Siracusa 1945
Siracusa 1945 di Giuseppe Vitale documentazione pdf
In questo contesto si disegnava la condizione desolante, sotto ogni profilo, della città aretusea, la quale aveva intanto il suo primo Sindaco, designato dal Comitato di Liberazione, nella persona dell'avvocato Giambattista Bozzanca, del Partito d'Azione, collaborato da una giunta analogamente designata, espressione dello schieramento antifascista.
L'ultima coda del razionamento alimentare incentivava quel che, tra il serio e il faceto, veniva battezzato "intrallazzo" o mercato nero e che riguardava soprattutto tre alimenti fondamentali: il pane, la pasta, oltre che il sapone. Certo, per i diseredati e i non abbienti - una vera folla - questo tipo di approvviggionamento intrallazzista era solo un miraggio a motivo del prezzo. Per, via via, sino a pervenire ai cosiddetti ceti medi, oltre che alcuni piccoli centri della zona montana della provincia, Floridia - per i siracusani che se lo potevano permettere, l'approdo più immediato. Ma ben presto, nell'intrigo di stradine di Ortigia ed anche "fuori porta" nella borgata di Santa Lucia - case di abitazione s'improvvisavano punti di riferimento ove si potevano trovare generi di prima necessità che non era possibile ancora normalmente acquistare nei tradizionali esercizi del mercato al minuto. Eguale sorte toccava ai fumatori, a causa degli ultimi strascichi del razionamento dei generi di monopolio. Cresceva così, la vendita tollerata delle sigarette inglesi e americane. "U fumu...avemu u fumu" bandezzavano, quasi a mezza bocca ragazzini agli angoli tra piazza Archimede e corso Matteotti "già via Littorio" e poi giù, verso il Largo XXV Luglio, piazza Pancali, il ponte e il corso Umberto. Sorrette da bretelline, sulle spalle dei piccoli spacciatori, le cassette contenevano confezioni intere di tabacco anglo-americano e sigarette allo sfuso. Tornando al problema alimentare, il più acuto indubbiamente in quelle giornate, provvida si rivelò l'iniziativa di emergenza, promossa dalla ditta Eduardo e Riccardo Bordi, in contrada Pantanelli: utilizzare le carrubbe per ottenere un miele dolcificante - il kamiel - e per la confezione dei gustosi panetti denominati "Pankamiel". Era certamente un sollievo di grande portata che sopperiva alla perdurante mancanza dello zucchero sui nostri mercati. Ed era frutto di studio edi ricerca affrettati, come richiedeva il momento, ma positivi e risolutivi, condotti dalla ditta Bordi, di origine ligure e che da molti anni a Siracusa si occupava dell'industria dell'alimentazione: dalla conserva di pomodoro alle melenzane e peperoni, alla confezione di marmellata di frutta destinate a raggiungere anche varie parti d'Italia. Inoltre, nel porto grande, si poteva notare di frequente la presenza in rada o all'approdo al molo Sant'Antonio di qualche grossa nave del tipo "Liberty" battente bandiera statunitense e dalle cui stive venivano sbarcati vestiario e calzature, che le autorità locali provvedevano ad assegnare alle tante famiglie disagiate ed anche agli impiegati delle amministrazioni private e statali, in considerazione delle basse retribuzioni di quei tempi. Tra i generi alimentari lo scatolame - assai ben accetto - contenente salsicce di maiale, corned beaf, pasta e fagioli ed altre cibarie precotte, che in seguito si poterono anche acquistare a buon prezzo al normale commercio al minuto. L'impossibilità, a lungo perdurante di comunicare col centro e il nord della Penisola costringeva negozi di abbigliamento e fìnanco di profumeria - emblematico il caso della"Bertelli" in via Roma - a sbarcare il lunario con la vendita di confezioni di noccioline made in USA. Si trattava dell'attuazione del piano UNRRA, (United Nations Relief and Reabilitation Administration) l'Amministrazione delle Nazioni Unite per il soccorso e la ricostruzione, sia dei Paesi amici sia di quelli ex nemici. Si verificavano purtroppo, per avvenuta scadenza di validità di questi prodotti in scatola, casi di intossicazione alimentare, talora anche gravi. Altro aspetto di quella quotidianità 1945 era il continuo afflusso, soprattutto nel capoluogo, di migliaia di profughi delle ex colonie di oltremare, costretti a lasciare in tutta fretta, case, campi, opifici, attività d'impresa e quant'altro conquistato durante tutta una vita di laboriosità e sacrifici. Si organizzavano così campi di accoglienza, ovviamente in condizioni fortunose, soprattutto per i mille problemi logistici, di sicurezza, di igiene. A Siracusa veniva messo a disposizione l'intero nuovo complesso benché assai incompleto, che doveva poi diventare l'attuale Ospedale Generale Provinciale "Umberto I". Restando, perciò, per la popolazione e per ogni sorta di assistenza, ricovero ed interventi operatori, l'insufficiente antica sede, in Ortigia, alla via delle Vergini, del vecchio ospedale risalente al secolo scorso. Sedi di prima accoglienza per i profughi furono le caserme "Fuggetta" e "Statella" in piazza San Giuseppe. Qua il disagio aumentò in quanto si trattava di una lunga convivenza, in assoluto stato di promiscuità, fra tante famiglie che avevano perso l'alloggio a causa dei bombardamenti o perchè giudiziariamente sfrattati. Gli unici plessi di case popolari allora esistenti, pure in condizioni di abitabilità assai precarie e gestite dall'Istituto autonomo della edilizia popolare, erano quelli siti in piazza S. Lucia e in contrada "Testa del re" (in cima a via Von Platen, di fronte all'attuale caserma dei Vigili del fuoco).
Proseguendo, passo passo, nel solco di queste cinquantennali memorie, vale rifarsi adesso al fervore della battaglia politica, la quale si delineava sempre più incandescente in vista dell'approssimarsi della primavera 1946 e quindi dei primi, decisivi, appuntamenti della nostra storia nazionale.
Andava crescendo la kermesse oratoria assistita dalla potenza diffusiva degli altoparlanti durante le ore serali, in piazza Archimede, nella quale, dal lato ove ora sorge il palazzo della Gassa di Risparmio, su palchetti improvvisati si avvicendavano, mutando di volta in volta il drappo-simbolo dello scheramento politico di turno, vari oratori. Piazza Archimede era, così l'arengario che andava sempre più decorandosi pittorescamente di voluminose insegne inneggianti al variopinto proscenio politico del momento; ad esempio, un vistoso sole a raggiera in legno, blasone distintivo della socialdemocrazia, posto a fianco della loggetta dell'orologio pubblico, il cui colore vermiglio si illuminava suggestivamente a sera. Teatro, sovente, di drammatici scontri fu questa piazza fra opposti schieramenti padroneggiati, tuttavia, con vigore, dalle forze dell'ordine alla guida di commissari di polizia ben determinati i quali, alla prima scintilla, indossavano la sciarpa bicolore mentre il trombettiere suonava la carica; ed erano botte sonore da parte dei "questurini", com'erano denominati i poliziotti. Insomma una movimentismo sempre presente, pur con rischi e pericoli per le folle che si assiepavano animose. Altra sede, certamente più serena e dall'appannaggio salottiero, era costituita dal palcoscenico del nostro teatro, da dove partivano pronunciamenti e messaggi di autorevole fermezza per edificare il nuovo dalle macerie materiali e morali in cui ci si trovava. E alla schermaglia oratoria, che raggiungeva pure il rione Santa Lucia, in via Piave e, in occasione delle grandi assisi di folla, il piazzale delle poste, si coniugava la "battaglia di carta" fatta, oltre che dal volantinaggio, da multicolori manifesti affissi dappertutto, in assoluta libertà. Rattaglia certo stimolante e abbondante, pur nella severa limitatezza allora imposta dalla generale crisi della cellulosa, materia base per la fabbricazione della carta per manifesti e giornali. E da balcone a balcone - via Maestranza, via Roma, corso Matteotti, corso Umberto, via Piave era tutto uno sventolio di striscioni intitolati con esultanza - a volte anche ingenua - ai partiti politici in gara più che a singoli candidati o leaders. Sicuramente fu questo, un dato nobilitante di quei mesi durante i quali si assisteva effettivamente ai natali della democrazia libertaria, alimentatasi, nel silenzio della lunga clandestinità, alla cultura di robusti valori ideali.
(da prospettive Siracusa Giugno ’95)