Abela Gaetano della torre
A
Gaetano Abela della Torre grande martire dei moti carbonari.
A lui è intitolata la via Gaetano Abela, in Ortigia, che da Piazza Federico II di Svevia al Lungomare Ortigia oltre alla caserma, già sede del distretto militare, al Castello Maniace.
Nacque a Siracusa il 22 gennaio 1778 da Giuseppe Abela, di origine spagnola, barone di Camelio, e da Vittoria Concetta Filomeni, dei principi della Torre.
Fu uno dei più ardenti patrioti. Salvatore Chindemi nelle sue Memorie racconta che egli prese parte alla Rivoluzione Partenopea del 1795 e che dopo alcuni anni trascorsi in carcere a Napoli, riuscì a fuggire e ad arrivare a Palermo, dove venne accolto con vivo entusiasmo. E insignito del grado di Generale. Da allora si mise ad organizzare la Carboneria a Siracusa con una banda armata, vivendo mille avventure e correndo mille pericoli La Carboneria , infatti, grazie al prestigio di cui il barone godeva e al contributo di intelligenza, esperienza ed entusiasmo che egli vi apportò, in Sicilia e soprattutto a Siracusa si diffuse celermente e profondamente, tanto che “ …tutti aspiravano ad essere carbonari- racconta il Chindemi nelle sue memorie- tutti vi accorrevano…” A Siracusa la Carboneria trovò terreno più fertile che altrove perché prima vi era stata la “ francomassoneria, associazione- come scrisse il Chindemi- segreta più morale che politica da tempi immemorabili” A Siracusa vi erano parecchie Società Segrete nel 1800 A Siracusa prima dei moti carbonari del 1820 c’erano già quattro “rivendite” carbonare, una delle quali l’aveva fondato proprio Don Gaetano Abela , nel 1817, appena tornato a Siracusa dalla Terra Santa, dove si era recato come Cavaliere Gerosolimitano, dopo di aver partecipato all’attività carbonara del 1812. Vi erano anche diverse altre Società Segrete. La Massoneria , che era la società segreta più antica, aveva la Loggia nella casa di Vincenzo Oddo che era anche il Maestro degli Apprendisti, anche se l’associazione era diretta dal gran maestro il Barone di Milocca. Le 4 Vendite Carbonare erano: una nel quartiere nuovo detta cianca, un’altra nel castello, detta Vezzosa, la terza nel quartiere Vecchio, la quarta nell’infermeria dei Frati Cappuccini. La setta segreta fondata dal barone Pancali nacque nel 1820, cioè l’anno dei primi moti nel regno delle due Sicilie e si chiamò degli “ Amici dell’Umanità”, cui aderirono molti uomini illustri che aveva fatto parte della vecchia massoneria come il Pancali, Vincenzo Oddo, Francesco Alagona, Francesco Corica, e i nuovi patrioti, come Salvatore Chindemi, Carmelo e Felice Campisi, Raffaele Lanza, Nunzio Stella…. La setta segreta “ del Pellegrino” e altre furono istituite parecchio tempo dopo che scoppiarono i moti carbonari: questa era nota dal 1934 dalla polizia borbonica, che, per quanto la sorvegliasse attentamente, non riusciva mai a mettere le mani su nessuno degli adepti. Nel 1838 la polizia conosceva anche la “ Società delle Stagioni”, nel 1842 quella della “ Coccarda”, nel 1849 il “ Circolo patriottico”, formate in buona parte dai vecchi masso- 91 ni., alcuni dei quali mantenevano in piena attività la Loggia di Timoleonte, il cui oratore era il dinamico reverendo abate Don Emilio Bufardeci, che non era il solo prete ad appartenere alle società segrete: Don Enrico Tazzoli, ad esempio, fu fucilato nel 1854 perché appartenente alla Giovane Italia . La fuga rocambolesca del barone Gaetano Abela Il barone Gaetano Abela, da quando aveva rimesso piede in Sicilia, dopo di essere evaso dal carcere di Napoli, era stato assiduamente braccato dalla polizia borbonica che gli aveva teso numerose imboscate, da cui però egli era riuscito a sfuggire nei modi e con gli stratagemmi più rocamboleschi. Per sfuggire alle persecuzioni, che si facevano sempre più stringenti, nel 1798, con il medico del reggimento borbonico, anch’egli fervente patriota, Daniele Caporosso ed il proprio fratello Giuseppe, decise di rifugiarsi a Malta, come tanti altri coscritti di tutte le regioni giacenti sotto il dominio straniero. Lì ebbe onorevoli accoglienze e fu persino nominato Cavaliere di Giustizia, nonché dell’Ordine Equestre dei Gerosolimitani. E come Cavaliere Gerosolimitano si era recato in Terra Santa. Quando i Francesi decisero di occupare Malta, egli era nell’esercito francese con il grado di colonnello dei Corazzieri. Ma il suo ardente amor di patria non gli consentiva di stare molto tempo lontano dalla sua terra, perciò nel 1817 era tornato a Siracusa., a preparare alacremente le nuove leve alla lotta per la liberazione. Così, con la collaborazione del fratello Giuseppe e del chirurgo Daniello Caporosso aveva fondato una delle quattro sette carbonare, che poi dovevano condurre un’azione comune, quando da Palermo sarebbe ritornato il barone Pancali I delatori e i traditori ci sono stati sempre, anche dentro le Società Segrete . L’anno successivo, però, nel 1818, in seno alla Carboneria vi fu un traditore palermitano che fece il nome degli esponenti della società segreta. Il primo ad essere ricercato fu proprio Gaetano Abela: la polizia invase all’improvviso la casa di Gaetano e Giuseppe Abela e si mise a perquisire - come scrive Wanda Abela in Siracusa nei moti del 1820 e l’opera degli Abela, Siracusa 1939- per trovare le prove della loro colpevolezza. Gaetano e il fratello Giuseppe, come pure Daniello Caporosso furono rinchiusi in carcere prima al castello Maniace di Siracusa poi a Caltagirone, quindi alla cittadella di Messina e infine al castello S. Elmo di Napoli.. Qui rimasero rinchiusi fino al luglio del 1820 quando scoppiarono i moti carbonari e furono liberati dai patrioti. Gaetano e Giuseppe fuggirono da Napoli e andarono a Palermo. Gaetano si mise a capo di 100 patrioti, in marcia per Siracusa, nella speranza di fare insorgere i propri concittadini. Ma nel viaggio di avvicinamento, egli e i suoi proseliti vennero sorpresi dalle forze regolari comandate da Pietro Colletta, sopraffatti e portati in catene alle carceri di Palermo. Fu in quei giorni che il movimento indipendentista ( separatista) palermitano invitò il barone Pancali a rientrare lui a Siracusa per esortare i carbonari delle varie vendite a unirsi e a lottare per l’indipendenza. Ma sappiamo che i Carbonari di Siracusa non risposero alla sua esortazione, e Salvato- 92 re Chindemi dice il perché: “ …la siracusana carboneria, specialmente delle milizie, che l’avean fondata, resistette, come del pari Catania e Messina, e nelle vendite carboniche fu decretata la sua morte ( del Pancali) perorata da Mario Adorno, suo rivale, allora tra gli Ufficiali benemeriti borbonici citati nell’Ordinanza regia del 1797, ora egli stesso Carbonaro …” onde si salvò con la fuga e per alcuni anni andò sempre sfuggendo alla polizia finché le cose non si calmarono e poté ritirarsi a Palermo. Non si è mai saputo con certezza perché mai Mario Adorno l’avesse a morte contro il Barone Pancali. Si sono fatte tante congetture, ma nessuno ha mai saputo dare una risposta certa, a lume di inconfutabili testimonianze. In certo qual modo lo fece intuire, come diciamo altrove, il figlio dello stesso Mario Adorno: non si trattava di divergenze politiche… La sua seconda fuga dal carcere di Napoli Gaetano Abela riusciva anche questa volta a evadere dal carcere facendo esplodere una mina e con ciò creando grave confusione tra i prigionieri e le milizie di guardia. Anche questa volta raggiunse l’isola di Malta. Ma neanche lì potè dormire sonni tranquilli, giacché diede ben presto il sospetto di essere un cospiratore , per cui venne arrestato e rinchiuso in un’orrida prigione senza luce e quasi senz’aria, privato di ogni cosa e persino quasi di vitto. Fu anche torturato, per fargli rivelare il nome dei suoi compagni; ma egli, malgrado i terribili e inumani dolori a cui fu sottoposto, ebbe la forza di resistere e di non desistere dai suoi valorosi principi. Nello stesso carcere, anzi, ebbe persino l’ardire di organizzare una ribellione antiborbonica. La polizia riuscì a scoprire in tempo il piano dei rivoltosi: Giuseppe Abela venne condannato a 8 anni di carcere duro, ma ne scontò 13 a Favignana. Gaetano Abela venne condannato alla pena capitale e giustiziato il 30 dicembre del 1826. All’interno della fortezza di Castellammare. Egli affrontò il patibolo senza batter ciglio, chiese come unica grazia che gli dessero il tempo di scrivere alla madre, al figlio Ilarione, ancora adolescente di 13 anni ( al quale stranamente parla del “voi”) e al fratello Giuseppe. In quella lettera egli esortava i suoi a non piangere per la sua morte e ad amare la patria ed avere fiducia in un futuro migliore per le sorti della Patria.. Il suo comportamento fu fulgido esempio di patriottismo e di libertà a tutti. Dopo la fucilazione, che egli affrontò con viso sereno e a fronte alta, il suo corpo venne raccolto dai Cavalieri di Malta, alla cui prestigiosa confraternita egli era stato ammesso, e fu seppellito nella loro chiesa con grande onore. Della sua splendida figura scrissero, il Chindemi, che abbiamo citato, il De Benedictis, Raffaele Grana, Giuseppe Parlato e vari altri storici e insigni personaggi del tempo. A lui è stata intitolata la caserma in Ortigia