ricchezze.
Al tempio di Minerva in Ortigia, se pur fu questo, si collega una delle più caratteristiche pratiche che la storia degli antichi riti ricordi. Dietro al tempio sorgeva un'alta torre Sulla quale era collocata, chi dice la statua, e chi lo scudo della diva, aurato sì, che ripercuotendo i raggi del sole, vedovasi da ogni parte del mare di fronte alla città a grande distanza. Speciale era il culto che i marini avevano per Minerva, ed affine di propiziarsela ne' loro viaggi — narra Ateneo — prima di sciogliere le vele ed uscire dal porto i naviganti compravano certi vasi di creta che spacciavansi ad un'ara del vicino tempio di Giove, e riempitili di miele, di incenso e di vino, con quelli partivano, tenendo sempre gli occhi fissi alla torre, su cui brillava l'aurato simulacro della Dea. Quando questo scompariva dal loro sguardo sull'estremo limite dell'orizzonte, lanciavano in mare i tre vasi invocando Minerva e Nettuno, nella speranza che le due divinità — sebbene un po' in disaccordo per la faccenda di Medusa — si unirebbero per dare loro una felice navigazione.
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