Archimede specchi Ustori - Archimede da Siracusa

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
siracusani ieri oggi
Vai ai contenuti

Archimede specchi Ustori

Gli specchi Ustori una invenzione da sfatare
immagini tramandate da vari artisti

 



Ad Archimede riconosciuto quale incendiatore delle navi degli assedianti romani, viene attribuita l'invenzione di fantomatici specchi ustori ma nessuno degli storici antichi ne fa cenno.
Specchi ustori di Archimede
Nella realtà l'antico uso bellico degli specchi ustori risulta essere poco credibile. Innanzi tutto desta sospetto che ne parlino solo autori tardi e non vi sia traccia dell'episodio nei testi più antichi. Si ritiene inoltre altamente improbabile ottenere dagli specchi temperature tali da bruciare il legno delle navi (sono necessarie temperature superiori a 300°) e riuscire a costruire uno specchio parabolico con un fuoco così distante tanto quanto dovevano essere le navi dalle mura di Siracusa. Dalle fonti storiche è noto però che Archimede riuscì realmente a bruciare navi romane e che abbia realmente ideato i famosi specchi ustori. Si ritiene pertanto che Archimede abbia, in occasione dell'assedio romano, perfezionato armi da getto in grado di lanciare sostanze incendiarie, e che la leggenda sia nata sovrapponendo il ricordo delle navi romane incendiate alla reale progettazione di specchi ustori destinati ad usi più pacifici.

Archimede, forse, perfezionò un composto incendiario lanciato dalle sue catapulte, composto che in seguito chiamato fuoco greco venne attribuito a Callinico, un ebreo Armeno, in epoca Bizantina. Secondo la tradizione gli specchi ustori sono indissolubilmente legati all'assedio di Siracusa e al castello Eurialo.
Gli specchi ustori sono una delle tante invenzioni del genio di Siracusa Archimede.
Si narra che durante l'assedio di Siracusa, Archimede dal castello Eurialo avrebbe usato gli specchi ustori per bruciare le navi romane.
Di questo evento ne parlano vari autori: per primo Galeno, poi Cassio Dione Cocceiano e vari altri autori. Essi aggiungono particolari ai racconti più antichi, descrivendo gli specchi ustori come composti da una serie di specchi piani opportunamente orientati. I raggi del Sole concentrati dagli specchi in un unico punto sarebbero stati in grado di bruciare il legno delle navi romane. La struttura descritta era costituita da almeno 24 grandi specchi piani, disposti in una figura esagonale su un graticcio ruotante su un palo fissato al terreno: lo specchio centrale serviva a dirigere il raggio solare riflesso sull'obiettivo, mentre gli specchi laterali venivano fatti convergere con un sistema di cinghie.

Difficile credere alla invenzione dei così detti specchi ustori.
Protagonista di miti, racconti e leggende, lo specchio è oggetto dell’attenzione dell’uomo da sempre.
Gli Antichi Greci raccontano del cacciatore Narciso, così ossessionato dalla sua immagine riflessa da caderne vittima.
I reperti archeologici, invece, fanno risalire le sue origini a molti millenni prima in Anatolia, dove sembra fosse uso produrre dei pezzi di ossidiana lucidi e riflettenti almeno nel 6.000 a.C..
Ripercorrere la storia degli specchi significa quindi attraversare l’intera storia dell’umanità, compiendo un percorso che, da un inizio piuttosto nebuloso inficiato dalla distanza temporale, assume contorni sempre più netti man mano che ci si avvicina ai giorni nostri.

Ammesso che siano stati realizzati come il grande scudo in rame sul tempio di Athena di Siracusa, direzionato a levante e visibile da lontano, durante il giorno dai naviganti che partivano o rientravano nel porto di Siracusa, bisogna sapere che la costa di levante di Siracusa era frastagliata e estese scogliere anche a pelo d'acqua impedivano a qualsiasi nave di avvicinarsi alle possenti mura fortificate realizzate sul margine più alto del Platò calcareo esteso nella parte nord di Siracusa, per tutto il comprensorio nord nord est dal porto piccolo a capo Santa Panagia e  Scala Greca compresa ossia il territorio delle antiche città Acradina e Tiche.

scudo in rame dorato sul tempio di Athena
Tommaso Fazello dello scudo di rame dorato posto in cima al tempio siracusano, (Tommaso Fazello, Storia di Sicilia, p.293)
«Eravi ancora un altro tempio consacrato a Minerva, ed era ornatissimo e bellissimo, in cima del quale era posto lo scudo di Minerva gettato di rame dorato, il quale era tanto grande ch'egli era veduto da' naviganti che erano in alto mare. coloro che partivano dal porto di Siracusa, come gli erano tanto discosto che non potevano veder più quello scudo, essi pigliavano un bicchiere o una tazza di terra, la quale toglievano a posta dall'altare degli dei, ch'era fuor delle mura, presso al tempio d'Olimpio, ed empiendola di mele, d'incenso e d'altre spezierie e di fiori, la gettavano in mare in onor di Nettuno e di Minerva. Ed avendo fatto questo sacrificio, secondo la superstizione, se n'andavano allegri a lor viaggio.»


Le origini dello specchio in età antica
Lo specchio, inteso come lastra metallica capace di riflettere oggetti e persone posti di fronte a essa, potrebbe essere nato in Egitto e in Mesopotamia grazie allo sviluppo della metallurgia. Questa disciplina permise infatti alle antiche popolazioni di lavorare a proprio piacere il bronzo e il rame, successivamente sostituiti con il piombo e l’argento a partire dai Romani.
Inizialmente, gli specchi dovevano quindi essere un prodotto di artigianato complesso da realizzare e molto costoso. È verosimile credere che si trattasse di oggetti riservati solo alle classi più abbienti, estremamente dedite all’ozio e alla cura della persona. Alcune fonti documentali fanno inoltre riferimento a un’intera scuola di artigiani specializzata in queste creazioni e situata nella città libanese di Sidone.
I primi specchi erano peraltro molto ridotti nelle dimensioni e potevano essere accompagnati da un manico fissato nella parte posteriore. A causa della loro fragilità, però, pochissimi esemplari sono sopravvissuti allo scorrere del tempo. Tra i più antichi si riscontrano dei manufatti del III secolo d.C., mentre alcuni affreschi del I secolo mostrano donne intente a osservare la propria immagine
Lo specchio tra Medioevo e Rinascimento
Il primo specchio modernamente inteso fa la sua comparsa nella storia dell’uomo a partire dal Medioevo, periodo durante il quale circolavano delle lastre di vetro unite da metalli per consentire una visione più ampia. Le tecniche di costruzione, però, subiscono una decisa evoluzione solo a partire dal Rinascimento e in due specifici luoghi: la Francia e Venezia. Qui, infatti, iniziano a essere prodotti degli oggetti che, grazie all’unione di una lastra di cristallo lucidato con dei fogli di stagno e mercurio, assumono le sembianze delle creazioni in circolazione ancora oggi.
Di nuovo, il processo di lavorazione doveva essere particolarmente laborioso e costoso. Gli specchi erano quindi dei prodotti di lusso con una diffusione molto ridotta tra la popolazione. I pregiati manufatti veneziani, ad esempio, venivano installati solo nei grandi palazzi nobiliari o nelle regge, come peraltro dimostra il coinvolgimento dei maestri di Murano nella creazione della Galleria degli Specchi di Versailles nel 1634.
possibili sostanze incendiarie usate anche nell'antichità
In realtà la ricetta del fuoco greco non è nota esattamente. Tuttavia, fonti antiche riportano che esso fosse una miscela di calce viva, salnitro, zolfo e nafta/pece. Quelli che leggete sono ingredienti noti fin dall’antichità. Anche gli antichi Romani conoscevano questi prodotti. La nafta/pece era oltremodo nota in Oriente ed a Costantinopoli, in particolare, che deteneva il potere proprio sulle terre in cui questo prodotto maleodorante era particolarmente facile da trovare.
Ma veniamo alla chimica del funzionamento del fuoco greco.
La calce viva è ossido di calcio (CaO) che a contatto con l’acqua porta alla formazione di idrossido di calcio con una reazione fortemente esotermica:
CaO + H2O = Ca(OH)2 + E
Il calore (E) generato dalla reazione anzidetta serve per innescare la reazione di degradazione del salnitro, ovvero del nitrato di potassio (KNO3) anch’esso ben noto nell’antichità, secondo lo schema:
2KNO3 + E = 2KNO2 + O2
La colofonia o pece Greca
La pece veniva usata principalmente nel calafataggio delle imbarcazioni e sulle sue manovre fisse e correnti (o volanti), sfruttandone l'impermeabilità all'acqua. In antichità era usata come arma di difesa nel corso di un assedio ad una città fortificata. Quando i nemici appoggiavano le scale (o qualunque altro arnese utile per l'impresa) per scalare le mura della città, i difensori rovesciavano la pece bollente dall'alto per colpire i nemici ed impedire loro di salire.
La pece è una sostanza viscosa e impermeabilizzante che si ottiene dalla raffinazione del bitume o dalla resina dei pini: era utilizzata principalmente nella carpenteria navale per calafatare le imbarcazioni e come materiale collante e sigillante. Nell’antichità veniva prodotta in forni appositi dove venivano messi a cuocere specifici tipi di legno verde e molto resinoso (pini e abeti in genere): il legno sottoposto a questo procedimento faceva colare fuori la sostanza che veniva poi ancora fatta bollire e raffinata allo scopo di ottenere diversi tipi di pece per i vari utilizzi, dal sigillare le botti all’impermeabilizzazione della chiglia delle navi.

La colofonia è una resina vegetale gialla solida, trasparente, residuo della distillazione delle trementine (resine di conifere), nota in commercio anche con il nome di pece greca.
La colofonia si presenta in forma di massa resinosa trasparente, più o meno ambrata, si scioglie facilmente nell'alcool e nell'etere e viene utilizzata nella fabbricazione di vernici, saponi, adesivi, pece da calafataggio, lubrificanti, inchiostri, ceralacca, per isolamenti elettrici, come disossidante nella saldatura a stagno e nell'industria tessile per ottenere stoffe non sgualcibili, linoleum.
Viene inoltre utilizzata per ottenere l'attrito dell'archetto sulle corde degli strumenti ad arco.
Nell'antichità veniva utilizzata per fabbricare le maschere teatrali.
Caratteristiche:
peso specifico variabile da 1.045 a 1.108, punto di fusione da 70° a 135° a seconda delle preparazioni e dei tipi impiegati.
Tutte rammolliscono a circa 70°; sono completamente solubili nell'alcool, etere, acetone, benzolo, cloroformio, essenza di trementina ecc.
fossilizzata diventa pietra Ambra

La pietra ambra è spesso considerata erroneamente una gemma, in realtà si tratta di una pietra organica, una resina fossilizzata generata da alberi antichi, conifere, come pini, abeti, o cedri, che successivamente subisce una graduale mineralizzazione attraverso il tempo.

Torna ai contenuti