Gelsomino ricordando
La sera, 'ntrunati da una giornata di sole siracusano
L'uomo del gelsomino
"Ah, chi ciauru!"
U ZZU TURI 48
ANNI '30
"Gersomino, una lira 'na sponsa... " e l'offriva cortese e cerimonioso, come un cicisbeo del '700 alle gentili signore sedute ai tavoli dei caffè della Marina. Turi Quarantotto era il simbolo della belle epoque aretusea degli anni trenta, tempo di cortesie e di buone maniere ancora nei rapporti sociali s'intende, perché in campo politico era tutt'altra faccenda. Ed il nostro amico ne aveva delle maniere gentili quando a sera, con linda giacca bianca, fresca di bucato, e calzoni scuri appena stirati, offriva in un cestino di vimini i suoi mazzetti di gelsomino infilati, fiore a fiore, nei raggi di un sottile stelo di paglia. Una vera sciccheria e per la pazienza della preparazione e per il buon gusto da esteta della confezione simile ad un merletto in natura. Era un omaggio floreale ed odoroso che veniva gradito dalle signore di allora dai gusti semplici seppure dai sogni audaci. Allora ragazzino andavo alla Marina per incontrare la Tina o la Maria quella dalle trecce lunghe e scure.
Erano tempi duri per gli innamorati che come quelli disegnati da Peinet si scambiavano solo fiorellini e furtive strette di mano. Si era certo più semplici e meno complessati dei giovani di oggi anche perché si avevano meno problemi di vita. Allora bastava, a volte, solo il gelsomino dello zzù Turi, uomo flower di Ortigia, per un gentile invito a... sognare...
da Carosello Aretuseo di Otto Razzi
ANNI '50
Alto e segaligno, impettito e impeccabile, la carnagione scura, per nascita e per costante esposizione al sole, avvolto in una divisa linda e bianca, tipo ufficiale di marina, d'estate e primavera, scendeva all'imbrunire per la scala che da passeggio Adorno porta alla Marina. Un braccio, solitamente il sinistro, piegato all'insù, reggeva sulla mano un piccolo canestro di vimini intrecciati. E tutt'intorno al canestro le "sponse", aride suno strano errore di grammatica che nessuno gli aveva mai corretto;
0 forse lui era convinto che così doveva essere. La sua passeggiata vespertina durava quanto duravano le sue "sponse". Finita la vendita se ne andava, tornava alla sua Giudecca dove, per comune convinzione, abitava.
Erano gli anni cinquanta, gli ultimi di una serie di anni semplici, duri, ma umani, nei quali ancora ci si incontrava, si parlava, si era vivi. La Marina, d'estate e primavera, brulicava ogni sera. Non c'era ancora il boom delle case al mare; soltanto una ristretta élite poteva permettersi di andare a villeggiare nelle grandi ville dell'Isola o di Scala Greca. Tutti gli altri andavano a respirare la loro boccata d'aria alla Marina.
1 tavolini dei bar erano allineati tutti dal solito lato, sotto il passeggio Adorno, faccia al mare. Non sempre erano pieni, perché un gelato al tavolo, in quel tempo, poteva anche costituire un piccolo lusso, così come la "sponsa" di gelsomino. Chi non voleva spendere troppo si contentava di una fetta di "cocco fresco"
che un ragazzo vendeva esponendo le fette di noce di cocco, in mezzo al ghiaccio, in una vaschetta, passeggiando e bandezzando anche lui a mezza voce.toppie, con una corolla aghiforme, addolcite da candidi e profumati fiori di gelsomino conficcati, uno per uno, ago per ago. Appena sceso dalla scala, l'uomo del gelsomino percorreva la Marina per tutta la lunghezza, avanti e indietro, più volte. Bandezzava con stile sobrio, asciutto come il suo aspetto, con tono lieve, quasi sottovoce: "Gelsomino - Fioreee", dove "fiore" stava per "fiori":