Polizelo - Personaggi storici Siracusa

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Personaggi storici
Vai ai contenuti

Polizelo

P
Polizelo (V sec. a.C. – ...) fu tiranno di Gela dal 478 a.C. fino alla morte. Polizelo era figlio di Dinomene il Vecchio, e fratello minore dei due dinomenidi Gelone e Gerone I, tiranni di Siracusa.
Ancora prima di diventare tiranno di Gela, il suo nome venne inciso nel tripode che commemorava la vittoria di Imera del 480 a.C., da sempre attribuita al solo Gelone. La menzione del fratello è quindi un dettaglio importante che conferma una sua partecipazione alla battaglia.
Divenne tiranno di Gela nel 478 a.C. quando morto Gelone e lasciato al potere Gerone a Siracusa, a lui venne lasciata in eredità la mano di Damarete, sposa di Gelone. Polizelo, odiato da Gerone, sostenne con lui una guerra a cui si pose fine grazie alla mediazione del poeta Simonide.
Secondo Diodoro Siculo nel 476-5 a.C. Polizelo fu inviato dal fratello Gerone in soccorso dei Sibariti, in uno dei tentativi di tornare nella loro sede originaria dopo la distruzione di questa nel 510 a.C. da parte dei Crotoniati.
Successivamente donò al santuario di Apollo a Delfi un gruppo statuario bronzeo raffigurante un cocchio con cavalli e auriga (conosciuto come "l'Auriga di Delfi"), in memoria di una vittoria riportata nei Giochi Pitici del 474 a.C.[1]
Non è noto quando sia morto Polizelo, ma dev'essere stato prima della morte di Gerone, dato che a questi in qualità di tiranno di Siracusa succedette il fratello minore Trasibulo.


L'Auriga di Delfi è una scultura greca bronzea (h. 184 cm), databile al 475 a.C. e conservata nel Museo archeologico di Delfi.
 
Rinvenuta negli scavi del santuario di Apollo a Delfi, faceva parte di una quadriga, commissionata da Polizelo (Polizelo di Dinomene), tiranno di Gela, forse per ricordare una vittoria ottenuta nella corsa coi carri, nel 478 o 474. Venne rinvenuta poiché sepolta da una caduta di massi dalle rupi Fedriadi nei pressi di dove era collocata.
L'autore della statua è sconosciuto; l'ipotesi più probabile è che sia opera di Sotade di Tespie[1] o di Pitagora di Reggio.
La statua era collocata su un carro trainato da cavalli, del quale si conservano solo pochi frammenti. Lo stato di conservazione è ottimo, anche se è mancante del braccio sinistro. Venne fusa a pezzi in bronzo spesso, perché più resistente all'esposizione alle intemperie, con rifiniture eseguite a freddo: col bulino e con applicazioni di argento per la benda ("tenia"), rame per le ciglia, pietra dura per gli occhi.

L'auriga veste un lungo chitone cinto in vita, pesante, scanalato, rigido quasi a costruire una colonna; nella mano destra tiene delle redini; il volto è leggermente rivolto a destra. Attorno al capo la tenia del vincitore, con decoro a meandro e incrostazioni di rame e argento. I capelli sono finemente disegnati, in riccioli che non alterano le dimensioni del capo. Lo sguardo è intenso e vivo, con la tensione competitiva appena leggibile, stemperata dall'atteggiamento sorvegliatamente misurato del corpo.
testa Auriga di Delfi-particolare

I piedi sono resi con una naturalezza fresca e precisa, molto veristica: mostrano infatti i tendini tesi per lo sforzo appena compiuto.
Nessuna statua pervenutaci lontanamente rassomiglia all'auriga: solo alcuni esemplari ritrovati nella Magna Grecia similmente e sommariamente ci ricordano il modello di Delfi. È soprattutto nel volto che si concentra la singolarità di questo bronzo: legato alla bellezza ideale, dotato di tratti particolarissimi, è possibile che sia stato sviluppato a partire da un volto individuale.
Nonostante la statua sia evidentemente legata ai moduli arcaici, essa è percorsa da un vigore innovativo. L'Auriga di Delfi come il celebre Cronide di Capo Artemisio sono da considerarsi appartenenti allo stile severo, sviluppatosi in Grecia tra il 480 e il 450 a.C.
Torna ai contenuti