Archimede mosaico presso domus Pompei
morte di Archimede mosaico presso domus Pompei
La morte di Archimede [Plutarco, Vita di Marcello, 19, 9]
«Ad un tratto entrò nella stanza un soldato romano che gli ordinò di andare con lui da Marcello. Archimede rispose che sarebbe andato dopo aver risolto il problema e messa in ordine la dimostrazione. Il soldato si adirò, sguainò la spada e lo uccise.»
La leggenda ha tramandato ai posteri anche le ultime parole di Archimede, rivolte al soldato che stava per ucciderlo: «noli, obsecro, istum disturbare» (non rovinare, ti prego, questo disegno).
La morte di Archimede secondo Karel Čapek
È che la storia di Archimede non andò proprio così come è stato scritto; è vero sì che fu ucciso quando i romani presero Siracusa, ma non è esatto dire che entrò in casa sua un soldato romano per saccheggiarla e che Archimede, intento a disegnare una qualche costruzione geometrica, gli ringhiò con aria scontrosa: «Non mi rovinare i miei cerchi!»
In primo luogo Archimede non era affatto un distratto professore che non sa quel che gli succede intorno; anzi, era per natura un autentico soldato, che aveva progettato per Siracusa delle valide macchine da guerra, destinate alla difesa della città; in secondo luogo poi, il soldatino romano non era affatto un predone ubriaco, ma il colto e ambizioso capitano di stato maggiore Lucius, che sapeva bene con chi aveva l’onore di parlare, e non era venuto per saccheggiare, ma sulla soglia fece il saluto militare e disse: «Salute a te, Archimede».
Archimede alzò gli occhi dalla tavoletta di cera, sulla quale davvero stava disegnando qualcosa, e disse:
— Che c’è?
— Archimede, — fece Lucius, — noi sappiamo che senza le tue valide macchine da guerra Siracusa non avrebbe retto nemmeno un mese; invece abbiamo dovuto lottare due anni. Cosa credi, noi soldati ce ne intendiamo. Magnifiche macchine. Complimenti.
Archimede fece un gesto con la mano. — Per favore, non sono niente di straordinario. Normali meccanismi da lancio... una specie di giochetto insomma. Scientificamente non ha grande importanza.
— Ma militarmente sì, — osservò Lucius. — Ascolta, Archimede, sono venuto a chiederti di lavorare con noi.
— Con chi?
— Con noi romani. Devi pure sapere che Cartagine è in rovina. Perché aiutarli ancora! Ora daremo una bella lezione a Cartagine, vedrai. Sarebbe meglio che vi metteste con noi, voi tutti.
— Perché? — borbottò Archimede, — casualmente noi siracusani siamo greci. Perché dovremmo venire con voi?
— Perché vivete in Sicilia, e noi abbiamo bisogno della Sicilia.
— E perché ne avete bisogno?
— Perché vogliamo avere il dominio sul mar Mediterraneo.
— Ma, — fece Archimede e guardò pensoso la sua tavoletta.
— E perché lo volete?
— Chi domina il mar Mediterraneo, — disse Lucius, — domina il mondo. Eppure è chiaro.
— E che, dovete dominare il mondo?
— Sì. La missione di Roma è di avere il dominio del mondo. E ti dico che lo avrà.
— Forse, — disse Archimede mentre cancellava qualcosa dalla tavoletta di cera.
— Ma non ve lo consiglierei, Lucius. Ascolta, dominare il mondo: questo vi porterà un giorno atroci lotte per difendervi. Non pensi all’inutile fatica che ve ne verrà?
— Non importa; ma avremo un grande impero.
— Un grande impero, — bofonchiò Archimede. — Se disegno un cerchio piccolo o uno grande, è sempre e solo un cerchio. Le frontiere ci sono sempre; non potrete mai non avere delle frontiere, Lucius. Pensi che un cerchio grande sia più perfetto di uno piccolo? Pensi di essere un miglior geometra se disegni un cerchio più grande?
— Voi greci giocate sempre con le parole, — obiettò il capitano Lucius. — Allora vi dimostreremo che siamo nel giusto altrimenti.
— Come?
— Coi fatti. Per esempio, abbiamo preso la vostra Siracusa. Ergo Siracusa ci appartiene. È una prova chiara?
— Sì, — disse Archimede grattandosi la testa con lo stilo. — Sì, avete preso Siracusa; solo che ormai Siracusa non è né sarà mai più quello che è stata fino ad oggi. Era una grande e gloriosa città, ragazzo; ora non sarà mai più grande. Peccato per Siracusa!
— Invece Roma sarà grande. Roma deve essere la più forte di tutto il mondo.
— Perché?
— Per resistere. Più siamo forti, più avremo nemici. Per questo dobbiamo essere i più forti.
— Per quanto riguarda la forza, — bofonchiò Archimede. — Io sono anche un po’ fisico, Lucius, e ti dico qualcosa. La forza si applica.
— Che significa?
— È una specie di legge, Lucius. Una forza che agisce deve applicarsi. Quanto più sarete forti, tanto più consumerete per questo la vostra forza; e un giorno verrà il momento...
— Che hai voluto dire?
— Ma niente. Non sono un profeta, ragazzo; sono solo un fisico. La forza si applica. Di più non so.
— Senti, Archimede, non vorresti lavorare con noi? Non hai idea di quali enormi possibilità ti si aprirebbero a Roma. Potresti costruire le migliori macchine da guerra del mondo...
— Mi devi scusare, Lucius; sono un vecchio, ma vorrei ancora sviluppare un paio di mie idee... Come vedi, sto proprio disegnando qualcosa.
— Archimede, non ti attira raggiungere con noi il dominio del mondo?... Perché non parli?
— Scusa, — borbottò Archimede chino sulla sua tavoletta.
— Cosa hai detto?
— Che un uomo come te potrebbe raggiungere il dominio del mondo.
— Hm, il dominio del mondo, — fece Archimede assorto. — Non arrabbiarti, ma ora ho qualcosa di più importante da fare. Sai, qualcosa di più durevole. Qualcosa che davvero rimarrà.
— Che cos’è?
— Attento, non mi cancellare i miei cerchi! È il metodo con cui si può calcolare l’area di un settore circolare.
Più tardi fu tramandata la storia che il dotto Archimede perse la vita per caso.