Insinga Sebastiano
Racconti memorie
UNA VITA DA CARABINIERE RACCONTO AUTOBIOGRAFICO di Sebastiano Insinga
Mi capita spesso di ritornare indietro con la memoria dove vedo scorrere le immagini che il tempo non è riuscito a cancellare e riemergono nitidi i ricordi degli eventi che si sono succeduti dal momento in cui, lasciato il luogo d’origine dove ero nato e vissuto sino allora con giovanile spensieratezza, mi arruolai nell’Arma dei Carabinieri.
Arroccato sulle pendici dei Monti Nebrodi a 950 metri sul livello del mare, il mio paese natio si trova nella bella e amata Sicilia dove in primavera l’aria s’impregna del profumo delle zagare in fiore che emanano i vasti e lussureggianti agrumeti, vanto di quell’isola situata al centro del Mediterraneo.
D’estate si può godere la piacevole frescura portata dalla brezza marina che si leva dal sottostante Mar Tirreno dove all’orizzonte s’intravedono, maestose, le Isole Eolie, mentre d’inverno non mancano le abbondanti nevicate che non di rado, in passato, hanno più volte bloccato ed isolato il centro abitato attraversato dalla statale 117, importante e nevralgica arteria stradale, oggi soppiantata da una moderna e recente autostrada, che tagliando in due l’isola faceva risparmiare tempo e chilometri a chi dalla Sicilia occidentale volesse raggiungere Catania o i paesi dell’entroterra.
Punto di riferimento per gli altri comuni limitrofi, in quanto sede di tribunale, dell’ufficio del registro, del catasto e di vari istituti scolastici tra i quali il liceo classico, il paese annoverava anche il Comando Compagnia Carabinieri ed il Comando Stazione la cui caserma era ubicata a poche decine di metri da casa mia.
Sin da bambino avevo quindi modo di vedere spesso i Carabinieri e rimanevo ammirato da quegli uomini in divisa che di tanto in tanto, nelle ricorrenze più importanti, indossavano la sfavillante Grande Uniforme Speciale con sul capo il cappellone sormontato da quel variopinto pennacchio che svettava su tutti, dando alle manifestazioni un tono di “solenne regalità” e che anch’io sognavo un giorno di vestire.
Non era in ogni caso semplice: bisognava essere di sana e robusta costituzione fisica, di buona condotta morale e civile, immune da precedenti penali, familiari compresi.
Non sussistendo quindi controindicazioni in tal senso, non mi rimaneva che attendere e continuare a mantenere un buon comportamento, come spesso mi raccomandava mio padre, umile contadino, reduce dalla 2^ Guerra Mondiale, richiamato nel 1941, fatto prigioniero dai tedeschi in Grecia nel 1943 e rientrato in Patria nel 1945 dopo aver patito circa due anni di prigionia in Germania nei campi di lavoro nazisti liberati dagli alleati.
Al suo ritorno a casa ritrovò assieme alla moglie la primogenita, mia sorella maggiore, che aveva circa tre anni e mezzo essendo nata alla fine del gennaio 1942, che mia madre portava già in grembo al momento della sua partenza per il fronte Greco-Albanese. L’anno successivo nacqui io.
Conseguito il diploma di avviamento professionale e non essendo possibile per motivi economici proseguire negli studi, trovai intanto un lavoro come barista che mi aiutava ad essere indipendente con le poche migliaia di lire che mensilmente potevo guadagnare e che non trattenevo per me, come invece fanno i giovani d’oggi che vivono nel benessere e nel consumismo, ma donavo per intero alla mia famiglia che sino ad allora aveva dovuto sostenere non pochi sacrifici per farmi studiare.
Compiuto il 17° anno d’età, con il consenso dei miei genitori perché ancora minorenne, presentai la tanta sospirata domanda d’arruolamento nell’Arma dei Carabinieri.
Soddisfatte le incombenze di carattere burocratico e superate le prescritte visite mediche sono stato giudicato idoneo con mia immensa felicità: finalmente il sogno si stava avverando.
Ricordo che la sera del 3 marzo 1964 partii da Messina con un treno assieme ad altri aspiranti (circa 50) su un vagone a noi riservato, accompagnati da due anziani marescialli.
Giungemmo a Roma all’alba del 4 marzo giorno del mio 18° compleanno, il primo festeggiato lontano di casa dove avevo lasciato mia madre in lacrime, commossa per la mia partenza, cosciente che non mi avrebbe rivisto per molto tempo, anche se non stavo per andare in guerra. Trascorsero, infatti, oltre sei mesi perché mi fosse concessa una breve licenza in occasione del matrimonio di mia sorella celebrato nel successivo mese di settembre.
Dopo una notte insonne trascorsa ad ammirare attraverso i finestrini il buio panorama, di tanto in tanto illuminato dalle luci dei centri abitati costieri, giungere a destinazione è stato come sbarcare in un altro mondo: finalmente ero approdato a Roma, Capitale d’Italia e Città del Papa, sino allora vista solo attraverso i film.
Alla stazione Termini ci attendevano alcuni autocarri militari sui quali siamo saliti e con questi abbiamo raggiunto la Gloriosa Scuola Allievi, fucina di migliaia di Carabinieri dove, presso la mensa truppa capace di ospitare diverse centinaia di commensali, siamo stati subito rifocillati con una frugale colazione.
Era iniziata la tanta agognata e sospirata avventura che nel giro di qualche giorno mi aveva catapultato dalla tranquilla e spensierata vita civile a quella militare, completamente diversa, i cui tempi erano scanditi dagli squilli di tromba dalla sveglia mattutina al silenzio serale, preceduto dal contrappello da parte dell’ufficiale di giornata teso a verificare la materiale presenza di ciascuno al proprio posto letto.
Sempre inquadrati da un arcigno brigadiere istruttore che incuteva timore con i suoi ordini perentori e la faccia da “duro”, in seguito rivelatosi un fratello maggiore, presso i vari magazzini ci fu distribuito il vestiario e gli altri equipaggiamenti che, stipati nella cassetta d’ordinanza ed aiutandoci a vicenda, traslocammo al 3° piano della caserma sede della 6^ Compagnia, nostra nuova dimora, dove da quel momento non c’era più la mamma a rifarti il letto.
A ciò doveva provvedere l’allievo subito dopo la sveglia realizzando con il materasso, il cuscino, le lenzuola e le coperte ben piegate, con il copriletto che impacchettava il tutto, il famigerato “cubo”, elemento geometrico noto sino allora solo a chi aveva prestato il servizio militare.
Lasciare il posto letto in disordine costituiva mancanza disciplinare punita con la consegna in caserma.
Vestiti ed equipaggiati, ebbe subito inizio l’addestramento formale che si svolgeva nell’ampia piazza d’armi, non ancora asfaltata, che un’autobotte negli intervalli cospargeva d’acqua per contenere il sollevamento della polvere provocato dai numerosi reparti in continuo movimento.
Dopo circa quaranta giorni prestammo giuramento alla Patria e da quel momento ci fu consentito di fruire della libera uscita.
L’addestramento però continuava in modo serrato.
Bisognava essere pronti e non sfigurare in occasione delle parate militari che da lì a poco si sarebbero svolte: 2 giugno festa della Repubblica, con la sfilata in Grande Uniforme in Via dei Fori Imperiali, e i festeggiamenti per la ricorrenza del 150° anniversario della fondazione dell’Arma che, data l’importanza dell’avvenimento, si svolsero all’aeroporto dell’Urbe dove noi allievi sfilammo per la seconda volta in Grande Uniforme intrisa di sudore a causa del caldo cocente che caratterizzò quella giornata, che aveva visto i reparti inquadrati sin dal primo mattino.
Per il 150° anniversario c’è stato un imponente dispiegamento d’uomini e mezzi confluiti da tutta Italia. Nessuno dimenticherà mai la miriade di reparti schierati in rappresentanza di tutte le specialità dell’Arma, da quelle a piedi a quelle a cavallo, dai corazzati, meccanizzati e motorizzati, gli sciatori, agli elicotteristi e ai paracadutisti che chiusero la parata, durata alcune ore, lanciandosi col paracadute dagli aerei Ercules.
Al termine del sesto mese giunse la promozione a carabiniere e anche la sospirata paga, al tempo di circa £. 45.000 mensili.
Il corso ebbe la durata di un anno al termine del quale, ai primi di marzo 1965, fummo trasferiti ai reparti d’impiego.
All’epoca non c’era alcuna speranza di essere destinati alla Regione d’origine se non dopo aver compiuto sei anni di servizio.
Io fui dislocato al 1° Battaglione Carabinieri di Torino dove appresi di aver superato la prova scritta sostenuta alla Scuola Allievi per l’ammissione al corso sottufficiale.
Il Regolamento stabiliva, inoltre,che non si poteva convolare a nozze prima del compimento del 28° anno di età. Trovare l’anima gemella e fidanzarsi nella sede di servizio, specie nei piccoli centri abitati, comportava il trasferimento per “ incompatibilità ambientale” o “ conflitto d’interessi” com’é definito oggi.
Proseguiva quindi nella carriera chi era fermamente convinto mentre altri, scoraggiati dalla dura vita intrapresa e talora insofferenti alla disciplina militare, ultimata la ferma triennale, si congedavano, preferendo seguire altre strade che non sempre si rivelavano meno ardue e, dopo cocenti delusioni, non erano pochi coloro che chiedevano la riammissione in servizio nell’Arma che non sempre era accolta.
Per quanto mi riguarda io ho proseguito nella carriera dove ho raggiunto il grado apicale nella mia categoria.
Ho frequentato il corso biennale allievi sottufficiali 1965-67, il primo anno a Moncalieri (TO) ed il secondo a Firenze dove il 4 novembre 1966 anche noi abbiamo patito le conseguenze della disastrosa alluvione che mise in ginocchio la città che fu devastata dalla furia di quelle incontrollabili forze della natura che causarono gravissimi danni al patrimonio artistico, culturale, abitativo e alle attività commerciali.
La caserma Santa Maria Novella, sede della Scuola Sottufficiali, fu invasa dalle acque impetuose che tutto travolsero sul loro percorso, sventrando le vetrine dei negozi e le numerose e antiche oreficerie di Ponte Vecchio, dove nei giorni successivi non sono mancati i cercatori d’oro lungo le fangose rive dell’Arno.
Per oltre un mese fummo impiegati in servizi di vigilanza antisciacallaggio e nel ripristino della funzionalità della nostra caserma i cui magazzini seminterrati ed il piano a livello stradale furono completamente allagati, come pure la sala mensa e le annesse cucine che al ritiro delle acque si presentavano ancora sommerse in un mare di fango oleoso e putrescente.
Proprio a causa di tale avvenimento, il nostro fu ironicamente definito “il corso degli alluvionati”.
Questi sono stati i miei primi passi nell’Arma e qui mi fermo.
Sin da piccolo l’ho avuta sempre nel cuore e questo mio convinto attaccamento mi ha aiutato a superare momenti difficili che nel corso degli oltre trenta anni di carriera non sono mancati.
Esprimo quindi a Lei sentimenti di riconoscenza e gratitudine per avermi dato la possibilità di migliorare la mia condizione sociale ed economica oltre a quella culturale con eccellenti riflessi sulla costituita famiglia, che ha sempre condiviso le mie scelte.
Tanti anni sono ormai trascorsi da quel lontano 4 marzo 1964.
Ciononostante rimane immutato in me l’attaccamento a questa Grande Istituzione che dopo il congedo continuo a riversare all’Associazione Nazionale Carabinieri, che è la custode dei valori e delle tradizioni, alla quale da quel momento sono iscritto con mia moglie e le due figlie.
Sebastiano Insinga