Bufardeci Emilio
B
Emilio Bufardeci abate.
Quando i preti avevano coraggio da vendere - alla massoneria ne appartenevano diversi, spiriti eletti per sapienza e virtu’ civili, non prostituiti a lucri e patteggiamenti. - quest’anno si sarebbe dovuto celebrare il primo centenario della sua morte. L’abate don Emilio Bufardeci oratore della loggia siracusana.
Mentre stiamo compiendo questo itinerario attraverso la toponomastica storica di Siracusa, notiamo che tra le numerose vie che furono intitolare alle figure più significative del Risorgimento Italiano a Siracusa, ne manca una: quella che doveva meritatamente essere intitolata a Emilio Bufardeci. Accortosi della dimenticanza, gli amministratori comunali hanno pensato di rimediarvi e finalmente, dopo circa un secolo, da pochi anni gliel’hanno intitolata… Ma andate a trovare una nuova strada nell’angusto quartiere di Ortigia, a meno che non si cancellasse quello di un personaggio per scriverci quello dimenticato! E’ stata più fortunata alcuni giorni addietro Suor Adele Scibilia, la compianta Madre Superiora delle Orsoline, figura di educatrice di primissimo piano: per essa è stato trovato ancora innominato il piccolo spiazzo proprio davanti alla loro sede centrale di via Vittorio Veneto ( anche questa strada è fuori posto, perché i nomi dei luoghi riferentisi alla Prima Guerra Mondiale si trovano alla Borgata!) e le è stato immantinente e meritatamente dedicato con 20 tanto di targa e di cerimonia in pompa magna. Così non è stato per l’insigne abate, che è stato relegato “ fuori pagina”: in una stradina traversa di viale Santa Panagia, che nemmeno è strada, se vogliamo, visto che non spunta in nessun’altra via! Però, se non altro, c’è il palazzetto dell’Ufficio Igiene dove si recano tante persone quotidianamente. E sono queste che, tra le altre, si domandano:- Ma chi era Bufardeci? Il nonno dell’onorevole, che “a prima viti, muscatedda” appena messo piede al Palazzo dei Normanni, fu fatto vicepresidente della Regione? No! Si tratta di un personaggio di oltre un secolo fa. Per la verità, anzi, quest’anno si sarebbe dovuto celebrare il primo centenario della sua morte, essendo essa avvenuta il 28 giugno1899… Don Emilio Bufardeci, una delle figure più singolari del Risorgimento Italiano a Siracusa, nonno del nonno del nonno di Titti Bufardeci (Titti è figlio del notaro Italo, a sua volta figlio di Giambattista, ossia Titta, figlio di Gaetano, figlio- a sua volta- del fratello di don Emilio) era abate. Il palazzo familiare è uno dei più importanti di via Maestranza. Anche Vincenzo Monti, morto poco prima che egli nascesse,, aveva ricevuto ( dal Papa) lo stesso titolo di abate, e ciò per avere elogiato la Chiesa con la sua poesia. L’abate Emilio Bufardeci era di tutt’altra stoffa…. Che tipo di carica religiosa era allora quella? Sappiamo che l’Abate Vincenzo Monti non era un sacerdote, ma aveva tanto di moglie, Teresa Pikler, che per la sua bellezza e forse anche la sua civetteria, gli veniva persino insidiata da parecchi, compreso Ugo Foscolo. L’abate Don Emilio Bufardeci, invece, era un prete autentico: possiamo dire con orgoglio che fu un Don Luigi Sturzo prima di Don Luigi Sturzo, esponente di primo piano nella lotta contro i Borboni, per la liberazione della Sicilia e l’unità d’Italia, era persino Massone e Carbonaro! Del resto, anche il martire del Risorgimento, don Enrico Tazzoli, che venne giustiziato dagli austriaci per i moti mazziniani (salì sul patibolo sugli spalti di Belfiore nel 1852) non era sacerdote? Anche a Siracusa i preparativi per “la marcia su Roma” di Garibaldi “Alla massoneria appartenevano allora pochi spiriti eletti per sapienza e virtù civili, non prostituiti a lucri e parteggiamenti, contro cui nei codici era scritta pena di capo” Così si legge nei libri del tempo.” Ma l’Abate Don Emilio Bufardeci non solo apparteneva alla Massoneria, ma era anche oratore della Loggia Siracusana. Esistevano diverse Logge a quei tempi a Siracusa: don Emilio apparteneva alla Loggia “ Timoleonte”, il cui Venerabile era Emilio Francica barone di Pancali e di cui facevano parte, anche dopo l’unità d’Italia, civili e religiosi, popolo e clero, secondo quando apprendiamo dal prof. Luigi Giuliano che fu docente al Liceo Gargallo e fu cultore della storia siracusana e nel 1906 pubblicò tre lettere e un telegramma che Giuseppe Garibaldi aveva inviato al barone Pancali. Garibaldi, che è noto che appena ritornò a Palermo il 28 giugno 1862, per organizzare la sua “marcia su Roma”, si incontrò con i Massoni siciliani e venne eletto Gran Maestro della Setta. In quella circostanza inviò una lettera alla Loggia Timoleonte Siracusana in cui fra l’altro raccomandava di tenersi pronti perché “… senza Roma i destini dell’Italia saranno 21 sempre incerti, e che con lei finiranno tutti i dolori e si avrà liberale e sapiente reggimento” Purtroppo il Governo di Urbano Rattazzi, cui viene soffiata la notizia, diramò subito ordini perentori di impedire la nuova impresa garibaldina con tutti i mezzi. E fu così che a Siracusa furono ordinate parecchie perquisizioni. La più grave fu quella eseguita di notte con l’intervento di soldati e di carabinieri proprio nella casina di campagna dell’abate Don Emilio Bufardeci. Prima che i soldati arrivassero, qualcuno ebbe ad avvertire i patrioti massoni lì riuniti, i quali fecero in tempo a fuggire. Rimase nella casina il solo Bufardeci, che imperterrito si fece trovare sotto il pergolato della villetta e appena gli furono vicino si alzò, come se fosse rimasto seduto lì da molte ore e osò addirittura andare incontro ai soldati per domandare che cosa venissero a fare, se venissero a cercare da quelle parti qualche ladro o filibustiere e se accettassero un bicchiere di quel buon vino che egli stava sorseggiando, fresco di cantina, perché con quel caldo di estate, già iniziata nel clima di Siracusa, non poteva prendere sonno e preferiva rimanere fuori a gustare una “ cannatedda di pistammutta” genuino e godersi lo scenario del firmamento piuttosto che smaniare d’insonnia nel letto… Egli era nato a Siracusa nel 1816 e giovanissimo ottenne la cattedra di matematica nelle scuole di Siracusa. Il giudizio che del Bufardeci ebbe il Parlato lo riporta Gubernale Il Giudizio che di lui espresse il Parlato viene riportato dal Gubernale nella sua plurivoluminosa opera rimasta manoscritta , dove abbiamo rinvenuto anche il ritratto: “ Don Emilio Bufardeci fu tra i liberali più avanzati e più operosi, e fa meraviglia come un ministro dell’altare abbia assunto tanta attiva parte nella vita pubblica del suo tempo; non perché gli interesse della comunità mal ssi leghino coi doveri del sacerdozio, ma perché comunemente il clero, forzato o no, non partecipa ai sentimenti politici dei suoi concittadini, e per aridità di cuore e per scarsezza di istruzione o per il lungo dissidio della Chiesa con lo Stato, o per sdegnosa incuria, o per altre ragioni, vive dissociato, distaccato dal resto del popolo, sopraffatto da uno scetticismo senza ardire che gli recide i nervi d’ogni vita. Ciò non toglie che vi siano stati sempre dei preti colti, amanti della patria, e pensatori e martiri e di quelli dediti ai pubblici affari. Nelle sette legislature del Parlamento Subalpino si contarono ben trentacinque preti, eletti Deputati dal Piemonte e dalla Sardegna fra i quali Vincenzo Gioberti che fu Presidente del Consiglio; ed anche nell’ottava legislatura, la prima del Parlamento Italiano, non vi mancarono i preti, e meritarono ricordo i siciliani Gregorio Ugdulena, dottissimo, che fu Ministro di Garibaldi nel 1869, ed Ottavio Lanza di Trabia, conspiratore ardito e tenace; e così anche nelle legislature successive. Ma questi, nella grande massa del sacerdozio, non rappresentano che una sparuta minoranza, un’eccezione, che riconferma la regola, come un’eccezione fu per Siracusa lo Abate Bufardeci. Certo è che sin dal 1848 egli partecipò in prima fila nei movimenti liberali di allora ed amicissimo del barone di Pancali, gli fu compagno nelle cospirazioni e nelle lotte. Andò con Raffaele Lanza a Palermo a portare le adesioni di Siracusa al Comitato Generale della Rivoluzione e fu poi anche eletto Deputato al Parlamento Siciliano. Con la reintegrazione dei Borboni, quando la Sicilia, tradita e fremente, raccoglievasi e ritempravasi, il Bufardeci non si nascose pauroso, come tanti allora fecero, ma continuò a cospirare con arrischiata e leale tenacia e fece parte del Comitato Segreto di Siracusa, che tenne, in tutti i modi, desta nel popolo la fiamma della fede in quel periodo di reazione in cui più forte pesò il dispotismo. Si tenne allora in attiva relazione con i profughi liberali di Malta, tra i quali Francesco 22 Crispi, a cui lo legò per tutta la vita il più saldo vincolo di cordiale amicizia, e continuò nel Calvario di propaganda e di congiura fino a quando Garibaldi piantò in Sicilia la bandiera d’Italia. Negli anni che seguirono il 1860, e che furono anni di lotta aspra tra le tradizioni monarchiche e le nuove aspirazioni di libertà, Emilio Bufardeci si schierò con fiera arditezza, tra i più avanzati liberali, garibaldini e mazziniani, e per questi suoi principii, rosseggianti di repubblica, contrastò nel 1861 la elezione di Cordova a Deputato di Siracusa; ed, oltre lo lotte coi moderati locali, soffrì le vessazioni, le angherie, le sopraffazioni poliziesche di un potere eccezionale che dilagava, spinto più dalla violenza del momento anziché dal bisogno di una repressione. Ma la pubblicazione del suo libro: Le funeste conseguenze di un pregiudizio popolare (Firenze, Editori Eredi Botta, 1868) gli procurò torbide noie ed amarezze acerbe, ed affievolì quella stima cittadina di cui largamente godeva. Eppure in quell’eccellente opera dimostrerò una saggezza ed una modernità di spirito scientifico che in pochi altri è stato dato di riscontrare. Egli allora si tenne, per qualche tempo, lontano di qualunque pubblica ingerenza, d’ogni briga politica, finchè poi, le nuove lotte, l’amicizia del Crispi, lo avvento della Sinistra al Governo, lo spinsero altra volta tra le agitazioni turbolente dei partiti. Fu Deputato di Modica nella XVI, ZVII e XVIII legislatura ed in qualche altra seguente.” Sappiamo pure che prima della spedizione dei Mille, nel 1859 egli aveva scritto di suo pugno al re Vittorio Emanuele II una lettera contro i Borboni, lettera che fu sottoscritta da numerosi patrioti. Oltre all’opera citata dal Parlato, scrisse pure “Poche parole sul duello di Emilio Bufardeci in Siracusa l’anno 1876” Vi immaginate un prete che arriva ad impugnare la spada? É certo che il Bufardeci ne aveva coraggio da vendere, che non si sognano di avere, non diciamo i preti, ma nemmeno tanti spavaldi giovanotti d’oggi! Che il neosindaco Titti Bufardeci abbia preso parecchio del …bistrisavolo? Potrebbe anche essere; del resto oltre ad essere cugino di quel baldo spadaccino che fu Giuseppe Monteforte, campione olimpionico, personalmente appare ottimo spadaccino forense e adesso anche politico… Il compianto dr. Italo Bufardeci nipote dell’insigne don Emilio, padre dell’attuale sindaco avv. Titti Bufardeci e la sua gentile consorte Giuseppina Cannata Il notaio, n.33, cioè la più alta carica, della Loggia Scozzese, fu esempio di correttezza per tutti; organizzò tra l’altro un convegno in un albergo di Siracusa, con un manifesto che espressamente diceva: “La Massoneria non è una società segreta!
il nipote Bufadeci italo e consorte