ospedale Umberto I - Siracusa era

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Siracusa era
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ospedale Umberto I

Ospedali Siracusa

Ospedale civile Umberto I di Siracusa fu realizzato tra il 1938 e il 1955 su progetto dell’ingegnere Giuseppe Bonajuto (1892-1965) nel giardino già di proprietà dell’ingegnere “del corpo degl’ingegneri de’ ponti e strade” Luigi Spagna (1816-1893)

tratto da: SIRACUSA ANTICA Nuove prospettive di ricerca a cura di Fabrizio Nicoletti

testo di Federico Fazio- file pdf

Fig. 1 - Cartolina pubblicitaria del IV Congresso Internazionale degli Ospedali e mostra degli Ospedali Italiani (collezione privata).


Fig. 2 - Luigi Spagna, 1816-1893, olio su tela (collezione privata).(fig. 2)1.


In quest’area, oggi completamente urbanizzata, venne rinvenuta nel 1804 la ben nota Venere Landolina (I sec. d.C.), oggi custodita nel Museo Archeologico Regionale “Paolo Orsi”. Nonostante la presenza della necropoli arcaica e dell’abitato ellenistico, l’area venne comunque occupata dalla struttura ospedaliera e a nulla valsero i numerosi appelli per evitarne la distruzione (fig. 3).


Agli inizi del XIX secolo l’abitato di Siracusa era concentrato entro le mura di Ortigia, mentre oltre l’istmo si estendeva l’ex feudo di S. Lucia coltivato a frumento e a vigneto.
Nei pressi della basilica normanna di San Giovanni Evangelista, i Bonavia possedevano un “predio rustico” dove alcuni “ortolani” rinvennero casualmente tra il 1803 e il 1804 le statue marmoree di Zeus Esculapio e della Venere Callipigia (Politi 1826), che attirarono subito l’attenzione del cav. Saverio Landolina Nava (1743-1814) dal 1802 Regio Custode delle Antichità del Val Demone e del Val di Noto; la risonanza della duplice scoperta, ma in modo particolare della Venere, fu enorme in Italia e all’estero
contribuendo alla fondazione del primo museo archeologico di Siracusa (1809) col patrocinio del vescovo Filippo Maria Trigona (1735- 1824) (Martinez La Restia 1955-56; Agnello 1966;
Immè 2012; Russo 2007; Ciurcina 2008; Cugno 2017). Ancora, a una profondità di soli cm 50 ca. furono messe in luce strutture pertinenti a domus pavimentate a mosaico e varie “anticaglie”, fra cui fusti di colonne di marmo in parte reimpiegati per la cantoria della settecentesca chiesa della Arciconfraternita di San Filippo Apostolo (Capodieci 1813). Nel 1810 il sacerdote Giuseppe Maria Capodieci (1749-1828), segretario di Landolina e cultore di “memorie patrie”, rinvenne anche un “bagno antichissimo”: una gradinata intagliata nella roccia conduceva a un sistema di vani comunicanti con un lungo criptoportico voltato, che immetteva in un ambiente a pianta quadrata illuminato da un lucernaio a sezione conica. Indicato come Ninfeo o Bagno di Venere, era alimentato da acqua sorgiva con tracce di pavimento a mosaico; vi si rinvenne una testa fittile di Apollo “crinito coronato d’alloro” (Ibid.). Nelle pareti si aprivano
inoltre delle nicchie in una delle quali il cav. Mario Landolina (1760-1853), figlio di Saverio, riteneva dovesse essere stata collocata la statua di Esculapio2.
Subentrato alla carica di Regio Custode del Distretto di Siracusa dopo la morte del padre (1814), Landolina provvide a far ripulire il ninfeo “dalle macchie e dagli ingombri” per renderlo visitabile ai tanti viaggiatori che si recavano a Siracusa3.
In viaggio nel Regno delle Due Sicilie (1825), lo studioso e antiquario veronese Girolamo Orti
Manara (1769-1845) così lo descrisse: “Ritornati in Acradina il nostro conduttore ci fece vedere certo antico bagno, posto nel così detto orto di Bonavia, ma sempre conturbatissimo, perché un alto bosco di spiche glialo aveva con lungo stento fatto cercare. Rimanendo esso presentemente sotterra vi scendemmo per iscala, d’onde viene languidamente illuminato: esso è scolpito, ed al solito le varie sue stanze hanno un’alta apertura, ed una sala collo stagno nel mezzo” (Orti 1825a, pp. 98-99).
Considerata la sua importanza, il Presidente della Commissione Antichità e Belle Arti, Domenico Lo Faso duca di Serradifalco (1783-1863), segnalò il ninfeo nella corografia di Siracusa, pubblicata nell’opera Le Antichità di Sicilia (1842), senza però pubblicarne il rilievo. Verso la fine del secolo, Francesco Saverio Cavallari (1810-1896) - Ingegnere di 1a classe degli scavi di Antichità del Regno e già collaboratore di Serradifalco - lo interpretò forse più correttamente come parte di una catacomba, indicandone la collocazione precisa in una delle tavole a corredo della Topografia archeologica di Siracusa (Cavallari e Holm 1883, pp. 364-365, tav. II, n. 48).
Agli inizi degli anni Venti il Comune acquistò il Giardino Spagna per realizzarvi un lazzaretto.
Paolo Orsi (1859-1935), dopo un trentennio di ricerche archeologiche in giro per la Sicilia, colse l’occasione per avviare un’ultima campagna esplorativa tra il 1923 e il 1925 e poi ancora nel 1930, offrendo così un importante contributo alla topografia della Siracusa greco-romana (Musumeci
2018, pp. 65-74). Nella parte orientale dell’area, l’archeologo roveretano mise in luce tombe a fossa di VII-VI sec. a.C., per la maggior parte già violate; alcune conservavano ancora il corredo funerario, come dichiarato in una lettera inviata da Rosario Carta (1863-1962), disegnatore e suo stretto collaboratore (Panvini e Accolla 2019): “Ill.mo Direttore, Le scrivo due parole per dirLe che gli scavi al Giardino Spagna procedono benino. Si sono trovate fin’ora tre tombe di bambini, tutte con materiale buono; una delle quali con una bella armilla di argento, ed un anellino castonato ed un bottoncino ambedue d’oro. Gli operai sono tre. Io avevo desiderio di continuare lo scavo anche per la settimana ventura essendo in un punto promettente. Lei che ne dice?”4.
La necropoli, già in antico, era stata occupata in parte da abitazioni, alcune delle quali serbavano intonaci dipinti in “rosso vivo pompeiano” e tracce di pavimento in cocciopesto o in impasto “a breccia marmorea calcarea” (Orsi 1925a, b). Secondo Orsi il quartiere venne abitato sino al IV sec. a.C.; su di esso fu poi impostata una struttura termale, Tra il 1937 e il 1938, in occasione degli scavi delle trincee di fondazione del nuovo Ospedale Umberto I, Giuseppe Cultrera (1877-1968) indagò l’area ad occidente della zona considerata da Orsi, registrando nuovamente tombe a fossa e tracce di case ellenistico-romane, corredate da pozzi e da cisterne (Basile e Crispino 2014-15, pp. 57-74). Considerata la disposizione e l’orientamento delle murature, Cultrera ipotizzò un piano urbanistico, sia pure di limitata estensione (Id. 1943) (fig. 4).

In sostanza le ricerche di Orsi e di Cultrera hanno documentato una sequenza stratigrafica che va dal VII sec. a.C. fino alla tarda età imperiale; i risultati sono stati alla base degli studi successivi
in aree contigue, che hanno chiarito lo sviluppo della città.
Luigi Bernabò Brea (1910-1999), subentrato a Cultrera trasferitosi a Genova (Fazio 2020), aggiunse un altro tassello alla conoscenza del sito.
Durante le operazioni di sistemazione della scarpata terrosa a occidente del cantiere - sospeso a causa della guerra - l’archeologo ligure rinvenne, nel giugno del 1943, un cippo di pietra calcarea forse pertinente al Santuario di Tyke, eponimo di un quartiere della pentapoli greca (Bernabò Brea 1947).

Cippo dedicatorio con incisa la frase Διὶ καὶ Τύχηι Μαρκιανός tovata nei terreni del giardino Spagna, Ospedale Civile, nel 1943, già interpretata da Bernabò Brea, e confermata da Mingazzini, il quale fa notare, a ragione, che il complesso abitativo scoperto in questo luogo faceva parte del quartiere Tyche.

Nel 1948, ripresi i lavori per il completamento dell’edificio, Santi Luigi Agnello (1925-2000) allora Ispettore aggiunto presso la Soprintendenza alle Antichità della Sicilia Orientale, registrava ancora
una volta tombe arcaiche e resti di abitazioni sovrapposte alla necropoli, in parte concentrate nella zona sud-ovest (Id. 1949). Segnalate da Gino Vinicio Gentili (1914-2006) già stretto collaboratore
di Bernabò Brea, ulteriori sepolture furono rinvenute l’anno successivo all’incrocio tra viale Paolo Orsi e via Francesco Saverio Cavallari confermando l’estensione della necropoli a ovest del costruendo ospedale, a ridosso dell’area archeologica della Neapolis (Id. 1952).
A partire dal 1968 l’archeologo Giuseppe Voza proseguì le indagini nell’area a nord dell’ospedale, nella fascia di terreno tra il muro di cinta e l’odierna via Demostene. Anche in questo caso furono rilevate numerose tombe per lo più violate o con scarso corredo oltre ad ambienti di epoca ellenistica, alcuni con mosaici pavimentali a motivi geometrici, impostati sulle tombe precedenti.
Voza indagò anche le zone limitrofe, fra cui l’area del Santuario della Madonna delle Lacrime (il cantiere era iniziato nel 1966) individuando nel torrente S. Giorgio (l’antico Syrako) il limite di massima espansione della necropoli (Id. 1972). Gli scavi misero in luce tracce del Santuario di Demetra e Kore risalente al IV sec. a. C. e un asse stradale in senso est-ovest fiancheggiato da marciapiedi e pavimentato con basolato, interpretato con la “una via lata perpetua” ricordata da Cicerone che consentiva il collegamento verso la Neapolis. Su di essa, tra la fine del IV e nel III sec. a.C., si attestarono degli isolati aventi direzione nord-sud, larghi ca. 38 m e separati da strade larghe ca. 3 m, confermando dunque le intuizioni di Cultrera riguardo l’esistenza di un regolare schema urbanistico ampiamente documentato nell’antichità.
vedi anche scavi archeologici piazza della Vittoria: https://www.antoniorandazzo.it/archeologia/scavi-piazza-della-vittoria.html
Le ricerche proseguirono negli anni Novanta nell’area dell’ospedale con importanti risultati.
Lorenzo Guzzardi ha rinvenuto infatti alcune piccole latomie di età classica indice di un momento d’uso intermedio fra la necropoli arcaica e le abitazioni ellenistiche; il settore esplorato ha restituito un sarcofago della fine del VI sec. a.C. e corredi sepolcrali con materiali corinzi e ionici (Id. 1993-94).
Nel corso della campagna di scavi condotta dal 1999 al 2001 dalla Soprintendenza BB. CC. AA. di Siracusa in occasione di lavori di adeguamento dell’ospedale, presso il corpo posteriore del nosocomio sono stati raggiunti i livelli arcaici della necropoli (Messina e Ancona 2003). Lo studio complessivo dell’area funeraria e dell’abitato ellenistico ha consentito prima a Voza (1998, 1999), più di recente a Guzzardi (2011, p. 387), a Beatrice Basile (2012) e a Elisa Chiara Portale (2017) di ragionare sull’assetto e sullo sviluppo urbano della Siracusa greco-romana anche sulla scorta di altre ricerche archeologiche e di studi geomorfologici. Altrettanto fondamentali sono gli studi di Flavia Zisa sulla ceramica ateniese a figure nere (Ead. 2007) e di Paolo Madella su alcuni frammenti sicelioti a figure rosse provenienti dalle aree dell’ex Giardino Spagna e di piazza della Vittoria, anche se da contesti non omogenei (Id. 2012). Più recentemente Rosa Lanteri ha fornito importanti dati sulla necropoli a seguito delle indagini archeologiche eseguite tra il 2011 e il 2016 (Ead. 2020), mentre Concetta Ciurcina ha commentato il sarcofago litico databile tra il 525 e il 490 a.C. ritrovato nel 1980 durante i lavori di impiantistica stradale all’estremità occidentale della vasta necropoli arcaica (Ead. 2021).
Da questo pur rapido excursus storico delle ricerche condotte, emerge l’importanza dell’area dell’ex Giardino Spagna nel contesto urbano della Siracusa greco-romana. Illesa sino agli inizi del Novecento, la zona venne purtroppo destinata al nuovo Ospedale Civico Umberto I nell’ambito delle operazioni di rinnovamento della città promosse durante il Ventennio, in concomitanza con lo sventramento operato in Ortigia tra piazza Pancali e piazza Archimede per l’apertura di via del Littorio (1934-1938), oggi corso Matteotti (Trigilia 1985; Dufour 2005, pp. 164-169; Fazio 2016).
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