Chiesa Duomo Cattedrale - chiese esistenti Siracusa

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Chiesa Duomo Cattedrale

Duomo Cattedrale

IL TEMPIO DI ATHENA

VEDI ANCHE:GNGRSL76S50C342M-templum Majus


Prospetto del tempio di Athena




Sia la pianta che l' alzato erano di tipo canonico, con la contrazione degli ultimi intercolunni laterali. Le colonne avevano un leggero rigonfiamento nella parte centrale (entasis) e 20 scanalature, mentre gli echini dei capitelli erano leggermente schiacciati (quest'ultimo è un elemento che permette di datare gli anni della costruzione). La cella, libera da sostegni intemi, si concludeva con l'opistodomo, un ambiente posteriore alla cella. — I gocciolatoi, da cui defluiva l'acqua piovana, avevano la forma di protomi leonine (decorazione a forma di testa di animale), valorizzando la plastica ferocia, mentre lo scudo dorato del frontone est (via Roma) rappresentava il punto di riferimento per i marinai che arrivavano o partivano da Siracusa.  

Il complesso sacrale più importante dell'isola è quello che sorgeva proprio al centro di Ortigia, nel, punto più, elevato, dove il Duomo ne ha conservato in parte i resti. È da sempre visibile, inglobato nelle strutture della chiesa il grande tempio, dorico identificato con l'Athenaion. Scavi effettuati tra l'inizio del secolo e anni recenti nei paraggi del Duomo, del retrostante Arcivescovado, e sotto il vicino Palazzo Vermexio, sede del Municipio, rendono oggi possibile una conoscenza sufficientemente dettagliata dell'area sacra e delle sue fasi. Fin dall'inizio dell'insediamento greco una parte di questa area sembra essere stata riservata a scopi di culto.

Il primo edifìcio monumentale, un" tempio arcaico di stile dorico, databile nei decenni centrali del VI sec. a. C., occupò la stessa area del periptero classico ancora conservato. Se ne raccolsero alcune parti negli scavi effettuati tra il 1912 e il 1917: elementi architettonici, terrecotte, e una parte dell'altare.
Poco dopo l'inizio del V secolo, come si deduce dai dati stratigrafici quest'edifìcio fu demolito e sostituito con il tempio attuale, che si può attribuire con certezza al periodo dei Dinomenidi, e più probabilmente al primo di essi, Gelone.
Molte caratteristiche architettoniche e decorative accomunano l'edificio al tempio della Vittoria di Himera.
E' dunque probabile che i due templi siano stati costruiti contemporaneamente, e per la stessa occasione, da identificare con la stessa vittoria di Himera sui Cartaginesi, che tanta gloria e tante ricchezze procurò a Siracusa (un caso parallelo e quello di Agrigento) L'edificio andrà dunque datato tra il 480 e il470 a. C.
La sua identificazione con il tempio di Atena è basata sul passo di Cicerone, che lo ricorda come uno dei due più importanti edifici templari di Ortigia, insieme a quello dedicato ad Artemide; inoltre è significativo un passo di Ateneo (XI 462), secondo il quale lo scudo dorato collocato nel frontone del tempio di Atena era l'ultima cosa che si vedeva dal mare,allontanandosi da Siracusa: in effetti, ciò si addice mirabilmente alla posizione del tempio incluso nella Cattedrale, che è situato nel punto più alto dell'isola. Di questo tempio,parla lungamente Cicerone (Verrine, II 4, 124-5) esso infatti fu radicalmente saccheggiato da Verre, che tolse le decorazioni in avorio e le borchie d'oro che ornavano i battenti della porta, e' soprattutto le serie di tavole dipinte che. ricoprivano i muri della cella, raffiguranti un_ combattimento, di cavalleria di Agatocle, probabilmente contro i Cartaginesi, e 27 ritratti di tiranni e re di Sicilia.
È probabile che il grandioso, complesso figurativo fosse stato collocato nel tempio proprio per, ricollegare le imprese di Agatocle contro i Cartaginesi a Gelone, e alla battaglia di Himera, per la quale il tempio era stato costruito.
La galleria di ritratti veniva, a formare, in un certo modo, una serie di « antenati ideali » per un personaggio di umili natali come Agatocle che non poteva vantarsi di alcun'altra prosapia. La scelta del tempio di Atena fu certamente determinata anche da altre considerazioni: la dea, protettrice delle arti e degli artigiani doveva essere particolarmente cara ad Agatocle, che in gioventù aveva esercitato il mestiere di vasaio. Sappiamo che nel corso della prima grande battaglia vinta contro i Cartaginesi in Africa (probabilmente rappresentata nel grande quadro esposto nel tempio, che doveva costituire una sorta di enorme ex-voto) il favore della dea si manifestò con il calare sull'esercito siracusano di alcune civette, uccello sacro ad Atena (Diodoro, XX 11, 3-4). L'utilizzazione del tempio quasi come santuario dinastico (da parte di Agatocle, ma forse anche di Gelone) rende probabile la sua collocazione nei pressi del palazzo di Ortigia, che infatti era negli immediati paraggi dell'odierna Cattedrale: ciò che costituisce un'ulteriore conferma nell'identificazione del tempio con quello di Atena.
Il tempio è contenuto, come s'è detto, nelle strutture della chiesa, che fu ricavata in esso fin dalla sua prima fase, del VII secolo (dopo una fase di trasformazione in moschea, fu riconsacrata al culto cristiano nel 1095) : l'eliminazione di gran parte dei rifacimenti barocchi, e la liberazione delle strutture greche, quali oggi si possono vedere, è del 1925. Per la costruzione della chiesa si è utilizzato un procedimento semplicissimo, che si riscontra anche in casi analoghi (come il tempio detto « della Concordia » ad Agrigento): l'edifìcio centrale (sekós) venne trasformato nella navata centrale, ritagliando arcate nei suoi muri laterali, mentre le navate laterali risultarono dallo spazio compreso tra questi e i colonnati, i cui intercolumni furono chiusi. Per unifìcare lo spazio interno , si dovettero naturalmente, demolire i tramezzi tra la cella,il pronao e l'opistodomo. Inoltre, l'orientamento fu rovesciato, per la necessità di orientare ad est il coro della chiesa che occupa il posto della facciata del tempio.
Si tratta di un. grande, periptero. dorico (22x55 m), con 6 colonne sui lati corti e 14 sui lati lunghi, costruito in calcare locale ma con la sima e le tegole esterne in marmo ,delle Cicladi. Le colonne presentano un diametro inferiore di 1,92 m, e un'altezza di 8,71, con un rapporto di 4,53, leggermente inferiore a quello del contemporaneo tempio di Zeus a Olimpia. L'aspetto dell'edificio è ormai del tutto canonico, sia nella pianta (con opistodomo al posto dell'arcaico àdyton e lati esterni del sekós coincidenti con due colonne della fronte) che nell'alzato. In particolare, era risolto il conflitto angolare, con la contrazione dei due ultimi intercolumni laterali. Le colonne presentano ancora una leggera éntasi (rigonfiamento) e 20 scanalature, mentre gli echini dei capitelli sono ancora leggermente schiacciati: tutte caratteristiche che convengono perfettamente a una datazione intorno al 480-470 a. C.
tratto da:
Siracusa e il suo territorio  

Pianta del tempio di Athena e plastico
 


L'entrata è ad est
 



IL TEMPIO DI MINERVA di Gustavo Chiesi
Testimonianza di un viaggiatore dell'800
Il tempio di Minerva, trasformato nell'era cristiana in Cattedrale, è uno dei più antichi monumenti dorici che si conoscano. Fu edificato durante il governo dei Geomori, sei secoli avanti Cristo, più di un secolo prima che Atene avesse il suo Partenone.

Era un periptero exastilo basato su d'uno stilobate a tre ordini di gradini, della lunghezza di oltre cinquantaséi metri e largo ventidue. Aveva trentasei colonne di stile dorico arcaico — come lo mostrano i capitelli esistenti sulla parte ancora scoperta dell'attuale duomo, simili a quelli dei templi antichi di Selinunte e dei capitelli del tempio di Giove Polieo (Santa Maria dei Greci) nell'Acropoli Agrigentina.
Delle sue trentasei colonne, tredici murate si veggono ancora nel lato nord e nove al sud della chiesa; erano alte metri 8,71, con due metri di rilievo od aggetto dal muro che le legava. Che questo tempio fosse proprio consacrato a Pallade, la sapiente figlia dell'Olimpio, è dubbio: la sua vicinanza alla fontana Aretusa lo farebbe piuttosto credere dedicato a Diana protettrice delle chiare, fresche e dolci acque, di quella celebre fonte, cantata dai poeti dell'antichità assai più di quello che dal cantore di Laura non fossero le sorgenti di Sorga, in Valchiusa. La tradizione però, poggiandosi in gran parte sulle attestazioni di Cicerone — che fu anche Pretore in Siracusa — nelle Verrine, lega questo tempio alla Dea del sapere; e non saremo noi che verremo ora a spogliare Minerva di tanto onorevole attributo. Di questo tempio, gli antichi, e Cicerone in ispecie, ci hanno lasciato memorie e descrizioni pressoché strabilianti. Le pareti interne erano rivestite di tavole preziose sulle quali vedevansi ritratti i tiranni o dominatori delle città non solo, ma anche gli uomini più illustri in Sicilia nati: e la battaglia equestre data da Agatocle ai Cartaginesi e quel Mentore siracusano che tolse al leone la spina infittasegli nel piede.
Queste pitture erano considerate come capi d'opera dell'arte pittorica d'allora, tanto che gli artisti vi traevano dalle città della Sicilia, della Grecia, della Campania e da Roma stessa, a studiarle.
Le porte del tempio istoriate a rilievi d'oro e d'avorio erano di mirabile fattura e di pregio inestimabile, e portavano scolpita Medusa coll'anguicrinito capo, riboccante di terribile espressione.
Cicerone, parlando della bellezza di questo tempio, invoca la testimonianza dei Greci e dei Romani che avevano, come lui, potuto ammirarlo in tutto il suo splendore, e nella sua requisitoria contro Verre, che con mano rapace osò spogliarlo di ogni ricchezza, ricorda che lo stesso Marcello, il conquistatore di Siracusa, si era inchinato davanti alla maestà di quel tempio e ne aveva rispettati gli ornamenti e le ricchezze.
Al tempio di Minerva in Ortigia, se pur fu questo, si collega una delle più caratteristiche pratiche che la storia degli antichi riti ricordi. Dietro al tempio sorgeva un'alta torre Sulla quale era collocata, chi dice la statua, e chi lo scudo della diva, aurato sì, che ripercuotendo i raggi del sole, vedovasi da ogni parte del mare di fronte alla città a grande distanza. Speciale era il culto che i marini avevano per Minerva, ed affine di propiziarsela ne' loro viaggi — narra Ateneo — prima di sciogliere le vele ed uscire dal porto i naviganti compravano certi vasi di creta che spacciavansi ad un'ara del vicino tempio di Giove, e riempitili di miele, di incenso e di vino, con quelli partivano, tenendo sempre gli occhi fissi alla torre, su cui brillava l'aurato simulacro della Dea. Quando questo scompariva dal loro sguardo sull'estremo limite dell'orizzonte, lanciavano in mare i tre vasi invocando Minerva e Nettuno, nella speranza che le due divinità — sebbene un po' in disaccordo per la faccenda di Medusa — si unirebbero per dare loro una felice navigazione.

Il Cristianesimo — che s'introdusse ben presto in Siracusa, portatevi, chi dice da Paolo, il quale recandosi a Roma, chiamatevi da Cesare, si fermò, di passaggio, tre giorni in Siracusa predicando al popolo, e chi, da san Marziano che nell'anno 40 di Cristo vuolsi vi fosse mandato dallo stesso Pietro, principe degli apostoli residente in Antiochia — mutò il tempio di Minerva in una chiesa dedicata alla madre del Nazareno e consacrata quale cattedrale nel secolo VII dal vescovo Zosimo.
I Greco-Bizantini nel bollore della eresia iconoclastica la saccheggiarono, spogliandola di quelle ricchezze che la pietà dei fedeli in vari secoli vi aveva radunate. Nulla di rimarchevole all'infuori dell'antico battistero in marmo antico, tolto dalla antichissima chiesa di San Giovanni, presenta all'interno il duomo di Siracusa; all'esterno, sul frontone maestoso e semplice del tempio dorico, fu applicata una facciata, ricca per marmi, sculture, fregi ed ornati stranamente contrastanti colla austera semplicità delle colonne doriche che si profilano sulla facciata settentrionale del tempio e che ne costituiscono, per chi sa comprenderle, la parte più interessante.    


IL TEMPIO DI MINERVA
di Jean Hoüel

   

Il tempio di Minerva è uno dei templi più antichi della città e, nonostante ciò, è il, meno deteriorato rispetto agli altri di cui restano soltanto pochi ruderi. Aveva sei colonne frontali e quattordici su ogni lato, incluse quelle angolari. All'interno delle colonne c'era uno spazio circondato dai muri del santuario del tempio. All'esterno del santuario erano poste due colonne, più grosse di quelle perimetrali. Tra di esse era posto l'ingresso da dove si entrava nella prima stanza. Il santuario era composto da tre parti; ad ogni estremità interna c'era una piccola anticamera che bisognava attraversare per entrare nella parte centrale dove si trovavano l'altare e la divinità. In pratica dall'esterno del tempio, si accedeva, prima, in queste anticamere e, attraverso tre intervalli o intercolumni, ci si immetteva nel santuario collocato dietro una porta chiusa.
I muri del santuario presentavano, all'interno, nicchie scavate su ogni lato ed erano sormontati, secondo la descrizione del Mirabella, da una volta.
Il tempio era di ordine dorico; lo si può vedere dalle colonne laterali ancora esistenti nel lato che ho rappresentato in A, in questa tavola.
Mirabella afferma che la lunghezza totale del tempio era di circa 27 tese, la larghezza era di dieci e mezza. Le costruzioni moderne che circondano l'edificio non mi hanno permesso di prenderne le misure in modo esatto; ma ciò basterà, probabilmente, a dare un'idea generale. Mirabella dice ancora che una torre quadrata si innalzava al di sopra del tempio e che in cima alla torre era appesa l'egida di Minerva, vasto scudo di rame dorato.
I raggi del sole riflessi lo facevano scorgere in mare da molto lontano. I naviganti che partivano dal grande porto, dopo aver rivolto i propri voti a Giove Olimpio, nell'altare eretto in suo onore sulla sponda prossima al suo tempio, s'imbarcavano e portavano con sé vasi, dolci, miele, incenso, fiori e aromi; lasciavano la riva c'on queste provvigioni e nel momento in cui perdevano di vista l'egida di Minerva gettavano tutto in mare, come offerta a Nettuno e a Minerva, pregando queste divinità di favorire una felice navigazione. L'interno del santuario del tempio di Minerva, al tempo in cui i romani conquistarono la Sicilia, era decorato con superbe pitture. Si cita, tra l'altro, il quadro di Mentore nell'atto di liberare un Icone da una spina conficcata nella zampa e quello raffigurante la celebre lotta d'Agatocle a cavallo. Questo quadro copriva un'intera parete del santuario e niente era considerato di pari livello artistico a Siracusa.
C'erano inoltre ventisette ritratti dei re e tiranni della Sicilia, opere eccellenti di cui Cicerone parla abbondantemente. Mirabella ci dice che questo tempio era allineato esattamente tra ovest ed est in modo che, il giorno dell'equinozio, il sole tramontando si trovava di fronte alla porta principale ed i suoi raggi attraversavano il tempio da un'estremità all'altra. Questo fenomeno permetteva di conoscere con esattezza il momento e l'ora giusta dell'equinozio.
La volta del tempio crollò a causa del terremoto del 1100, il giorno di Pasqua, durante la messa, schiacciando i fedeli. Il tempio era infatti da lungo tempo luogo di culto cristiano. Si dice che solo i preti che celebravano la messa siano scampati al disastro perché sopra l'altare c'era una lunga tribuna costruita da poco.

Il tempio divenne chiesa sotto l'episcopato di Deusio, decimo vescovo di Siracusa. Fu perciò sistemato così com'è oggi, eccetto la facciata che è molto moderna. Si dice che i primi lavori vennero fatti a spese di tal Belisario, capitano dell'imperatore Costantino: questa chiesa fu in quel tempo dedicata alla Vergine.
L'anno 1542 un terremoto abbattè il campanile della chiesa: probabilmente era l'antica torre dove una volta era appeso lo scudo di Minerva.
Si vedono nel cortile del palazzo senatoriale di Siracusa sporadici reperti, come alcune basi di colonne e capitelli di marmo, ma tutti mutilati accanto ad una giara antica con accanto un bellissimo sarcofago integro e ben conservato.
tratto da:
Jean Hoüel
Voyage a Siracusa  




Trasformazione del tempio di Athena in chiesa cristiana
Gli intercolunni del peristilio dei due fianchi nord e sud furono chiusi da una cinta muraria di un metro di spessore (le colonne doriche avevano circa due metri di diametro). Tuttavia è ancora leggibile la struttura del colonnato, soprattutto sul lato nord, lungo via Minerva. Il versante sud si apre invece su alcune cappelle laterali di varie epoche, che confinano col palazzo arcivescovile. Nei muri della cella si tagliarono per ciascun lato otto grandi archi a pieno centro, sorretti da pilastri squadrati, cercando di non compromettere la statica dell'edificio. La cella fu elevata in altezza per permettere di ricevere la luce esterna dalla parte superiore. Le navate laterali rimasero basse con un soffitto in muratura, mentre la sopraelevazione della navata centrale fu chiusa da un soffitto ligneo. Il portico posteriore venne lasciato ed utilizzato come nartece da parte dei catecumeni. Dopo aver modificato l'orientamento dell'edificio, ponendo l'ingresso della chiesa ad ovest, anziché ad est come nel tempio, sul lato opposto all'entrata, all'estremità di ciascuna navata, vennero elevate tre absidi semicircolari che in periodo normanno vennero decorate con mosaici.
La costruzione dell'attuale facciata, opera di Andrea Palma su disegni di Pompeo Picherali, fu iniziata nel 1728 ed il primo ordine fu compiuto nel 1731. Dopo una sosta di venti anni il proseguimento dei lavori si ebbe nel 1751 ed il prospetto fu completato nel 1753. Il campanile costruito contemporaneamente alla facciata presenta due grandi arcate senza ornamenti. La facciata é abbellita dalle statue scolpite da Ignazio Marabitti. In basso ai due lati della gradinata, le statue marmoree di S. Pietro e S. Paolo e nel secondo ordine del frontespizio al centro l'Immacolata al centro, San Marziano sulla sinistra e Santa Lucia sulla destra. Nel primo ordine prospettico si nota una lapide commemorativa che ricorda i due vescovi Tommaso Marini e Francesco Testa che molto si adoperarono per la restaurazione della chiesa. Sopra la porta maggiore una grande aquila reale di pietra bianca collocata nel 1757 dal vescovo Requisens. Nell'arco della porta il blasone del vescovo Marini.

Facciata del Duomo di Siracusa



Nel vestibolo vi sono due nicchioni, uno a sinistra con la statua dì S.Vincenzo Ferreri e l'altro a destra con quella di S. Ludovico Bertrando due santi domenicani ordine a cui apparteneva il vescovo Marini.




L'interno è costituito da tre navate; quella centrale termina nel presbiterio distinto in coro e tribuna. Nella parete in fondo all'abside vi è un quadro ad olio della Natività di Maria, dipinto dal messinese Agostino Scilla nel 1663. L'altare è costituito da un grosso blocco monolitico che era parte della trabeazione dell'antico tempio.
Sopra il coro due grandi tele del Galimberti rappresentanti S.Pietro che affida a S. Marziano il compito di cristianizzare la città di Siracusa e S. Paolo che predica alle turbe nelle catacombe. Il soffitto ligneo a trabeazione scoperta, con grandi riquadri, è adorno di, rosoni dorati e di stemmi delle più nobili famiglie siracusane di quel tempo. In alto lungo le pareti di destra e di sinistra si nota la seguènte scritta: "Ecclesia Siracusana prima divi Petri filia et prima posi Antiochenam Christo dicata ", che ricorda il diploma del 1517 in cui il pontefice Leone X riconobbe la chiesa siracusana prima figlia di Pietro e seconda dopo Antiochia.
Nella navata destra si può ammirare il Battistero che contiene un vaso greco di marmo del periodo ellenistico posato su sette leoni di bronzo, adattato a fonte battesimale. Nelle pareti frammenti di mosaici parietali del periodo normanno.
La, seconda cappella è quella di S. Lucia del 1712, Sull'altare si apre un nicchione che custodisce il prezioso simulacro in lamine argentee cesellate,opera del palermitano Pietro Rizzo; (1599). posato sopra una cassa laminata d'argento, con basso rilievi rievocanti il martirio della Santa, opera di Nibilio Gagini. .
Il pavimento di marmo fu eseguito per disposizione del vescovo Requisens che volle essere sepolto nella cappella, come attesta il sarcofago marmoreo attaccato a! muro fra le due arcate e la lapide sul pavimento sottostarne. Alle pareti laterali i due grandi medaglioni marmorei con le effigie di S. Lucia e di S. Eutichio vescovo che amministra il viatico, sono opera del Marabitti. Posata sul pavimento nella parte destra della cappella vi è una grossa bomba che, secondo la tradizione cadde nella stanza del generale Orsini durante l'assedio spagnolo di Siracusa del 1735 e rimase inesplosa per un miracolo della Santa.  
La cappella seguente è quella del SS. Sacramento. Fatta erigere dal vescovo Giovanni Torres nel 1616 su progetto di Giovanni Vermexio. Sull'altare rivestito di marmi policromi vi è il ciborio a forma di Tempietto,opera del Vanvitelli; il paliotto di marmo ai piedi dell'altare, opera di Filippo Valle del 1763, rappresenta l'Ultima Cena.
La balaustra realizzata in marmi policromi, con spigoli e sinuosità di elegante movimento, è opera di Ignazio Marabitti che la eseguì in collaborazione con G. B. Marino.
Il contratto per la sua costruzione è del 1746 e fu redatto da Pompeo Picherali che, ormai vecchio, ammirava il giovane Marabitti. Il pavimento della cappella viene attribuito agli stessi due scultori, sebbene nessun documento a riguardo sia stato trovato, ma il disegno e la scelta dei marmi policromi in armonia con la balaustra, fanno pensare agli stessi autori che abbiano voluto adattarlo allo schema della cappella.
La volta è decorata con bellissimi affreschi del celebre messinese Agostino Scilla.
Nei cinque vani della volta sono rappresentati avvenimenti biblici. Nel primo vi è il re David che riceve il pane santificato dal sacerdote Achimelec; nel secondo un angelo che offre del pane e dell'acqua al profeta Elia; nel terzo vi è Daniele nella fossa dei leoni che riceve il pane dal profeta Abacuc indotto da un angelo; nel quarto riquadro due esploratori israeliti che portano un mazzo di spighe ed un tralcio di vite con un grosso grappolo d'uva nera; nel quinto vi è raffigurato Mosé che assieme ad altri raccoglie la manna piovuta dal ciclo. Nel vano centrale vi è un medaglione con il ritratto del vescovo Torres, fondatore della cappella, sostenuto da due angeli. Nel vertice della volta vi sono putti ed angioletti che calano dal cielo l'ostensorio col SS. Sacramento; negli archivolti ancora putti ed angeli con ghirlande e festoni.
Dei tre bellissimi cancelli in ferro battuto agli ingressi della cappella, i due laterali risalgono alla fondazione della cappella stessa, mentre quello centrale è del 1809, firmato dall'artigiano Ruggeri.  Il browser in uso non supporta frame non ancorati oppure è configurato in modo che i frame non ancorati non siano visualizzati.
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In fondo alla navata destra vi è la Cappella del Crocifisso.La cappella fu costruita nel 1692 sacrificando le ultime tre colonne del tempio greco ed è quasi una chiesa a sé. Si possono ammirare sulla destra il monumento bronzeo dell'arcivescovo Baranzini che comprende la statua ed il sarcofago con fregi che ricordano la lacrimazione della Madonna ed i suoi miracoli, opera dello scultore Poidimani del 1970; ed accanto il monumento all'arcivescovo Carabelli, opera di Sgandurra del 1937.
Sopra i due altari di destra e di sinistra vi sono rispettivamente un S. Marziano, tavola della scuola antonelliana ed un S. Zosimo tavola dipinta da Antonello da Messina. Nel corono vi sono tredici pannelli di scuola antonelliana con figure di Cristo ed Apostoli.
Sull'altare maggiore spicca un grande crocifisso ligneo di scuola bizantina.
La volta, fatta costruire dal vescovo Alagona nel 1778 a gesso, presenta clipei affrescati con figure di santi. Il pavimento di marmo a scacchiera con quadrati bianchi e neri è del 1885.  Il browser in uso non supporta frame non ancorati oppure è configurato in modo che i frame non ancorati non siano visualizzati.
Nella navata di sinistra della Cattedrale, lungo gli intercolumni. si notano; una statua di S. Lucia di Antonello Gagini una Madonna con il Bambino di Domenico Gagini, una S. Caterina d'Alessandria della scuola dei Gagini ed in fondo, nella cappella a Lei dedicata, la statua della Madonna della Neve di Antonello Gagini.
Tutte opere della prima metà del cinquecento.  

elaborazione Alessandro Odierna  

























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