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Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Akradina
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borgata storia

Madonna delle lacrime
Siracusa la Borgata Santa Lucia
La Borgata Santa Lucia
Premessa storica
storia, immagini, memoria, curiosità e…
La Borgata Santa Lucia, secondo centro storico di Siracusa, è il territorio compreso tra via Torino ad est, via Piave ad ovest, viale Teocrito a nord, e la costa degli scogli lunghi-Riva porto Lakio a sud.
In epoca greca, faceva parte del territorio dell'antica Akradina che, secondo gli storici, comprendeva il territorio tra la zona umbertina e l’attuale via Maria Politi Laudien.
In epoca greca e romana, ma anche nel medioevo, era intensamente urbanizzata, come dimostrano l'arsenale greco, i ritrovamenti archeologi in via Iceta, (resti di età ellenistica), in via Pasubio, (casa dei 60 letti), oltre alla Basilica di Santa Lucia extra moenia, e le terme bizantine. Vedi anche: Terme bizantine - Archeologia Siracusa (antoniorandazzo.it)
Per mancanza di riscontri archeologici non si hanno notizie sui palazzi e monumenti esistenti in epoca greco-romana essendo essi proditoriamente nascosti dai cementificatori, imprenditori senza scrupoli, degli anni 60 del novecento, che, operando anche di notte, specialmente in zona piazza Santa Lucia e d'intorni, distrussero e occultarono tutto ciò che avrebbe potuto impedire lo scempio.
Quella che noi oggi chiamiamo Borgata Santa Lucia, nacque negli anni 90 dell'800, da un’idea di Leone Luigi Cuella, il quale, donò un suo fondo agricolo alla città per creare spazi, strade e case che dessero respiro alla gente, tutta ristretta allora dentro Ortigia.
Furono i proprietari degli altri terreni della zona, i Gargallo, gli Impellizzeri, i De Bonis ed altri che incentivarono l’urbanizzazione del quartiere, forse senza un idoneo piano regolatore.



Preesistenze
Cronologia e stato dei luoghi
La chiesa di Santa Lucia extra moenia, sorta in età bizantina, (sec. VI), fu riedificata in età normanna.
Dell'età bizantina rimangono, quasi certamente, il lato orientale, le tre grandi absidi e molti degli elementi del portale e del prospetto.
I Normanni, intorno al 1115, eseguirono alcuni lavori di rifacimento e, tra il 1296 e il 1337, ristrutturarono l'edificio realizzando il soffitto della navata centrale, il rosone del prospetto e altri importanti lavori.
Il portale, dalle pure forme geometriche, è racchiuso in un riquadro parietale cuspidato, con cornice mistilinea e decorazione fìtomorfa.
All’interno due leoni, simbologia apotropaica, proteggono l’ingresso al luogo sacro.
Il Rosone, al centro quadrilobato, occhio simbolico di luce, attraverso esili colonnine e archetti acuti trilobati, illumina la navata centrale.
La torre campanaria, ben saldata nella parte inferiore, a conci squadrati e ben murata, tipicamente normanno-sveva, alleggerita dalle cornici marcapiano, rivisitate nel 700 da Pompeo Picherali, comunica con l’interno della chiesa attraverso una porta ogivale posta nella navata laterale sinistra.
Nelle capriate lignee d'età medievale, sistemate tra il 1397 ed il 1409, possiamo leggere tutta la storia dipinta iconografica araldica tramandata dagli stemmi della Real Casa d'Aragona, della Real Casa d'Aragona in Sicilia che mostra un'arma inquartata a croce di Sant’Andrea, e, della città di Siracusa, il castello turrito-merlato simbolo della città fortificata.
Nella zona centrale della stessa trave lignea, la Madonna, con tunica rossa e manto azzurro, abbraccia e allatta il bambino, Santa Lucia, ammantata di rosso, con la mano destra portata al petto e la sinistra nell'atto di sorreggere il piatto con gli occhi, purtroppo ormai poco leggibile, e Sant’Agata a mezzo busto, con tunica rossa e manto verde chiaro, nella mano destra regge una coppa con le mammelle recise, simbolo del suo martirio.
Nel XIV secolo, nel fianco settentrionale, venne aperta una porta principale con piccolo portale ancora visibile.
Tra il 1600 e il 1628, Giovanni Vermexio, eseguì importanti lavori di ammodernamento.
Seriamente danneggiata dal terremoto del 9/11 Gennaio 1693, fu ristrutturata ad opera di Pompeo Picherali che consolidò le strutture e realizzò il porticato di sud-est.
Il Sepolcro-chiesa della Santa, che sorge al centro dell'area catacombale, venne edificato nel XVII secolo, su progetto di Giovanni Vermexio, nel sito di un'antica chiesa dedicata a S. Agata.
La struttura ottagonale è caratterizzata da ricchi capitelli che scandiscono gli spigoli dell'ottagono con i 4 lati rivolti verso la piazza decorati a differenza degli altri quattro senza alcun rivestimento decorativo.
Un'ampia scala a doppia rampa consente di accedere alla chiesa che è costituita da 4 porte, ma solo due, le più grandi, sono contrassegnate da una corrispondente architettura esterna.
Internamente ospita il loculo sepolcrale, abbellito in età bizantina o in età normanna, da un bassorilievo in cui sono rappresentati tre animali fantastici di derivazione medievale, il cui significato è, secondo l'interpretazione di vari studiosi, legato alle qualità morali della Santa: il grifone è simbolo di incorruttibilità, la colomba è simbolo di purezza e il leone indica il coraggio.
Sotto dell'altare, in una teca di vetro realizzata nel 1912, la statua marmorea di Santa Lucia opera di Gregorio Tedeschi che la realizzò nel 1634. Pare che la statua trasudò miracolosamente nel 1735.
Sotto la chiesa, in parte della piazza, in via Bignami, e nelle zone circostanti, c’è la catacomba di Santa Lucia, della prima metà del III secolo dopo Cristo, il più antico documento della presenza della Chiesa a Siracusa e in Sicilia. Alcuni ipogei, mai esplorati, pare che si diramassero in tante direzioni tra le quali, alcuni, con uscite ai margini dell’antico vallone, oggi viale Cadorna.

L'area funeraria, un cimitero di comunità ed è costituito da alcuni ipogei del III, IV e V secolo dopo Cristo, suddiviso in quattro regioni, A e B, le più antiche, metà del III secolo, C, dov’è il Sacello Pagano di età ellenistica, e D, l’area riservata a sepolture importanti, trasformata poi in area di culto.

L’area catacombale, nonostante le modifiche e i danneggiamenti conserva ancora nella regione A, il Trogloditico, con la volta decorata dall’ affresco dei Quaranta Martiri di Sebastia, scoperto da Paolo Orsi tra il 1916 e il 1919 e restaurato nel 2006 e i clipei raffiguranti la Vergine orante e due angeli, il busto del Cristo Pantocratore, e la serie di sei Santi a mezzo busto.

Secondo gli storici, lo spiazzo di circa tre ettari, forse rimanenza della strada amplissima e perpetua ricordata da Cicerone, delimitato a nord, dal Convento di S. Lucia, a sud, dal Porto marmoreo, ad est, dalla proprietà Del Bono e Gentile, ad ovest, dalle terre Leone, De Nicola, Impellizzeri e D'Angelo, da sempre, era considerato luogo sacro dipendente dal Sepolcro di Santa Lucia.
A metri 220 dal Convento, nel cortile interno delle case popolari dell’IACP, costruite su progetto dell'Ingegnere Salvatore Barreca fra il 1925 e il 1927, sorge una colonna di marmo sormontata da una croce posta ivi dal Vescovo e dal Senato.
Nel 1195, il latifondo di Casale Matila, “Beneficio di Santa Lucia”, per previlegio di Enrico VI e della Regina Costanza, venne concesso alla chiesa insieme con altri tre feudi.
Il “Beneficio di Santa Lucia”, tra l’altro costituito dalle così dette “lenze”, frazionato, diede origine ai poderi, Mezio, Li Greci, Sgandurra, Ottone, San Giorgio, Vianisi, Leone, De Nicola, D'Angelo, Del Reno e tanti altri.
Sul conto delle così dette “lenze”, nel 1898, l’ingegnere Luciano Storaci, scrisse una relazione intitolata “Un po' di luce sulle lenze di Santa Lucia”, nella quale scrive che “i Gargallo, per vox populi, ingiustamente sottrassero, all'inizio del secolo, alla giurisdizione della Chiesa di Santa Lucia, i possedimenti noti con il nome di Beneficio di Santa Lucia”.
La fonte miracolosa di Santa Lucia, secondo tale Giuseppe Rametta, forse prete, si trovava nell'orto della preesistente chiesa di San Giorgio, oggi via degli Orti di San Giorgio, in direzione del ponte ferroviario: “L'acqua della fonte zampillava fra un salice verso i mulini di cemento armato dello Stabilimento Conigliaro ed un pilastro sormontato da una croce merlata”.
La fontana, che prima del 1860 non era compresa nella cinta del muro e si trovava in un terreno demaniale, era di pubblica utilità e serviva a dissetare i barcaioli ed i passanti, che prima di berla si bagnavano devotamente gli occhi per preservarli dalle infermità”.
Al civico n.11, in via degli Orti di San Giorgio, nell’abitazione di due giovani coniugi, Angelo Iannuso e Antonina Lucia Giusto, orientativamente nella zona dov’era la fonte,   dal 29 agosto al 1º settembre 1953, il busto in gesso smaltato raffigurante la Madonna che mostra il proprio Cuore Immacolato, lacrimò miracolosamente.
Intorno al 1820, in contrada San Giuliano, attuale via Torino, angolo via Politi Laudien, nei terreni dov'è ora l'Istituto Tecnico industriale Fermi, inaugurato nel 1972, venne realizzato l'antico cimitero trasferito nel 1885 in contrada Fusco ancora in uso.
Le salme vennero trasportate presso il nuovo cimitero di contrada Fusco intorno al 1958.
Non ci sono foto dell'antico cimitero, ma una serie di mappe dove è segnato il perimetro cimiteriale, esattamente lo stesso dell'Enrico Fermi.
L'attuale via Piave, che conduceva al cimitero, un tempo era chiamata via Buonriposo.
La chiusa De Bonis, in antico, era una cava di estrazione di calcare.
Francesco Saverio Cavallari, nella sua planimetria del 1883, indica il luogo esatto dov’erano ubicate la fornace e la catacomba che prende il nome dei De Bonis.
Secondo Enzo Bongiovanni, lo scavo di estrazione, distrusse un antico acquedotto che collegava quello al di sotto dell'attuale via Torino.
Il 19 gennaio 1871 venne inaugurato l’ultimo tratto di 57,8 km, della linea ferroviaria proveniente da Catania.
Curiosità, memoria, ricordi
e….
Fino agli anni 60 del novecento, per noi siracusani, Siracusa era l’isolotto, lo scoglio, poi chiamato Ortigia, che finiva al ponte umbertino.
Tutto ciò che era oltre il ponte era “a buggata”, tanto che, abitualmente, usavamo dire, “quantu chianu a buggata” e da lì, “quantu scinnu a sarausa”.
Un efficientissimo servizio di barche-traghetto, con partenza da riva della Posta e arrivo allo sbarcadero Santa Lucia, collegava la Borgata ad Ortigia.
A quel tempo, il viaggio attraverso la Darsena e il porto piccolo, costava poche lire ed era piacevole e rilassante, oltre che gioioso, per noi ragazzini che affondavamo la mano nell’acqua redarguiti dal richiamo del barcaiolo.
Noi ortigiani, a piedi, per “salire” alla borgata, a metà ponte umbertino, svoltavamo a destra, attuale palazzo INA e, tagliando per “i villini”, giardino Marinaretti, passando davanti all’ingresso dei “calafatari”, uscivamo in viale Regina Margherita nei pressi del palazzo degli studi poi Liceo Mario Orso Corbino, dove incominciava la borgata vera e propria.
“I villini”, giardini Marinaretti, “accuzzatura ra buggata”, vennero realizzati interrando quel tratto di mare e palude tra la darsena-porto piccolo e viale regina margherita.
Il viale Luigi Cadorna, venne realizzato tra gli anni 40/50, interrando l’antico Vallone, “u Vadduni”, che era lo scarico naturale delle acque meteoriche della zona alta.
Il percorso inglobava anche le acque della zona San Giovanni alle Catacombe ed impediva la tracimazione delle acque nelle zone circostanti.
Oggi le acque seguono in gran parte un percorso sotterraneo e scaricano, come prima, tra i villini e gli edifici sulla costa, ossia nella zona un tempo Palude Minore, la mitica palude Sirako, che diede il nome all'antica Siracusa, ora sepolta sotto le costruzioni, e che era alimentata, per lo più, da un piccolo fiume orientale che scorre in parte sotto il viale Cadorna.
Sotto gli edifici, sui due lati del vallone, diverse canalette artificiali dirigevano le acque verso il fiume-canale San Giorgio che andava poi a riversarsi sul porto piccolo.
Una galleria sotterranea di scarico, di età ellenistica e romana, ristrutturata di recente e ancora funzionante, inizia da una voragine coperta da grate di ferro, sulla parte più depressa di via Torino, ad angolo con le Vie S. Sebastiano-S. Giovanni e, seguendolo sottoterra in pendenza, emerge dopo via Genova, sulla scogliera al di sotto di Riviera Dionisio il grande.  
Il palazzo degli Studi venne edificato negli anni 30 del novecento su progetto dell’ufficio tecnico del comune di Siracusa adottato dopo alterne vicende e liti con il progettista vincitore del concorso Francesco Fichera.
Fu problematico predisporre la base per le fondamenta sul fondo sabbioso di quella zona arquitrinosa, “ex palude Sirako”, e, quindi, per assestarli, dovettero utilizzare numerosi e robusti pali di legno come per i palazzi di Venezia.
Nel 1919, su progetto dell'architetto Gaetano Rapisardi, a forma circolare e sezione cilindrica, caratterizzata da ampi pilastri divisi da grandi vetrate che sorreggono un terrazzino comprendente alcune finestrelle sormontate da croci di pietra e, in cima, una piccola torretta campanaria in cemento armato, venne edificata la chiesa del Pantheon.
Lo Stabilimento-molino "Santa Lucia", pane, pasta, farina è biscotti, fondato da Gaspare Conigliaro, che ebbe un grande ruolo per l'economia e lo sviluppo di Siracusa, venne ceduto ai figli Carmelo, Salvatore e Giuseppe, il 18 Marzo 1894.  
Lo stadio comunale di Siracusa, realizzato nel 1932, decimo anno del ventennio, fu originariamente chiamato "Stadio del Littorio", come dimostrano i simboli visibili nell'androne e nel retro della tribuna centrale e poi Vittorio Emanuele III e, nel 1979, Nicola de Simone.
In via Caltanissetta, angolo piazza Santa Lucia, c’era il Cinema del Dopolavoro ferroviario, gestito dalla signora. La sala diverrà Cinema Ritz (proprietà Panico) poi Cinema Italia.
In via Agrigento, angolo viale Luigi Cadorna, edificato dall’imprenditore edile Alfonso Scimò c’era il Cinema Littorio, chiamato poi Marconi, Excelsior, e infine Cinema Mignon fino alla chiusura negli anni 70.
In origine l’ingresso principale era sulla via Pasubio e poi su via Luigi Cadorna.
Il vecchio cinema era dotato di palcoscenico che ospitava l'avanspettacolo, e tetto apribile, per rendere più fresche le afose serate d'estate. Fu gestito dallo stesso Scimò poi socio di Sebastiano Di Natale.
Negli anni 50 venne edificato l’ospedale Umberto I° con il primo monoblocco attivato nel 1953 e, successivamente, il secondo monoblocco nel 1971 e il terzo nel 1997. Negli anni 50 venne edificato l’ospedale Umberto I° con il primo monoblocco attivato nel 1953 e, successivamente, il secondo monoblocco nel 1971 e il terzo nel 1997. In poca preistorica, quella zona, era sommersa dal mare. In quel sito, conosciuto come giardino Spagna, venne rinvenuto un Balenottero fossile.
La zona intorno al molo Sant’antonio, "i Carcari", negli anni '50 era la più povera di Siracusa. Era contraddistinto dalla presenza di tre case chiuse, “i casini”, chiusi nel '58 dalla legge Merlin, frequentatissimi, specialmente nel dopo guerra, quando al porto sbarcavano marinai americani e francesi “affamati” dai lunghi viaggi.

I ragazzini, come sciuscià napoletani, accompagnavano i marinai per guadagnarsi qualche spicciolo o qualche sigaretta.

Nel quartiere, dove c’era anche il macello comunale, quando pioveva, era impossibile camminare nei fangosi vicoli specialmente nelle calde giornate soleggiate.

Nonostante ciò nella zona, densamente popolata, regnava l'amicizia, l'altruismo, la sincerità d'animo, l'educazione e il rispetto per tutti.
Ogni mattina partivano i lattai con i loro contenitori d'alluminio, in bicicletta, percorrevano le strade di Ortigia, altri con il carretto a braccia andavano a raccogliere ferro e rame vecchio e i giovani andavano al lavoro presso i magazzini di pomodoro, nelle segherie, oppure radunati “o puzzu ‘ngneri”, piazzale Marconi, in attesa che “il caporale” di turno lo chiamasse per un lavoro nelle campagne.

Alcune famiglie avevano l'animale in casa, asino o cavallo, strumento di lavoro e allevavano pollame e conigli per uso domestico.
Per la festività dell'Ascensione era uno spettacolo di vita gioiosa la raccolta della legna per “'a fucata”, i falò, dove tutti, specialmente i ragazzini, collaboravano perché il tradizionale falò del quartiere fosse il più alto e bello della città.
Anche la Borgata Santa Lucia, come tutta Siracusa, venne pesantemente bombardata nelle lunghe notti del 43.

Tre aerei americani provenienti da Malta dovevano sganciare spezzoni incendiari sullo Stadio Vittorio Emanuele per colpire un’adunanza di giovani fascisti, ma i piloti alleati, impauriti dalla contraerea, sganciarono prima le bombe mitragliando tutta la borgata fino al ponte umbertino causando la morte di 56 persone, tra le quali, tanti bambini intenti a giocare nella piazza.
testi consultati: Roberto Mirisola, il porto piccolo; Michele Romano, capriate lignee chiesa Santa Lucia extra moenia; la rivista i Siracusani edita da Carlo Morrone; testi vari e ricordi personali.
Rielaborazione testi e montaggio, a cura di Antonio Randazzo
Siracusa la Borgata Santa Lucia
FINE

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