Randazzo Antonio
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Antonio Randazzo racconta
L'alluvione che devastò Firenze.
L'alluvione
che devastò Firenze.
4
Novembre 1966
59°
corso Carabinieri Allievi Sottufficiali – Firenze - 1966/67
La
Scuola Allievi Carabinieri Sottufficiali venne istituita a Firenze l’11 Aprile
1920 nel sito del Convento dei frati Domenicani di Santa Maria Novella.
Nell’anno
accademico 1966/67, nei primi giorni di settembre, iniziò il 59° corso, formato
da Carabinieri Allievi provenienti dalla territoriale, vincitori del concorso
indetto nel 1964 e dagli allievi che avevano frequentato il primo anno a
Moncalieri,18° corso Biennale 1965/67, I° Battaglione, distaccamento della sede
centrale.
La
Scuola, quell’anno, era comandata dal Colonnello Mario Serchi, subentrato al predecessore
Colonnello Edgardo Citanna.
Il 59°
corso era formato dal secondo Battaglione con tre compagnie, 4^, 5^ e 6^,
comandato dal Maggiore Augusto Parrano, e il terzo, comandato dal Maggiore
Gaspare Barbara, con le compagnie 7^, 8^, e 9^.
L’ampio
programma di studio delle numerose materie e l’addestramento erano affidati ad
ufficiali e insegnanti.
La
scuola com’era prima del 4 novembre 1966.
Mappa
esplicativa della scuola con gli ambienti, le camerate e i servizi annessi com’erano
il 4 novembre 1966 giorno della disastrosa alluvione di Firenze.
L’Arno,
in piena in seguito a una lunga serie di piogge dei giorni
precedenti, già nella notte tra il 3 e il 4 novembre 1966, era straripato in
più punti invadendo gran parte dei territori circostanti e il centro storico di
Firenze, in più punti con oltre 4 metri d’acqua, compresa la scuola.
La scala principale di
accesso alle camerate, distribuite nei vari piani e collegate da lunghissimi
corridoi, anche con accesso secondario singolo, era unica per tutti e si
trovava in fondo a destra dell’ingresso principale della scuola, oltre il
colonnato non visibile dal cortile. A destra c’era un passaggio attraverso il
quale si accedeva ad un vano dov’era lo scalone riservato agli ufficiali che da
lì accedevano al primo piano, non comunicante con gli altri ambienti.
Personalmente
non avevo contezza della posizione geografica della scuola e dei suoi ambienti
e, solo oggi 10 Aprile 2021, ho esaminato lo stato dei luoghi, aiutato da una
mappa tridimensionale di Google e, con l’aiuto di alcuni colleghi ho
ricostruito com’era lo stato dei luoghi e i vari ambienti della Scuola in quel
fatidico giorno dell’alluvione.
Quel
giorno era la festa delle Forze Armate e quindi la scuola si preparava
all’evento assegnando vari compiti a gruppi di Allievi tra i quali alcuni
dovevano ricevere e guidare i visitatori come da tradizione, alcuni dovevano
dare, ognuno per settore, dimostrazione di Judo, rilevamento impronte digitali
ed altre materie pratiche dell’insegnamento.
Io, Carabiniere
Allievo Sottufficiale Antonio Randazzo, insieme ad un collega della 4^
compagnia, di cui non ricordo il nome, ero stato comandato di servizio alla
mensa per predisporre i tavoli, dopo la colazione, per il pranzo di mezzogiorno
il quale prevedeva, essendo festa, vino spumante e dolce oltre al primo, al
secondo e alla frutta tradizionale.
Per la
cena invece pranzo a sacco contenente un pollo arrosto intero, patatine, e
marmellata come dolce.
La
frequenza della Scuola, era una personale sfida con me stesso e, forte del
bagaglio culturale acquisito con la frequenza del primo anno a Moncalieri, mi
ero imposto di essere diligente e attento per non sfigurare con gli altri
allievi e superare con successo il corso.
Quel
mattino, dopo una serena notte, anche se pensosa a causa delle difficoltà che
mi si paravano di fronte, di buonora, mi ero alzato come gli altri al suono
della tromba, e dopo l’adunata per la colazione, avevo raggiunto la mensa e le
cucine.
La mensa,
era allocata a piano terra, con ingressi che davano sul cortile del chiostro e
confinava all’esterno con piazza stazione Santa Maria Novella.
Alle
limitrofe cucine, a livello più basso, si accedeva tramite una scala in pietra,
all’inizio della quale, c’era un ripostiglio dov’erano riposte le ceste di pane
e la frutta.
Tutto
era tranquillo quel mattino e niente faceva presagire quel che avvenne dopo,
anche se da giorni pioveva a dirotto e sembrava si fossero scatenate le
cateratte del cielo, ma noi, per fortuna, eravamo al coperto, seppure
infreddoliti.
I
cuochi erano intenti al lavoro presso i numerosi fornelli, mentre io e il
collega della quarta compagnia avevamo già sistemato piatti, posate, mele e i
profumati panini appena sfornati.
Era
mattino e il tempo scorreva nel… convento.
Le
immagini di quei momenti sono stampigliate a fuoco nella mia mente e scorrono
come in un film in bianco e nero.
Avevamo
già fatto colazione e i cuochi si predisponevano per preparare il pranzo mentre
l’acqua entrava dalle fessure in basso tra il portone e il gradino della porta
delle cucine che dava sul piazzale della Stazione.
Il
pavimento della cucina, a quota più bassa rispetto al livello stradale e al
piano di calpestio della mensa, si stava riempiendo di acqua e i cuochi per non
bagnarsi, si sedettero sulle cucine, ormai spente, in attesa di eventi.
La
mensa, viceversa, come detto, a livello più alto, non era ancora stata
raggiunta dall’acqua.
Nel via
vai tra la mensa e lo sgabuzzino, guardando le cucine, mi accorsi che non c’era
più nessuno e che nella mensa eravamo rimasti solo io e il collega.
Uscimmo
dalla mensa e, dal colonnato ancora quasi asciutto, constatammo che il cortile,
a livello più basso rispetto alla mensa e allo stesso piano di calpestio del
colonnato, era già stato invaso dall’acqua che entrava da tutte le parti.
L’acqua,
tracimava lentamente anche sul pavimento del colonnato, ancora percorribile, e
ne approfittò il mio compagno di sventura che si avviò, sveltamente, verso la
sua compagnia che era nei pressi limitrofa al cortile
Rimasto
solo senza sapere cosa fare, beata incoscienza, rimasi interdetto a guardare
l’acqua limacciosa e vorticosa del cortile che inghiottiva, rilasciandoli,
oggetti vari che sprofondavano e riemergevano.
Non
vedevo vie d’uscita e non avevo la percezione del pericolo che correvo.
Senza
riflettere, trascinai e salii su una pedana che galleggiava nei pressi e,
armato di un ramo d’albero raccolto casualmente, mi appoggiai ad esso per
tenere l’equilibrio.
L’improvvisato
natante, appesantito dal mio corpo, senza possibilità di essere guidato, spinto
dalla corrente, in senso antiorario, giunse nei pressi del lato sud del
chiostro e continuò a girare, spinto dalla scia del vortice centrale, tornando
quasi al punto di partenza senza fermarsi.
Fortunatamente,
a metà del secondo giro, che fu più ampio, la pedana si avvicinò alla colonna
sotto il loggiato dell’infermeria alla quale mi attaccai disperatamente
approfittando della grondaia.
Mi
liberai immediatamente del cinturone e spallaccio mettendolo a tracolla e mi
arrampicai sulla grondaia che mi consentì di essere in salvo sul loggiato
deserto del primo piano.
Raggiunsi subito la mia
camerata, attraverso il passaggio all’angolo dello stesso loggiato dove vi era
un pianerottolo dal quale si accedeva alla camerata che era divisa in due e, il
mio lettino, nella zona a destra con le finestre che davano su piazza stazione.
I miei colleghi erano ammassati
davanti alle finestre per guardare il fiume d’acqua che trascinava la qualunque
cosa.
Non raccontai a nessuno la
mia avventura e non sapevo che qualcuno mi avesse fotografato.
Le due foto che mi immortalano in
navigazione sulla zattera, mi furono donate da un collega e solo dopo seppi che
erano state scattate dalle finestre del chiostro, dal collega Renato Gentili.
Quelle foto oggi fanno sorridere e
ironizzare, ma anche riflettere e certo, se tornassi indietro, mai e poi mai
ripeterei la stessa esperienza e semplicemente seguirei il collega nelle
camerate della quarta compagnia.
Tuttavia, nella mia estrema ingenuità,
(coraggio dell’incoscienza), non avevo avuto paura.
Alla luce di queste risultanze è ormai chiara la situazione dei
luoghi e cosa avvenne veramente quel giorno con la mia inconsapevole scelta di
salire su quella provvidenziale pedana che avevo considerato sciocca e che di
fatto non lo fu, anzi, alla luce del poi credo sia stata una scelta guidata da
chi da sempre mi ama.
Per quale ragione sono
convinto che sia così?
Il colonnato è composto da
14 arcate poggianti su colonne e, l’ingresso alla mensa da dove salii sulla
provvidenziale pedana si trovava esattamente al centro del colonnato, come
dimostra la foto.
Perché salii su
quell’incerto natante?
Ricordo solo che era mia
intenzione non bagnarmi.
Alla luce del poi, pur
bagnandomi, potevo incamminarmi attraverso il colonnato verso l’ingresso alla
scuola e salire alle camerate per le scale di accesso che sempre facevo.
Potevo anche camminare sul
muretto bagnandomi solo fino alle ginocchia, era logico, ma così non feci!E
allora, perché salii su quella pedana?
Riesaminando oggi i fatti,
con gli occhi della mente e lo studio dei luoghi, la scelta di salire sulla
pedana non fu lucidamente mia, ma di qualcuno al di fuori di me che mi indicò
la via giusta per salvarmi.
Il Divino, per realizzare il
Suo disegno operò il Miracolo che io allora non capii essendo indifferente alla
Fede in Lui.
A quel tempo, avendone fatta
esperienza, non avevo fiducia né stima verso i preti e la chiesa secolare.
Per completezza aggiungo che
fu solo nel 1978, dopo la morte di mia suocera, che incominciai a seguire il
parroco della mia parrocchia con il quale iniziai un cammino di Fede che mi
portò ad essere catechista, insieme a mia moglie.
Solo oggi ho la trovato
risposta ai tanti perché e, senza saperlo, capisco che furono scelte
fondamentali “guidate” che diedero scopo della mia vita, tutto sommato non
tanto misera, ma anzi ricca di soddisfazioni.
Così volle Colui che era, è,
e sempre sarà. I credenti capiranno gli altri non potranno mai capire Colui che
è nonostante sia da molti ignorato.
Le immagini che raccontano,
parlano e documentano il disastroso evento, sono state raccolte nel tempo da
riviste, scaricate dal web e in gran parte scattate da colleghi di corso che li
condivisero.
io in navigazione sulla zattera di salvataggio nelle foto scattate da Renato Gentli allievo della nona compagnia.
la zattera abbandonata