Gargallo Tommaso - Personaggi storici 800 Siracusano

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Personaggi storici
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Gargallo Tommaso

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Gargallo Tommaso Gargallo nacque il 25 settembre del 1760, nel palazzo Gargallo di Piazza Archimede.



Appartenente alla nobile famiglia: https://www.antoniorandazzo.it/nobili/gargallo.html



Se dovessimo dare retta all’oroscopo, potremmo affermare che egli, nato sotto la costellazione della Bilancia, fu sempre in perfetto equilibrio come uomo, come poeta e come letterato. Era la fine del Settecento e da un canto l’Illuminismo di tanti pionieri del pensiero moderno illuminava le menti dall’oscurantismo e dalla superstizione, dall’altro canto la società era ancora frivola e superficiale; la nobiltà era dedita agli ozi e ai vizi mentre il popolo giaceva nella miseria; si era già alla vigilia del tragico cozzo tra l’aristocrazia abulica e sprecona e la borghesia intraprendente e attiva che rivendicava i suoi diritti e preparava la rivoluzione francese del 1789. In arte imperversava la languida Arcadia, che sfornava versi leziosi negli eleganti salotti frequentati dai cicisbei, allo sdolcinato canto degli eunuchi accompagnati dalla musica stereotipata barocca, simbolo della più superficiale e artificiosa moda del sentire e del vivere all’insegna dello stupire, mentre la povera gente era assillata di problemi e di miseria, come egregiamente descrisse il primo poeta sociale italiano, Giuseppe Parini, ne “Il Giorno”. Tommaso Gargallo risentì gli influssi sia dell’una che dell’altra società. Non poteva, pertanto, non assimilare, da principio, i canoni degli Arcadi e Arcade fu egli stesso, assumendo anche lo pseudonimo di Lirnesto Venusino quando, ad appena 13 anni scrisse la prima poesia, dedicandola al vescovo Alagona. Ma ancor prima, fin dall’età di dieci anni, egli aveva cominciato a scarabocchiare versi in dialetto, in italiano e persino in latino. Ebbe a maestro il dotto parroco Vincenzo Moscuzza Gradualmente, tuttavia, egli si maturò al contatto di letterati del rinnovamento sociale e artistico come Ippolito Pindemonte ( che gli venne presentato da Cesare Gaetani, quando il traduttore dell’Odissea, essendosi recato a Malta, passò da Siracusa, divenendo così uno dei più cari amici del nostro) e di tanti altri che conobbe già dal primo viaggio che compì attraverso tutta l’Italia, come Melchiorre Cesarotti, Vincenzo Monti, Giuseppe Parini. Il suo modo di sentire l’arte e di vivere la vita subì un profondo mutamento e lo fece svincolare dal bastio della vacuità dell’Arcadia, a cui, del resto, il suo carattere energico, seppur mite, mal si confaceva.Intuì che la poesia genuina non può scaturire dalla leziosità e dall’inutile vagheggiamento d’un mondo idilliaco niente affatto sentito interiormente, ma dal- 108 la piena aderenza alla problematiche concrete che urgono nella vita, che si osservano e si comprendono vibrare nel tessuto sociale del proprio tempo, del proprio territorio che, soli, devono costituire i motivi ispiratori della vera poesia, della poesia che badi alla sostanza e non all’apparenza. Tommaso Gargallo da Arcade a grande poeta e traduttore Respirando la stessa area che circa duemila anni prima aveva respirato il grande poeta Teocrito, osservando gli stessi meravigliosi scenari paesaggistici baciati dal più fervido sole, incorniciati dal più splendido azzurro del cielo e del mare, contemplando le stesse floride campagne, rese feconde dal sudore degli indefessi lavoratori siracusani, percorrendo le stesse strade dove avevano posato il laborioso piede gli avi, compose gli Idilli, poesie pregne di vivo sentimento e vibranti di sincera commozione, soprattutto nelle liriche pagine ispirate dall’amore per la sua fanciulla, Lucilla, la delicata fanciulla appartenente al suo stesso ambito familiare. In questi eleganti versi c’è già tutta la limpida vena della poesia autentica, ben lontana da quella convenzionale dell’Arcadia, e rinnovata alla luce di due essenziali componenti: l’osservazione della realtà che lo circonda e l’esempio dei veri, intramontabili esempi dei poeti classici che descrissero non scenari di finzione, non salotti di smidollati cicisbei o di bambole incipriate senz’anima, ma la vita che pulsa sinceramente, rovente di forti passioni, animata dall’energico anelito di uomini interi e consapevoli. E uomini interi, integri e consapevoli furono, oltre che i testi degli autori antichi, i suoi maestri a Siracusa, il parroco Vincenzo Moscuzza e Filadelfo Casaccio, al cui decesso scrisse un epicedio effettivamente ricco di profondo sentimento e ben lontano già dalle arcadiche leziosaggini. Potremmo dirlo ispirato dagli stessi motivi sociali e lirici che provò il Manzoni per quel Carlo Imbonati, compagno della propria madre, Giulia Beccaria, e in cui il sommo artista milanese vide sempre un esempio di autentica nobiltà, basata non sul blasone gentilizio familiare ma sulla nobiltà delle proprie azioni, così come, ancora giovinetto, lo aveva voluto il Parini dedicandogli una delle sue odi più significative, l’Educazione. E il Manzoni e il Parini furono i modelli della poesia del rinnovamento, come Teocrito fu il modello della poesia intramontabile e sempre attuale del passato. Compagno di studi e di formazione civile fu monsignor Avoli, un’altra brillante perla dell’Ottocento siracusano, di cui recentemente ci siamo occupati.. Un altro modello di vita e d’arte, pur se con una visione di vita differente, ma altrettanto concreta e reale, il conte Tommaso Gargallo tenne sempre presente: Orazio Flacco, il “poeta civile” dei romani, colui che insieme a Virgilio fu stimato il più grande poeta latino per la poesia spontanea, sincera, concreta, ispirata alla vita che gli vibrava dentro e che espresse nelle sue Satire, nelle sue Odi, nelle sue Epodi, nelle sue Epistole. La traduzione che ne pubblicò a Napoli venne stimata la più pregevole, tanto che gli procurò grandissima fama e l’abate Agostino Gallo desiderò che a Palermo, in uno degli angoli della Marina, fosse posta una lapide con la seguente scritta: “Al sommo prosator vate immortale/ traduttore d’Orazio e Giovenale”. Infatti aveva tradotto anche le satire dell’altro grande poeta latino nel 1842, nonché, molto tempo prima, nel 1814 il “De officis” di Cicerone e le Elegie di Ludovico di Baviera, nel 1831. Il poeta Emanuele Giaracà, nipote e figlio spirituale di uno dei poeti e degli uomini di cultura e di scuola più grandi che Siracusa abbia avuto, di cui ci siamo già interessati all’inizio della nostra passeggiata toponomastica, scrisse per lui il seguente sonetto, forse ricordando 109 che il conte Gargallo aveva dato generosi incoraggiamenti allo zio Chindemi, anche se, forse, non ne aveva condiviso i patriottici ardori.,..:“ Tu che in puro volgesti italo stile/ gli estri di Flacco e il riso e gli ardimenti,/ indi maturo in più severi accento/ dell’implacato Giovenal la bile;/ Te vidi appena all’età tua senile / solo una volta, onor di nostre genti,/ mentr’io caldo amator de’ tuoi concenti/ fremea tra il vulgo inosservato e umile./ Oh se non fossi sì per tempo morto/ tu degli ingegni animator sagace,/ forse dato m’avresti alcun conforto,./ Che importa? Adulto alla tua tomba io vegno,/ leggo il tuo nome ove la spoglia giace:/ basta quel nome ad animar l’ingegno.
Oltre che esimio traduttore di Orazio, Giovenale, Cicerone… il conte Tommaso Gargallo di Castel Lentini fu fine poeta, sensibilissimo e originale; non ancora trentenne pubblicò la sua prima raccolta di versi. Scrisse anche Cantate e 5 Drammi Sacri per la festa di Santa Lucia, musicati da Vincenzo e Ignazio Moscuzza. Scrisse pure un “ Inno alla Musa Etnea”, che pubblicò a Napoli nel 1832, un “ Inno in morte di Giovanni Meli” e uno “in morte di Paisiello” ( 1816). In occasione dell’elezione di mons. Giambattista Alagona a vescovo di Siracusa, aveva scritto “ Teucnite”, un Oratorio Sacro che era stato cantato per la festa di Santa Lucia ed era stato il suo primo lavoro mandato alle stampe. Ma una delle più interessanti sue opere fu la sua Autobiografia, in cui descrisse i momenti più significativi della sua vita, nonché i monumenti e le opere d’arte di Siracusa. Ci offre molte notizie delle numerose città visitate; ci fa conoscere in gran parte la sua attività e di molte opere anche le circostanze che l’ispirarono. Ci parla molto anche delle amicizie che egli fece nelle principali città italiane e persino all’estero. Tra i personaggi con cui stese sincera amicizia ci ricorda, ad esempio, a Napoli i musicisti Cimarosa e Paisiello, per la cui morte scrisse un’elegia ricca di sentimento. 110 L’amicizia con i due famosi compositori ci dimostra come il conte fosse un grande amatore d’arte, soprattutto di musica e di poesia e come egli si prodigasse per aiutare i giovani talenti. Tuttavia non si può tralasciare il fatto che, egli, quando il canonico Avolio gli fece pervenire a Napoli le poesie che a Siracusa erano state scritte in occasione della venuta di re Ferdinando nella città aretusea e con le quali si era pensato di organizzare un’accademia e di pubblicarle, egli fu piuttosto severo e rispose che nessuno degli autori inseriti valeva la pena di essere pubblicato e si rammaricò che nella città aretusea vi fosse una situazione artistica piuttosto deplorevole Il giudizio fu così severo forse perché, essendo egli piuttosto un conservatore in politica, essendo stati esclusi i giovani talenti come lo stesso Chindemi, vi erano rimasti soltanto quelli di tendenza borbonica, che non erano nemmeno da prendere in considerazione come artisti. Il giudizio che ne ebbe il Chindemi: ottimo poeta e traduttore ma non patriota Però del Chindemi ebbe la più grande stima e gli fece i più sinceri complimenti, dandogli anche dei paterni consigli. Il Chindemi, tuttavia, scrisse nelle sue memorie che il conte aveva “ troppo amore al passato;: nutrito della vecchia scuola,... non riesce a svincolarsi da quella corrente soltanto che con le parole, mentre vi rimane ancora fedele.” Il Chindemi lo apprezzò come ottimo traduttore e fine poeta, ma ne ebbe persino parole dure perché lo vedeva lontano dal dimostrarsi sensibile alle nuove istanze di libertà. Tommaso Gargallo non fu solo traduttore e fine poeta, ma si interessò d’arte, di musica, persino di pedagogia, come si può vedere da un suo manoscritto su un “Piano di Studi per la Provincia di Siracusa”. E proprio a motivo del suo attaccamento alla scuola, c’è da dire che egli si rivolse a insigni poeti e letterati, come il Monti e il Leopardi, invitandoli a venire a insegnare nell’Ateneo Palermitano. Egli durante il suo non breve soggiorno a Napoli aspirava, dato il grande prestigio di cui godeva, a diventare ministro degli Interni, ma il Capo del Governo di allora, Luigi dei Medici, dopo di averlo sfruttato facendogli svolgere l’ingrato compito di esaminatore dei candidati ai referendari, promettendogli la nomina, venne meno al suo impegno. Il Ministro Luigi Dei Medici odiava la Sicilia e i Siciliani e intendeva servirsi del grande ascendente di cui godeva il conte Gargallo per accentrare maggiormente il potere su Napoli, tanto che fu proprio in quel periodo, nel 1816, che la Sicilia perdette la sua autonomia che risaliva al periodo medioevale e venne costituito il regno delle due Sicilie. Egli, comunque, ricevette il dicastero di Ministro della Guerra e della Marina. Ma presto, rendendosi conto che passava il rischio di essere strumentalizzato, si dimise sconcertato e deluso e volle rimanere per sempre un cittadino privato, non perdendo occasione per criticare aspramente coloro che operavano contro ogni buon ideale e nobile sentimento, dimostrando così la sua coscienza di cittadino aperto agli ideali di una nuova Italia. Il conte fu molto amico del principe tedesco di Metternich ma anche dell’inglese lord Bentinck che guidò l’esercito inglese per difendere la Sicilia dalle mire francesi. Il Gargallo contribuì molto al rinnovamento della cultura della Sicilia, ma possiamo dire che abbia dato un consistente contributo al rinnovamento della cultura di tutta la nazione, avendo egli coltivato amicizia con i maggiori rappresentanti del mondo culturale italiano, mantenendosi in contatto con gli uomini e i movimenti che sostenevano i nuovi ideali. 111 Il conte Tommaso Gargallo e la sua vita di cittadino e sposo Dopo i suoi lunghi viaggi, soleva ritirarsi in una sua villetta in contrada La Pizzuta, a continuare i suoi studi preferiti del greco, del latino, dell’inglese, a leggere i suoi autori preferiti, anche di filosofia, e a scrivere. Lo svago preferito, oltre ai viaggi, erano le lunghe passeggiate in barca nei pressi della tonnara di Santa Panagia, di sua proprietà, che gli ispirarono, tra l’altro, gli “ Idilli Marinareschi” e la poesia “ ore del giorno”. Come è noto, la tonnara di Santa Panagia, che era la più nota della provincia, era di sua proprietà e , salvo quel breve periodo che l’acquistarono i Cappuccio, è rimasta di proprietà dei Gargallo, finchè non l’ha acquistata la Regione Siciliana per restaurarla e ricavarne un museo del mare. Ma, finiti i finanziamenti, occorrerà chissà quanto e chissà quando per …restaurare i restauri!
Un altro aspetto caratteristico della vita del conte Tommaso Gargallo è quello familiare. Il 28 aprile del 1798 egli condusse all’altare donna Lucia Grimaldi di Monaco, figlia del marchese Torresena. A dire il verto, egli aveva avuto esperienze sentimentali in precedenza, come accennato; ma non aveva mai pensato seriamente a formarsi una famiglia, per cui era arrivato ancora celibe quasi alla soglia dei quarant’anni. Si sa, invero, che, soprattutto in seno alle famiglie nobiliari, i genitori si preoccupavano vivamente che il proprio figlio prendesse moglie, soprattutto per non rischiare l’estinzione del proprio casato. E, più per fare contenti i suoi genitori, egli decise di sposarsi, anche se non si sentiva molto portato alla vita coniugale, preferendo, più che accudire alla famiglia, i suoi studi, i suoi viaggi, le sue amicizie, la sua attività di scrittore e di mecenate…. Una volta contratto matrimonio, tuttavia, cercò di essere un buon marito e di conciliare le due cose. Pertanto si dimostrò subito e per sempre un marito affettuoso e, quando l’anno successivo nacque il primo figlio, che fu battezzato con il nome di Francesco, divenne pure un ottimo padre, interessandosi poco dell’attività pubblica, se si eccettua l’accettazione, nel 1811 del dicastero, che, come accennato, durò pochissimo. Non si affievolì, però, la sua passione per i viaggi; anzi, appena i figlioli Francesco e Filippo raggiunsero l’età di poter con lui intraprendere i viaggi, li condusse con sé per far loro visitare le principali città d’Italia, per ampliare le loro conoscenze, viaggi che riprese quando e incrementò quando i due figli crebbero e divennero in grado di essere inseriti nell’attività operativa sociale. Dovunque si recava, era accolto con grande deferenza dalle personalità più importanti, dai regnanti ai prelati, dai nobili ai letterati, da tutti, essendo riconosciuti il suo prestigio, la sua nobiltà d’animo e le sue pregevoli opere. Sia in seno ala famiglia che nelle relazioni con tutti, dimostrava la sua bontà d’animo e la sua disponibilità, che lo rendevano simpatico a tutti, anche se difficilmente tollerava che qualcuno avesse un’opinione diversa dalla sua. Tra le amicizie che strinse con le più alte autorità bisogna ricordare quella con il segretario dell’Accademia della Crusca, G.B. Zannoni, a Firenze, che lo volle tra gli iscritti a quel prestigioso sodalizio: fu il primo siciliano che ottenne il titolo di Accademico, il 29.11.1825. Tante altre associazioni scientifiche e culturali si reputarono onorate di averlo tra i loro soci. Nel 1830 pubblicò gli “Sdruccioli”; nel 1832 le “Veronesi”, e “In morte di Ippolito Pindemonte”, che, conosciuto proprio a Siracusa, gli fu fraterno amico fino alla morte. Ma pur viaggiando, scrivendo e pubblicando, trovava sempre il tempo di dedicarsi alla sua amata Siracusa, soprattutto ai più bisognosi, interessandosi attivamente allo sviluppo della città. Purtroppo, tra tanti onori e soddisfazioni, non mancarono le afflizioni. 112 Prima egli stesso ebbe a soffrire di una grave malattia, da cui riuscì a guarire; poi, improvvisamente, ebbe a mancargli la moglie; in quella luttuosa circostanza scrisse le “Malinconiche”. Nel 1837, quando scoppiò il colera nel meridione e giunse nella sua diletta Siracusa, dove ci fu anche la rivolta, egli si trovava a Napoli, da dove, per sfuggire all’epidemia, si rifugiò nel nord assieme ai figli. Si recò anche a Parigi, dove gli furono tributati grandi onori. Ritornò a Napoli quando era già quasi ottantenne; sentendo oramai prossima la sua fine,volle finire i suoi giorni nella sua amata terra, dove si spense serenamente , tra il compianto di tutta la cittadinanza e di quanti in Italia e in Europa lo conobbero e lo ammirarono per le sue virtù. Era il 16 febbraio del 1843- Per onorarlo furono organizzate diverse manifestazioni culturali, tra cui, per ricordare quanto egli avesse amato la musica, una speciale stagione lirica.

Tommaso Gargallo di Castel Lentini nacque in Siracusa, il 25 settembre 1760, nel palazzo dell'attuale piazza Archimede.

Nelle sue Memorie autobiografiche, pubblicate nel 1923 dal nipote Marchese Filippo Francesco si legge:
"Sortito aveva dalla natura fervida fantasia e cuore sensibile, che procacciandogli la benevolenza e la lode, anzichè fomentare in lui l'orgoglio puerile, si combinarono fortunatamente a destargli nell'animo l'amore dello studio, invaghito di quello che udiva e leggeva degli antichi, che avevano illustrato la Sicilia, e particolarmente Siracusa, e che egli avrebbe voluto imitare. I suoi genitori, mentre sceglievano ad istruirlo i migliori, che la città loro offriva, stretti poi di tenerezza troppa, avendolo unico, avvertivano i precettori a non istancarlo e vegliavano rigidamente a stornarlo dalla applicazione, anzichè sprovarvelo.
I libri poetici l'allettavano in maniera particolare, ed egli di nove anni sapeva a memoria il Metastasio, allora in grandissima voga, e la Gerusalemme del Tasso. Studiava intanto con molto onore il latino e a dieci anni scarabocchiava dei versi latini nella scuola, e siciliani e italiani in casa."
Suo primo valentissimo maestro fu il dotto parroco Vincenzo Moscuzza, al quale si aggiunse in seguito il Filadelfo Casaccio, già discepolo del primo.
Il Moscuzza era professore di filosofia in Seminario e fece colà assistere alle sue lezioni, per circa due anni, il ragazzo Tommaso.
Ancor giovinetto fece conoscenza con Ippolito Pindemonte, reduce da Malta, col quale fece il suo primo viaggio in Italia. Rimasero amici per tutta la vita.
Fece altro viaggio e a Napoli, dove si fissò sin dal 1780, potè esporre al Re le misere condizioni di Siracusa. Il sovrano lo indusse a mettere per iscritto le sue considerazioni. Il Gargallo, in quella stessa città scrisse in quattro mesi le "Memorie patrie per il ristoro di Siracusa" che furono pubblicate nel 1791 in due volumi nella Stamperia reale.
Il suo autore prediletto era Orazio; e ne tradusse in versi italiani le Odi, le Satire e poi le Epistole. Tradusse pure le Satire di Giovenale e gli Offici di Cicerone. La sua versione di Orazio fece testo per circa un secolo.
Fu, durante la lotta contro Napoleone, Maresciallo di Campo, Ministro della Guerra e della Marina e in seguito reggente del supremo Consiglio di Cancelleria.
Dopo la vittoria, visse alcuni anni a Roma, dove strinse relazione col Papa Pio VII, Antonio Canova, i Cardinali Pacca e Micara, i letterati dell'Arcadia, la principessa Paolina Bonaparte.
Dopo un viaggio a Palermo e nella Sicilia occidentale, fece un lungo giro, durato più di tre anni nell'Italia Centrale e Settentrionale, stringendo amicizie con uomini insigni, letterati e artisti, visitando biblioteche, monumenti e istituzioni di Cultura, e componendo sempre versi.
A Milano conobbe Vincenzo Monti, Pietro Giordani, Alessandro Volta e Alessandro Manzoni. Con quest'ultimo la conversazione non fu nè lunga, nè piacevole: ciò che fa credere veritiero l'aneddoto che, essendosi il Gargallo annunziato come traduttore di Orazio, il Manzoni abbia detto: Orazio non si traduce.
Per la via di Rovereto, Trento, Bolzano, Innsbruk e Salzburg si recò a Vienna, dove dimorò più di sei mesi, divenendo familiare al principe di Metternich e ai personaggi della Casa Imperiale.
Di ritorno in Italia, visitò le principali città del Veneto, del Piemonte, della Liguria, della Toscana e dell'Umbria, facendo sosta a Roma.
Nel giugno 1839 fu di nuovo a Torino, dove fu ricevuto dal re Carlo Alberto, di cui disse che non si può accoppiare maggiore piacevolezza a maggior dignità, ed ebbe un ricevimento all'Università torinese.
Contemporaneamente il poeta teneva una attiva e copiosa corrispondenza con le numerose persone, con le quali aveva stretto relazioni di amicizia. In casa Gargallo se ne conservano venti grossi volumi.
Nello stesso mese di giugno fu a Parigi con la famiglia. Fu ricevuto più volte dal re Luigi Filippo, donandogli un documento interessante: il proclama originale di Carlo VIII per la conquista della Sicilia. Il re gli regalò una tabacchiera in oro con cifre e corona in brillanti e lo invitò due volte a pranzo.
Nei tardi anni compose le citate Memorie Autobiografiche, vera miniera di notizie sui suoi tempi. Tornò a Napoli e sulla fine del 1842 fu a Siracusa. Messosi a letto, il 15 febbraio 1843 spirò serenamente assistito dal valoroso grecista sacerdote Bernardo Siringo, nella casa dell'attuale via Gargallo.
Grande fu il lutto. Si era di carnevale e furono sospesi gli spettacoli e chiuso il teatro. Furono celebrate solenni esequie e fu sepolto nel camposanto. Il 10 giugno 1845, fu traslato nella tomba preparatagli nella chiesa parrocchiale di Priolo da lui fondato nel 1812, accompagnato per lungo tratto dal popolo con fiaccole, omaggio della città, scrive il nipote, un tempo nobilissima e dottissima, a chi tanto l'aveva amato.

Testo tratto da:
Profili di Siracusani Illustri
Mons. Giuseppe Cannarella


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