Gogna Siracusa - Siracusa era

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
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Gogna Siracusa

antica socialità

TRATTO DA “I SIRACUSANI” ANNO IX N.51 SETTEMBRE-OTTOBRE 2004


Origine di alcuni detti popolari dialettali
LA GOGNA A SIRACUSA di: Carmelo Tuccitto


documentazione pdf


Al passante che a Siracusa, giunto a piazza Archimede, percorre il primo tratto di via Amalfitania, si pre senta proprio all'inizio con via Cavour un'edicola votiva che, come recita la scritta sulla targa sottostante, risale al secolo XV. L'immagine sacra che custodisce 1 quella della Madre della Pietà o Madonna della Misericordia - Di fronte alla cappelletta, proprio nella parte dello stabile che fa da angolo tra via Amalfitania e via Cavour, è incastrata una colonna di granito egizio.


Secondo la tradizione orale, e tra gli anziani non sono poche le persone che ce l'hanno confermato, dove c'è oggi la colonna marmorea un tempo c'era la gogna di Siracusa.
Ci sembra superfluo precisare che una volta quello era uno dei luoghi più importanti della città, sia sotto l'aspetto sociale, sia sotto quello economico e commerciale. Venivano messi alla gogna i debitori insolventi, i falliti ormai nullatenenti che, tra la folla conclamante "Runa 'u culu!, Runa 'u culu!", erano costretti a denudarsi il fondoschiena e a batterlo contro il lastrone o lastricu di marmuru.
Difatti si diceva che il povero malcapitato rava 'u culu a la balata (dall'arabo BALATH = lastra di marmo o lastrico, donde l'espressione riducìrisi o ' lastricu che vuol dire "essere un fallito").
Non è pura coincidenza se nel gergo parigino per dire fallire si usava la circonlocuzione Montrer son cui = mostrare il suo culo, perché il fallito finanziariamente mancava del necessario per coprirsi.
Non bisogna però confondere lastricu con l’astricu. Il primo, senza apostrofo, deriva dall'incrocio di LASTRA con OSTRAKON che in greco vuol dire "coccio", il secondo, con l'apostrofo, che deriva dal latino ASTRUM cioè costellazione, significa "terrazza scoperta esposta alle stelle".
Anticamente al condannato si metteva al petto un cartello indicante la motivazione della pena e si stringeva al collo un anello metallico detto gogna. Per estensione fu poi chiamato gogna anche il luogo su cui veniva esposto il colpevole. In tempi meno lontani il debitore si legava con corde alla colonna di marmo che il popolo siracusano chiamava pileri dal francese PILIER = pilastro).
Pare che anche le adultere fossero esposte al ludibrio della folla, mentre, e siamo agli inizi del '400, chi aveva commesso un omicidio veniva rinchiuso nel Castello Maniace che allora fungeva anche da prigione.
Dalla barbara usanza di costringere il fallito a scoprirsi il deretano è anche nata l'espressione, che è anche una maledizione, diffusa sino a non tanto tempo fa a Siracusa tra per-sone d'infimo ceto "Ti voiu virìri c' 'o culu 'n terra!" che equivale a "Ti voglio vedere in condizioni di assoluta povertà.


Riallacciandoci all'edicola votiva ci pare che la sua collocazione frontale rispetto alla gogna assuma un significato particolare. Essa, con l'immagine della Madre della Misericordia che custodisce, rappresenta la pietà, la compassione della Madonna verso chi, macchiatosi di una colpa, veniva condannato.
La sua ubicazione invita il passante a riflettere sulla posizione della Chiesa e dello Stato dinanzi al colpevole di un reato.
Diverse, anzi opposte sono le loro risposte: l'autorità religiosa cristiana sollecita il perdono, quella temporale impone la punizione.
La Chiesa opera su un piano metafisico di superamento del male tramite il perdono dell'offeso ed il pentimento dell'offensore, lo Stato opera su un piano positivistico di prevenzione del male attraverso lo stesso male costituito dalla pena.
Se fosse sollecitato a dare un parere sulla questione perdono o punizione, il nostro caro portinaio direbbe: Pigghia cchiù muschi lu meli ca lu feli!

la gogna oggi

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