9-porto grande e battaglia olimpeon
È ormai assodato che, all'epoca dei fatti narrati da Tucidide, il livelle mare siracusano era, rispetto all'attuale, più basso di alcuni metri e pertanto il suolo, rispetto ad esso, emergeva di altrettanti93 (v. foto 1 a, b e 15).
Ne consegue che il bacino del Porto Grande era più ristretto dell'attuale. Limitato all'incirca alla isobara -5, le sue dimensioni e la sua forma non corrispondevano a quelle di oggi. Ciononostante le componenti di quel bacino tutto all'ingiro erano, più o meno, le medesime: l'isola rocciosa di Ortigia, 1'"istmo" allora di forma diversa dall'attuale, percorso nella parte estrema da una struttura mista per un ponte quasi certamente di legno, una vasta palude su tutta la costa di NW, chiamata Lisimelìa, un'altra palude a S dell'Ànapo94, l'uncino roccioso volto a N e a NW ad abbracciare la depressione acquitrinosa fino a poco tempo fa adibita a saline95, la doppia insenatura, prevalentemente sabbiosa, della contrade Sacramento e Maddalena tra i due capi rocciosi, molto più pronunciati che non ora, di Punta Calderini e Punta del Pero, infine la vasta penisola del Plemmìrio, punteggiata da alcune baie di varie dimensioni (tav. IV, foto 8 e 14).
Le vaste paludi, a N e a S dell'Ànapo, erano provocate dallo sbocco a mare di numerosi piccoli corsi d'acqua ma sopra tutti del fiume Ànapo, il cui letto aveva allora una portata d'acqua assai cospicua, anche per l'affluenza in esso di un altro fiume, pure un tempo ricco d'acqua, il Cavadonna (anch'esso chiamato Ànapo e qualificato kyaneos, per distinguerlo dall'altro detto palaios)96 e di altri che scendavano dalle balze dei monti Iblèi97. Oggi l'Ànapo, come tutti gli altri, è drasticamente sfruttato a monte per motivi agricoli o industriali, anche senza voler far conto del disboscamento e del clima attuale più secco. Le dimensioni relativamente brevi degli alvei di questi corsi d'acqua e il loro carattere prevalentemente torrentizio facevano sì che essi fossero soggetti nelle stagioni piovose a forti alluvioni; inoltre alla foce la notevole quantità di materiale fluitato determinava allo sbocco sul Porto Grande (e questo già di per sé poco profondo) la formazione di dune con conseguente arresto di un regolare deflusso.
Di qui l'estendersi di vaste paludi in terreni già di per sé depressi. Inoltre per la formazione del terreno il corso originale dell'Ànapo doveva trovarsi spostato più a NE. E assodato infatti che l'attuale letto del fiume, a partire all'incirca da Capo Corso (circa 5 km a monte della foce), è tutto di formazione recente.
Dunque gli Ateniesi, affacciatisi per la prima volta in forze, nell'autunno del 415, all'imbocco del Porto Grande, non avevano altra scelta che portarsi direttamente nella dirimpettaia spiaggia di Sacramento e Maddalena, a S della prominenza rocciosa di Capo Calderini98. E poiché, per il fenomeno sopra ricordato, tanto il Capo Calderini quanto l'opposta Punta a SE, detta oggi del Pero, emergevano più che non ora, si determinava tra essi una insenatura più ristretta e al tempo stesso più accentuata dell'attuale. E questa, a nostro avviso, quel Daskón ricordato in tale occasione da Tucidide (6. 66,2) e da altri autori (v. foto 13).
Perciò è ben comprensibile e dirsi necessario che qui gli Ateniesi fossero avviati dai loro informatori.
Il promontorio roccioso settentrionale, attualmente ridotto alla Punta Calderini, si protendeva dunque di più verso SE; inoltre ancora oggi esso si volge notevolmente, come un uncino, anche verso la direzione opposta, a N e NW, in modo da abbracciare un vasto tratto di campagna forse non paludoso (se non a settentrione), certo depresso, quello già ricordato che più tardi sarà adibito a saline" (v. foto 9).
Comunque l'intera area tra esso e l'Ànapo (che sfociava ben più a N) costituiva un tutt'uno con un'altra ampia palude, a W e SW, detta oggi del Pantano o Palude Grande (tav. IV). Quell'uncino (in cui forse è da vedere la Chele, cioè appunto "uncino, tenaglia", ricordata in altra occasione da Tucidide) (7.53,1), doveva anche offrire una piccola cala d'approdo, quasi dirimpetto ad Ortigia, certo utilizzata per i collegamenti più facili e rapidi di questa con il santuario di Zeus Olimpio, che stava collocato più a monte.
A metà della salina appunto il terreno si eleva sensibilmente fino a formare quella cresta eminente e in buona parte, sui versanti N e W, assai ripida, che limita ad W la grande depressione paludosa del Pantano. Su questa eminenza, in linea proprio con l'imboccatura del Porto, i primi Siracusani, forse già subito i coloni corinzi, avevano istituito un proprio santuario, tosto arricchito di un tempio, dedicato a Zeus Olimpio e accanto si formò un villaggio divenuto sobborgo di Siracusa e chiamato Polichna. Qui per la sua posizione isolata e ben protetta avevano collocato l'archivio della città e probabilmente anche il tesoro100. Nicia, uomo assai pio e scrupoloso, sistemata l'armata sulla costa a SE del santuario, non toccò il santuario, onde quell'altura rimase risparmiata dalle forze ateniesi sbarcate.
Cionondimeno Nicia si premurò di munire uno sbarramento (eryma) di pietre e legname quasi certamente in capo al rilievo della Chele (cioè appunto quella lingua rocciosa che, partendo dal Daskón si protende verso N e praticamente domina il Daskón stesso, il mare e la piana dell'Ànapo); fece proteggere la flotta con una palizzata (stauroma), infissa molto probabilmente tra le due punte Calderini e del Pero. Infatti proteggevano già il campo a NW il santuario e i muri del villaggio, le paludi a N e a NW, le balze ripide sopra le paludi di N e di W e le paludi stesse, il mare a E. I fianchi dell'armata erano dunque ben protetti rispetto ad eventuali attacchi, i più temibili, della cavalleria nemica. Restava aperta l'am¬pia pianura della Milocca, ma solo a S e a SW, posizione dunque nel complesso più favorevole per un esercito praticamente privo ancora di cavalleria, come appunto in quel momento l'ateniese.
Tagliano inoltre il ponte sull'Ànapo. Abbiamo dimostrato a suo luogo101 che l'unico ponte sull'Ànapo era situato notevolmente verso monte e cioè, grosso modo, tra l'attuale autodromo, là dove più a S scende la falesia del Fusco, e il "promontorio" di Masseria Navòra. Era il punto solido più stretto subito fuori della Lisimelìa. Su di esso passava l'unica strada proveniente dalla città che, poco dopo il ponte, si biforcava nelle due vie, a W verso Acre, a S verso Elòro102,. È inconcepibile, se non forse molto più tardi in età ellenistica e soprattutto romana, che si pensasse seriamente di attraversare le vaste paludi. I collegamenti con l'Olimpièo e la Polichna dovevano avvenire (come si è già detto e come prova un fatto ricordato da Plutarco)103 normalmente per via di mare attraverso il Porto Grande oppure, in via secondaria, con un lungo giro per via di terra, seguendo da Siracusa l'Elorina e divergendone in direzione N all'altezza di Masseria Coppa104.
Questo ponte sull'Ànapo era piuttosto lontano dagli accampamenti ateniesi, ma l'esercito siracusano era stato nel frattempo attirato con un inganno molto fuo¬ri di Siracusa, a Catania, e, come si fa cura di precisare Tucidide (6.66,1), gli Ateniesi ebbero senza difficoltà tutto il tempo per sistemarsi adeguatamente nel luogo prescelto e recarsi appunto a tagliare il ponte.
Molto più tardi dunque ritornano i Siracusani in tutta fretta da Catania, pri-ma ovviamente la cavalleria e poi la fanteria. Si fanno anche sotto agli Ateniesi (6.66,3) ma, poiché questi non accennano a muoversi, si ritirano sulla strada di Elòro e vi si accampano.
È ben presumibile che i Siracusani, provenendo sollecitatamente da Catania, una volta appreso che gli Ateniesi erano approdati al Daskón, abbiamo preso la strada più diretta per recarsi sotto ai nemici, cioè, superata la sella del Belvedere (senza pensare affatto di entrare in città), siano di lì scesi direttamente in pianura; poiché però dovevano già essere informati che il ponte sull'Ànapo era interrotto, è da credere che abbiano superato subito il fiume al solido guado di Capo Corso, poco sotto la sella, e di lì abbiano raggiunto la parte iniziale della via acrense e quindi l'Elorina105 (v. foto 17).
Essi dunque scendono verso S, guadano il Cavadonna (l'Ànapo kyaneos) poco oltre il margine meridionale del Gran Pantano (all'incirca dove è oggi Torre Andolina), risalgono sull'altro versante e alla Milocca prendono finalmente con-tatto con gli Ateniesi (v. foto 25 a).
Reso inutile, come si è detto, il contatto, si ritirano nuovamente sulla Elorina e vi si accampano. Probabilmente a SE del Pantano Grande, tra Matrensa e Masseria Renàura. Non certo a N, dove le paludi offrivano poco spazio e d'altra parte la città era lontana; né Tucidide ce ne parla.
Il giorno appresso si svolge la battaglia (6. 69-70).
Gli Ateniesi si schierano così: Argivi e Mantinei a destra, gli Ateniesi al centro, a sinistra gli altri. Tenevano alle spalle una cospicua forza di riserva e l'accampamento, come era buona norma; quindi l'esercito schierato dava le spalle al mare. Lo schieramento siracusano invece, improvvisato e confuso-(lo riconosce più tardi il loro capo Ermòcrate, 6.72,4), vedeva una massa compatta di fanteria, a destra della quale la cavalleria, accanto a questa anche i lanciatori di giavellotti. Poiché il posto della cavalleria non poteva essere che dove fosse offerto il maggior spazio per manovrare, i Siracusani stavano schierati su una linea NW-SE (a sinistra hanno il costone del Pantano) e in senso opposto ovviamente gli Ateniesi.
Il migliore ordinamento e il migliore addestramento degli Ateniesi hanno la meglio; sulla destra, cioè a NW, gli Argivi sfondano per primi, al centro gli Ateniesi sopravanzano ma sono trattenuti dalla cavalleria avversaria che stava alla loro sinistra. Hanno così modo i Siracusani di raccogliersi e per la via normale, cioè l'Elorina (ma in direzione W e poi N), di ritirarsi questa volta in città, dopo aver lasciato un buon distaccamento a difesa dell'Olimpièo (v. foto 12). Evi-dentemente nel frattempo era stato riparato il ponte sull'Ànapo (l'Ànapo palaios).
Gli Ateniesi non osarono toccare il santuario, ma, resi gli onori dovuti ai morti propri e a quelli del nemico, ripresero la via del mare (6.71,1), sia a causa dell'inverno imminente sia, e forse soprattutto, perché convinti di essere sbarcati in una posizione inadatta a porre il blocco alla città106.