tonnara di Capo Passero - Tonnare siracusane

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Tonnare siracusane
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tonnara di Capo Passero

Attualmente la Tonnara di Capo Passero è di proprietà del Cavaliere Pietro di Belmonte.

Rappresenta uno splendido monumento di archeologia industriale ed è situata all’estrema punta sud orientale della Sicilia.
Le sue origini possono stabilirsi durante il Medio Evo, ma nel 1750 cominciò la sua vera attività con Don Ottavio Nicolaci.
Restata chiusa e disattiva per tutto l’800 solo alla fine dello stesso secolo venne riaperta da Don Pietro Bruno di Belmonte e restata attiva fino al 1969.
La tonnara nel corso del tempo ha subito ampliamenti e modifiche affinchè si adattasse alla mole di lavoro e di persone che vi circolavano.

vedi anche la tonnara di Capo Passero di Annalena Lippi Guidi




Casamenti adibiti al ricovero delle barche per la pesca del tonno sull'isola di Capo Passero (sulla parte occ. dell'isola di C. Passero), di fronte ad una balata appositamente costruita sono ubicati 2 grandi edifici i LOGGHI destinati al riparo di tutte le imbarcazioni adibite alla pesca.


Spiagge sabbiose intercalate a coste alte, vigneti carichi di storia, campi di ortaggi circondati da colline, costituiscono il paesaggio produttivo intorno alla tonnara.
Le viti, pur nel loro avvicendamento danno vini pregiati e, forti di particolari potature, sfidano venti impetuosi, mentre gli uomini vivono pericolosamente su un mare insicuro per la scarsezza di approdi.
Le acque dell'estremo lembo della Sicilia sono state solcate da marinai fenici, greci, romani e arabi lungo rotte mercantili; da queste coste i greci, grandi navigatori del Mediterraneo, praticarono già nell' Vili secolo a. C. la pesca del tonno con grandi reti.
Sulle spiagge, prima che lo sviluppo della società moderna raggiungesse questo paradiso remo¬to, le tartarughe sostavano indisturbate durante la deposizione delle uova.
Vicinissima si stende l'isola di Capo Passero, un tavolato brullo, poverissimo, costruito su calcari fossiliferi e vestito di un manto vegetale singolare di asfodeli, asparagi spinosi e palme nane. Quest'ultime, le uniche spontanee in Europa, non raggiungono proporzioni eccezionali come ai tempi di Cicerone, quando gli uomini di Verre pervenuti a Pachino per cinque giorni furono costretti a cibarsi delle radici di palme rustiche, "Palmarium agrestium", di cui era gran copia in quei luoghi, così come in gran parte della Sicilia.
L'isola, in posizione estrema rispetto alla penisola italiana e alla stessa Sicilia, rappresenta anche il convegno primaverile delle quaglie e delle tortore, provenienti dalle coste tunisine e dirette in terre lontane.
In un contesto così vario e interessante fu concesso il calo delle reti lungo un tratto di costa dell'antico feudo di Capo Passero.
È bene precisare che la tonnara di Capo Passero è denominata anche di Portopalo, scrive a proposito il Sultana: "Le tonnare di Portopalo sono due, una grande e una piccola. Proprietario il cav. Bruno di Belmonte da Ispica; ora i due figli Cesare e Gianbattista".
A destra di Portopalo, "vicino all'isola delle Correnti vi è la tonnara del m.se Ferreri"1.
Il diritto di pesca a Capo Passero fu concesso come baronia feudale sottoposta a investitura, vassallaggio e obbligo di equipaggiare un cavallo armato ogni venti onze di reddito.
Il netino Giovanni Landolina, assegnava al figlio primogenito Bartolomeo quattro feudi, tra cui quello di Capo Passero.
La tonnara di Capo Passero e il feudo omonimo dal 1408 passarono, tramite numerose investiture, alla famiglia Ruffino fino al 1639, quando successero per via ereditaria femminile i Bellia Ruffino2.
I possessori solevano gabellare l'esercizio a gestori mercanti, interessati ad ottenere facili guadagni con il minimo impegno finanziario. Nel 1644 la significativa presenza di Mariano Nicolaci, barone netino, come gabelloto imprenditore, reca variazioni sensibili nella conduzione dell'esercizio di Capo Passero, che proseguono nel tempo in una lunga serie di affittanze anche da parte dei successori; il figlio Antonio, sulla scorta degli insegnamenti paterni seguiva gli impianti di Marza- memi e Vendicari. (Giuliana Cai. A.F.B. 7)
In quegli anni gli esercizi di pesca subirono le forti pressioni fiscali dello stato indebitato; i buoni proventi inducevano le autorità vicealmirantiche a imporre imposte piuttosto pesanti senza concedere, nonostante i frequenti ricorsi alle vie legali, qualche riduzione3.
In seguito le apoteche ci informano che i successori di Mariano Nicolaci pagavano con regolarità gli inutilmente contestati 62 barili di tonnina al Viceammiraglio di Noto. Alla fine del secolo si affaccia sulla scena della tonnara una donna Eleonora Nicolaci, degna rappresentante femminile di quella famiglia. È gabelota delle tonnare di Capo Passero e Vendicari e si batte contro nuove difficoltà quali le pretensioni di Antonio Sirugo, che vuole sperimentare un nuovo impianto nei mari di Vendicari. (A.F.B. 7)
Nella storia economica delle tonnare, una delle più gravi turbative della pesca era proprio l'apertura di nuovi impianti, particolarmente dannosi se posti a poche miglia.
Alla regolarità della conduzione dei vari membri della famiglia Nicolaci, faceva riscontro la parallela uniformità dei proprietari Bellia Ruffino, investiti del feudo fino al 1726. La tonnara seguì poi i destini della famiglia Rao Torres e dei Rao Bonafede, baroni di Camemi.
Scrive il D'Amico: "Il Barone di Camemi di Palermo la diede in affitto, ed avendola avuta il barone Nicolaci di Noto ne trattò la concessione a censo perpetuo da proprietari per mezzo del causidico don Giovanni Del Monte dopo l'anno 1750 ed avendola ottenuta erogò grandi somme di denaro per beneficarla, costruendo un gran malfaraggio, Casina, magazzini ed un apparato corrispondente al grande arbitrio".



LA DISPUTA COL MARCHESE FERRERI
Dal 1774 s'inserisce, nel susseguirsi dei trapassi dei nobili signori di Capo Passero, un nuovo personaggio il carismatico Corradino Nicolaci, principe di Villadorata, in qualità di enfiteuta, l'unico enfiteuta nella storia di questa tonnara4.
La sua capacità imprenditoriale, si manifestò non solo nell'ottenere profitti egregi, ma anche nella loro conversione in ammodernamenti dell'esercizio di pesca.
I nuovi programmi di ampio respiro, i suoi investimenti lungimiranti misero al riparo, negli anni che seguirono, l'impianto dai danni provocati dalle dispute col marchese Ferreri.
II Ferreri, Segretario di Stato delle Finanze, "ebbe licenza di poter armare una tonnara nei mari vicini alla tonnara di Capo Passero, che allora la possedeva il principe di Villadorata, nel mar di Portopalo, dietro ad un promontorio, che poteva rappresentare un limite naturale tra i due impianti"5.
Don Corradino danneggiato da un impianto troppo vicino, intentò una causa, che però ebbe esiti negativi, ma solo sulla carta.
Infatti il nuovo apparecchio di reti, costretto in uno spazio di mare non sufficiente, non potè arrecare disturbo al limitrofo Capo Passero, poiché non riuscì nemmeno a decollare e fu subito abbandonato.
L'alto funzionario delle Finanze, forse inasprito dagli esiti negativi in termini economici della tonnara, spinse con una determinata opera di persuasione i precedenti proprietari, i Camemi, a rivendicare la proprietà della tonnara, avvalendosi di complicati diritti di fidecommessi non rispettati.
Questa volta la sorte non fu benigna con i principi di Villadorata, che perdettero il godimento
del calo della tonnara (1794)6.
La gestione di don Corradino, che aveva apportato ammodernamenti tecnici alla tonnara e al malfaraggio, compensò la perdita della tonnara con il rimborso dei "benfatti", così ingente da controbilanciare il perduto possesso legale .
Furono proprio i Camemi a cedere nuovamente la tonnara alla famiglia Nicolaci, con un censo perpetuo. Già nel 1795 il principe di Villadorata don Corrado Nicolaci gabellava regolarmente il complesso produttivo di Capo Passero, la cui prosperità appare anche dalla articolazione e dalle solide strutture delle fabbriche di terra.
Il secolo XIX, pur nelle tradizionali fluttuazioni di pescagioni più o meno fortunate, fu nel suo insieme poco favorevole alle antiche industrie ittiche, tanto da indurre i possessori (qualche quota della tonnara apparteneva ancora agli eredi di Giovanni Rao Xaxa) a sospendere il calato per qualche anno8.
DON PIETRO BRUNO DI BELMONTE (senior e junior)
Nel 1895, dopo anni di inattività la tonnara di Capo Passero, fu armata dall'on. don Pietro Bruno di Belmonte, proprietario di una quota dell'esercizio, acquistata dal palermitano Diego Magliocco, (not. P. Moscatello 7 maggio 1897 Pa.), in seguito rilevò tutte le altre quote, inclusa, ovviamente l'Isola di Capopassero: il tutto appartenente ancora alla famiglia.
Tutte le tonnare di ritorno, avevano attraversato momenti difficili: i bassi profitti degli impian¬ti avevano reso quasi impossibile l'allestimento della campagna di pesca. Il solo anticipo delle spese iniziali recava un carico economico notevole, al quale si dovevano aggiungere le paghe per l'ingaggio della ciurma.
La pesca a Capo Passero era considerata dalle secolari esperienze dei tonnaroti assai rischiosa per l'esposizione alle correnti, come recitano i seguenti versi popolari settecenteschi. "A Capo Passero ci sta 'na gran tonnara che pe' pigghiari i pisci non ce a para; palamiti, sgamirri e pizzuteddi, quando ci piaci, ne pigghia a munzeddi, di pesci spata ni pigghia millanta è sulu d'a 'currenti ca si scanta.
Don Pietro, nonostante fosse stato sconsigliato da tutti, si buttò a capofitto nella grande operazione per il riarmo alla grande dell'impianto, che condusse come un raffinato gioco d'azzardo. I tonni, dal canto loro, fecero di tutto per avvalorarlo: infatti i pesci provenienti da nord ovest, non passarono il mese seguente; le reti calate imprigionarono pesci spada, lampughe, pizzutelli, di norma spettanti alla amministrazione dell'esercizio, e pescicani, aragoste e vacche marine di spettanza della ciurma.
La tonnara, all'inizio della prima stagione di pesca ripristinata da don Pietro, per tutto giugno non catturò tonni e solo dal 9 luglio, quando il proverbiale self control del barone stava venendo meno, i tonni cominciarono a passare in frotte e ad entrare nelle grandi reti, fino a raggiungere in più levate il numero di 3000. Il fenomeno non si verificò mai più, non tanto nel numero, pure consistente, in relazione all'inizio tanto atteso quanto ritardato della stagione di pesca.
Da quell'anno, i tonni rispettarono i tempi di passo, rimase naturalmente l'alea di esiti incerti.
A terra, dall'elegante terrazzino di legno in stile liberty, una vera tribuna d'onore per i proprietari e gli invitati, si osservava l'andamento della pesca, con l'aiuto del cannocchiale per raggiungere, laggiù in fondo al lungo pedale, la guardia ora attentissima e immobile, ora distratta; ma l'attenzione si concentrava sul rais coadiuvato da i due sottorais: è nervoso, è fermo, si siede, un marinaio gli sta montando la tenda. In attesa di eventi migliori e prevedendo tempi lunghi, il rais abbandonava per un pò la sua vigile attesa e si riposava all'ombra. Poi quando i pesci entravano nel foratico, le segnalazioni da mare si facevano in codice e quando infine i tonni passavano nella camera della morte, don Pietro Bruno di Belmonte cominciava a scommettere sul numero di pesci imprigionati.
A di là di questi attimi di follia, ogni mattina, impeccabile nel suo tight aspettava il rapporto del rais sulle quotidiane vicissitudini della grande impresa marinara; quale amministratore della tonnara si occupava anche dell'inscatolamento del tonno. A questo scopo si era recato di persona a Genova dai Parodi, particolarmente esperti nelle tecnologie di conservazione per proporre loro la gestione dello stabilimento. Fu impiantato così un laboratorio modernissimo, contemporanea¬mente furono istruite le maestranze locali in un'arte fino ad allora sconosciuta.
Quando il barone morì nel 1921 la tonnara continuò ad essere efficiente. Il giro di affari tradizionalmente legato alla vicina Malta si era esteso alla Turchia e alla Spagna, mentre la produzione manteneva buoni valori: 5600 tonni nel 1929. Pure l'azienda agricola procedeva in modo egregio, con innovati rapporti di vendita a Roma, a Firenze, a Palermo, a Catania e a Livorno, porto molto attivo per l'inoltro dei prodotti destinati alla esportazione. Nel campo della politica Pietro di Belmonte aveva ottenuto la nomina a membro del Parlamento, sotto il Governo del marchese di Rudinì9.
L'attuale possessore nacque nel 1923, quando il grande animatore della tonnara di Capo Passero era morto da due anni, ne ereditò la passione per la pesca dei tonni, venata di quel brivido sottile, che si può provare davanti ad un tavolo di roulette.
Il patrimonio del nonno, compreso il palazzo di Ispica, oggi sede del Municipio, l'azienda agricola e la tonnara furono divisi equamente tra i sette figli, anche la tonnara fu frazionata in sette quote. Quattro dei sette figli vissero per alcuni anni in Sicilia, tre costruirono ville nei terreni limitrofi all'esercizio di pesca intorno al 1930 e, un poco più tardi, il castello romantico, oggi Tafuri. Don Cesare, il padre di don Pietro junior, quando gli impegni politici glielo permettevano (era deputato al Parlamento, e braccio destro di Giolitti) trascorreva il periodo estivo a Capo Passero10.
Le stagioni di pesca continuavano ad essere profìcue anche per l'utilizzo di una tonnarella, un apparecchio di reti supplementari, calato in un luogo meno esposto alle correnti, sempre all'interno del tratto di mare concesso. Gli impianti erano così due: il più lontano dalla costa la tonnara grande o di "mare" munito di un lunghissimo pedale e tanto ampia da meritare il nome di "basilica", che poteva catturare fino a 6000 tonni, il più vicino spostato a sud est la tonnara piccola o di "terra" di minor resa. (Prefett. 3886)
L'utilizzo dei due apparecchi, un ampliamento della superficie di cattura, rappresentava una strategia peraltro non nuova, già usata alla fine del Settecento e agli inizi del secolo successivo a Magnisi e a Santa Panagia, con il diverso fine di assicurare comunque un minimo di pescato.
Nel 1938 Felice Bruno di Belmonte, che presiedeva alla conduzione della tonnara anche per gli altri eredi, registrava un prodotto annuale di 5000 tonni e 700 pesci spada.
Col passare degli anni i Belmonte si dispersero, morto don Cesare, rimase solo il figlio Pietro a seguire i destini della tonnara ed a ricomporre i beni della grande famiglia; ristrutturò la villa di Ispica, acquistò le due ville confinanti e i carati rimasti ai cugini trasferiti qua e là.
Fino a quando l'industria dei tonni si mantenne in limiti accettabili seguì l'amministrazione, collaborò con il razionale, convocò ogni mattina il rais a rapporto, esaltandosi al momento dell'entrata dei tonni nella camera della morte, quando fortuna e abilità si mescolavano in alternative di angoscia e di speranza fino al fatidico "acchianare vannu".
Molti fattori concorsero al tramonto dell'antica pesca; nonostante la scasa produzione, verificatasi dal 1955 al 1959, l'attività della tonnara proseguì fino al 1975, l'ultimo effettivo anno di calata, quando un grave incidente, compromise le operazioni di pesca: una petroliera, passando sulle reti regolarmente segnalate sulla carta di navigazione, le strappò11.
Oggi don Pietro "junior" (assistito validamente dall'esperto delle due tonnare, quella di Villa- dorata prima e la sua adesso) cura il rinnovo quinquennale dell'esercizio dell'ambitissimo diritto esclusivo di pesca, diritto di proprietà che comprende anche l'intera isola di Capopassero, per cui non esiste alcuna forma di concessione né di permesso da chiedere per il calo.
È un azzardo più grande di quello di cento anni fa. I tonni da tempo hanno mutato le rotte, tutte le tonnare di ritorno sono spente, ma don Pietro punta sulla sua, ancora in attesa di fare en pleine.





LE FABBRICHE DELLA TONNARA
Il complesso edilizio, un po' infossato rispetto alla strada nuova per Portopalo, ma sopraelevato dal mare di circa quaranta metri, si presenta con iconografia a "L".
Tutta la disposizione dei diversi ambienti lascia apparire una netta divisione tra gli spazi lavorativi e quelli della residenza padronale e dei tonnaroti, ottenuta con muri di cinta e cancelli12.
Le articolate e specializzate costruzioni relative alla tonnara di Capo Passero trovano una vivace ed attenta collocazione negli scritti del capomastro di "maramma" Mariano Pileri stilati nel 1795.
Attorno alla loggia grande, cuore della tonnara, si svilupparono i numerosissimi magazzini delle dogarelle, dei barili, dove un rialto consentiva al contadore di seguire i procedimenti paleoindustriali per la conservazione sottosale e in salamoia e di annotare nel contempo le debite registrazioni. Vicini erano il magazzino della sorra, il prodotto più raffinato dell'intera serie delle tonnine, il magazzino delle botti "nominato di Santa Lucia" e il magazzino del sale grosso.
Non mancavano i dammusi per le derrate alimentari.
Nell'arsenale fervevano le opere dei bottari e dei calafati, mentre nella silenziosa camperia, deposito delle reti da una stagione alla successiva, si provvedeva saltuariamente alla manutenzione dei cavi e ad interventi di emergenza sulle reti.
Nella panetteria si ottemperava invece ad una esigenza di ordine diverso, si dispensava quoti-dianamente la razione del pane.
Per i cavalli e i carrozzini dei cavallari, gli acquirenti del tonno fresco, era a disposizione una loggia aperta sorretta da pilastri.
I locali adibiti a funzioni abitative erano attribuiti, secondo gli stessi criteri gerarchici che regolavano la vita della tonnara: le stanze del rais, la casa dei calafati, le case dei marinai, dei maestri terrazzani, del campiere di loggia e del custode delle case della tonnara, dei camparioti, degli infanti.
Al primo piano erano due camere del "quarto antico" per la gente di "serviggio" ed altre cinque camere, camere di "dormire" e infine sala, antisala, cucina e anticucina.
In questo articolato e polivalente complesso edilizio verdeggiava un giardino con verdure e tante specie di insalate e tante aiole fiorite.
La chiesa "in calce e arena, con l'affacciata e coro balatato di pietra di Malta" (not. I. Labisi 24 maggio 1795 Noto), si erge imponente di fronte al mare, a fianco della casa dell'amministrazione (che è anche la casa del proprietario); è dedicata sin dal secolo XVII alla S.S. Annunziata.
Dopo la visita guidata da un esperto del Settecento non è facile proseguire con parole che appaiono aride e vuote di significato. La produzione industrializzata della fine dell'Ottocento impose la costruzione di un vero e proprio stabilimento, di cui non si può sottacere l'esistenza oggi ugualmente destinato, come le altre fabbriche, ad essere annoverato nel patrimonio dell'archeologia industriale. Un imponente edificio di oltre mille metri quadri con mattatoi, essiccatoi, sala caldaie, dove lavoravano agevolmente sessanta operai e qualche operaia. Questi locali erano collegati con la balata, in modo da consentire l'attracco delle chiatte cariche di tonni.
Le operazioni di carico e scarico, pur semplicizzate nella prima fase del trasporto, proseguivano agevolmente superando la differenza di quota con lo stabilimento per mezzo di carrelli spinti anticamente a mano, poi con argani13.
Il villaggio della tonnara era un centro, sia industriale che commerciale, atrezzato moderna¬mente con impianti di trasferimento, unici nel suo genere con servizi di terra sicuri e regolari, a cui non potevano mancare collegamenti velocissimi con i principali mercati ittici per la quotazio¬ne dei tonni.
Ai primi del Novecento i caseggiati furono restaurati ma sorsero anche opere nuove in un'at-mosfera esaltante di ottimismo per i buoni profìtti: 4372 tonni nel 1911, 3233 nel 1934.
I materiali usati per la costruzione di questo complesso architettonico provengono dalle cave locali di arenaria, la copertura in tetto a tegole è sorretta da travi di legno e da gesso e canne opportunamente saldate. La parte pavimentata degli spazi aperti sfrutta un basolato di pietra locale.
Nella primavera del 1976 un fortunale di vaste proporzioni con un vorticoso movimento di aria scoperchiò i tetti degli edifìci, colpendo gravemente la tonnara.
La tonnara non chiuse i suoi battenti, don Pietro di Belmonte, per poter proseguire la diffìcile conduzione, ricompose i danni, abbandonando i caseggiati siti all'ingresso, ormai irrimediabilmente degradati, al loro destino.
Lo stato di conservazione, ad eccezione dei magazzini periferici distrutti da non infrequenti trombe d'aria, è ottimo per l'integrità della forma originale senza danneggiamenti visibili e con opportuni interventi di mantenimento.
Spente tutte le tonnare dell'intera Sicilia orientale, resta oggi Capo Passero, viva per la ferma volontà del proprietario.




NOTE
1 S. Sultana, op. cit. In realtà i figli erano sette: l'onorevole don Cesare, il colonnello don Felice, il marchese Ignazio, il barone don G. Battista, donna Preziosa, donna Concettina e donna Anna principessa di S. Nicandro, maritata a Napoli con il principe Cattaneo.
2 B. de Martinez La Restia, La Signoria feudale di Capo Passero e i suoi trapassi attraverso i secoli, A.S.Sir., XIV (1967-68).
3 Nel 1651 Pietro Nicolaci si rivolgeva alla commissione, preposta alla classificazione degli apparecchi marittimi, per verificare se la tonnara di Capo Passero fosse veramente "formata". Ma i rilevamenti sul numero dei tonni pescati, negli anni immediatamenti precedenti (2000-6000 pesci) non permisero un alleggerimento della tassazione "ius pesci" (Lettere Patrimoniali del Fisco ottenute dal grande Ammiraglio nel 1659 A.F.B. 7)
4 B. de Martinez La Restia, op. cit.
5 F.C. d'Amico, op. cit. p. 59.
6 Sottolineiamo che lo stesso d'Amico attribuisce al figlio del b.ne Ottavio Nicolaci, il titolo di principe di Villadorata. p. 39. L'enfiteusi della tonnara fu dichiarata nulla con sentenza del Tribunale del Concistoro e dei Giudici Aggiunti nell'agosto 1793 e confermata nel 1794. Nel 1808 Giovanni Rao e Xaxa, nipote di Maria Rao si investiva della tonnara, ultimo investito nella lunga sequenza dei trapassi. B. Martinez La Restia, op. cit.
7 S. Burgaretta, op. cit. p. 45.
8 B. de Martinez La Restia, op. cit.
9 L'onorevole Pietro Bruno di Belmonte Modica di San Giovanni, proprietario terriero dell'Isola di Capo Passero, Deputato al Parlamento Nazionale, era nato a Ispica il 4 ott. 1854 e quivi morto il 6 febbr. 1921. B. d'Aragona de Martinez La Restia op. cit.
10 Da una intervista rilasciata nell'agosto 1982 da don Pietro Bruno di Belmonte.
11 II limite a sud della tonnara di Capo Passero è determinato dalla linea che congiunge lo scoglio Maltese a sud dell'isolotto di Capo Passero e la punta esterna detta del Collo sotto l'abitato di Portopalo.
Il limite a sud sottovento della tonnara di Marzamemi, che corrisponde al limite nord della tonnara di Capo Passero, è determinato dalla punta Mangiacasale in contrada Idittiera a circa 100 metri a sud in linea con l'abitato di Marzamemi.
12 S. Burgaretta, op. cit., p. 49.
13 S. Burgaretta, op. cit., p. 50.
11 V. La Mantia, Le tonnare di Sicilia, Giannitrapanni, Palermo, 1901.
12 G. Motta, Storia di Augusta, Mendola, Augusta, 1972.
13 M. Bellomo, Società e Istituzioni in Italia dal medioevo agli inizi dell'età moderna, Giannotta, Catania, 1987.
14 G. Rachele, op. cit., pag. 169.
15 V. Consolo, op. cit.
16 R. M. Dentici Buccellato, Acta curiefelicis urbis Panormi in: Fisco e società della Sicilia Aragonese, Assessorato ai Beni Culturali, Arch. Stor., (1983).
17 G. Motta, op. cit.
18 D. Mack Smith, Storia della Sicilia medioevale e moderna, Laterza, Bari, 1983.
19 B. de Martines La Restia, La Signoria feudale di Capo Passero e i suoi trapassi durante i secoli, in A.S.Sir., Anno XIII, (1967-68).
20 D. Mack Smith, op. cit.
21 C. Ardizzone Scandurra, La pesca e il commercio del tonno in Siracusa, in Rivista "Il movimento della provincia di Siracusa", II, n. 7, 1886.
22 Copia del 5 agosto 1562 dagli atti del Protonotaro della Camera Reginale da un atto dell'I 1 settembre 1452, in G. M. Capodieci, "Miscellanea", Voi. Vili p. 92.
23 G. L. Barberi, / Capibrevi, G. Silvestri, Palermo, 1880.
24 G. Marrone, Introduzione Tonnare di Sicilia, Villabianca, Manoscritti XVIII sec. (rist. A. Giada, 1986).
25 N. Santamaria, Ifeudi, il diritto feudale e la loro storia nell'Italia meridionale, R. Marghieri, Napoli, 1881.
1 Fonte preziosa di testimonianze l'archivio della Famiglia Bonanno presso l'Archivio di Stato di Siracusa, e le notizie e i documenti dell'archivio privato della famiglia Gargallo, che hanno privilegiato la tonnara di Santa Panagia, permettendo di ricomporre in parte le vicende degli esercizi di Marzamemi e Vendicari, accomunati nell'iniziale indirizzo amministrativo dopo il loro acquisto da parte del giudice palermitano Simone Calascibetta.
2 Del 1638 è il bando per la vendita di città, secrezie, vassallaggi e tonnare con il titolo di barone.
3 V. Ruggero, Sicilia, "Enciclopedia dell'Italia antica e moderna", Istituto De Agostini Novara, 1983.
4 C. Bonomo, L'età moderna nella critica storica, Liviana, Padova, 1968.
5 C. Bonomo, op. cit.
6 V. la Manda, op. cit.
7 Supplica del duca d'Ossada al re Ferdinando IV Palermo 30 maggio 1800, in G. M. Capodieci "Miscellanea", Voi. Vili, p. 8.
8 A. Ardizzone Scandurra, art. cit.
9 G. Marrone, op. cit.
10 Memorie del popolo di Siracusa l'anno 1816, Voi. manoscritto della Biblioteca Alagoniana, in G. Agnello "Torri costiere di Siracusa nella lotta anticorsara ", X, ( 1964).
7 E. Picone, La Provincia di Siracusa sotto l'aspetto economico, Calatola, Catania, 1925.
1 G. Testa, Cooperazione e credito a Pachino. Storia di una presenza, Tip. Lussografica, Caltanissetta, 1988.
2 Relazione di Pietro Maria di Lorenzo Proconservatore, Noto 10 marzo 1726, in G. M. Capodieci "Miscellanea", Voi. XXII, p. 135.
7 E. Picone, La Provincia di Siracusa sotto l'aspetto economico, Galatola, Catania, 1925.
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