padre di Schiavo Luigi
Era fascista
Mio padre era fascista di Luigi Schiavo
Mio padre era fascista. Lo era diventato nel 1921 quando dopo aver servito la patria, da sottotenente di complemento (volontario dopo aver conseguito la maturità classica) rientrato dopo aver ottenuto il congedo fu sbeffeggiato da un gruppo di anarchici che facevano capo a un tale Nanna ed alla professoressa Ballariano. Abitualmente parcheggiavano in Via Minerva nei pressi dell’Istituto di Ragioneria, con la speranza di fare proseliti tra gli studenti. Mio padre attendeva solo che dalla scuola uscisse una giovanissima studentessa alla quale faceva il filo come usava a quei tempi. Uno sguardo, un cenno d’intesa e poi ognuno per la sua strada. Non dava fastidio a nessuno ma qualcuno notò che portava appuntate sul bavero le mostrine di combattente e per questo lo insultarono e gli sputarono addosso e, buon per lui, che dalla porta secondaria del Duomo usci il giovane cappellano, padre Carmelo Gentile (divenuto in seguito parroco e monsignore) che lo accolse in Chiesa e dopo averlo fatto ripulire lo fece allontanare da una porta secondaria. Quella storia, in fondo di comune anarchia, segnò il futuro della mia famiglia. La giovane, “dagli sguardi fugaci” diverrà mia madre e mio padre divenuto fascista, fece la marcia su Roma (almeno così sembrava, ma una volta mi confessò di essere solo arrivato a Napoli dove in tanti furono fermati). Ricoprirà incarichi di prestigio nella Federazione Fascista, ma l’amicizia con monsignor Gentile rimase immutata tanto da essere nominato presidente dell’Azione Cattolica della parrocchia più importante della città. Il destino aveva voluto che io nascessi in una famiglia fascista, profondamente cattolica praticante, ma fascista. Respiravo quell’atmosfera e ragazzo non potevo che condividerne i sentimenti, però, per una strana inclinazione non partecipavo a nessuna manifestazione. Più tardi realizzai che aborrivo i discorsi gridati, le divise, le adunate e tutti i segni esteriori imposti dall’appartenenza, insomma, tutto quello che aveva attinenza con la “mistica fascista” inserita tra le materie scolastiche insieme alla “Cultura militare”. Ero un eretico, un fascista per nascita e non per convinzione. Tutto quello che accettavo di Mussolini era che ci faceva sentire orgogliosi di essere italiani. Sentivo che quell’orgoglio lo avevo acquisito (e tutti gli italiani come me) solo come conseguenza di una aggressione che mi sembrava spietata. Anche mio padre, fascista e buon cristiano, nutriva seri dubbi.
Ascoltavamo, la sera e con le dovute cautele, prima la “musica proibita” trasmessa da Londra e poi i “commenti ai fatti del giorno” di Mario Appellius trasmessi dall’EIAR. Tra scambi di accuse e slogans propagandistici, era impossibile capire come stessero realmente le cose. Potevamo fidarci di quello che passava il “convento”? Per Roma avevamo il sacrosanto compito di civilizzare e modernizzare un popolo fuori dal tempo e soprattutto di dirigere il flusso migratorio verso una terra dove c’era molto da lavorare in proprio visto che l’emigrazione verso le Americhe era stata proibita e la politica rurale veniva snobbata.
Migliaia di appezzamenti di terreni coltivabili, con relativo rustico da assegnare ai contadini, erano rimasti liberi. Per gli inglesi, ma anche per altri Stati, eravamo solo degli spietati “gasificatori” che passavano, come un rullo compressore, sui cadaveri dei poveri indigeni privati persino dalla sepoltura. Poi un giorno l’antica saggezza di un mio prozio mi fece capire
quale fosse il nocciolo della questione. La mia famiglia lo andava a visitare spesso affascinata dal suo eloquio e dalla sua imponente figura che sembrava uscita, pari pari da un ritratto di Silvestro Lega. Era un vecchio socialista (barba candita e fluente, cappello nero a larghe falde, cravatta nera smodata alla “repubblicana”) che non veniva disturbato minimamente dai fascisti perché era anche un generoso farmacista che aveva inventato una specie di assistenza sanitaria “ante litteram”: farmaci gratis per i poveri ed un modesto ticket per chi poteva dare qualcosa. Nessuno osava molestarlo malgrado nella sua farmacia campeggiasse una fotografia formato naturale, di Anna Kuliscioff. Accompagnavo volentieri i miei genitori non perché i loro discorsi mi interessassero, ma solo per guadagnare quel cartoccio di “citrato effervescente” che mi mollava in cambio di un bacio per la verità assai pungente per il contatto con quella specie di sterpaio che gli fluiva dal mento. Una volta però rimasi molto attento ed interessato, quando, alle perplessità espresse liberamente da mio padre (non sulla guerra ma sui crimini di cui venivamo accusati) rispose con una specie di apologo (non so se di sua ideazione o mutuato da altri) che recitava pressappoco così: “Caro nipote, tu sei un fascistone ma mi sembri uno che è nato ieri. Ti voglio ricordare che il sole sorge al mattino per dare visibilità alle cose, ma inevitabilmente crea delle ombre. Solo patteggiando fra la luce e le ombre qualche volta, non sempre, si può trovare qualcosa che possa somigliare alla verità. Tu sei cattolico e credi nei dogmi, io sono ateo e non credo in Dio, ma tutti e due, pur da posizioni opposte, cerchiamo la verità e la giustizia e per trovarla (seguì un forte abbraccio) dobbiamo fare la stessa cosa: scrutare a fondo nelle ombre senza farci abbagliare dalla luce”.
tratto dall'inedito: Chi non è colpevole? di Luis S. Slave (Luigi Schiavo)
Emanuele Schiavo detto Liddo
Mos Carmelo Gentile parroco della Cattedrale di Siracusa
Corradina Colosi