Orestea Archimede di Eschilo - siracusa tragedie greche

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
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Orestea Archimede di Eschilo

Eschilo
Orestea di Eschilo: Agamennone (trama)-Testo INDA
Ad Argo, sul tetto della reggia degli Atridi, una sentinella attende il segnale di fuoco che deve annunziare la presa di Troia.
Il fuoco appare sulle vette de monti ad avvisare che Troia è caduta. Mentre la sentinella si ritira per comunicare la notizia a Clitennestra, entra il Coro dei vecchi argivi. Appare la regina, felice della buona notizia e, poco dopo, l’araldo Taltibio che annuncia il ritorno di Agamennone vittorioso.
L’eroe giunge su un carro, insieme con la prigioniera Cassandra, figlia di Priamo, ed è accolto da Clitennestra con parole falsamente gioiose.
Con un crescendo di adulazioni al marito, in una scena fortemente simbolica, Clitennestra ordina alle ancelle di stendere drappi rossi ai piedi di Agamennone perché il re entri nella reggia calcando una strada di porpora: è ormai vicino il compimento del delitto preparato dalla regina per vendicare la fine della figlia Ifigenia, uccisa proprio per mano di Agamennone come vittima sacrificale perché la flotta greca, bloccata in Aulide, possa giungere a Troia. Dopo aver raccomandato a Clitennestra di accogliere con benevolenza Cassandra, Agamennone entra nel palazzo seguito dalla regina, mentre Cassandra rimane immobile dinanzi alla soglia.
In preda al delirio profetico, l’infelice principessa troiana rivede in stato di trance i delitti commessi nella casa dei discendenti di Pelope - l’orribile cena in cui Atreo, padre di Agamennone, imbandì al fratello Tieste le carni dei figli -, predice al Coro la propria morte e l’uccisione imminente del re per mano della moglie adultera, e quella futura di Clitennestra (e del suo amante Egisto) per mano del figlio Oreste.
Poi, varca la soglia fatale e si avvia al suo destino. Dall’interno della reggia giungono le grida di Agamennone colpito a morte. Subito dopo appare sulla porta della reggia Clitennestra con la scure insanguinata ancora in mano, dritta dinanzi ai cadaveri di Agamennone e Cassandra. Al Coro che lamenta il destino del re ucciso, Clitennestra confessa e giustifica il delitto a lungo preparato. Arriva Egisto, figlio di Tieste, per rivendicare i suoi diritti sul regno: il suo tono irrita il coro e solo l’intervento della regina impedisce una colluttazione. Clitennestra si ritira con il suo amante nella reggia.
INDA 1948, Orestea. Agamennone entra nella reggia calpestando tappeti di porpora.
Prologo (vv.1-39)
La scena rappresenta la piazza d’Argo, in fondo alla quale sorge il palazzo di Agamennone. E’notte; una scolta sdraiata sul tetto, lottando con il sonno e con la noia (già da un anno adempie a questo ufficio imposto da Clitennestra) osserva se mai dal monte Aracneo risplenda il segnale della presa di Troia: una successione di fuochi, collocati convenientemente su loghi elevati, doveva in modo rapido annunziare dal monte Ida ad Argo l’eccidio della città di Priamo. E’ un uomo stanco, che prega per la propria pace e perché la Casa che gli serve sia liberata dalla maledizione che su essa incombe. Per star sveglio canta, ma il suo canto si trasforma in lamento sulle sorti della casa di Atreo. Improvvisamente, non appena ha invocato la liberazione da tanto dolore, vede risplendere la fiamma annunciatrice: le tenebre sono state squarciate, le lacrime si sono trasformate in gioia. La scolta vola a portare a Clitennestra l’annuncio.
Parodo (vv.40-257)
Nasce il giorno e una schiera di vecchi argivi giunge presso la reggia per salutare Clitennestra, rievocando le vicende del passate: gli inizi della spedizione, gli auguri apparsi sulle case degli Atridi, i venti contrari che ritardarono in Aulide la navigazione verso Troia, il sacrificio di Ifigenia, figlia di Agamennone e Clitennestra, imposto dalla dea Artemide e compiuto da Agamennone. L’animo del Coro ondeggia tra speranza e timore e, quasi ossessivamente, si augura che il bene trionfi.
La parodo fa da sfondo alla prima apparizione della regina.
Clitennestra esce dalla reggia per fare sacrifici sulle are davanti alle porte; nel frattempo il Coro di vecchi argivi, ancora pensando a Paride, afferma quanto sia inutile il sacrificio del peccatore. Loro, troppo vecchi per combattere, furono lasciati a casa, deboli alla stregua di fanciulli o di larve nei sogni, che vadano errando alla luce del giorno.
La regina lascia silenziosamente la scena e si avvia verso gli altari della città: è ancora “muta persona”, bisognerà aspettare per sentire la sua voce.
Se i vecchi sono troppo avanti in età per combattere, non sono troppo vecchi per cantare; e cantando ricordano quanto videro in cielo il giorno dalla partenza degli eroi argivi, e l’interpretazione datane dall’augure.
Apparvero due aquile che divorarono una lepre gravida di prole. Le aquile raffiguravano gli Atridi e la lepre raffigurava Troia, destinata a cadere il decimo anno dopo l’inizio della guerra, così come la lepre partorisce al decimo mese di gravidanza.
Ma Artemide, che presiede alle nascite e protegge le bestie, è irata e chiede, per essere placata, un altro sacrificio.
A questo punto la narrazione, che scorreva fluida, è interrotta da una lenta e grave meditazione sulla sovranità, sull’autorevolezza di Zeus, che ha imposto agi uomini la legge di “soffrire per diventare saggi”. Quando riprende il racconto degli avvenimenti, il ritmo si fa più concitato e teso. Soffia la tempesta, Agamennone esita, la flotta va in rovina, le Dea persiste nella sua ira, fino a che, senza mettere in discussione l’autorità dell’augure, il Re è indotto dall’ambizione e dal desiderio di comando a uccidere la propria creatura, la figlia Ifigenia.
I Episodio (vv.258-354)
Mentre il Coro pronuncia le ultime parole, Clitennestra giunge di nuovo sulla soglia del palazzo. Il Coro chiede ancora se vi siano notizie. Questa volta le regina risponde annunciando ai vecchi di Argo la caduta di Troia; dieci anni di dolore represso per la sua creatura si riflettono nelle sue parole. Poi, prorompe in una esplosione di retorica, per narrare come il messaggio della vittoria sia stato trasmesso da una fiaccola all’altra attraverso l’Egeo. Come il sole, o come la luna, o come una caudata cometa, la luce s’alza al di fuori delle tenebre, e mentre si trasmette da una cima all’altra, sembra mutare aspetto, e piomba infine sul tetto della reggia come un fulmine.
Poi, con un accento più cupo, la regina descrive quanto ella immagina sia avvenuto a Troia. I prigionieri piangono la morte dei loro cari, i conquistatori riposano.
La regina chiude sperando che l’esercito Acheo rispetti almeno la santità dei templi.
I Stasimo (vv.681-782)
Uscita di scena la regina, il Coro inizia un gioioso inno di ringraziamento agli Dei e commenta la colpa di Paride giustamente colpito dagli dei; rievoca la fuga di Elena, causa di tanti mali, e con essa il dolore di Menelao. Ma l’inno si chiude con parole di preoccupazione per Agamennone: gli dei non lasciano impunito chi è causa di tante morti.Iniziato con un ringraziamento per il trionfo del signore di Argo, lo stasimo passa gradatamente attraverso tutte le fasi dell’apprensione, fino all’angoscia più profonda. Se Paride è il punto di partenza di questo canto corale, l’attenzione si sposta su Agamennone e su un tema ricorrente di tutta la trilogia: il pericolo che si accompagna alla prosperità.
II Episodio (vv.489-680)
Entra in scena l’araldo Taltibio che, dopo aver salutato il sorgere del sole in un’estasi di gioia, rievoca le vicende della guerra, la gloria dell’esercito, ma anche il dolore e le fatiche subite, le sorti dei compagni che non hanno fatto ritorno.
Taltibio definisce Agamennone fortunato (eudaimon), non curandosi, l’araldo, di quanto ammoniva il detto popolare: nessuno può ritenersi fortunato fino al momento della morte.
Clitennestra ascolta in silenzio questa lunga narrazione, mostra di partecipare alla gioia dell’araldo ma nello stesso tempo lo congeda, invitandolo a sollecitare l’arrivo del marito, che lei vuole accogliere di persona.
Sollecitato dal Coro, prima di uscire di scena, Taltibio parla di Menelao e racconta della tempesta orribile che ha disperso molti greci sulla via del ritorno.
II stasimo (vv.681-809)
Rimasto solo, di nuovo e con sempre maggiore insistenza, il Coro ritorna ai suoi pensieri lugubri, ritorna lo spettro di Elena, della sua bellezza maledetta, causa di tante sciagure.
III episodio (vv.783-974)
Agamennone giunge sul cocchio regale alla testa di una processione trionfale; seguito da un altro cocchio in cui siede la schiava Cassandra. Al saluto dei vecchi, il re risponde evocando uno dei temi fondamentali dell’Orestea: la giustizia (il tema, già evocato del Coro, si trasferisce ora dall’orchestra alla scena, dai vecchi argivi ai protagonisti). Agamennone ringrazia gi dei e si compiace della punizione fatta subire ai Troiani.
Ora a parlare è Clitennestra, che, con enfatiche, ipocrite parole racconta le pene provate in lunghe veglie notturne, le attese consumate nella speranza di scorgere il segnale della vittoria, le ansie per il figlio Oreste…
In un crescendo di adulazioni nei confronti del marito, Clitennestra ordina alle ancelle di stendere tappeti purpurei sotto i piedi del suo signore e pronuncia parole di straordinaria doppiezza che, nel celebrare Agamennone, alludono in realtà al destino di morte che lo attende: “appaia, presto, un passaggio dal fondo scarlatto: Giustizia, lo guidi verso una dimora inattesa”.
Con fredda formalità il re ascolta l’invito, e inizialmente respinge l’atto di omaggio. Poi cede dinanzi alle insistenze della regina, ordina che gli siano sciolti i calzari e infine, prima di fare ingresso nel palazzo, rivolge l’attenzione sulla prigioniera Cassandra, chiedendo alla moglie di dare il benvenuto anche alla sua concubina.
Quando il re calca le sacre porpore, un altro flusso di opulente immagini sgorga dalla bocca di Clitennestra, e il suo discorso si fa suggestivo nel descrivere i pericoli dell’abbondanza.
III stasimo (vv. 975- 1034)
Ora la scena è vuota, il tema dello stasimo è la paura, che ha messo in fuga la speranza, e si esprime nel linguaggio di una profezia: nonostante il felice ritorno del suo re, il Coro è agitato sempre più da pensieri di imminente catastrofe.
IV episodio (vv.1035-1330)
Clitennestra riappare sulla scena e “invita” Cassandra ad entrare, poi, non volendo intrattenersi con una schiava - così dice - esce nuovamente di scena.
Cassandra non dà nessuna risposta, è assorta nei suoi pensieri, nelle sue visioni: la seconda vittima, la profetessa, conosce già il destino che la attende.
Dopo una lunga pausa si ode un gemito. E’ Cassandra che invoca Apollo. Poi, nel delirante empito della profezia, narra dei figli di Tieste massacrati tanto tempo prima, vede il delitto che si sta tramando nella casa, ode le Erinni ululare di gioia e le vede danzare sul tetto; e infine, con acuto dolore, piange sulla propria morte e sulla fine della casa di Priamo.
Quando esce dallo stato di ipnosi, Cassandra interpreta il canto delle Erinni, le furie vendicatrici: è il delitto di Atreo, padre di Agamennone, che con l’inganno aveva imbandito al fratello Tieste un banchetto con le carni dei suoi figli. Dopo aver raccontato di come avesse ricevuto da Apollo il dono della profezia, Cassandra ricade in trance, vede i figli di Tieste che le appaiono davanti agli occhi: è questo il delitto di cui Egisto (il figlio sopravvissuto di Tieste) vuole si sconti la pena.
Poi la profetessa annuncia ai vecchi Argivi l’imminente morte di Agamennone, la propria identica sorte, e presagisce il ritorno a casa dell’esule, di Oreste vendicatore.
Le sue ultime parole sono un appassionato lamento per il proprio destino e per quello di Agamennone, lei prigioniera e lui conquistatore, lei schiava e lui re, accomunati dalla stessa morte. Adesso Cassandra getta a terra le bende e il bastone profetico, saluta per l’ultima volta la luce del sole.
Il discorso di Cassandra, insieme ai primi due lunghi canti corali, fa luce sulle violenze perpetrate nelle casa degli Atridi, illumina i nessi di causa ed effetto che presiedono a questa catena di delitti efferati: ora il delitto compiuto da Clitennestra appare in rapporto con il passato e con il futuro, la tragedia è giunta al momento massimo di tensione drammatica.
Intermezzo corale (vv.1331-1342)
A questa catena di omicidi ed espiazioni fa riferimento un intermezzo corale che, con la sua brevità, crea un effetto di accelerazione del tempo, man mano che ci si approssima alla crisi. Al termine del canto, quando i vecchi argivi si accostano alla reggia, si è già creata la sensazione che al loro entrare nel palazzo si troveranno di fronte al terribile spettacolo.
Esodo (vv.1343-1673)
Si odono urla dall’interno della reggia. Le porte della scena si spalancano, offrendo la visione dei cadaveri di Agamennone e Cassandra stesi sulle porpore chiazzate di sangue, mentre Clitennestra è in piedi accanto a loro. Con voce esultante la donna si fa messaggera in prima persona del delitto perpetrato, dando finalmente libero sfogo al suo rancore. L’orrore dei vecchi si trasforma progressivamente in dolore.
Ora il personaggio di Clitennestra ci appare in piena luce. Nel corso di dieci anni l’amore per la primogenita Ifigenia si è trasformato in odio per l’uomo che l’ha sacrificata. Alla gelosia che le suscitava Cassandra e agli amori illeciti con Egisto fa solo un rapido accenno. La morte di Ifigenia campeggia con tutta la sua spietatezza e fa di Clitennestra un demone vendicatore. Non minacci il Coro, continua la regina, il bando o la lapidazione; lei non teme nulla e saprà resistergli: ciò che ha compiuto è un atto di giustizia.
Il Coro piange ora la misera sorte del suo re e annuncia nuove vicende di vendetta e di sangue. Questo canto corale che chiude l’Agamennone, introduce la seconda tragedia della trilogia, le Coefore.
Ultimo a entrare in scena è Egisto: per lui la morte di Agamennone è la vendetta della macabra cena di Tieste, suo padre. Se Clitennestra ha una forza di carattere e di propositi veramente “maschile” (sin dall’inizio della tragedia il suo è definito un cuore virile), Egisto è l’opposto, è colui che ha tramato nell’ombra la strage senza aver avuto il coraggio di portarla ad effetto. Per questo il Coro gli si rivolta contro, lo minaccia, sta per aggredirlo.
Ancora una volta interviene Clitennestra, esortando i vecchi argivi ad entrare nelle proprie case: da questo momento in poi - afferma – sarà lei a regnare su Argo insieme ad Egisto.
La tragedia si chiude lasciando nella mente del lettore-spettatore una sequenza di immagini: la rete da caccia con cui Clitennestra ha avvolto il re prima di ucciderlo, la bipenne assassina, i tappeti di porpora, le due aquile che agguantano la lepre gravida.
Ma, oltre a quelle del delitto efferato, nell’Agamennone dominano immagini minori di straordinaria suggestione: il sole e la luna, le stelle e le nevi dell’inverno, il mare con le sue inesauribili ricchezze, il grano che germoglia, l’uva che matura, il raccolto e la vendemmia, le fiaccole che risplendono nell’oscurità e si affievoliscono all’alba…
E il fatto che tutto il fastoso spettacolo della natura sia concepito come sfondo una sanguinario conflitto tra esseri umani non fa, per contrasto, che amplificarne la spietatezza.
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