tonnara di Marzamemi - Tonnare siracusane

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Tonnare siracusane
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tonnara di Marzamemi

La tonnara di Marzamemi, tratto da:Annalena Lippi Guidi, Zangara Stampa Siracusa
Il piccolo centro marinaro di Marzamemi, sviluppatosi attorno alla tonnara omonima e ad un piccolo porto naturale, deriva la sua denominazione, secondo Corrado Avolio, dall'arabo Marsa el Hameni, vi approdavano barche pescherecce e piccoli bastimenti.
Nella maggiore un porto dalle acque profonde accoglieva grossi bastimenti e vapori.


la tonnara di Marzamemi


Il piccolo centro marinaro di Marzamemi, sviluppatosi attorno alla tonnara omonima e ad un piccolo porto naturale, deriva la sua denominazione, secondo Corrado Avolio, dall'arabo Marsa el Hameni, vi approdavano barche pescherecce e piccoli bastimenti, accanto si stendono due isolette. Nella maggiore un porto dalle acque profonde accoglieva grossi bastimenti e vapori.
Il movimento di navi di piccola stazza, data la difficoltà dei trasporti via terra, era vivace nel secolo scorso e nei primi decenni del Novecento per l'incessante trasporto di merci d'uso comune provenienti da Siracusa e Catania e per prodotti da esportare, che venivano imbarcati per Oneglia, Livorno, Genova3.
Le notizie storiche seicentesche dei fatti e avvenimenti, riguardanti la tonnara di Marzamemi, iniziano nel 1648 quando era gabelloto don Mariano Nicolaci con il titolo di barone, ma è probabile che l'affittanza fosse incominciata già da qualche anno prima o addirittura fosse la prosecuzione di un precedente contratto'1.
È di pochi anni posteriore il "blitz" ordinato dal viceammiraglio di Noto Stefano Impellizzeri: venti soldati a mano armata fecero irruzione nei magazzini della tonnara per "pignorare" il prodotto della pescagione del 1651 del valore di 170 onze, oltre il pagamento di una multa di 30 onze.
Lo sconvolgimento del tranquillo ritmo lavorativo fece scalpore per la cifra "saccheggiata", come volle definirla il barone Nicolaci e per il modo con cui fu ottenuta. (A.F.B. 22)
Seguì, dopo le rimostranze del b.ne Nicolaci, un'indagine fiscale su perizia di rais "interessati e pratici", i quali scrissero: "Non havemo potuto avere notizie, stante che rare volte innanzi l'anno 1650 si solia calare, perché (la tonnara) non era così bene sperimentata e prendea pochi pesci ". (A.F.B. 14)
Ma un secondo accertamento, sempre eseguito da rais qualificati, quando l'esercizio di pesca era collaudato, segnalava conclusioni assai diverse: "La tonnara di Marzamemi, antica e famosa, può levare 400 pesci, in un'ammazzata e può tenere tra la camera sola 1000 pesci, però con la porta serrata se c'è maltempo o correnti. Ha pigliato detta tonnara l'anno passato 4500 pesci e in questo anno finora 21 agosto 1656". (A.F.B. 14)
Non fu possibile l'esenzione dei diritti del Grande Ammiraglio, allora il duca di Terranova spettante solo alle tonnarelle, esercizi di minor resa5.
Nel 1655 la tonnara di Marzamemi insieme alla tonnara di Vendicari, Fiume di Noto e Santa Panagia fu venduta al giudice palermitano Simone Calascibetta, da cui passò al primogeniti Domenico, morto prematuramente nel 1677; successero i figli Giovanni, Pietro e Vincenzo Vincenzo, divenuto abate, alla sua morte lasciò la terza parte dei suoi beni ai due fratelli.
UNA FAMIGLIA DI GRANDI IMPRENDITORI
Le due tonnare, accomunate dalla vicinanza degli esercizi e dalla comune linea successoria c appartenenza, seguirono linee parallele di sviluppo negli arbitri per molti anni; furono infatti gabellate a partire dal 1669 a vari componenti della famiglia Nicolaci, nelle persone di Pietro, Giacomo, di Eleonora vedova di Giacomo, e più tardi del figlio Corradino, come risulta dai rispettivi atti notarili di gabella6. Alle soglie del Settecento è una rappresentante femminile, donna Eleonora Nicolaci, che secondo le tradizioni manageriali della nobile famiglia, si mette in luce durante le stagioni di pesca di due lunghe affittanze con qualità di ottima amministratrice. (not. M. Argento 2 febb. 1694 A.S.N.)
Non sono poche le donne, che tra la fine del '600 e il secolo successivo si addossarono incombenze malagevoli come l'amministrazione di un esercizio di pesca, in contrasto con le signore ottocentesche, coinvolte solo dopo la morte dei coniugi negli adempimenti essenziali, forse perché relegate dalla società nello stretto ambito familiare.
Le loro prestazioni unitamente a quelle dei componenti maschili della nobile casata furono molto soddisfacenti e fonte di ottimi guadagni come appare anche dalle attendibili dichiarazioni del Villabianca7.
Nel 1716, perdurando le gabellazioni, la tonnara era stata concessa da Giovanni Calascibetta a don Corradino Nicolaci, ma più tardi gravi accuse turbarono gravemente l'esercizio, infirmando la possessione a suo tempo ratificata a Simone Calascibetta.
La Università di Noto reclamava le gabelle sui tonni, "grosso e sottile", concordate al tempo della "vendizione" e mai corrisposte e proseguiva con argomentazioni che mettevano in discussione la legittimità del possesso delle quattro tonnare, acquistate contemporaneamente8.
Si contestava il tenue prezzo di "compra", considerati i redditi sul capitale impiegato, assai superiori al 5%, tasso praticato all'epoca da parte del fisco, che tentava una reintegrazione dei fondi a favore della Regia Corte.
I Calascibetta controbattevano che il reddito "maggiorato" era giustificato alla luce della rischiosa conduzione delle tonnare come era possibile constatare dal fallimento dell'esercizio "delli Carcarelli" (Fontane Bianche) e dalle perdite di molti altri gestori proprietari e soggiogatari.
A tutto questo, rischi ed altri costi, si doveva aggiungere l'immobilizzo di capitali nella costruzione delle fabbriche di terra, inesistenti quando gli esercizi di pesca erano posseduti dalla Regia Corte. (AF.B. 45)
Questa tardiva e accanita azione giudiziaria contro Simone Calascibetta trova forse una spiegazione nella mancata organicità della costituzione del Regno, un complesso di norme legislative elaborate in passato e tenute in vita dalle innumerevoli concessioni fatte dal potere regio. I privilegi, che rappresentavano l'unico mezzo di difesa degli interessi furono apertamente contestati solo nel Settecento9.
L'impianto di Marzamemi proseguì nella sua straordinaria continuità possessoria e di esercizio fino alla metà del Settecento anche se non tutti gli anni si calavano le reti, per cautelare un regolare passo dei tonni.
La grande quantità di tonni catturati non potendo essere venduta a fresco che in piccola parte, doveva essere salata e conservata in botti, costituendo notevoli scorte10.
Successivamente il calo divenne annuale. Da una lettera ufficiale del Proconservatore di Siracusa, in risposta ad un ordine di gabellazione di Carlo "Augustus rex Hispaniorum et Siciliae" del 1726, risulta che la tonnara apparteneva ancora ai Calascibetta11.
Nel 1760 Vincenzo Starrabba e Alagona, principe di Giardinelli, signore dei vicini feudi di Scibini e Bimmisca ebbe il consenso per mettere a coltura le terre malsane e improduttive limitrofe, concorrendo alla trasformazione economica dell' hinterland di Marzamemi. Sorse la cittadina di Pachino e da allora la tonnara non fu più l'unica risorsa economica della zona.
In seguito a questi eventi il porticciolo di Marzamemi per l'esigenza di trasportare per mare grano, cotone, vino dalle terre redente divenne molto attivo e la pesca si sganciò da quella stagionale dei tonni, con un progressivo accrescimento dell'abitato, che cominciò ad assumere l'aspetto di un piccolo centro urbano12.
Nel 1761 fu concordato un canone di affitto tra l'amministrazione della tonnara di Marzamemi e quella del principe per il rifornimento di mazzare e mazzarelle per il calo delle reti13.
Ai primi del secolo scorso l'impianto di Marzamemi era considerato il migliore tra gli esercizi di ritorno del Regno. I rais che lo dirigevano sostenevano che i fondali antistanti recavano un canale naturale attraverso il quale i tonni entravano nelle reti, senza che fosse necessaria la guardia. Quando al mattino la ciurma prendeva il largo, trovava le camere piene di pesci.
I gabelloti naturalmente pagavano un affitto adeguato alle rese: 600 onze annuali.
La tonnara apparteneva ancora per la maggior parte alla famiglia Calascibetta, nella persona di Salvatore duca di San Niccolò; sette carati erano passati ereditariamente a vari parenti14.
I buoni proventi di Marzamemi erano disturbati dal ricorrente dissidio con la vicina tonnara di Capo Passero; infatti l'ubicazione dell'isola delle reti a due chilometri dal pedale, distava solo tre chilometri da Capo Passero. La grande vicinanza originava contestazioni per i limiti spesso ad "arte" non corrispondenti alle antiche consuetudini. Una variazione più o meno involontaria dello spazio di mare concesso poteva alterare, e di molto, i livelli di produzione 15.
Nel 1790 il duca Giovanni e il figlio Pietro furono coinvolti nella causa intentata dai fidecommissari dell'eredità di Odoardo, la cui risoluzione comportò una rendita annuale da pagare sulla tonnara di Marzamemi. (A.F.G.)
Nel secolo successivo i carati di Marzamemi erano ancora dei San Nicolò, che nel 1783 risiedevano a Palermo, come tutti i loro antenati, all'infuori di Odoardo, trasferitosi a Siracusa.
Da una lettera del barone Bonanno al suo agente di affari palermitano veniamo a sapere che quella transazione concordata una cinquantina di anni prima non era corrisposta con regolarità.
In particolare l'annata di pesca (1835) non era stata buona, avendo dovuto pagare il Calascibetta la tassa fondiaria ed onorare molte cambiali.
Negli anni che seguirono gli esiti incerti ostacolarono lo sviluppo dei grandi impianti, che riuscirono a proseguire la loro attività con cali regolari, ma i piccoli esercizi furono costretti a sospendere i cali.
Nel 1868, dagli atti del notaio G. Monteforte, il principe Corrado di Villadorata risultava possessore della tonnara di Marzamemi.
Le stagioni di pesca erano oggettivamente inferiori alle aspettative anche se possessori e arbitranti ammettevano difficilmente profitti esaltanti per ovvi motivi.
Ottavio Nicolaci di Villadorata, apparso negli anni '80 sull'orizzonte di Marzamemi, rivoluziona i criteri operativi prendendo a censo le tonnare di Terrauzza, Lognina, Fontane Bianche, Fiume di Noto, Sta in pace e Vendicari per concentrare i pesci negli impianti riducendo conseguentemente le spese16.
La fortuna aiuta gli audaci e pochi anni dopo, il passo dei tonni, divenuto copioso e costante, fu il miglior riconoscimento, anche dal punto di vista finanziario, dell'abilità del principe. Tutti gli esercizi di pesca ritrovarono il dinamismo dei tempi migliori, tonnare e tonnarelle riaprirono i battenti; non era difficile assistere a mattanze che superavano i 4000 tonni con valori esaltanti di
produzione anche per la cattura dei pesci spada e della selvaggina.
Nel 1897 il barone Pietro di Belmonte allungò il pedale della vicina Capo Passero, riuscendo a battere in breve tempo il primato di Marzamemi fra le tonnare di ritorno, fino ad allora indiscusso.
Come si conveniva ad ogni proprietario, il principe di Villadorata partecipava alla grande pesca dal suo palazzo, per cogliere ansiosamente, aiutato dal suo lungo cannocchiale, i segnali che venivano dal mare, quando i tonni erano entrati nella camera della morte.
Le migliori mattanze s'istruivano quando spirava il vento greco e quando c'era bonaccia di corrente, ma se spirava vento di ponente diffìcilmente la pesca era ricca.
Sul frontespizio della cassaforte nell'ufficio dell'amministrazione un cartoncino recava scritto. "Gricali porta tunni ne tunnari luna impunenti pisca abbunnanti quannu lu ventu è di grecu livanti, ma se lu vientu e di punenti stuiti lu mussu ca nupischi nenti".
Il nuovo secolo si inaugurò senza apportare variazioni e i redditi, buoni fino agli anni venti, segnarono un lieve decremento per la riapertura di tutti gli esercizi della costa; in particolare quello di Vendicari col suo pedale di 3000 metri arrecò molestie a Marzamemi, costretta anche a sud dal lunghissimo pedale di Capo Passero (400 metri)1 .
Col passare del tempo, ai costi sempre più gravosi delle apparecchiature che dopo tanti anni urgevano di ammodernamenti, si aggiungevano gli aumentati impegni salariali dopo i contratti collettivi del 1930. Fu necessario qualche licenziamento.
Infine dopo il collegamento ferroviario Noto-Pachino (inaugurato nell'aprile del 1935) i magazzini del vino, schierati lungo il porticciolo di Marzamemi, cambiarono destinazione d'uso, per il trasporto del vino su rotaia. Quei locali furono adibiti alla salagione del pesce azzurro di piccole industrie artigianali, indipendenti dall'azienda di Villadorata. Questa immissione di pesce conservato arrecò variazioni negative alla vendita del tonno18.
IL CONTRATTO DI VENDITA
Il contratto di vendita, stipulato ai primi del secolo, tra il barone Vincenzo di Villadorata, compartecipi Mimi di Rudinì, Pietro Bruno di Belmonte e il commerciante Luigi Patri (rinnovato poi nel 1926) è un capolavoro di dettagliate relazioni tra la ditta appaltatrice e i capitalisti. Oggi la diversa chiave di lettura lo rende una fonte di notizie etnografiche assai interessante.
L'acquirente si impegnava a comprare il tonno pescato nella tonnara di Marzamemi, così come arrivava dal mare dopo la consegna alla persona espressamente delegata per la determinazione del peso della stadera.
I pesci posti sullo sbarcatoio e trattati con l'applicazione di un gancio all'occhio venivano trasportati alla stadera, fermo restando che tutte le operazioni successive di decapitazione e di appendimento erano a carico del Patri.
Al barone spettava solo una mancia di cinque centesimi a tonno per il trasporto dalla barca alla stadera.
Tutto il pesce era a disposizione della ditta concessionaria, arbitra di venderlo a fresco, di salarlo, di conservarlo sott'olio ad eccezione di trenta quintali per l'esclusivo uso del padrone. Altro pesce poteva essere acquistato nelle vicine tonnare.
Alla ditta era concesso l'utilizzo dell'acqua raccolta nelle cisterne e l'acqua potabile del pozzo. Alla fine dell'esercizio ogni anno dovevano essere consegnati liberi e in buono stato di conservazione il campo del magazzino grande, il magazzino per riporre e tutti gli altri locali.
Dal punto di vista finanziario il Patri si impegnava a versare un deposito "condizionale" di 10.000 lire per eventuali controversie e risarcimenti e un "caparro" di 6000 lire. Al termine della campagna di pesca tali somme venivano restituite all'imprenditore che aveva improrogabilmente pagato ogni giorno il pesce consegnato. (A.F.B. 4)
Il proprietario, in questo tipo di contratto, si garantiva la vendita di tutto il pescato senza incombenze di collocamento al dettaglio e all'ingrosso, affidando contemporaneamente all'acquirente anche la conservazione e la lavorazione dei tonni.
Scompariva la figura dell'arbitriante, che aveva per secoli diretto le sorti delle tonnare e si era accollato il non indifferente peso di tutti i rischi di gestione.
GLI UOMINI DELLA TONNARA
La ciurma di mare della tonnara di Marzamemi era una nutrita squadra di quaranta uomini bene addestrati, a cui si aggiungevano due rais, due vicerais, mentre in camperia lavoravano un custode e sei terrazzani, tra i quali il "banditore" con il compito di svegliare tutte le mattine la ciurma con precisione cronometrica... senza orologio.
I rais per la loro destrezza, abilità e attitudine al comando affascinano ancora attraverso il loro ricordo chi si avvicina al mondo delle tonnare: Giuseppe Cappuccio comproprietario e direttore di manovre, Giuseppe Campisi di Avola, Cabrini di Portopalo, Gaetano Fichera, l'ultimo rais, inteso "u balatuotu".
Nel ramo contabile non mancano figure interessanti, degne di essere ricordate. Spicca la figura di Giuseppe Falla, che aveva molte mansioni di fiducia, compresa quella di sovraintendere alla salagione dei tonni. Nel 1892, dopo la campagna di pesca, 500 tonni furono destinati alla salagione. Durante un controllo l'amministratore, il barone Vincenzo di Villadorata volle conoscere il numero delle botti di tonno salato, che assommavano a cinquantadue. Venutone a conoscenza guardò interrogativamente il Falla, il quale interdetto, ma allo stesso tempo convinto della precisione del suo resoconto, invitò il barone a scendere in magazzino per verificare di persona, ma il nobiluomo ridendo esclamò: "Senti, se ogni botte ha la capienza di dieci tonni avresti dovuto consegnarne cinquanta!"
All'onestà del Falla faceva riscontro la disponibilità del datore di lavoro, come risulta del resto da un altro episodio. Dopo giorni e giorni di tentativi inutili di cattura dei tonni e dopo i rimproveri che i rais avevano subito nelle quotidiane relazioni, improvvisamente la rete imprigionò trecento pesci. Gran festa, rallegrata, come di consueto, dallo scampanio festoso di San Francesco di Paola.
II barone Vincenzo, decise di regalare ai rais una guantiera di biscotti, non appena fossero scesi dalla muciara ed entrati nella camperia. Il cameriere offrì loro i biscotti: l'omaggio non fu gradito.
I rais presero i biscotti ad uno ad uno e li infilarono nella bocca dei tonni, dicendo al cameriere: "il barone deve ringraziare i tonni, che sono arrivati e non noi". Il Villadorata, divertito dalla risposta spiritosa regalò ai suoi uomini venti litri di buon vino19.
Questa esperienza collettiva, tramandata oralmente dal suocero all'attuale amministratore, conferma insieme alla professionalità dei tonnaroti una consapevole interpretazione dei rapporti col padronato.
Tutti i componenti della ciurma imparavano il mestiere a mare con tutte le possibili implicazioni fisiche, non escluso il "buttarsi a mari" in casi di emergenza senza alcun timore degli squali; i terrazzani imparavano come usare le mazzare, le gomene, i galleggianti di sughero, che arrivavano con "i vapori" dalla Sardegna. Tutti coloro che partecipavano ad una pesca "sociale", come quella dei tonni, conoscevano i comportamenti dei loro tradizionali avversari e gli equilibri biologici della natura per cognizioni apprese attraverso il succedersi delle generazioni2".
Della dura scuola dei rais, del quotidiano apprendistato, della vita comunitaria in tonnara restano conoscenze occasionali, saltuarie, che meriterebbero un approfondimento.
LA DONNA DELLA TONNARA
Negli anni '20 una donna, l'unica nella storia recente delle tonnare, operava regolarmente nell'esercizio di Marzamemi.
Emilia Cassia Moncada Quadarella, l'infaticabile moglie di Francesco, concessionario in quel tempo della grande azienda, dirigeva lo stabilimento del sott'olio. Non fu certo frutto di improvvisazione la capacità di assumere un ruolo tanto articolato quanto insolito per una donna, educata ai modelli casalinghi del primo Novecento.
Fu sufficiente comunque un breve rodaggio iniziale, confortato dall'esperienza del giovane marito per adempiere con sicurezza i numerosi incarichi: il controllo della produzione, i rapporti con il numeroso personale, il rispetto degli impegni contrattuali di una grossa ditta come quella di Marzamemi, che lavorava oltre al tonno di esubero, pescato in loco, il pesce proveniente dalle tonnarelle prive di attrezzatura industriale 21.
LE FABBRICHE DELLA TONNARA
Le fabbriche della tonnara di Marzamemi costruite dopo la privatizzazione dell'impianto, furono eseguite in "economia" nei materiali e nei volumi dai gabelloti, che dovevano per contratto provvedere anche ai benfatti, chiariti nell'entità della cifra nei regolari contratti.
Dopo i primi danneggiamenti effettuati dal tempo seguirono quelli provocati dai francesi nella guerra del 1674 e poi i più gravi del terremoto del 1693.
Nel 1752 si provvide alla costruzione di opere nuove e di importanti ammodernamenti atti a costituire un complesso con funzioni specialistiche polivalenti, essendo destinato a residenza signorile, ad alloggi del personale dipendente e locali per il ricovero degli scieri e degli ordigni di pesca; due grandi cisterne furono approntate per la raccolta dell'acqua da utilizzare come scorta estiva.
Varie famiglie di tonnaroti ed esperti carpentieri, provenienti da Siracusa e da Avola, gli Aliffi, i Bottaro, i Caldarella, i Geraci, i Gionfriddo, i Barone, proprio in quel periodo si stabilirono definitivamente a Marzamemi22.
Il palazzo del proprietario del piccolo centro fu edificato con l'eleganti lesene, i triglifi, l'alta cimasa decorata e le cornici architravate delle finestre, secondo i dettami dell'architettura colta.
L'edificio è paragonabile per il suo apparato decorativo e per le sue dimensioni alle casine delle masserie feudali.
Il complesso edilizio, che pare abbia ripercorso il vecchio tracciato arabo, fruisce di una copertura con orditura di legno e manto di tegole in coppi siciliani. La struttura è solida e in buono stato conservativo, ma le rifiniture e gli impianti sono inesistenti.
L'ampio locale della loggia, di fronte all'ampia balata, dove sono ubicati gli scieri, è coperto da un tetto in travi di legno sostenuto da pilastri; sul prospetto principale si aprono due grandi portoni. La pavimentatura è in basóle di calcare bianco.
Da questo ambiente si accede ad un cortile interno (circa 247 mq.), sul quale convergono sul lato est quattro vani, due dei quali abitati dal custode, e tre vani con cucina e bagno utilizzati stagionalmente dal proprietario; sul lato ovest cinque locali con volta a crociera e altri tre non utilizzati. Il piano superiore è suddiviso in dieci vani, due ripostigli, due bagni, cucina con impianti in pessime condizioni così come gli infissi di legno, divelti o sfondati.
Nella grande piazza, dove era agevole asciugare la grande rete, sorge la chiesa esterna al gruppo edilizio della tonnara, dedicata a San Francesco di Paola, patrono dei pescatori, con abside, altare centrale e due laterali di statue della Madonna di Pompei, di Sant'Antonio da Padova, di San Francesco di Paola e alcune tele che rappresentavano San Simone e le anime del Purgatorio23.
La cappella di San Francesco di Paola, a servizio del centro marinaro, è attualmente costituita dai soli muri perimetrali, anch'essi fatiscenti; tuttavia la chiesetta mostra molti elementi architettonici originari. Il rosone aperto sul cielo e la torre campanaria vuota sono il simbolo del tramonto dell'antico microcosmo di Marzamemi.
Per la erezione dei fabbricati si utilizzò l'ottima arenaria, fornita dalla cave del principe Giardinelli, previo trasporto con carri trainati da buoi. Si tramanda che nella costruzione padronale siano stati adoperati grandi blocchi di arenaria provenienti da antiche fabbriche fatiscenti, con iscrizioni arabe. Gli elementi settecenteschi attualmente ben leggibili si mantengono con periodici "acconci e ripari".
Alla fine dell'Ottocento intervengono opere nuove per l'allestimento dello stabilimento per la conservazione e l'inscatolamento.
Le numerose attività destinate alla lavorazione dei tonni hanno richiesto grandi contenitori, spazi chiusi e ventilati, cortili e tettoie, che concorrono a far risaltare l'impotenza dell'intero impianto architettonico.
Straordinaria era l'organizzazione del lavoro, basata su un ciclo di produzione articolato in due fasi: la pesca effettuata dalla ciurma e dai muciari, guidati dal rais e la lavorazione a terra comprendente 40 operai guidati da specialisti genovesi.
I vari momenti si susseguivano in questo ordine: calo delle reti, carico dei pesci sugli scieri, scarico a riva e selezione, trasporto all'interno dello stabilimento, sventramento, disseccamento e pulitura, trasporto e 24 ore di sgocciolamento, taglio, lavaggio, bollitura in acqua salmastra, essiccamento, inscatolamento, sterilizzazione a vapore.
II prodotto era ottimo anche per le caratteristiche del tonno di ritorno poco grasso e particolarmente adatto alla conservazione.
Poco dopo l'edificazione dello stabilimento venne eretto il grande contenitore per il ricovero delle speronare, imbarcazioni a vela velocissime, che portavano il tonno fresco sui mercati di Malta ed un magazzino lungo la strada per Pachino, comprendente la zona di cottura ed un cortile per i lavori all'aperto. Altri manufatti sorsero lungo il porticciolo insieme ai depositi per il mosto, da trasportare ai luoghi di consumo24.
Il vasto fabbricato della tonnara fa parte del centro storico del piccolo agglomerato marinaro ed è stato oggetto di un piano di recupero urbanistico, nel quale sono previsti interventi di carattere conservativo per la chiesetta e per le parti strutturali dell'ex tonnara.
1 C. Avolio, Saggio di Toponomastica Siciliana, Supplemento Glottologico Italiano, Di Giovanni, Noto, 1937, (rist. A. Ariete, Siracusa, 1988).
2 S. Sultana, op. cit. p. 156.
3 Movimento Commerciale della provincia di Siracusa, A. Norcia, Siracusa, 1873.
4 Nel 1648 le tonnare di Vendicari e Marzamemi erano ingabellate a Mariano Nicolaci e a Francesco Ramundazzo, rilocate poi a Pietro Nicolaci fino al 1654 per 222 onze all'anno. (A.F.B. 7)
5 La regolamentazione giuridica, che distingueva le tonnare "formate" dall'abbondante produzione e le tonnarelle, esercizi di poca resa, era ratificata dal capitolo 28 di re Giovanni incoronato nel 1558.
6 Atti not. P. Flores, 3 ott. 1678. Atti not. F. d'Angelo, 14 ott. 1688. Atti not. F. Patinella, 12 ag. 1696. Atti not. D. Surci, 23 apr. 1701. Atti not. A. Bartolomeo, 20 ag. 1731.
7 Marchese di Villabianca, op. cit.
8 La Università, qualificazione giuridica della comunità cittadina era rappresentata dalla totalità dei residenti. M. Bellomo, op. cit.
9 F. De Stefano, Storia della Sicilia dal XI al XIX secolo, Laterza, Roma-Bari, 1977.
10 E. Sessa, conferenza, cit.
11 G.M. Capodieci, Miscellanea, Avviso di gabellazione del 28 giugno 1726 voi. XII pag. 135 e Lettera del Proconservatore di Siracusa Pietro Maria di Lorenzo, datata 10 marzo 1726 Voi. XII pag. 135.
12 L. Selvaggio, La Tonnara di Villadorata. Tesi di Laurea Facoltà di Architettura di Firenze, 1981-82.
13 E. Sessa, conferenza, cit.
14 F.D. d'Amico, op. cit.,p. 151.
15 La rete di Marzamemi mancava del codardo, una componente dell'apparecchio delle reti, che iniziava dalla testa della tonnara e si volgeva a mare aperto. I limiti della rete, indicati dagli uffici idrografici governativi e segnalati nelle carte del Mediterranean Pilot erano:
origine lat. 36 44 14 long. 15 07 35 testa lat.36 44 30 long. 15 07 30
I confini: a sud di sottovento la punta di Mangiacasale in contrada Littiera un chilometro a sud dell'abitato di Marzamemi, a nord sopravento la punta nord est della vecchia torre di Vendicari, sotto la caserma doganale (decreto Prefettizio del 1894)
16 Dagli atti del not. G. Monteforte, 5 nov. 1868 A.N.D. relativi ad una serie di sentenze in vari gradi di giudizio risulta il principe Corrado Nicolaci di Villadorata possessore di 18 carati, 52 sessagesimi, 3 ottavi sulla tonnara di Marzamemi per averli acquistati da vari condomini: dalla principessa di Belmonte donna Giuseppa Calascibetta, da Giuseppe Melandes duca di Calascibetta, da don Ercole e don Ferdinando Raccuja e don Michele Lombardi.
Inoltre tre carati appartenevano alla marchesa Lucrezia Calascibetta, vedova Airoldi, gli altri 2 carati e 5 ottavi ai fidecommissari dell'eredità di donna Giuseppa, di don Giuseppe e don Bernardo Calascibetta.
17 P. Pavesi, op. cit.
18 S. Bulgari, op. cit.
19 L. Selvaggio, op. cit.
20 E. Sessa, conferenza, cit.
21 Da interviste effettuate nel 1976 a Marzamemi
22 Da intervista alla Signora Grazia Moncada Quadarella del 12 ottobre 1992
23 E. Sessa, conferenza, cit.
24 E. Sessa, conferenza, cit.
25 L. Selvaggio, op. cit.

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