Di Costanzo Marco - Personaggi storici Siracusa

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Personaggi storici
Vai ai contenuti

Di Costanzo Marco

D
Marco Di Costanzo tratto da Stefano Bottari documentazione PDF
Il nome di questo pittore, che lavorava a Siracusa nella seconda metà del quattrocento, non è del tutto ignoto; ma del tutto ignota, e per certi aspetti sorprendenti, è la sua attività, che qui, per la prima volta, viene messa in luce, con la speranza che a quanto s'è potuto raccogliere, altre cose, una volta avviate le ricerche, possano aggiungersi.
Le scarse notizie sul • l'artista son quelle fornite dal Di Marzo e dal Mau- ceri. Il punto di partenza è dato da una tavola, raffigurante S. Girolamo nel suo studio, un tempo nella chiesetti di S. Girolamo fuori le mura, ed ora con-servata in una sala annessa alla sacrestia del Duomo di Siracusa. La tavola è firmata e datata, ma della data — concordamente letta come 1468 dal Capodieci, dal Di Marzo e dal Mauceri — oggi non restano che pochi, indecifrabili segni.1'
Il Di Marzo, tra i molti nomi di pittori tratti dai documenti di archivio, s'è soffermato su quello di un Giorgio Di Costanzo, dimorante a Castroreale, il quale, insieme con Nicolò Romeo, il 27 aprile del 1509 prendeva impegno di eseguire un'opera per la chiesa di S. Lucia in Milazzo;2* l'affinità del cognome l'ha indotto a ipotizzare una parentela con il nostro artista, la cui famiglia sarebbe stata quindi di origine messinese. È la base su cui il Di Marzo stabilisce la filiazione del Costanzo da Antonello e dalla pittura veneziana.3)
Le notizie raccolte dal Mauceri sono più importanti, sia perchè si riferiscono direttamente all'attività del nostro pittore, sia perchè chiaramente ne localizzano l'attività in Siracusa. Il Mauceri ha infatti segnalato un atto notarile — esistente tra quelli trascritti dal Capodieci e conservati nei manoscritti del la Biblioteca Arcivescovile di Siracusa — dal quale risulta che il 2 settembre del 1500 Marco de Costanzo, pittore siracusano, si impegnò con i confrati dello Spirito Santo di dipingere — come sembra doversi desumere dal contratto, e non semplicemente d'indorare — due tavole (un Crocifisso ed una Pietà) e di modificare il gonfalone, eseguendo le relative figurazioni, della loro confraternita. 4>
Le opere più non esistono, ma resta il fatto che all'inizio del nuovo secolo, cioè dopo oltre un trentennio dal S. Girolamo, il nostro pittore era ancora attivo in Siracusa.
Siracusa-cattedrale-Marco Costanzo San Girolamo

Il dipinto già citato, raffigurante S. Girolamo nel suo studio (m. 0,95 x 2,01), è in pessime condizioni, e solo in pochi punti si scorgono i tratti della raffinatezza originaria dell'esecuzione, i segni dell'antica bellezza (fìgg. 1 e 3). L'ultima parte della tavola — quella a sinistra — venne aggiunta in occasione del restauro, evidentemente per ridare al dipinto le proporzioni primitive, ma è curioso che siano scomparsi — le mie ricerche e quelle dell'amico Bernabò Brea, che dirige la Soprintendenza di Siracusa, sono rimaste fin qui infruttuose — i quadretti laterali con " i più notevoli episodi della vita del Santo, ricordati tanto dal Di Marzo quanto dal Mauceri, e anzi ricordati come le parti meglio conservate di tutto il complesso, le parti sulle quali sarebbe stato possibile fondare uno studio sul pittore dimenticato.
Comunque, anche nelle condizioni attuali, l'opera s'impone per la monumentalità conferita alla figura del Santo, per la sottigliezza della illuminazione e la raffinatezza della materia pittorica, per l'animazione dei colori, e soprattutto delle varie gradazioni di rosso (dal rosso di velluto al rosso rubino).


Taluni particolari, anche in relazione all'assetto prospettico, assumono una singolare evidenza: così è del breve scrittoio del Santo, del tappeto persiano steso su di esso, e più del leggìo: un insieme, questo, che può essere reclamato, anche per la suggestione degli effetti coloristici, dalla più recente pittura metafisica.
La qualità di quest'opera, che pone il Costanzo in primo piano tra i pittori che — ove si eccettui il caso di Antonello — lavorarono in Sicilia nella seconda metà del Quattrocento, mi indusse a studiare l'artista: non si dipinge per caso un'opera come il S. Girolamo, e un pittore di così alta statura non doveva essere passato senza lasciare altre tracce di sè !
Era ovvio che per prima cosa dovessi rivolgere la mia attenzione alle tredici tavole con le figure del Cristo e degli Apostoli, allineate — in pessime condizioni di luce — al di sopra degli stalli corali nella Cappella che fiancheggia la grande abside del Duomo di Siracusa. Quelle tavole erano state riferite al Costanzo dal Di Marzo, ma tale indicazione venne lasciata cadere, mentre, senza alcun controllo, appare spesso ripreso l'accenno, assai approssimativo ed impreciso, anche se pieno di calore e di entusiasmo, con cui il Venturi le ha associate alla bottega di Antonello, come opera di un immediato e diretto seguace. 5>
L'attuale collocazione non ne facilita certo l'analisi, ma dagli scomparti che ho potuto vedere da vicino (m. 0,55 X 0,84) e di cui posso fornire le riproduzioni (figg• 4 e 5)> mi pare si debba concludere che il Di Marzo, molto più del Venturi, avesse colpito nel segno. Ritorna in queste figure la grandiosità monumentale sottolineata nel S. Girolamo, ritorna la sottigliezza del segno, il vigore coloristico. Alle qualità, per così dire, interne della pittura, fanno riscontro quelle esterne: la similarità dell'assetto architettonico, con quelle caratteristiche mensole, disegnate nell'un caso e nell'altro allo stesso modo, e con i medesimi particolari decorativi. Si può osservare che queste figure, nei confronti del S. Girolamo, hanno un carattere più decorativo, e risultano magari più monotone : ma ciò non toglie che — a parte la maggiore o minore intensità — analogo sia il gusto e il segno, come potrebbe documentare un facile scrutinio non solo dagli elementi stilistici, ma anche di quelli morfologici.
 

Non mi par dubbio quindi che questo complesso di figure sia da attribuire allo stesso Marco Costanzo, in un momento più avanzato della sua attività. Esse anzi, allo stato delle nostre conoscenze, costituiscono il naturale passaggio ad un altro dipinto, in cui — se ben vedo — ritornano, con un ritmo più disteso, ma sempre alto e nobile, i motivi fondamentali dell'opera del maestro siracusano.
Si tratta di una grande tavola, raffigurante la Trinità tra S. Girolamo e S. Stefano (figg. 6-8), un tempo nella chiesa siracusana dello Spirito Santo, ed ora nel Museo del Palazzo Bellomo, in attesa di un restauro che fermi la rovina, già largamente avviata, della tempera.
L'opera reca due date, una in basso e una nel testo d'una lunga iscrizione, " magnificante l'antichità della tavola e le sue virtù miracolose „, dettata, come ha documentato il Mauceri, dal Capodieci, che era confrate dello Spirito Santo. La data in numeri arabi (1400) è evidentemente moderna, mentre l'altra contenuta nell'iscrizione del Capodieci, e oggi a bella posta accorciata per metterla a paro con quella sottostante (MCCCC...), può darsi ripetesse quella originaria.
Nessun utile indizio può quindi trarsi da quella iscrizione: solo che l'opera venne dipinta nel corso del Quat-trocento, ed evidentemente sul finire del secolo, cioè nel periodo in cui il Costanzo, come già si è visto, lavorava per la Confraternita dello Spirito Santo. Il che fa cadere l'ipotesi del Mauceri, secondo la quale — indiscusso l'antonellismo del dipinto, e quindi l'origine messinese di esso — il suo autore sarebbe da ricercare nel pittore messinese Niccolò Romeo (quello stesso che il documento scoperto dal Di Marzo rivela associato a Giorgio di Costanzo) che, con un contratto stipulato nel 1529, si era impegnato di eseguire una opera, per altro non specificata, per la Confraternita in questione.6>
Le ragioni dell'attribuzione non sono però negli accennati indizi, assai deboli e comunque estrinseci, ma nella qualità del dipinto. Le figure hanno l'impronta grandiosa e monumentale che s'è notata nelle altre del Costanzo; l'esecuzione, la consueta sottigliezza e nettezza; la colorazione, qui più sostenuta, lo stesso vigore e lo stesso raffinato equi librio. E questo a non tener conto dell'intavolazione, con quella caratteristica architettura così finemente sensibilizzata dal colore e dal giuoco discreto delle luci e delle ombre; della figura dell'Eterno che pur sempre richiama l'ormai lontano S. Girolamo ; delle figure laterali tanto vicine a quelle solenni ed austere degli Apostoli.
Non è possibile pertanto dissociare questo dipinto dai precedenti: v'è in essi qualcosa di comune, che li pone come manifestazioni d'una stessa personalità, anche se in momenti diversi del suo cammino.
Quanti si sono occupati del Costanzo (Di Marzo, Mauceri, Venturi) non hanno esitato di associare la sua opera a quella di Antonello.
Anzi il Di Marzo, a dare fondamento storico alla presunta filiazione, ha cercato di documentare l'origine messinese del pittore. In realtà non può dirsi che tra l'opera di Antonello e quella del Costanzo esista un rapporto sostanziale, a meno che si voglia far passare per tale il fatto che i due artisti (è probabile però che Antonello fosse più anziano), per un lungo tratto della loro vita, si trovarono a lavorare contemporaneamente in Sicilia. È da ripetere piuttosto che — a parte la figura di Antonello — non si vede quale altro artista siciliano di quel momento si possa mettere a pari del Costanzo per la monumentalità, la nobiltà e l'austerità dell'opera pittorica.
Siracusa-Museo Bellomo Marco Costanzo la Trinità e Santi

Riflessi della pittura fiamminga non mancano nel-l'opera del Costanzo; e come il S. Girolamo, che è il dipinto — per sottigliezza luministica e splen¬dore coloristico — più dimostrativo in tal senso, presenta evidenti contatti con l'opera di Colantonio, potrebbe supporsi che la formazione del nostro pittore, in concomitanza con quella antonelliana, si sia svolta a Napoli intorno alla metà del secolo. Ma bisogna pure avvertire che l'apparato archi-tettonico, tanto del S. Girolamo quanto della Trinità, appare intimamente legato all'architettura catalana,
Siracusa-Museo Bellomo Marco Costanzo la Trinità - particolare


ch'era in quel momento — e non pochi esempi son pervenuti fino a noi — l'architettura di Siracusa ; e che dagli esempi spagnoli (catalani e valenciani), oltre che da quelli offerti dall'opera di Colantonio, potè il Costanzo parimenti trarre lo stimolo
1) Scrive il Di MARZO: " L'anno 1468 è ora scomparso dalla tavola del S. Girolamo, ridotta in misero stato: ma indubitatamente vi era nel 1858 e da me fu visto insieme alla firma, che ancora rimane: hoc opus fecit marcus de costando „. Cfr. G. Di MARZO, Di Antonello da Messina e dei suoi congiunti, Palermo 1903, p. 61 nota. Per i precedenti accenni del Dì MARZO, cfr.: Delle Belle Arti in Sicilia, Palermo 1862, III, p. 107; La pittura in Palermo nel Rinascimento, Palermo 1899, p. 9.
Per l'accenno del MAUCERI, cfr.: Su alcuni pittori vissuti in Siracusa nel Rinascimento, in L'Arte, anno VII, Fase. III-IV.
Oggi della iscrizione si legge quanto appresso: Anno dominj ab incarnatione / decimo septembris... indict / hoc opus fecit mare... de costando. L'iscrizione è molto accurata. La prima lettera è in rosso.
A conferma di quanto sopra riporto il seguente brano dagli Annali (ms. nella Biblioteca arcivescovile di Siracusa) del CAPO-DIECI (Tomo VII, p. 294):
" In questi tempi fioriva la chiesa di S. Girolamo fuori le mura di Siracusa, e ne dà un chiaro argomento un quadro di detto Santo, dipinto in tavola, che si trova oggi trasferito di là nella Sagrestia della Cattedrale, dove leggesi la seguente iscrizione: Anno domini ab incarnatione decimo septembris tertiae indictionis hoc opus fecit a far grandeggiare le figure, a fermarle in un assetto monumentale.
Delle opere indicate la più antica è certamente la tavola con il S. Girolamo, e può essere utile notare che è pure l'unica dipinta ad olio. Il rilievo acquista significato se si associa ai riflessi fiamminghi che in essa si notano. Chi sa se in quegli anni il Costanzo non ebbe ad intrattenersi con Antonello, che a quella data — 1468 — aveva già compiuto i suoi viaggi e si preparava alle grandi opere ?
Comunque se un punto di incontro c'è tra i due artisti — ed è un incontro sulle premesse fiamminghe — esso è dato dal S. Girolamo; le altre opere mostrano il Costanzo chiuso nel suo mondo ormai immobile, e comunque lontano dagli interessi spirituali e culturali che stanno alla base dell'opera del suo grande conterraneo.
Per quel che riguarda la serie degli Apostoli, o, per essere più precisi, gli sfondi paesistici su cui essi si adergono, può supporsi che il Costanzo non sia rimasto insensibile a taluni aspetti della pittura che dominava Napoli in quel momento (penso agli affreschi del Chiostro di S. Severino); pittura divulgata in Sicilia — come cercherò di mettere in luce in altra occasione — da Riccardo Quartararo, da Salvo d'Antonio, e proprio in Siracusa da Alessandro Padovano e da Gian Maria Trevisano. Ma non può dirsi che tali contatti trasformino la sostanza intima dello stile del Costanzo. La sua opera piuttosto — come dimostra la più tarda tavola con la Trinità — resta a documentare la vivacità degli scambi tra Sicilia e Spagna, nel corso del Quattrocento; ed in questo senso non è affatto casuale che quanto rimane dell'opera del Costanzo si sia rintracciato proprio a Siracusa: la città che, in quel momento, più intimamente è legata alla cultura spagnola.
Marcus de Costando 1468,,. Debbo la segnalazione alla cortesia del Dott. Gentili della Soprintendenza alle Antichità di Siracusa.
2) Nella chiesa di S. Lucia in Milazzo si conserva una Annunciazione, che fu da me (cfr. Boll. d'Arte, gennaio 1931) attribuita ad Antonello de Saliba. L'attribuzione, nonostante sia stata accolta dal Berenson e da altri, non mi pare che regga; può darsi si tratti del quadro ricordato dal documento riferito dal Dì MARZO; ma purtroppo, in atto, non c'è modo di provarlo.
3) Cfr. Dì MARZO, La pittura in Palermo etc., cit.-, Di Anto¬nello e dei suoi congiunti, cit.
4) Il testo del documento è il seguente: Magister Marcus de Costanzu-Pictor Civis Syracusanus obligavit, et obligat se... bene et diligenter inaurare duas imagines videlicet fìguram seu imaginem Sancti Spiritus cum Crucifixo et cruce deaurata, et imaginem inte- meratae Virginis Mariae cum Christo mortuo in suis brachiis et cum omnibus segis et rebus liatis et deauratis, et bene indoratis de colore olei, et ultra teneatur scavare confalonem dictae confratriae et illum reformare et ponere figuras in loco ubi debent stare et morari in dicto confalono, facto et expedito in praesenti hinc ad festum S. Luciae proximae venturae prò uncia una et tarenis quatuor „. Le indicazione fornite dal MAUCERI (art. cit.) sono inesatte: il doc. si legge nello scritto del CAPODIECI che ha per titolo: De ecclesia S. Spiritus (t. I, p. 13). Negli Annali (t. VII, p. 411) il Capodieci ritorno sull'argomento, ma dà soltanto una para-frasi del documento.
5) Riporto qui alcuni punti della pagina del VENTURI, VII, parte IV, pp. 76-77, pur sempre notevole per l'alta valutazione che dà dei dipinti in questione: " L'opera più vicina ad Antonello, compiuta probabilmente nella sua bottega, è una collezione di quattordici tavole, otto con centina dipinta, delle quali quattro più larghe, e altre sei inscritte in uno stretto rettangolo, formanti tutte insieme un polittico, oggi disgiunto nelle sue parti, nella sagrestia della Cattedrale di Siracusa. Rappresentano Cristo benedicente, il Battista, e i dodici Apostoli, notevoli per l'affinità strettissima di segno con le opere del Maestro... Un discepolo degno di Antonello ha tracciato queste quattordici figure, assimilando con rara penetrazione le forme particolari del disegno del Maestro: il taglio delle labbra, l'orecchio schiacciato, la struttura dei piedi e delle mani, quella delle pietruzze stilizzate, poliedriche, che si vedono nei guasti paesaggi, delle pianticelle trattate come nei quadretti di Reggio Calabria, delle pieghe dei manti costruite, nel Sant'Andrea, ad esempio, in saldo modo, con rotuli conici e con risvolti falcati, dai colori azzurri, verdi oliva, rossi di velluto, che divengono di rubino alla luce.
Manca la forma architettata secondo le astrazioni ideali di Antonello, ma, del resto, è qui la massima approssimazione al suo modo di vedere e di rendere le figure. Debbo avvertire che le tavole in atto non sono quattordici ma tredici: manca quella raffigurante il Battista. Posso inoltre aggiungere — ora che ho potuto fare fotografare tutti gli scomparti e studiarli da vicino — che almeno una buona metà di essi sono notevolmente alterati da guasti e ridipinture, e che l'esecuzione non è affatto omogenea. Alcune figure, schematiche e risecchite, sono evidentemente da riferirsi all'intervento di aiuti.
6> Cfr. E. MAUCERI, La pittura in Siracusa nel sec. XV, in Rass. d'Arte, 1910, p. 26 ss.
FIG. 8 - SIRACUSA, MUSEO DI PALAZZO BELLOMO MARCO COSTANZO: PARTICOLARE DELLA TRINITÀ
altre immagini di opere di Marco Costanzo
 


Torna ai contenuti