Moscuzza Vincenzo
M
Vincenzo Moscuzza, il più grande musicista siracusano, nato a Siracusa il 7 ottobre 1821 da illustre e facoltosa famiglia che vantava ottimi uomini di cultura e d’arte.
Fratello di Gaetano Moscuzza, senatore e sindaco di Siracusa dal 1866 al 1867.
Emanuele Giaracà, suo estimatore, scrisse una lirica, qui la parte iniziale: “ …Quella virtù d’incanto che non parea terrena, che di Bellini s’agitò nel core; la voluttà del canto, quella mesta e serena semplice e schietta melodia d’amore parea per sempre a questo suol rapita poi che quell’alma affettuosa e pia si fu da noi partita, né il suo splendido colle appien fornia”
La via Vincenzo Moscuzza non è inserita nel settore urbanistico le cui vie ricordano i personaggi storici siracusani del Risorgimento, bensì nel quartiere di Santa Lucia, esattamente dal n.14 di via Ibla dal n. 51 di Piazza s. Lucia, ai nn. 44/5 di Vicolo Salice.
La sua prima formazione, sia culturale che musicale, l’ebbe nella stessa città natale, dove frequentò il liceo e prese lezioni di violino, di pianoforte e dei primi rudimenti dell’armonia, del contrappunto e della composizione. Il suo primo maestro sarà stato sicuramente lo zio Luigi Maria Moscuzza Compiti gli studi liceali a Siracusa e a Palermo si trasferì a Napoli assieme al fratello Raffaele che divenne avvocato e Gaetano. Che divenne medico. Napoli era allora la città musicale per eccellenza, in concorrenza con Roma, Venezia, Firenze. e Venezia. Fin dal 1637 aveva aperto il primo teatro pubblico, quello di San Cassiano e, dopo altri due anni appena, il San. Moisè, dove Claudio Monteverdi aveva ripresentato l’Arianna e, nel 1642, il teatro dei SS. Giovanni e Paolo, dove lo stesso Monteverdi aveva dato l’Incoronazione di Poppea. Ma già nello stesso periodo a Napoli fiorivano musicisti come Luigi Rossi ( allievo del fiammingo Giovanni Macque, autore di un Orfeo che fu portato, con successo, sulle scene di Parigi ) , Francesco Provenzale cui sarebbe toccato succedere a Pier Andrea Ziani nella ambita carica di maestro della Real Cappella, che invece venne assegnata al sommo Alessandro Scarlatti , il primo, non in senso cronologico bensì come il migliore, della scuola napoletana Allora Napoli aveva ben 4 conservatori musicali. Ma quando andò lui ce n’era già solo uno che si era già trasferito a San Pietro a Maiella. Dopo Alessandro Scarlatti e il figlio Domenico, Napoli aveva avuto numerosi altri musicisti di raro talento, come Francesco Durante, Leonardo Leo, Francesco Feo, successore del Durante al conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo, dove si dice avesse studiato il Pergolesi, Niccolò Jommelli di Aversa, città natale dell’altro sommo musicista napoletano Domenico Cimarosa. Grande era stato anche Niccolò Piccinni, che era stato, assieme a Niccolò Sala, al Giovanni Tritto, al Fenaroli al Fioravanti, nel Conservatorio napoletano della Pietà dei Turchini, maestro di Gaspare Spontini, da tutti considerato il primo grande musicista italiano dei tempi nuovi, cioè dei primordi del romanticismo musicale lirico italiano e morì nel 1851 a Maiolati, dove era nato. L’apice della fama a Napoli giunse quando tra il 1815 e il 1838 vi trionfarono Giacomo Rossini e Gaetano Donizzetti. Questo era l’ambiente artistico che trovò il nostro Vincenzo Moscuzza quando andò a studiare a Napoli nel 1845, cioè già abbastanza grande; per cui non entrò in Conservatorio, come prima di lui aveva fatto Vincenzo Bellini, nato 20 anni prima di lui, allievo di Nicolò Zingarelli. Il nostro Vincenzo Moscuzza fu allievo, anzi il beniamino di Saverio Mercadante, che da poco era rientrato a Napoli per assumere la direzione del Conservatorio nel 1840, dopo i grandi riconoscimenti ricevuti soprattutto in Francia e a Milano, dove nel 1839 aveva rappresentato il Giuramento e il Bravo Ma dovette trattarsi di lezione privata, di perfezionamento Alla semplicità e incisività della vena melodica “ mesta e serena” ereditata da Vincenzo Bellini, erede di quella del Mercadante, intende riferirsi Emanuele Giaracà tessendo in versi l’elogio del Moscuzza. Lo stile e il primo successo di Vincenzo Moscuzza Il Direttore del Conservatorio napoletano, Saverio Mercadante, non si sbagliò nell’intuire il grande talento che si celava nell’allievo preferito, a cui profuse il ricco patrimonio della sua esperienza e della sua grande tecnica, molto probabilmente del suo stile e della straordinaria sensibilità , quasi a volerlo lasciare erede della sua stessa arte e della sua stessa personalità, se i critici, oltre che lo stesso Giaracà, che ebbe modo di ascoltare gran parte delle composizioni del concittadino, ne sottolineano la linearità del fraseggio musicale che riusciva a comunicare anche al pubblico minuto le più forti emozioni. Come quello del suo grande maestro e mecenate, la musica del Moscuzza si distingueva per l’elaborazione orchestrale che si poneva tra quella di Rossini e quella di Verdi, ma appariva maggiormente vibrante nella tessitura drammatica, così appunto come si riconosce in quella di Vincenzo Bellini, soprattutto in certe arie dense di pathos e di ieraticità, come pure nel fraseggio melodico chiaro e scorrevole e in tanti spunti patriottici. Quando il Governo Borbonico, nel 1850 bandì un concorso per un’opera lirica che sarebbe stata realizzata al teatro San Carlo, il Mercadante, esortò il giovane musicista siracusano a parteciparvi, riuscendo a vincere la titubanza dell’allievo prediletto, che ancora era alle prime armi ma che, pur riconoscendo il proprio talento e confortato dai lusinghieri consensi che dal maestro riceveva, era piuttosto schivo dall’esporsi, forse già esperiente degli intrighi che anche allora si registravano nel campo delle competizioni e della concorrenza in arte… Eppure, come aveva previsto il suo protettore, tra gli undici egregi compositori, a vincere quel concorso musicale fu proprio il Moscuzza. E quando la sua opera lirica, fu rappresentata al celebre teatro napoletano, fu un vero trionfo. L’opera premiata, Stradella, ripetuta più volte nello stesso teatro con sempre crescente successo, metteva già in luce non solo le caratteristiche musicali, ma anche le preferenze contenutistiche, dei soggetti romantici da musicare, di spunto storico e patriottico, ma anche e soprattutto sentimentale avvincente. Alessandro Stradella, (Roma 1644/ Genova 1682 ) era sta- 35 to una specie di Caravaggio in musica, per il suo spirito avventuroso che lo aveva coinvolto in imprese equivoche e in continui intrighi amorosi, che gli avevano procurato numerosi nemici. Come il Caravaggio, pure lui fu costretto a fuggire a Roma; ma non per un duello, bensì per amore, portandosi dietro l’affascinante Ortensia Contarini, moglie di un nobile romano. Se era riuscito a sfuggire una prima volta ai sicari mandati da quello, non riuscì a sfuggire ad un altro attentato, sempre per avventure amorose: a Genova venne trucidato. Lo stesso affascinante e intrigato soggetto era stato trattato alcuni anni prima dal Niedermayer ( 1837) e dal più noto Flotow ( 1844). Le numerose opere liriche di Vincenzo Moscuzza. Vincenzo Moscuzza scrisse molte altre opere liriche, come “Eufemia di Napoli” e “Carlo Gonzaga” che riscossero lo stesso successo nello stesso teatro di Napoli e nel 1863, (quattro anni prima che quello del Verdi fosse dato a Parigi) il “Don Carlos Infante di Spagna” su libretto di Leopoldo Tarantini. Questa fu l’opera che, data a Firenze, che assieme alla Piccarda Donati, gli fruttò la notorietà, in quanto furono apprezzate “le belle e soavi melodie ben coniugate alla gravità del soggetto” nonché i progressi che aveva fatto nell’elaborazione strumentale, anche se furono criticate le incertezze formali e l’eccessiva sonorità orchestrale che a volte nuoceva alle voci dei cantanti. Il nostro musicista dopo alcuni anni da quando era stato dato il lavoro omonimo del Verdi, pure avendo riscosso dei trionfali successi in tanti altri teatri, con le numerose altre sue opere (L’Orfana americana, l’Ultimo dei decemviri, Tancredi, la Francesca da Rimini, La Duchessa di Valliére, I quattro rusteghi, ) sdegnato per la guerra che gli veniva mossa, non volle più portare le sue opere in teatro, pur continuando a scriverne parecchie altre… L’ultima opera da lui data fu Francesca da Rimini, a Malta, dove aveva dato con successo parecchie altre opere. Si dice che anzi tra il Moscuzza e il Verdi ci fosse stato un contenzioso, avendo il nostro musicista accusato il Verdi di plagio. Ma Verdi era sempre Verdi … Direttamente o indirettamente, non gli fu difficile annientare la concorrenza! Possiamo ricordare dopo quella data: La Maliarda di Pavia, Don Chisciotte, Maria Ribera, Damone e Pitia, La Marchesa d’Arcis, Arnaldo l’eroe di Brescia, Gaspare Stampa, Alda di Campochiaro, Amleto, i Doria, Una vendetta costigliana, Valentino Borgia, Manfredi A Siracusa di lui furono dati il Gonzales e la Donna del Mistero, con il basso siracusano Beneventano.
Nel 1870, l’anno in cui compose l’inno per Santa Lucia con i versi del Giaracà.
L’anno successivo lasciò definitivamente Siracusa per andarsi a stabilire a Napoli, città natale della moglie Ermelinda Federici, di nobile famiglia, dove morì colpito da polmonite, all’età di 75 anni il 30 settembre 1896, assistito dalla moglie e dal fratello Luigi che da anni viveva con lui. La moglie morì a Siracusa nel periodo della “spagnola” ai primi del Novecento. Dopo la messa in scena di queste sue due pregevoli ed applaudite opere il teatro siracusano venne chiuso e abbattuto, in attesa che si costruisse quello nuovo che tutti aspettiamo si riapra dopo circa 40 anni di restauri che sembrano piuttosto di inerzia o incapacità amministrativa… E speriamo proprio che presto verrà inaugurato con un’opera dello stesso grande ma poco attenzionato Vincenzo Moscuzza.