Alcesti di Eschilo - siracusa tragedie greche

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
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Alcesti di Eschilo

Eschilo
Orestea di Eschilo: Eumenidi (trama)
Dopo il matricidio, inseguito dalle Erinni, Oreste si rifugia nel tempio di Apollo a Delfi. Quando la sacerdotessa del dio entra nel tempio per pregare, ne esce inorridita da una terribile visione: Oreste, supplice, con le mani insanguinate presso l’altare del dio, vigilato da una schiera ripugnante di donne che dormono e piangono sangue.
Quando la Pizia si allontana appaiono Apollo e Oreste: il dio esorta il figlio di Agamennone a non temere le Erinni persecutrici e a proseguire, accompagnato da Ermes, il lungo cammino espiatorio fino ad Atene, dove gli uomini lo assolveranno dalla sua colpa. Uscito di scena Oreste, le Erinni sono destate dall’ombra di Clitennestra che le sprona a non lasciarsi sfuggire la preda.
Le dee vendicatrici si destano e si preparano a inseguire il matricida.
Cambia il luogo della azione: Oreste è sull’Acropoli ateniese, supplice dinanzi al simulacro della dea Atena, quando le Erinni lo raggiungono minacciandolo di morte, mentre gli intrecciano attorno una danza selvaggia.
La dea lo protegge dalle Furie che lo incalzano e, ascoltate le accuse e le discolpe di entrambe le parti, decide di rimettere il giudizio a un tribunale di cittadini ateniesi scelti tra i migliori, da lei stessa costituito: il tribunale dell’Aeropago (per giudicare i delitti di sangue) che rimarrà eterna tutela della giustizia. Ha luogo il processo: il matricida è assolto grazie alla parità dei voti raggiunta con quello favorevole di Atena. Le Erinni sono inasprite dal verdetto, ma vengono subito placate dalla dea, la quale assicura loro un culto e onori nella città di Atene. Le dee tremende, divenute benevole (Eumenidi) e protettrici della città, vengono accompagnate dal popolo festante verso la nuova dimora sotterranea destinata al loro culto.
INDA 1960. Immagine di copertina raffigurante Oreste supplice e la dea Atena
Prologo (vv.1-139)
La parte iniziale delle Eumenidi si svolge nello spazio antistante il santuario delfico di Apollo. Dalla porta centrale del tempio esce la Pizia, la profetessa del dio, e recita una serena preghiera alle divinità venerate a Delfi. Ma subito dopo un’orribile visione sconvolge la sacerdotessa: un uomo dalle mani ancora insanguinate e supplice giace aggrappato all’omphalos delfico, la sacra pietra che rappresenta il centro della terra. E' Oreste, il figlio di Agamennone e Clitennestra, che per ordine di Apollo ha ucciso la madre assassina del padre. Adesso Oreste cerca la protezione del dio di Delfi. Intorno al matricida dorme l’orribile schiera delle Erinni, gli antichi e terrificanti demoni vendicatori dei delitti tra consanguinei, che da tempo lo perseguitano. Le mostruose divinità, dai cui occhi stillano ripugnanti umori, costituiscono il coro della tragedia. In chiusura della sua parte, la Pizia rientra nel tempio ed invoca Apollo perché purifichi il santuario da quelle presenze.
Dal tempio esce Apollo e si rivolge ad Oreste, esortando il supplice a non temere la vendetta delle Erinni. Il matricida dovrà però cercare la fine dei propri tormenti nella città della dea Pallade Atena. Eseguendo l’ordine di Apollo, Oreste parte alla volta di Atene, scortato da Ermes, un personaggio che nel dramma costituisce una comparsa muta. Alla fine dell'atto, Apollo rientra nel tempio.
Sulla scena appare l’ombra di Clitennestra: adirata si rivolge alle furie dormienti perché facciano il loro dovere, incitandole a dare la caccia al fuggitivo e a vendicare così il suo sangue. Poi il fantasma di Clitennestra svanisce, sprofondando.
Parodo (vv.140-178)
Ad una ad una si risvegliano le dee-demoni e rivendicano a sé il matricida. Abbandonando i seggi si rovesciano rabbiose nell’orchestra. Le Erinni inveiscono contro gli dei che proteggono Oreste e contro Apollo che ha fatto fuggire il matricida offendendo la giustizia.
I Episodio (vv.308-396)
Esce di nuovo dal tempio il dio armato del suo arco. Dopo un acceso diverbio in cui si fronteggiano poteri e privilegi degli antichi demoni e delle nuove divinità olimpiche, Apollo scaccia dal tempio le Erinni. Rientrato il dio nel tempio, la scena rimane per un istante completamente vuota.
Intanto cambia lo scenario. Contro ogni verosimiglianza spaziale e temporale, l’azione drammatica si sposta ad Atene, sull’Acropoli. Entra in scena Oreste e abbraccia la statua di Atena, invocando l’intervento salvifico della dea. Il matricida non riesce però a sfuggire alla persecuzione delle Erinni. I demoni, rientrati in scena "come cagne" che fiutano le tracce di sangue sul suolo, circondano Oreste in una danza selvaggia ed intonano un inno incatenante.
I stasimo (vv.308-396)
Le furie cantano una nenia incantatrice, come in un rituale magico circondano la vittima, perché cada in loro potere. Questa è la missione stabilita per loro per volontà divina: braccare gli assassini dei consanguinei, perseguitarli. Ma per la stessa ragione questa razza odiosa lorda di sangue, è odiata da tutti e non può partecipare ai banchetti degli dei: le Erinni sono delle escluse.
II episodio (vv.397-488)
Appare Atena, che in risposta all'invocazione di Oreste, è tornata ad Atene. La dea chiede subito informazioni sul caso. Tanto le Erinni quanto Oreste si rimettono al suo giudizio. Le Erinni si presentano come figlie della cupa Notte: Dannazione è il nome delle loro dimore, dicono. Soprattutto, si pongono come mandatarie di un’alta missione. A sua volta, Oreste afferma che la sua colpa già stata purificata da Apollo che lo ha inviato in quel luogo. Atena riconosce in Oreste il figlio di Agamennone accanto al quale combatté a Troia.
Designata come arbitro di una questione pressoché insolubile, Atena decide di istituire un apposito tribunale, costituito dai migliori uomini della città, che da quel momento in poi giudicherà esclusivamente i reati di sangue.
II Stasimo (vv.490-565)
Le Erinni affermano che se nuove leggi assolveranno il criminale e sarà loro negata la giusta azione punitrice, nuovi crimini saranno commessi, e sempre più mani di figli si leveranno ad uccidere e oltraggiare i padri e le madri. Anche il Terrore è opportuno, perché serve a porre un freno: l’equilibrio sorge dalla angoscia, l’empietà genera squilibrio. Non bisogna mai offendere Giustizia, neanche quando si gode di buona fortuna: nessuno tradisca il culto del padre e della madre e la lealtà verso gli ospiti. Chi coltiva la Giustizia non crollerà mai nella miseria.
III episodio (vv.566-777)
Ritorna Atena a capo dei giurati eletti. Quando ha inizio l'agone giudiziario, accusa e difesa espongono le proprie argomentazioni e presentano i propri testimoni. Le Erinni, sostenitrici del principio matriarcale, condannano l’azione del matricida, colpevole di avere versato il suo stesso sangue. Apollo, che nel frattempo è entrato in scena come testimone di Oreste, ne difende l’operato in nome del principio patriarcale: Oreste ha ucciso la madre per vendicare il padre. D’altra parte, afferma il dio, la madre nutre soltanto il seme, ma è il padre a generarlo. Padre senza madre può esistere, conclude: una testimonianza vivente è proprio la dea Atena, figlia di Zeus, che non crebbe nel grembo materno.
Atena suggella con un discorso la fondazione del tribunale: l’Areopago (così chiamato perché situato sul colle consacrato ad Ares), sarà, avvalendosi di Rispetto e Paura, il freno del popolo contro un iniqua condotta, purché la città non rivolti le leggi. E’ un tribunale che la corruzione non sfiora, venerando, ferreo.
Né senza una guida né sotto un tiranno, conclude la dea: “questo, o cittadini rispettosi, lo stato che vi consiglio”.
Al termine del dibattimento giudiziario, i giudici esprimono il loro voto. Atena, la dea nata dal padre, si esprime a favore di Oreste. La dea stabilisce che la parità di voti sarà sufficiente all’assoluzione dell’imputato. I voti risultano pari: il matricida è così assolto. Oreste promette eterna alleanza tra Argo ed Atene ed esce di scena. Ma il dramma non si è ancora concluso.
Esodo (vv.778-1047)
L’epilogo della tragedia e dell’intera trilogia è un dialogo serrato tra Atena e le Erinni. La dea, temendo la vendetta delle Erinni contro la sua città, riesce a persuadere i demoni a proteggere Atene. In cambio riceveranno eterni onori e una nuova sede del loro culto: d’ora in avanti il loro compito sarà quello di rendere prospero il paese, di fare aumentare le nascite, di fare scomparire l’empietà. Le Erinni si trasformano così nelle Eumenidi, “le Benevole”.
Le dèe, divenute dispensatrici di prosperità e fecondità, accompagnate da Atena e da un solenne corteo, si incamminano verso la loro nuova dimora: il santuario posto nel sottosuolo dell'Acropoli di Atene.
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