tonnara di Avola
La tonnara di Avola, già tonnara di Fiume di Noto
tratto da:Annalena Lippi Guidi, Tonnare-tonnaroti e Malfaraggi, Zangara Stampa
Dalla descrizione di un aurore del Settecento ci giunge un vivace bozzetto della costa avolese protesa sullo Jonio tra i due promontori di Pachino e di Capo Murro di Porco, circondata da colline e montagne alberate, tanto da sembrare una "riviera del Genovesato'. Oltre a possedere un suggestivo litorale e un verde entroterra, il sito di Avola godeva di un'aria salubre per la sua esposizione ai venti, che rendeva vegeti e floridi i suoi abitanti, mentre il mare antistante abbondava di pesci in ogni tempo1.
Il paesaggio cento anni prima, quando la tonnara di Fiume di Noto era in fase sperimentale, non doveva essere molto diverso, ad eccezione dell'ubicazione dell'antica città.
La tonnara di Fiume di Noto e Capo Nigro
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Nel 1691 l'impianto di Fiume di Noto si arricchisce della confinante posta di tonnara di Capo Nigro (Atti Prot. 15 ott. 1691) dietro pagamento di 800 onze con titolo di barone.
Successivamente la tonnara assume il nome di Fiume di Noto e Capo Nigro.
Da Anna Conforto, nella prima metà del Settecento, l'organismo di pesca passò, "maritali nomine", a Cesare Tornabene di Catania, alla cui linea ereditaria rimase a lungo in proprietà. (A.F.B. 39)
La sequenza degli affìtti, che si susseguono regolarmente dalla seconda metà del Seicento al 1903, confermano questa continuità successoria dei nobili Tornabene, tra i quali si annoverano personaggi di spicco nella vita pubblica come Ludovico, Capitano di Giustizia dal 1727 al 17284.
Le vicissitudini di questo esercizio si svolgono, per certi aspetti, conformemente ai limitrofi, subendo le imposizioni fiscali del 1790 per l'istituzione di nuovi dazi, nella misura di dieci grani ogni pesce pescato in tonnara, alle quali altre ne seguirono nel 1797.
L'assolvimento dei diritti di stadera crea, negli esercizi di pesca, anche problemi burocratici per le complicate formalità di registrazione su registri assegnati dal Maestro Notaro, di controllo di testimoni degni di fede, di trasmissione entro i termini prescritti agli uffici di competenza.
Altri aggravi economici si aggiunsero, dopo il controllo del gabelloto delle Regie Dogane, introdottosi nella loggia di Fiume di Noto per verificare il numero e il peso dei tonni che dovevano essere imbarcati. (A.F.B. 14)
Nel 1811 ai fratelli Tornabene e alla sorella Agatina, moglie del barone di Sant'Alessio, si affianca il barone netino Impellizzeri di San Giacomo, padrone della "medietà" e collaboratore nella amministrazione. Le pesche a quella data assicuravano un introito di 300 onze a carato'.
La tonnara intanto non si cala più alla foce del fiume di Noto, da cui aveva preso il nome, ma alla marina di Avola su uno scoglio tufaceo appartenente al convento della Santissima Annunziata di Avola, dove si trova tuttora.
Il nuovo terreno era stato acquisito in enfiteusi con un pagamento in natura, un barile di tonno salato all'anno, convertito poi dalla legge del 1864 in un canone di 4400 lire da versare al Fondo Culto. (A.F.L.)
Mentre il capitale "azionario" dell'esercizio di Fiume di Noto si va frazionando nei passaggi ereditari, alla fine dell'Ottocento risultano nuovi proprietari i baroni Nicola, Antonietta, Carmela Nicolaci, fratello e sorelle, l'avvocato Matteo Di Lorenzo e Raeli, Ottavio Nicolaci, principe di Villadorata; dei Tornabene rimane solo suor Raffaella.
LA RETTIFICAZIONE DEI CONFINI
È del 1895 il decreto prefettizio emanato per la prima rettificazione dei confini della tonnara di Fiume di Noto, seguito l'anno successivo da una ulteriore correzione6.
La prima variante, richiesta dal locatario Giacomo Caruso, fissava i confini a nord nella estrema punta sporgente da Capo Nero, a sud nell'estremità rocciosa della sponda destra del fiume Noto. La seconda regolava il limite nord alla sporgenza rocciosa immediatamente prima della foce del fiume Cassibile, il limite sud in un punto della spiaggia distante 1135 metri dalla banchina dello scalo di Avola. (Prefett. 3886)
Con tale atto la tonnara viene designata esclusivamente col nome di Fiume di Noto senza l'aggiunta di Capo Nero.
I motivi della doppia modifica, dovuta probabilmente alla eliminazione del tratto di mare anticamente assegnato alla posta di Capo Nigro, non risultavano ancora chiari al padrone del vicino esercizio di Fontane Bianche, che ne chiedeva nel 1911 spiegazioni al prefetto di Siracusa onde produrle alla Capitaneria di Porto per regolare i reciproci confini.
La riduzione del tratto di mare concesso è ufficializzata nel nome della tonnara, che diventa di "Fiume di Noto". L'antico esercizio di Capo Nero ebbe una breve ripresa intorno al 1940, quando fu rimesso in funzione dal barone Paolo Pupillo.
LA TONNARA DI AVOLA
L'esercizio che era stato, con il decreto prefettizio del 1895, autorizzato ad utilizzare solo la prima parte della sua antica denominazione, acquisì, col passare del tempo la più coerente definizione di tonnara di Avola.
La perdita del secolare nome, svuotato ormai dell'antico significato non solo ubicazionale, segna il passaggio dell'ultimo periodo della storia delle tonnare anche nell'ambito possessorio, nel quale appaiono i Loreto, esperti nella gestione delle tonnare e proprietari di terre in contrada Morgobello, dai primi dell'Ottocento.
Dall'inizio del XX secolo la famiglia Loreto domina sulla tonnara di Avola, sfruttando criteri di conduzione modernizzata, che si andavano diffondendo in tutti gli impianti di quel periodo.
Solo nel quinquennio dal 1925 al 1930 l'impianto fu ceduto in affitto. (A.F.L.)
Un episodio clamoroso, del tutto estraneo alla pesca, riguardò la tonnara nel 1914 quando, in un ragazzo di sedici anni, fu segnalato il primo caso di colera nella provincia di Siracusa. L'epide¬mia esplosa nella vicina Catania si era diffusa ad opera di pescatori di quella città, lavoranti ad
Avola, dove si era aggravata per la promiscuità delle ciurme e degli operai a terra.
Il fatto straordinario mette in luce la normale buona salute dei tonnaroti, uomini giovani e ovviamente forti, che pur vivendo in ambienti poco igienici accusavano di rado malattie infettive allora diffuse, come la malaria e il tifo.
GLI UOMINI DELLA TONNARA
Al di fuori della successione di operazioni a terra, descritte dagli autori, la tonnara era un banco di prova di forza e di coraggio, una palestra di uomini che in qualche modo s'imponevano agli altri, ma anche di anonimi primati atletici, di cui rimane solo il ricordo. Una memoria nitida tramandata oralmente dai vecchi, ma recepita interamente da molti giovanissimi. Questi personaggi diversi nei soprannomi e nelle tonnare in cui operarono si assomigliano un pò tutti sconfinando quasi nella leggenda.
Ad Avola "Peppino Aeroplano" riusciva a ripescare le reti cadute in apnea, senza maschera e senza pinne. Salvatore Parentignoti, inchiodato in tarda età dai dolori reumatici cavalcava durante la mattanza quei tonni, che per particolari motivi dovevano essere catturati senza le ferite da arpione, guadagnando in questo modo il titolo di "Cavaliere".
Un'altra prestazione fisica impegnativa, ma anonima, era il trasporto a bordo dei tonni tramor¬titi, ma con le potenti pinne guizzanti; quest'ultima prova era il trasporto sulla balata con il pesce sulla spalla. Pochi erano gli uomini dalla forza erculea che potevano trasferire senza l'aiuto di un carrello un ammasso di duecentocinquanta chili e riuscire a mantenere l'equilibrio con passi corti e veloci.
Tra i rais, che hanno operato ad Avola sono ricordati Accolla e Rossitto per la rapidità dei riflessi, l'intuizione e l'attitudine al comando.
LE FABBRICHE DELLA TONNARA
La costruzione di magazzini, prescritta alla ratifica della vendita del 1655 fa intravedere che probabilmente a quella data non s'iniziarono a costruire anche altri caseggiati, non necessariamen¬te legati alle primarie necessità di ricovero degli attrezzi, delle barche e del salato.
Le fabbriche della tonnara di Fiume di Noto edificate a spese dei gabelloti, come da pattuizioni della Regia Corte, erano efficienti nel 1660. Gli incendi provocati dalla guerra del "francese", nella seconda metà del Seicento, furono aggravati dalle mareggiate e infine "dirovinate" dal fatidico terremoto del 1693.
Fu Ludovico Tornabene nel 1726 a provvedere alla riedificazione di officine, di un palazzo per la dimora in tonnara dei gabelloti e di una nuova chiesa per una spesa di 400 onze. (A.F.B. 34)
Le azioni conservative ricorrenti rimasero pur stabilite entro valori minimi, a carico dei gabellanti, secondo la consuetudine .
Non restano tracce di questo antico malfaraggio, ma a giudicare da queste pur semplici dichiarazioni, si può ritenere che fosse un edificio di un certo impegno.
Ai primi dell'Ottocento si ripresenta il problema di costruire ex novo i caseggiati, dopo lo spostamento degli impianti dalla foce del Fiume di Noto alla marina di Avola.
La ricostruzione novecentesca, eseguita dall'avvocato Carlo Loreto, conferì al complesso, acqui-
stato dal principe di Villadorata in stato di avanzato degrado, l'aspetto attuale.
Il palazzotto del proprietario la prima costruzione che si profila sulla piazzetta al mare, ha linee architettoniche ispirate a gusti ed esigenze degli inizi di questo secolo. Le finestre e la porta con piatte bande curvilinee, sono al pari delle porte e finestre del piano terra accuratamente disegnate. Il terreno in discesa crea gli spazi per il piccolo appartamento, dove alloggiava l'appaltatore. Più avanti è l'accesso alla dimora dell'autista del padrone, che durante la stagione di pesca si trasfor¬mava in marinaio.
Segue la loggia grandiosa, circondata per tre lati dal mare e ampliata nel periodo estivo da un grande recinto col tetto di paglia dove si essiccavano le interiora.
Dall'arco a tutto sesto del lato opposto, l'unico ancora esistente, le barche venivano tirate in secco e messe al sicuro durante la stagione invernale; fino ad una quindicina di anni fa sopravvive¬vano tre neri scieri e due barche piccole, usate per il trasporto di piccole quantità di tonni.
Sul lato sinistro, si susseguono tutti gli altri edifici in una sequenza complicata dai crolli e dalla crescita di erbe infestanti. I seminterrati sotto l'abitazione del padrone erano adibiti a depositi del carbone e del sale, a fianco seguiva lo stabilimento, riconoscibile per l'impianto regolare e la lunga ciminiera.
Gli opifìci risalgono agli inizi del Novecento, quando iniziarono le operazioni della lavorazione sott'olio, diretta e organizzata dal genovese Diana. La produzione conserviera di circa dieci quin¬tali al giorno non ebbe mai rilevanza economica, perché il proprietario puntava sulla produzione e non sulla trasformazione, in questa ottica stipulava, prima della campagna di pesca, un contratto con gli acquirenti, in genere catanesi. Il pescato in esubero ai massimi prefìssati passava allo stabilimento. (A.F.L.)
Nel 1948 ormai in piena crisi si provvide a ridurre il personale e ad eliminare gli impegni lavorativi dell'inscatolamento.
Seguivano a fianco dello stabilimento lo stanzone per le vasche dell'olio e le attrezzature per la chiusura del sottovuoto delle scatolette. Ultima la rimessa di cinque barche e della barca personale dell'avvocato, in legno pregiato dalla forte poppa colorata e ancora il grosso gozzo a doppia prua, senza pontatura, che trasportava l'intera famiglia Loreto sulla complicata geometria delle reti.
Al di là del cortile, alta sul mare, ora coperta di verde era la serie di magazzini adibiti alla conservazione delle "lunghe trappole", cinque chilometri di reti con una quantità enorme di boe e infine le grandi ancore per fissare le apparecchiature e contrastare la forza dei venti8.
Attualmente la tonnara è in stato di avanzato degrado: scomparsi gli scieri, ad opera dei vandali e del tempo, ridotte a monconi le strutture portanti della loggia, solo il grande arco posteriore per il ricovero delle barche nel periodo di riposo resta intatto.
1 F. Di Maria, Ibla rediviva, 1745 (rist. A. Pro Loco, Avola, 1989).
2 La R. Corte, pressata da urgenti spese, concesse la vendita della tonnara riservandosi oltre all'usuale diritto di ricompra nella speranza di un riscatto, anche lo "ius luendi".
3 Sebastiano Pizzuto affittò l'esercizio di Fiume di Noto a Giorgio Greco per sette anni (not. G. Scannavino 23 genn. 1655).
4 F. San Martino de Spluches, Storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia, Boccone del povero, Palermo, 1933.
5 F.C. d'Amico, op. cit., p. 152.
6 Gli antichi limiti della tonnara, all'atto della vendita della R. Corte erano: a nord le marine territoriali di Siracusa, a sud la punta del Fiume di Noto (A.F.B. 7).
7 Da un atto di locazione del 1895, stipulato con Giacomo Caruso al canone annuale di 8025 lire veniamo a sapere che l'obbligo della riparazione dei caseggiati non doveva essere inferiore a 6000 lire. (Prefett. 3886)
8 Queste informazioni sono state raccolte sul posto dopo una intervista al figlio dell'autista dei Loreto 1976.
Le prime notizie seicentesche della tonnara, che fu calata da questi lidi, scaturiscono dai consueti contratti di gabella della Regia Corte, durante la sperimentazione. Le numerose stipule ben si adattano a mettere in luce le attività peculiari di questo esercizio, conferendogli anche una sua valenza economica.
La tonnara di Fiume di Noto, come molti altri impianti della costa siciliana di Mezzogiorno, era stata concessa in affìtto a Gregorio Prinzi, per nove anni, a partire dal 1633. La cifra del canone annuale era molto modesta: 18 onze.
Seguirono le affittanze di Mariano Nicolaci comprensiva del titolo di barone e di Piero Nicolaci con canoni assai maggiorati: 60 onze e 18 tari, segno di un'ottima risposta della tonnara al collaudo.
Pochi anni dopo, durante la massiccia ondata di alienazioni da parte della Regia Corte, si promulgarono dei bandi perché la notizia della vendita dell'esercizio di Fiume di Noto fosse diffusa a Siracusa e nelle vicine città.
La tonnara fu concessa, mentre era ancora in atto l'affittanza di Mariano Nicolaci, al conte Giovanni Andrea La Massa di San Giovanni La Punta, come franco allodio, esente cioè dai diritti feudali e dal servizio militare, su offerta di 800 onze. (A.F.B. 7)
In conformità dei contratti dell'epoca, all'acquirente spettava il titolo di barone con privilegi e franchige per l'estrazione delle tonnine dentro e fuori regno, per la sua persona, ma estendibili agli eredi, ai successori, ed a persone nominande, che a loro volta potevano nominarne una, automati-camente proprietaria a tutti gli effetti, anche nei diritti spettanti alla Regia Corte. (A.F.B. 7)
Restava inteso che l'uso dell'esercizio di Fiume di Noto era accordato dal sovrano, nel solo godimento del tratto di mare assegnato, limitato però dallo "ius luendi" per lasciare alla Regia Corte il diritto di ipoteche non riscattabili.
Il valore patrimoniale, in base a questa limitazione, risultava ridotto a sole 800 onze.
In questa ottica di alienazioni era da tener conto che allo straordinario "ius luendi" si aggiungeva la usuale "carta redimendi", il diritto di ricompra, riservato alla Regia Corte2.
Nel 1653, dopo soli due anni il conte La Massa, forse impossibilitato di seguire il suo impianto, data la sua lontana residenza, decide di cedere la tonnara per "intermediam personam" a Sebastiano Pizzuto senza variare il prezzo, (not. G. Zamparrone 22 ott. 1655)3.
Nel 1655 compare sulla scena il mattatore Simone Calascibetta, che acquista in blocco le quattro tonnare di Marzamemiy Vendicari, Fiume di Noto, Santa Panagia, permanendo su quella di Fiume di Noto il vincolo di parziale vendita.
E interessante sottolineare che l'acquisto dell'esercizio di Fiume di Noto, da parte del Calasci- betta, grande giudice e finanziere, ma anche capo d'industria ante litteram, fu seguita da un accordo privato con Gian Battista Conforto per la rivendita della stessa tonnara al prezzo di 1600 onze contro le 800 pagate alla Regia Corte.
Il pieno possesso e la ratifica erano rimandate all'assolvimento del debito. Nel frattempo muore don Simone e la moglie Lucia, non meno abile del marito, con l'autorità del cognato Ramondetta, giudice della Regia Corte, completa la vendita e nomina compratrice Antonia figlia del Conforto. (A.F.B. 39)
I Conforto ottennero il titolo di barone della tonnara di Fiume di Noto con un privilegio del 1667. (Cons. reg. mercedes voi. 393 foglio 94)
Lo "ius luendi" riscattato nel 1691 per 4000 scudi in occasione del grave deficit della Corona spagnola, fu aggravato dalle costose guerre in Lombardia. (A.F.B. 34)
II libero possesso della tonnara venne a costare più dello stesso esercizio.
testo e foto Matteo Masoli
La struttura, testimone di un’attività in passato fiorente, esprime, anche negli impianti, il forte legame integrante fra territorio litoraneo e mare, e fra l’economia agraria e quella marinara, in ragione anche di un analogo regime di proprietà e sistema di gestione.
Il borgo attuale, in località Mare Vecchio ad Avola, è antecedente allo spostamento dall’altopiano e ricostruzione della città post terremoto del 1693, si può considerare il primo nucleo abitato sulla costa dell’odierna Avola.
La struttura superstite, di circa 5000 mq, è composta da una serie di magazzini e capannoni per la custodia, conservazione e lavorazione del pescato attorno a una loggia centrale.
Una ciminiera realizzata in mattoni consente di capire che anche la Tonnara di Avola formò parte di quelle strutture adeguate ai nuovi tempi dell’industrializzazione.
Tra i pochi documenti conservati risulta una foto storica dove si possono vedere le caratteristiche barche in legno dentro i malfaraggi. Il complesso era anche dotato di una Chiesa a navata unica, probabilmente di fine Settecento.
Insieme alle più rinomate Tonnare di Capo Passero e Marzamemi che spiccano sulla estrema costa sud-orientale, la Tonnara Fiume di Noto (nome attribuito perché probabilmente la sua localizzazione originaria era alla foce del fiume Asinaio, come viene riportato dal Villabianca) rappresenta uno dei complessi tipicamente costieri principali del golfo di Noto. Infatti, come tutte le altre strutture della Sicilia sud-orientale, la Tonnara di Avola era di ritorno, cioè catturava i tonni dopo il periodo della riproduzione.
A Febbraio, credo, postai la foto della tonnara di Avola, dove si parlava di recupero della struttura, in una casa museo, e di altro. Oggi nella mia solita camminata di alleggerimento, uno stacco da tutto, mi sono voluto recare anche ad Avola per vedere da vicino la tonnara. Non commento, preferisco piuttosto lasciar parlare le immagini per me. Affermo soltanto che anche quel pezzo di storia è ormai andato via, considerando lo stato in cui si trova, sicuramente non ci saranno finanziamenti bastevoli. Grande amarezza.