Brancati Vitaliano - Personaggi storici Siracusa

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Brancati Vitaliano

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Vitaliano Brancati

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Vitaliano Brancati (Pachino, 24 luglio 1907 – Torino, 25 settembre 1954) è stato uno scrittore e sceneggiatore italiano.

Si impose come autore di punta nel panorama della narrativa neorealista negli anni che precedettero la seconda guerra mondiale.

Biografia
Nato a Pachino, in provincia di Siracusa, da una famiglia non aliena da interessi letterari - sia il nonno che il padre erano stati autori di novelle e di poesie - compì gli studi inferiori a Modica dove visse dal 1910 al 1919 e quelli superiori a Catania dove si trasferì con la famiglia nel 1920.

Si iscrisse alla Facoltà di Lettere laureandosi nel 1929 con una tesi su Federico De Roberto.

Trasferitosi a Roma, oltre ad insegnare, Brancati inizia l'attività di giornalista: dapprima scrive per Il Tevere e, in seguito, dal 1933 in poi, per il settimanale letterario Quadrivio. La sua formazione giovanile viene segnata da un'ideologia irrazionalista che entra in crisi quando da Catania si trasferisce a Roma dove ha modo di frequentare intellettuali crociani e democratici che gli aprono un orizzonte culturale europeo.


Le opere di regime e la crisi politica
La sua attività letteraria inizia con opere "di regime" e pertanto animate da intenti propagandistici di stampo fascista come il poema drammatico Fedor del 1928, i drammi Everest del 1931 e Piave del 1932 e il romanzo L'amico del vincitore. Nel 1934 pubblica il romanzo Singolare avventura di viaggio dove appaiono per la prima volta i temi legati ai problemi dell'esistenza e all'erotismo.

In seguito al contatto con Alvaro, Moravia e altri scrittori di quel periodo, proprio nel '34, Brancati, matura la sua crisi politica, si distacca dalle posizioni fasciste e disconosce i suoi scritti giovanili per lo più improntati all'ideologia dell'azione.

Tornato a Catania si dedica all'insegnamento e nello stesso tempo collabora al settimanale Omnibus di Leo Longanesi fino al 1939 quando la rivista viene soppressa da parte del regime fascista.


Il nuovo periodo letterario
Si dedica all'insegnamento fino al 1941, anno in cui ritorna a Roma e pubblica Gli anni perduti, da lui stesso considerato il suo primo vero romanzo, di carattere comico-simbolico ispirato a Gogol e a Cechov nel quale si avverte chiaramente l'allontanamento dall'ideologia fascista e l'amarezza verso la realtà storico-politica del suo tempo.

Nel 1943 verranno raccolte nel volume I piaceri le corrispondenze tratte da "Omnibus" di ispirazione anticonformista radical-liberale.

Seguono i romanzi di maggior successo come la farsa spregiudicata Don Giovanni in Sicilia pubblicato nel 1941 (da cui verrà tratto il film omonimo), il racconto tragicomico di un'impotenza sessuale Il bell'Antonio nel 1949 e il romanzo rimasto incompiuto e pubblicato postumo (1959), Paolo il caldo, storia di un'ossessione erotica alla quale si intreccia una lucida analisi del costume politico e culturale del dopoguerra.


Il matrimonio
Nel 1942 conosce, al teatro dell'Università, l'attrice Anna Proclemer con la quale inizia una relazione che sfocerà nel 1947 nel matrimonio. Da lei avrà una figlia, Antonia.


Il cinema, il teatro e la censura
« Brancati è lo scrittore italiano che meglio ha rappresentato le due commedie italiane, del fascismo e dell'erotismo in rapporto tra loro e come a specchio di un paese in cui il rispetto della vita privata e delle idee di ciascuno e di tutti, il senso della libertà individuale, sono assolutamente ignoti. Il fascismo e l'erotismo però sono anche, nel nostro paese, tragedia: ma Brancati ne registrava le manifestazioni comiche e coinvolgeva nel comico anche le situazioni tragiche »
(Leonardo Sciascia)

Notevole il suo ruolo anche in ambito teatrale e cinematografico.

Per il cinema Brancati scrive nel 1951 la sceneggiatura di Signori in carrozza, de L'arte di arrangiarsi diretto da Luigi Zampa, nel 1952 Altri tempi con la regia di Alessandro Blasetti, nel 1951 Guardie e ladri di Mario Monicelli, nel 1954 Dov'è la libertà? e Viaggio in Italia con la regia di Roberto Rossellini.

Ma pellicole sono tratte anche da alcune sue opere narrative. È il caso di Anni difficili (1947) di Luigi Zampa tratto dalla novella Il vecchio con gli stivali e per il quale lo stesso Brancati collaborò alla sceneggiatura. Il film diede inizio ad un filone di pellicole di satira politica che furono inizialmente osteggiate dalla censura.

Nel 1960 viene tratto dall'omonimo romanzo il film Il bell'Antonio del regista Mauro Bolognini con Marcello Mastroianni e Claudia Cardinale e nel 1973 Paolo il caldo diretto da Marco Vicario e interpretato da Giancarlo Giannini e Ornella Muti.

Nel 1952 la censura colpisce ancora più duramente il teatro di Brancati con il divieto di rappresentare uno dei suoi migliori lavori teatrali, La governante, dramma di un'omosessualità femminile.

Nello stesso anno lo scrittore, prendendo spunto dal divieto di rappresentare il suo lavoro teatrale, scrive un pamphlet dal titolo Ritorno alla censura nel quale egli afferma i diritti del teatro ad esprimersi e dove ripropone la sua poetica del comico ispirata ad un forte realismo classico.


La separazione e la morte
Separatosi dalla moglie nel 1953, muore a Torino l'anno successivo, a seguito di un'operazione chirurgica.


L'opera
Brancati si impose all'attenzione della critica e del pubblico nel 1941 con Don Giovanni in Sicilia.


Don Giovanni in Sicilia
Per approfondire, vedi la voce Don Giovanni in Sicilia (romanzo).

In questo romanzo lo scrittore descrive un aspetto della vita in una grossa città siciliana - Catania - che fa da vivace sfondo alla vita di giovani benestanti sempre in cerca di avventure amorose e che trascorrono il tempo a immaginare avventure erotiche e viaggi in celebri luoghi che si concludono sempre in modo deludente.

Vengono narrate avventure e sogni del protagonista Giovanni Percolla dall'infanzia fino all'età adulta, quasi sempre in compagnia degli amici Muscarà e Scannapieco.Il terzetto è, come in una vorticosa passione, continuamente alla ricerca di piacere che solo l'abito femmineo può dare.All'intera vicenda può essere data una lettura "kierkegaardiana", poiché come nel pensiero del filosofo danese, nell'opera di Brancati vi è un salto dalla "vita estetica" a quella "etica", il tutto provocato dalla disperazione. Infatti Giovanni, divenuto adulto, conosce Ninetta, donna alla quale decide di consacrare la propria esistenza spinto dalla coscienziosa consapevolezza della futilità della vita condotta fino ad allora. Sarà la vita di Milano a permettere poi a Giovanni di saltare dalla dimensione estetica a quella etica.

Si tratta a prima vista di un quadro ironico e divertente della provincia italiana dove vengono messe in evidenza le velleità maschiliste, i vagheggiamenti erotici e tutte quelle forme di megalomania che vanno sotto il nome di gallismo.

In realtà l'opera va oltre la dimensione provinciale che viene assunta da Brancati come esempio della società italiana del tempo, piena di faciloneria, velleitarismo e sogni di grandezza.

Brancati crea delle macchiette nascondendo una vocazione di saggista e di osservatore attento degli atteggiamenti degli uomini in un preciso contesto storico.
Lo stile dell'opera è scanzonato e beffardo, la scrittura agilissima e pervasa di sana e vigorosa sensualità.


Il bell'Antonio
Per approfondire, vedi la voce Il bell'Antonio (romanzo).

Gli anni che trascorsero tra il Don Giovanni e Il bell'Antonio non furono anni facili, ma Brancati, appena fu possibile, riprese a pubblicare bozzetti, racconti, composizioni teatrali, trovandosi trasportato dalla satira politica. Con Il bell'Antonio, pubblicato nel 1949, lo scrittore riprende i motivi del Don Giovanni producendo un romanzo corale che assomiglia ad una grande commedia antica e che rappresenta, in fatto di "orchestrazione", un grande progresso nei confronti del Don Giovanni.
Per il Bell'Antonio, Brancati riceverà, nel 1950 il Premio Bagutta.


Paolo il caldo
Per approfondire, vedi la voce Paolo il caldo.

Nel 1955, un anno dopo la morte, venne pubblicato il romanzo Paolo il caldo. La sua pubblicazione era stata autorizzata dall'autore in una nota scritta due giorni prima di morire nella quale avvertiva che il libro era rimasto incompiuto degli ultimi due capitoli.

Nonostante il romanzo ci sia pervenuto non concluso, si avverte subito che esso non è inferiore ai precedenti e soprattutto che l'idea della vita, in esso espressa, è profondamente cambiata da quella che animava i romanzi precedenti.

Se nel Don Giovanni lo slancio sensuale era pieno di allegria e nel Bell'Antonio la vicenda aveva ancora una sostanziale intonazione burlesca, nel Paolo il Caldo le cose cambiano e la sensualità di Paolo Castorini ha qualcosa di ossessivo e tragico.

Anche in questo romanzo la forma è limpidissima anche se si nota, al confronto con gli altri due libri, una maggiore propensione all'analisi e al discorso indiretto.


Il mondo dei romanzi
Il mondo davanti al quale ci pone Brancati è un mondo morale concreto e organico dal quale egli contempla e giudica gli uomini che lo circondano facendo così nascere la sua satira politica e quella della vita provinciale.

Il mondo appare così dominato da personaggi dalla testa vuota, vanagloriosi seduttori di donne e di imperi che appartengono alla schiera dei vanitosi, prepotenti e oppressori, sia in politica che in amore.

Brancati, che si è sviluppato come scrittore nel periodo che va dal 1930 al 1942, trae questa visione del mondo dalla sua esperienza di uomo, nato e vissuto nel Ventennio fascista, in un periodo decisivo della vita italiana fatto di esaltazioni e speranze deluse.

Dalla Sicilia Brancati riesce a trarre non solo la forza della concretezza artistica, ma anche a rompere con gli schemi letterali e culturali di Verga e Pirandello.


Bibliografia

Narrativa
L'amico del vincitore, Milano 1932
Singolare avventura di viaggio, Milano 1932
In cerca di un sì, Catania 1939
Gli anni perduti, Firenze 1941
Don Giovanni in Sicilia, Milano 1941
Il vecchio con gli stivali, Roma 1945
Il bell'Antonio, Milano 1949
Paolo il caldo, Milano 1955

Teatro
Fedor, Catania 1928
Everest, Catania 1931
Piave, Milano 1932
La governante, Bari 1952
Teatro, Milano 1957

Saggistica e prose varie
I piaceri. Parole all'orecchio, Milano 1946
I fascisti invecchiano, Milano 1946
Le due dittature, Roma 1952
Ritorno alla censura, Bari 1952
Diario romano, a cura di G.A. Cibotto e S. De Feo, Milano 1961
Il borghese e l'immensità, Milano 1973
Sogno di un valzer, Milano 1982
Nella collana dei "Classici Bompiani" è uscito un volume di Opere 1932-1946, a cura di Leonardo Sciascia, Milano 1987

Filmografia
La bella addormentata, regia di Luigi Chiarini (sceneggiatura, 1942)
Don Cesare di Bazan, conosciuto anche come La lama del giustiziere, regia di Riccardo Freda (sceneggiatura, 1942)
Gelosia, regia di Ferdinando Maria Poggioli (sceneggiatura, 1942)
Enrico IV, regia di Giorgio Pàstina (sceneggiatura, non accreditato, 1943)
Anni difficili, regia di Luigi Zampa (soggetto e sceneggiatura, 1948)
Fabiola, regia di Alessandro Blasetti (sceneggiatura, 1949)
È più facile che un cammello..., regia di Luigi Zampa (sceneggiatura, 1950)
L'edera, regia di Augusto Genina (sceneggiatura, 1950)
Vulcano, regia di William Dieterle (sceneggiatura, 1950)
Tre storie proibite, regia di Augusto Genina (soggetto e sceneggiatura, 1951)
Signori, in carrozza!, regia di Luigi Zampa (sceneggiatura, 1951)
Guardie e ladri, regia di Mario Monicelli e Steno (sceneggiatura, 1951)
Buon viaggio pover'uomo, regia di Giorgio Pàstina (sceneggiatura, 1951)
Altri tempi, regia di Alessandro Blasetti (sceneggiatura, 1952)
Viaggio in Italia, regia di Roberto Rossellini (soggetto e sceneggiatura, 1953)
L'uomo, la bestia e la virtù, regia di Steno (sceneggiatura, 1953)
Anni facili, regia di Luigi Zampa (soggetto e sceneggiatura, 1953)
La patente episodio di Questa è la vita, regia di Luigi Zampa (sceneggiatura, 1954)
Dov'è la libertà...?, regia di Roberto Rossellini (sceneggiatura, 1954)
Orient Express, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (sceneggiatura, 1954)
L'arte di arrangiarsi, regia di Luigi Zampa (soggetto e sceneggiatura, 1954)
Vacanze d'amore (Village magique), regia di Jean-Paul Le Chanois (sceneggiatura, 1954)
Il bell'Antonio, regia di Mauro Bolognini (soggetto, 1960)
Don Giovanni in Sicilia, regia di Alberto Lattuada (soggetto, 1967)
Paolo il caldo, regia di Marco Vicario (soggetto, 1973)
La governante, regia di Giovanni Grimaldi (soggetto, 1975)

Brancati Vitaliano (Pachino, Siracusa, 1907 - Torino 1954), scrittore e autore drammatico.
Anche se ha iniziato la sua attività di autore di teatro negli anni '30, con alcuni testi di dubbio valore artistico Everest (atto unico, 1930); Piave (dramma patriottico, 1932), Il viaggiatore dello sleeping n.7 era Dio (1935); il vero successo l'ottenne nel secondo dopoguerra, con Questo matrimonio si deve fare (1939, rappresentata postuma dal Teatro stabile di Catania, con Turi Ferro, nel 1963), cui fece seguito Le trombe di Eustachio (1942), L'orecchio di Dioniso (1943), Don Giovanni involontario (1943), Raffaele (1948), Una donna di casa (1950). Certamente la sua commedia più nota e forse più bella è La governante , di cui si ricorda una bellissima edizione (1965-66), con A. Proclemer, G. Tedeschi e G. Albertazzi, per la regia di G. Patroni Griffi; ripresa ancora da Albertazzi, con P. Pitagora nella stagione 1995-96. La commedia fu bocciata dalla censura di allora anche se intenzione di B. era solo quella di portare in scena un caso morale, ovverosia la coscienza di un essere umano che si dibatte nelle spire di un `vizio' che non vuole accettare, l'omosessualità femminile. Brancati scrisse in quell'occasione un pamphlet violento: Ritorno alla censura , contro la mentalità di un certo potere politico. Molto intensa fu anche l'attività di sceneggiatore cinematografico; ricordiamo: La bella addormentata di L. Chiarini (1943), Silenzio, si gira! di C. Campogalliani (1944), Anni difficili (1948), a cui seguì Anni facili (1953), entrambi diretti da L. Zampa, L'uomo, la bestia e la virtù di Steno (1954). Quattro anni dopo la morte (1954), il primo a interessarsi del teatro di B. fu N. Borsellino, che mise in risalto i tratti `nuovi' del commediografo rispetto al narratore, indicandone l'anima aristofanesca o etico-politica, e il carattere polemico, la satira corrosiva, come elementi distinguibili della sua drammaturgia. Se ci sono sempre stati dei sospetti sui narratori che si dedicano anche al teatro, finendo spesso per considerare marginale questa attività, per B. le prove del palcoscenico hanno invertito questa tendenza, evidenziando una vena beffarda, una comicità agre, un felice uso del grottesco che rivelano la novità della struttura drammatica, specie in opere come La governante e Don Giovanni involontario .


http://www.classicitaliani.it

Davide de Maglie

Appunti di Storia della Letteratura italiana


IL DONGIOVANNISMO NELLA NARRATIVA
DI
VITALIANO BRANCATI

* * *

I.
NOTIZIE BIOGRAFICHE

Vitaliano Brancati nacque a Pachino (Siracusa) nel 1907. Nel 1920 seguì la famiglia a Catania, città fondamentale per la sua formazione culturale e umana. Nel 1922 si iscrisse al Partito Nazionale Fascista e nel 1929 si laureò in Lettere con una tesi su Federico De Roberto. Si trasferì poi a Roma e iniziò a lavorare come giornalista per Il Tevere e, dal 1933, per il settimanale letterario Quadrivio. A questo periodo risalgono alcune opere di ispirazione fascista che in seguito sarebbero state ripudiate: il poema drammatico Fedor (1928), il "mito in un atto" Everest (1931) e il dramma Piave (1932); a questi testi teatrali va aggiunto il romanzo L'amico del vincitore, scritto tra il 1929 e il 1930 e pubblicato nel 1932. Nel 1934 il romanzo Singolare avventura di viaggio venne sequestrato dalla censura fascista per immoralità; intanto Brancati iniziò a scrivere quello che in seguito avrebbe considerato il suo primo vero romanzo, Gli anni perduti.
Nel 1936 iniziò a lavorare per il settimanale diretto da Leo Longanesi Omnibus, che il regime fascista soppresse nel 1939. Dopo essere stato in Sicilia per alcuni anni come insegnante, nel 1941 lo scrittore tornò a Roma e pubblicò Don Giovanni in Sicilia e Gli anni perduti; al Teatro dell'Università conobbe l'attrice Anna Proclemer, che sposò cinque anni più tardi. Nel 1944 uscì sulla rivista Aretusa il racconto Il vecchio con gli stivali e due anni dopo Brancati si stabilì definitivamente a Roma. Nel 1949 apparve a puntate sul settimanale Il Mondo il romanzo Il bell'Antonio che nel 1950 vinse il Premio Bagutta. L'attività teatrale continuava intanto con testi come Le trombe d'Eustachio (1942), Don Giovanni involontario (1943), Raffaele (1946) e La governante: quest'ultima commedia venne bloccata dalla censura democristiana e nel 1952 venne pubblicata da Laterza insieme al pamphlet Ritorno alla censura. Separatosi dalla moglie nel 1953, Brancati morì a Torino nel 1954. Nel 1955 venne pubblicato, rispettando le ultime volontà dell'autore, il romanzo incompiuto Paolo il caldo con prefazione di Alberto Moravia.
Per il cinema Brancati lavorò alla sceneggiatura dei film Anni difficili (1947, da Il vecchio con gli stivali), Signori in carrozza (1951) e L'arte di arrangiarsi (1955) di Luigi Zampa, Fabiola (1949, dal romanzo omonimo di Wiseman) e Altri tempi (1952) di Alessandro Blasetti, Guardie e ladri (1951) di Mario Monicelli, Dov'è la libertà e Viaggio in Italia (entrambi del 1954) di Roberto Rossellini. A testimonianza della persistente vitalità dell'opera brancatiana vanno ricordate almeno alcune trasposizioni cinematografiche: del 1960 è il film Il bell'Antonio di Mauro Bolognini, con Marcello Mastroianni e Claudia Cardinale, del 1973 la pellicola Paolo il caldo, diretta da Marco Vicario e interpretata, tra gli altri, da Giancarlo Giannini, Ornella Muti e Riccardo Cucciolla.

* * *

II.
DON GIOVANNI IN SICILIA
LA CRISI DEGLI ANNI TRENTA E L'EROTISMO

Le opere brancatiane legate all'ideologia fascista celebrano il predominio dell'istinto, inteso come azione e come concreta energia operativa, sulla razionalità. È quanto avviene nel dramma Piave, dove un eroe autoritario e volitivo - che alla fine si scoprirà essere Mussolini - combatte tra le macerie per salvare la patria dopo la disfatta di Caporetto, o nel romanzo L'amico del vincitore in cui il timido Pietro Dellini è costretto a rendersi conto, durante una fallimentare spedizione al polo al seguito del comandante Gabriele Gabrieli, che il vero "vincitore" è l'amico Giovanni Corda perché ha scelto una vita attiva, appoggiando la politica d'intervento ed ispirandosi al trinomio fascista "ordine, equilibrio, autorità".
La crisi politica e morale di Brancati inizia a manifestarsi nel suo secondo romanzo Singolare avventura di viaggio. Una gita a Viterbo sconvolge la vita tranquilla ed abitudinaria di Enrico Leoni, che sente nascere dentro di sé un'intensa passione per la cugina Anna: dall'indifferenza di lei deriva la difficoltà di Enrico a ritrovare un autentico equilibrio spirituale. Egli riprende il lavoro di sempre con ritmo ancor più febbrile, ma in fondo al cuore sente che non potrà più avere la serenità interiore di prima. Si delinea così una contrapposizione fra istinto carnale e razionalità che tornerà nelle opere successive.
La presa di posizione contro il fascismo è segnata dal romanzo Gli anni perduti, pubblicato nel 1941 ma composto tra il 1934 e il 1936. Nella sonnolenta città di Natàca, sotto il cui nome si cela quello di Catania, arriva il professor Buscaino, ricco e pieno di idee, che propone agli annoiati abitanti di costruire una torre panoramica. Quando la costruzione è pronta si scopre però che non sono stati fatti i permessi necessari e quindi la torre non può essere utilizzata: la città di Natàca ha passato gli anni credendo in un progetto irrealizzabile, ma è probabile che il titolo alluda anche agli anni perduti dall'autore nella fede in un progetto politico inconsistente come il fascismo.
Nel Don Giovanni in Sicilia, scritto a Zafferana Etnea nel 1940 e pubblicato un anno dopo, l'autore si serve dell'ironia, da intendere come apparente esaltazione di uno stile di vita di cui in realtà si mettono in evidenza i limiti. Del quarantenne Giovanni Percolla viene raccontata la giovinezza vissuta con tre sorelle fin troppo premurose nel preparargli i pasti abbondanti ed il letto per il sonno pomeridiano, i discorsi sulla bellezza femminile fatti con gli amici Muscarà, Scannapieco ed Ardizzone, e perfino i viaggi - a Roma, ufficialmente per lavoro, ma in seguito anche in località di villeggiatura come Viareggio, Riccione, Cortina, Abbazia - intrapresi da questi uomini soltanto per vedere belle donne e fantasticarvi sopra una volta tornati in Sicilia. Il tempo scorre uguale tra i ricordi dei viaggi già compiuti, un presente fatto di avventure banali e poco significative ed un futuro nel quale vengono proiettati improbabili sogni erotici di cui è bello parlare con gli amici.
Questa situazione cambia di colpo quando Giovanni vive un'esperienza assolutamente fuori dell'ordinario: Ninetta dei Marconella lo guarda ed egli ne rimane colpito a tal punto che rinuncia a tutte le sue antiche abitudini, andando a vivere da solo in una casa del quartiere Cibali e scegliendo nuove amicizie tra gli innamorati di Catania. Riesce a conquistare il cuore di Ninetta e, dopo averla sposata, si trasferisce con lei a Milano. La metropoli del Nord costringe Giovanni Percolla a cambiamenti radicali ma tutto sommato non è difficile abituarsi alla nuova vita, fatta di docce mattutine e pasti frugali, dell'aria fredda e piena di nebbia e degli intellettuali - commendatori, pittori, letterati - che frequentano il salotto di Giovanni e Ninetta: anzi l'uomo si accorge che questi assidui visitatori lo ammirano molto e lo ritengono secentesco, barocco di complessione, ma un bel barocco. I lunghi e per lo più inconcludenti discorsi con gli amici siciliani di un tempo vengono sostituiti da adulteri rapidi e privi di gioia: Si accorgeva poi di non provare altro che ripugnanza e paura. Quando Ninetta propone di fare un viaggio in Sicilia Giovanni ha qualche esitazione ma alla fine accetta. Ritrova così gli odori e le abitudini di un tempo, la casa delle sorelle, il suo letto caldo ed accogliente, le strade piene di sole tra le quali è cresciuto, e all'improvviso si accorge di non essere mai cambiato, di non essere riuscito nemmeno a Milano a cancellare completamente le abitudini della sua giovinezza.
Il romanzo mette in luce le due anime del protagonista, che sono poi le due anime dell'autore stesso: da un lato l'istintiva adesione alla vita tranquilla e sorniona della provincia meridionale, dall'altro l'esigenza razionalmente riconosciuta di impegnarsi in una vita operosa come quella di Milano. Questi atteggiamenti così diversi tra loro non sono ancora drammaticamente contrapposti; si assiste piuttosto alla descrizione di un gallismo fatto non solo di discorsi scambiati con gli amici, ma anche della tendenza ad ingigantire l'importanza degli sguardi e, più ancora, della contemplazione quasi estatica della donna: [...] la storia più importante di Catania non è quella dei costumi, del commercio, degli edifici e delle rivolte, ma la storia degli sguardi. La vita della città è piena di avvenimenti, amori, insulti, solo negli sguardi che corrono fra uomini e donne; nel resto, è povera e noiosa. Le donne che ricambiano uno sguardo trasformano la vita di un uomo:Raramente li ricambiano. Ma quando levano la testa dall'attitudine reclinata, e gettano un lampo, tutta la vita di un uomo ha cambiato corso e natura. Quest'esaltazione nasconde però, a ben guardare, un'intima povertà politica ed intellettuale: come osserva Leonardo Sciascia questi uomini che s'acquattano come scarafaggi in certe strade buie e maleodoranti, che si riuniscono nel retrobottega di una farmacia notturna e ogni tanto fanno risuonare un lungo gemito per le vie barocche di Catania, negli anni della guerra d'Etiopia, col fascismo al potere ed il secondo conflitto mondiale alle porte non sanno far altro che pensare alla donna, per vagheggiarla più che per avvicinarla. Con accenti ancora più divertiti che tragici, Brancati ha rappresentato l'inerzia tipica della sua terra, ma anche il vuoto che si cela dietro a tanta propaganda fascista.

* * *

III.
IL BELL'ANTONIO
LA SESSUALITÀ NEGATA

Nel romanzo Il bell'Antonio (1949) il riferimento alla realtà politica diviene esplicito. Vi si racconta la vita del bellissimo Antonio Magnano, che fin da adolescente attira su di sé gli sguardi di tutte le donne di Catania: quando egli ha sedici anni la cameriera si lamenta con i signori Magnano perché è rimasta turbata dalla bellezza del loro giovane figlio. Da cinque notti la ragazza si alza dal letto e va a stracciarsi il petto e la faccia dietro la porta di Antonio, fra il desiderio di aprirla e la riluttanza a compiere un atto disonesto. Il sacerdote con cui la signora Magnano va a confidarsi si lamenta perché le ragazze di buona famiglia pensano ad Antonio in modo non troppo conforme alla loro educazione: la donna deve quindi pregare Dio perché se lo raccolga presto - in fondo la morte per il cristiano non è un motivo di dolore, perché permette di accedere alla vita eterna - o, almeno, augurarsi che il giovane divenga cieco e non possa più turbare le fanciulle col suo sguardo magnetico.
Crescendo, Antonio diviene sempre più attraente ed è considerato un grande amatore dal padre, dagli amici e da tutti i concittadini. Nel 1930 il seducente scapolo si trasferisce a Roma e diviene - così si dice - l'amante della contessa K., moglie di un ministro fascista. Cinque anni dopo torna però in Sicilia senza aver fatto nessuna carriera diplomatica e il padre, indebitatosi per comprare un giardino d'aranci, lo convince a sposare Barbara, figlia del notaio Giorgio Puglisi. Sfruttando le proprie conoscenze Antonio riesce a far diventare il cugino Edoardo podestà. Il matrimonio con Barbara procede serenamente ma, dopo tre anni non allietati dalla nascita di un figlio, il notaio Puglisi mette il signor Alfio, padre di Antonio, al corrente di una tragica verità: "E' accaduto che mia figlia, dopo tre anni di matrimonio, è tale e quale come è uscita dalla mia casa". Intanto torna in Italia dopo vent'anni di assenza Ermenegildo Fasanaro, zio di Antonio per parte di madre che, ormai invecchiato, stanco, dimagrito, ha perso la lindura e liscezza del volto e deve camminare con un bastone che sembra tendersi con tutto l'affetto possibile nello sforzo di sorreggerlo: a lui Antonio racconta di non essere più riuscito, dopo i primi ardori giovanili, a godere appieno le gioie dell'amore e di essersi sempre servito di sotterfugi per nascondere alle donne il suo umiliante problema. Ogni volta che si sente attratto fisicamente Antonio sente in corpo un fortissimo calore, che all'improvviso lascia il posto ad un desolante senso di gelo. Dopo l'annullamento delle nozze l'impotenza di Antonio Magnano diventa una notizia di dominio pubblico: Edoardo, provocato sull'argomento da un compagno di partito ed incapace di tenere per sé un commento ironico sulla virilità di Hitler e Mussolini, è costretto a lasciare la carica di podestà. Barbara sposa il brutto ma ricchissimo duca di Bronte e Antonio, nascosto dalla penombra della sera, ammira da lontano la sua immutata bellezza. Alfio Magnano accusa a gran voce i Puglisi di arrivismo, ma viene accompagnato a casa da un poliziotto. Antonio riceve lettere di donne innamorate ma non le prende in considerazione. Nel 1942 suo padre muore in una casa di appuntamenti colpita dalle bombe degli alleati e lo zio Ermenegildo si suicida. Il 5 agosto 1943 arrivano in Sicilia i soldati scozzesi e verso la fine del mese Antonio, nella casa paterna ormai semidistrutta dalla guerra, riceve la visita del cugino Edoardo, reduce dal carcere e dal campo di concentramento: mentre ascolta il racconto delle sue sventure Antonio si addormenta e sogna di avere un amplesso con la nipote del portiere, impegnata nelle pulizie di casa. Edoardo, scandalizzato da una tale incapacità di pensare a cose ben più importanti del sesso, torna a casa sua e costringe Giovanna, figlia del portiere, a concedersi a lui. Quando con tono di vergognoso pentimento confessa ad Antonio l'accaduto, questi dall'altra parte del filo non sa provare altro che invidia per l'impresa amatoria del cugino.
Se l'ironia del romanzo precedente riguardava l'erotismo siciliano e quindi comprendeva anche momenti di affettuosa comprensione, nel Bell'Antonio prende il sopravvento un amaro sarcasmo dettato dalle circostanze politiche: il fascismo poggia su un favore popolare ottenuto con la forza, ma d'altro canto l'intervento degli alleati non riesce a portare nuovi e più profondi valori morali. Così da un lato viene descritta l'ipocrisia del duca di Bronte, un impressionante congegno di carne umana, formato da due involucri torcentisi alternativamente quello di sopra verso destra quello di sotto verso sinistra, poi quello di sopra verso sinistra quello di sotto verso destra, che prega Sant'Antonio ed è pronto ad aiutare chiunque purché fosse bene accetto al Governo, riuscendogli inconcepibile che una persona, pensando con una sola testa, disapprovasse quello che approvavano i Ministri, i Prefetti, i Comandanti di Corpo d'Armata, i Presidenti di Tribunali, i Maggiori dei Carabinieri, il Re, i Cardinali, i Vescovi e tutti coloro che non hanno bisogno di far debiti per mantenere se stessi e i loro figli; dall'altro si mettono però in evidenza gli aspetti tragici della liberazione: Ed eccolo finalmente il giorno tanto sospirato da Edoardo; esso porta il nome di 5 agosto 1943. Eccolo! Ma com'è nero di polvere e pieno di un sordo rombo di rovina! Cade la tirannide, ma anche i tetti delle abitazioni, i campanili delle chiese, i vecchi ponti sui fiumi; si spezzano gli orologi in cima agli edifici pubblici e le sfere rimangono ferme sul minuto in cui la bomba uccise in piazza un gruppo di povera gente spaventata. . .
Di fronte a queste posizioni ideologicamente contrapposte ma accomunate dall'uso della violenza, l'atteggiamento dello scrittore pare rispecchiarsi nello zio Ermenegildo Fasanaro, che è stato in Spagna per vedere chi aveva ragione nella guerra civile e ora, dopo vent'anni, ha maturato un amaro disincanto a causa delle atrocità cui ha dovuto assistere: "Non mi domandare chi ha ragione e chi torto, o quale dei due princìpi trionferà in avvenire! Le idee se le tengono dentro la testa e io non le ho vedute. Quello che ho veduto è che sono disposti a scannare, squartare, bruciare anche Gesù Cristo in persona, dall'una parte e dall'altra, e se caschi sotto il loro odio preparati a cacciare un urlo di dolore quale non hai pensato mai che potesse uscire dalle tue viscere di creatura battezzata! In un ambiente segnato dall'abuso della forza il giovane Antonio Magnano non riesce a sviluppare e gestire la propria virilità, anzi quando, dopo l'annullamento del matrimonio, riceve lettere solidali di appassionate ammiratrici, le rifiuta perché si sente mancato di rispetto: Le donne si comportavano con lui come gli uomini con le donne; tutte si ritenevano in diritto di scrivergli, di rivolgergli la parola, d'indorargli la pillola, di nascondergli la verità sotto abili eufemismi, di fare in modo da non spaventarlo, e infine di convincersi a mettersi fiducioso nelle loro mani. Non erano questi i mezzi del più consumato dongiovannismo? Egli era diventato l'oggetto di una caccia di cuori puri, di animi nobili, di esseri apparentemente deboli e fiochi, ma in realtà spaventevoli. A questa presa di coscienza non corrisponde il riscatto morale del personaggio, che perfino di fronte all'esperienza di prigionia vissuta dal cugino rimane legato all'apatia tipica di una società - quella siciliana ma anche, più in generale, quella dell'Italia fascista- che dà al sesso un valore esclusivo, come denuncia lo stesso Edoardo alla fine del libro: Per qualunque persona di un altro Paese, sarebbe stato un incidente da nulla. Ma per noi no! Per noi è una tragedia! Perché noi pensiamo sempre a una cosa, a una sola cosa, a quella! E intanto un tiranno ci caccia in guerra con una pedata nel sedere, e gli altri popoli ci ricacciano indietro con un'altra pedata, ed entrano nelle nostre case! Il gallismo viene dunque privato di ogni valore ed emerge il vuoto morale che l'ostentazione della virilità cerca invano di tenere nascosto.

* * *

IV.
L'EPILOGO DI UN PERCORSO
PAOLO IL CALDO

L'ultimo romanzo di Brancati racconta la degenerazione del gallismo in follia. La prima parte descrive la giovinezza di Paolo Castorini, che già da bambino esercita il suo vizio intimo e solitario facendo a gara con i coetanei e da adolescente inizia una breve storia d'amore con la cameriera Giovanna. La ragazza viene cacciata di casa e quando, di lì a poco, Paolo interrompe la relazione, si butta in un pozzo dopo averlo guardato senza paura né desiderio; dopo essere stata ripescata riprende la sua vita di sempre con la stessa inerte semplicità con cui si era buttata nel pozzo. La famiglia Castorini si concede pranzi pantagruelici conclusi da chiassosi canti con la chitarra, con una sensualità esuberante cui è estraneo solo Michele, padre di Paolo. Il padre di Michele era malato di sifilide e quindi suo figlio è diverso dai parenti, non si è mai sentito parte della famiglia: è un uomo sensibile e schivo, che cerca di occuparsi di problemi spirituali ricorrendo anche a letture impegnative come le Confessioni di S. Agostino. Egli sa che la felicità è la ragione, ovvero il distacco dai sensi, ma è l'unico della famiglia capace di rendersene conto e, in un estremo rifiuto dell'ambiente che lo circonda, giunge al suicidio. Paolo decide allora di lasciare la Sicilia.
Inizia così la seconda parte del romanzo, ambientata a Roma, dove Paolo vive relazioni brevi e superficiali ma al tempo stesso deve affrontare una vocazione alla lussuria che gli viene sempre più forte ed incontrollabile. Quando l'amico Vincenzo gli racconta di aver ricevuto una telefonata sconcia dalla signora Bianchedi detta la Carciofolara, il barone Paolo Castorini si reca nel salotto pseudoculturale di Rosa Ippolito solo per conoscere l'audace conversatrice e farsi ripetere la frase proibita. Le sue fantasie ed i suoi approcci si fanno sempre più morbosi: un giorno egli arriva addirittura a cucire insieme affannosamente, non senza pungersi e macchiarsi di sangue i lembi di stoffa tra i quali è compresa la cerniera dei pantaloni per coinvolgere una sconosciuta pantalonaia in un gioco erotico al limite dell'autolesionismo. Quando la donna arriva un telegramma improvviso costringe Paolo a tornare dopo molto tempo in Sicilia. I parenti - la madre, la sorella, lo zio Edmondo che, nel suo egoismo, non s'accorge della malattia che conduce alla morte la sua dodicenne cameriera Giovanna - sono vecchi e malati, e di fronte a questa decadenza fisica e morale Paolo prende finalmente coscienza del rischio della follia: Io rischio di diventare un idiota, e non voglio diventare un idiota! Preso da orrore e spavento decide di cambiare vita e sposa Caterina, giovane nipote di un farmacista.
L'ultima parte del romanzo racconta l'impossibilità del protagonista di liberarsi dalla sua sfrenata lussuria, la sua incapacità di accettare il candore e la ritrosia della giovane consorte e l'istinto insopprimibile di sfogare il desiderio sessuale avvicinando prostitute e aggirandosi nei quartieri poveri di Roma, per vedere la voluttà farsi largo tra la miseria. Dopo la partenza di Caterina per la Sicilia (che la coppia ha lasciato dopo il matrimonio) a Paolo non resta, come ha lasciato scritto Brancati, che sentire l'ala della stupidità sfiorargli il cervello.
Paolo il caldo, pubblicato postumo con il consenso dell'autore, conclude il discorso iniziato negli anni Trenta, quando il romanzo Singolare avventura di viaggio ha denunciato i limiti dell'istinto: l'inerzia di Antonio Magnano lascia il posto alla patologia, segnando così la sconfitta della ragione di fronte all'ossessione della carne.
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