Acradina Sicilia illustrata
Acradina da Sicilia llustrata di:Gustavo Chiesi
Acradina la seconda città della Pentapoli siracusana, sorse col dilatarsi della colonizzazione greca, col trasformarsi della sicula Ortigia nella greco-sicula Siracusa.
Acradina era la città magnifica per eccellenza: la città della vita, del movimento, dell' espansione non concesse dai ristretti limiti di Ortigia, che nello sviluppo immenso preso dalla metropoli, ne divenne più che altro la cittadella, il propugnacolo inespugnabile.
In Acradina erano gli edifìzi più importanti della città, cominciando dal tempio di Giove Olimpio, eretto da Gerone II e che Cicerone disse " Templumque egregium Jovis Olimpii "; più erano il Pritaneo, la Curia, il Foro, la Palestra ed il Ginnasio e l' altare della Concordia.
Nel Pritaneo davansi pubblici banchetti, a pubbliche spese, a quei cittadini che colle loro azioni in guerra od in pace, negli uffici o negli studi avevano saputo rendersi utili alla patria.
La Curia, era il luogo ove radunavansi gli Anziani od il Senato della città, quando questa reggevasi a governo popolare, o dove il tiranno convocava i magistrati, i comandanti delle milizie, il popolo per promulgare i suoi decreti o per consultarli ne' gravi momenti.
La Curia di Siracusa aveva seggi per seicento senatori; l'adornavano colonne e porticati con statue di uomini illustri e cari alla patria.
Quivi fu ricevuto Cicerone con grandi onori, allorché venne in Siracusa ad ascoltare i piati della cittadinanza contro Verre ed a raccogliere documenti per la famosa sua requisitoria contro il proconsole concussionario e spogliatore della Sicilia. " Entrammo nella Curia, egli narra, e per farci onore tutto il Senato si. levò in piedi e noi a sua preghiera ci sedemmo".
Nel Foro massimo attiguo alla Curia adunavasi la popolazione per ragioni di traffico, per i plebisciti, per trattare le cause e per vedervi eseguire le sentenze capitali. Nelle accuse che l'Arpinate fa a Verre, havvi pur quella d'avere spogliato il Foro siracusano di tutte le statue che l'adornavano.
Nella Palestra, o Ginnasio, la gioventù s'addestrava agli esercizi del corpo e della mente, e l'edifizio n'era formato da grandi porticati, meraviglia dei forestieri che l'augusta città visitavano.
Di questi splendori, cantati dai poeti, da Pindaro cominciando, vantati da tutti gli scrittori dell'antico tempo, se ne togliamo gli avanzi del Teatro Greco, dell'Anfiteatro Romano, . nulla resta o quasi nulla. Si direbbe che alla furia umana, atterrante la monumentale città, seguisse un vento terribile, il quale, radendo la terra, ne portava via come un pulviscolo, in spaventosi vortici, le pietre, gli avanzi tutti, lasciando squallide e desolate le profonde spaccature delle Latomie. Almeno l' effetto che abbiamo provato affacciandoci al piccolo altipiano d'Acradina, è stato questo. Gli enormi cumuli delle rovine di Selinunte, i templi ancor ritti o ben riconoscibili di Agrigento, ci danno sèmpre un riflesso, pallido se si vuole, ma pur tale, di ciò che dovevano essere venticinque e più secoli or sono quelle città; ma qui in Siracusa, niente di tutto ciò. La sola fantasia coll'aiuto dei ricordi lasciati dai poeti, dagli storici, dai filosofi, dai geografi, dagli scrittori antichi, può evocare davanti agli occhi, in fugace fantasmagoria, la ricostruzione della grandiosa metropoli, il cui circuito, secondo Strabone, era di 180 stadi, circa 33 chilometri: il circuito quasi della odierna Parigi.
Ciò che ne rimane, ciò che si vede ancora in Acradina all'infuori delle Latomie, documenta forse la tradizione rimasta fra i secoli, ma non giova ad evocarla. Acradina occupava specialmente la parte Orientale della larga penisola siracusana, fronteggiando, oltre che con un'alta ed aspra scogliera, con un'alta muraglia, della quale sono ancor molte le vestigia, il mare Africano, dalla attuale tonnara di Santa Panagia al capo dello stesso nome, fino al piccolo Porto o Laccejus, davanti al quale sorgeva Ortigia .