Francica Nava - nobili

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Nobili famiglie
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Francica Nava

Nobile famiglia di Siracusa, che possedette i feudi di Belliscara, Burgio o Torrevecchia, Bondifè, Carrubba, Cava della Donna e Magrentini, Conte o Ramasuli, Pancale, Tardello, ecc. Un Pietro fu giurato di Siracusa nell’anno 1680-81; un Giacinto fu capitano di giustizia di detta città nel 1701-2; un Ignazio fu giurato nel 1703-4; un Pietro, barone di Pancali, tenne la carica di capitano di giustizia nel 1717-18; un Ignazio, barone di Bondifè, ecc. nel 1736 è proposto giurato nobile di detta città di Siracusa; un Giuseppe, barone di Bondifè, fu giurato nobile nell’anno 1744-45 e capitano di giustizia nel 1750-51; un altro Ignazio fu senatore in detta città nel 1746-47; un barone Giacinto fu capitano di giustizia nel 1784-85 e un Giovanni tenne la carica di giurato nobile in detta città di Siracusa nel 1792-93. È oggi questa famiglia illustrata da Sua Eminenza Giuseppe Francica Nava di Bondifè, arcivescovo di Catania, cardinale di S. R. C.
Il titolo di Barone di Bondifé fu rinnovato nel 1913 a Gaetano, d' Orazio, di Giovanni, fratello di Pietro, rinunziante.
Barone di Belliscara, Burgio e Turrivecchia. Ultimo investito Giuseppe (1761).
Famiglia del secolo XVII, originaria di Siracusa.
Dimora Catania.
Arma: di rosso, al giglio d' oro accompagnato da quattro bisanti dello stesso, e la fascia del secondo attraversante. Alias: partito, nel 1° di Francica, che quello giàdescritto; nel 2° di Nava che è: bandato ondato d'oro e di rosso.
Libro d'Oro della Nobiltà Italiana.
Arma: di rosso, al giglio d’oro, accompagnato da quattro bisanti dello stesso e la fascia del secondo attraversante. Alias: partito: nel 1° di Francica, che è: di rosso, al giglio d’oro, accompagnato da quattro bisanti dello stesso e la fascia del secondo attraversante; nel 2° di Nava, che è: bandato ondato d’oro e di rosso.



Palazzo Francica - Nava,




FRANCICA NAVA, Giuseppe
Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 50 (1998)
di Salvatore Adorno


FRANCICA NAVA, Giovanni. -Nacque a Siracusa il 10 febbr. 1847, primogenito di Luigi e di Raffaella Bonanno Beneventano.
Il nonno paterno era Giovanni Francica Nava e Montalto barone di Bondifè (che possedeva in Val di Noto parecchi altri feudi e rispettive baronie: Cavadonna, Belliscala, Carrubba, Conte), quello materno Michele Bonanno barone del Maeggio. Il padre del F. era cadetto.
Alla morte del padre (3 marzo 1868) il F. fu dichiarato erede universale e nella divisione dell'asse ereditario, come da testamento, gli spettarono sette dodicesimi dell'intero patrimonio paterno, per un valore totale netto di lire 698.476,78.
Il patrimonio si componeva dell'ex feudo Carrubba, a seminativo e pascolo, di circa 800 ettari nel territorio di Melilli, di un podere irriguo con agrumi e vigne a Siracusa, in contrada Tremilia, di circa 50 ettari acquistato dal padre Luigi, di una grande dimora nobiliare nel pieno centro cittadino, di diversi canoni, soggiogazioni e capitali. Dall'analisi dei dati della Conservatoria dei registri immobiliari di Siracusa si nota un forte incremento del patrimonio immobiliare del F. (fondi agricoli e case) tra il 1871 e il 1900 (36 trascrizioni a favore in rapporto alle 8 registrate tra il 1900 e il 1932). Nel 1907 si evidenzia poi l'accettazione della cospicua eredità del fratello celibe Orazio, il quale era stato a sua volta erede universale dell'omonimo zio paterno. Attraverso questo passaggio una parte del patrimonio della famiglia si ricongiungeva nelle mani del Francica. A partire dal 1913 iniziò un intenso processo di vendite, caratterizzato dalla quotizzazione, nel periodo bellico e postbellico, degli ex feudi e dalla dismissione di case e terreni, con alcuni precetti che evidenziano situazioni di insolvenza. Questa fase, al contrario di quella precedente (caratterizzata da un normale giro di affari), sembra legata a una strategia di monetizzazione del patrimonio fondiario. Emerge inoltre una certa litigiosità familiare, legata ai contenziosi ereditari, di cui per altro si trova una traccia anche nel testamento. Complessivamente il patrimonio sembra avere seguito una parabola ascendente fino circa alla prima guerra mondiale, discendente nella fase successiva.
Il F. passò l'infanzia in vari collegi napoletani, affidato alle cure degli zii Bonanno insieme con le sorelle Anna e Margherita. Intorno al 1870 assunse la gestione del patrimonio paterno e iniziò la carriera politica a Siracusa, ove fu consigliere comunale dal 1873 al 1878 e dal 1888 al 1893.
In quel periodo il notabilato locale era diviso in due fazioni: i "tamburini" (dal nome del giornale Il Tamburo, loro portavoce) e i "provinciali". I primi si erano posti sotto il tutoraggio politico di A. di Rudinì, i secondi sotto quello di F. Crispi. Lo scontro fazionale si protrasse a lungo: il F. in breve tempo divenne prima uno fra i leader locali della fazione del Tamburo e poi il rappresentante parlamentare. Il suo primo importante incarico istituzionale fu la presidenza del Consiglio provinciale di Siracusa (1895), durante la quale fu varata una delle opere pubbliche che determinò il nuovo assetto urbanistico della città: il rettifilo.
Nel 1900 il F. si presentò come candidato del Tamburo al Parlamento e nel collegio di Siracusa batté agevolmente il radicale L. De Caprio. A livello nazionale le elezioni, come è noto, determinarono la sconfitta di L. Pelloux, ma il F., seguendo le sorti di A. di San Giuliano e della maggioranza della deputazione siciliana, passò immediatamente tra le fila dei giolittiani, dove sarebbe rimasto fino al 1913.
Durante il suo mandato il F. non sorresse col suo voto il ministero Pelloux, votò contro il ministero Saracco per la questione dello scioglimento della Camera del lavoro di Genova, non accordò mai né voto né fiducia ai due ministeri Sonnino, votò contro il ministero Fortis in occasione della clausola per i vini della Spagna, si schierò a favore del divorzio e dell'estensione del suffragio.
Scarsissimi furono gli interventi politici in Parlamento. I suoi avversari lo accusarono durante tutto l'arco del suo mandato di ministerialismo cronico e di ascarismo congenito, di immobilismo, superficialità e disimpegno politico. Egli si difese esaltando la propria coerenza politica nei confronti dell'indirizzo liberale incarnato da G. Giolitti. Alla verifica delle fonti emerge che egli svolse un tipico ruolo di raccordo politico tra centro e periferia. Fu presente in tutti i momenti di rivendicazione degli interessi locali, senza però mostrare particolare capacità strategica e incisività politica.
In ambito locale dovette sostenere due diversi tipi di opposizione. In primo luogo quella del composito movimento socialriformista che mise radici fra la piccola borghesia impiegatizia e delle professioni e che trovò il suo leader nella figura dell'avvocato E. Di Giovanni. Ma soprattutto egli dovette affrontare le lotte personali e fazionali che agitavano il notabilato locale. In questo caso erano l'andamento degli affari della borghesia del porto e gli umori più o meno soddisfatti per la distribuzione del potere locale a determinare fronde, cooptazioni, trasformismi che si ripercuotevano immediatamente sul consenso verso la sua azione parlamentare. Egli si legò stabilmente fin dall'inizio alla fazione maggioritaria del partito del Tamburo rappresentata da L. Vinci, grande proprietario terriero e sindaco per molti anni di Siracusa, nonché suo grande elettore.
Nelle elezioni del 1904 ebbe come avversario l'avvocato E. Giaracà, espressione dei circoli radicali e riformisti. Una candidatura debole. Il F. venne rieletto grazie all'appoggio esplicito del prefetto P. Veyrat. Nelle elezioni del 1909 non ebbe avversari. Ma a partire da quella data iniziò la fase discendente della sua carriera politica.
La cartina di tornasole fu rappresentata dalle elezioni per il rinnovo del Consiglio provinciale. In quell'occasione ebbe come avversario F. Di Natale, espressione di ambienti cattolici ma in grado di fare convergere su di sé il consenso di radicali e riformisti.
L'elezione era stata preceduta da una violenta polemica, montata ad arte dall'opposizione, per la chiusura della sezione siracusana della corte d'appello di Catania, tale da oscurare i suoi rapporti con la potente corporazione degli avvocati. Il F. fu costretto a intervenire personalmente presso il ministro di Grazia e Giustizia per ottenere la sollecita riapertura della sezione, ma la vicenda intaccò in modo sostanziale la sua credibilità, tanto che nelle elezioni provinciali subì la prima sconfitta, sia pure per soli 50 voti. Il F. rispose con un ricorso di invalidità delle elezioni per motivi formali, mentre un vasto fronte avversario, ricompattato intorno alla figura del Di Natale, chiedeva le sue dimissioni da deputato, non ritenendolo più legittimato a rappresentare gli interessi locali in Parlamento.
Tre eventi contribuirono a ridefinire gli equilibri politici locali: la crisi del Consiglio comunale del gennaio del 1911, la discussione parlamentare sulle convenzioni marittime, l'esito del ricorso di annullamento.
Riguardo al primo caso i tamburini s'impegnarono a recuperare la sconfitta in provincia con una affermazione nel capoluogo. Essi ricorsero alla tattica già più volte sperimentata di aprire la crisi amministrativa e di fare gestire la fase di transizione a un commissario straordinario. Grazie alla mediazione del prefetto e del F., il commissario si mostrò sensibile alle richieste del Tamburo. Egli si fece carico dell'approvazione del bilancio e inoltre, come già avvenuto in altre occasioni, determinò un sostanziale miglioramento, economico e di qualifiche, ai 214 impiegati comunali, precostituendo una base di consenso per l'amministrazione tamburina. Nel frattempo il F. e il Vinci avevano lavorato alla cooptazione di parte della fazione avversaria. Ciò permise al Tamburo di vincere le elezioni del gennaio 1911, riportando alla carica di sindaco, dopo una lunga parentesi, il Vinci. Si intreccia con questa vicenda l'altra relativa alle convenzioni marittime, tutta giocata sulla centralità della linea Napoli-Siracusa-Alessandria d'Egitto. La linea, prevista nel primo progetto Schanzer, era stata ridimensionata in quello Bettolo. Successivamente il F. ebbe promessa formale in Parlamento da parte di L. Luzzatti che la linea, oltre a entrare nel progetto definitivo delle convenzioni, sarebbe stata anche potenziata. La promessa fu mantenuta e salutata come una grande vittoria degli interessi locali. Ma nel clima avvelenato delle elezioni amministrative le fazioni si contesero il merito del risultato e, mentre Il Tamburo lo attribuiva totalmente al F., gli avversari lo rivendicavano all'azione svolta dalla commissione della Camera di commercio e del sindacato per i servizi marittimi, che aveva trattato direttamente e autonomamente la questione con gli uffici della capitale. Infine, nel luglio 1911, la sentenza del Consiglio di Stato, favorevole al ricorso, alleggerì di molto la posizione del Francica. A questo punto un quarto evento contribuì a riaprire definitivamente tutti i giochi politici locali: la morte all'inizio del 1912 del Di Natale, che costrinse l'opposizione a cercare un altro leader.
Nella nuova congiuntura politica locale che si apriva nel 1912 non sfuggì al F. che la battaglia decisiva si sarebbe giocata sul rinnovo delle convenzioni marittime in relazione alle nuove prospettive commerciali aperte dalla guerra di Libia, con l'istituzione della linea diretta per la Tripolitania e per Bengasi, particolarmente agognata dai Siracusani. La pressione degli interessi catanesi, che spingevano affinché le due linee avessero capolinea nel porto etneo, misero in agitazione i commercianti del porto di Siracusa, che mobilitarono tutti gli organismi, dalla Camera di commercio alla deputazione nazionale, per evitare questa eventualità e ottenere il capolinea per la città.
Il F. fu direttamente investito dal Tamburo per affrontare e risolvere il problema. In breve tempo nella contesa per il capolinea entrarono anche Palermo e Porto Empedocle. Il partito del F. riconobbe che come porto commerciale Catania aveva meriti e interessi di gran lunga maggiori. Decise così di puntare sul capolinea delle linee postali, che difatti il 26 ottobre fu attribuito a Siracusa con cadenza bisettimanale. La soluzione, opera di lunghe mediazioni parlamentari del F., non soddisfece la borghesia commerciale cittadina. La situazione precipitò poi nel luglio 1912 quando Catania ottenne il prolungamento dello scalo postale di Siracusa, assumendo di fatto la funzione di capolinea. L'opposizione scatenò un violento attacco contro il F.: soprattutto i radicali e socialriformisti comparavano i risultati ottenuti da G. De Felice Giuffrida a Catania con quelli del F. a Siracusa. In realtà tutta la deputazione parlamentare siciliana, in accordo col Sindacato marittimi siciliani, aveva spinto per estendere il privilegio di capolinea da Siracusa ai grandi porti di Messina, Catania e Palermo. La lunga vicenda delle convenzioni si concludeva per la città con il passaggio da 5 a 10 linee e da 229 a 540 approdi.
Ottimo risultato per IlTamburo, pessimo per le opposizioni che si fecero espressione delle lamentele delle grandi famiglie commerciali. Il riflesso sul piano politico fu quello di fare riaprire le grandi manovre per la successione al F. in vista delle elezioni del 1913. L'opposizione radicale e socialriformista si assestò sulla candidatura del Di Giovanni. Ma pericoli maggiori venivano ancora una volta dalla fronda interna e dal mondo notabile e mercantile che aveva deciso di abbandonare il F. perché insoddisfatto di come egli aveva gestito gli interessi locali in sede parlamentare. Così, nell'ottobre 1912, usciva LaVoce del popolo, a sostegno di un nuovo gruppo fazionale, favorevole alla candidatura del Giaracà, già avversario del F. nel 1904, che ora si spostava su posizioni moderate, sostenuto da gran parte del notabilato locale e perfino dal Vinci. Il F. in extremis cercò l'appoggio del leader dei radicali De Caprio; poi, abbandonato dagli alleati più fidati, decise che non si sarebbe presentato alle elezioni. Frattanto, il 16 ottobre aveva ricevuto la nomina a senatore, ripercorrendo un percorso garantito dalla prassi politica giolittiana.
L'attività senatoriale del F. fu marginale. Egli risiedette prevalentemente a Roma da dove curò gli affari familiari.
Morì a Roma l'8 luglio 1935.
Sposatosi in tarda età con Maria Verzaglia, figlia del conte Riccardo da Bologna, non ebbe figli e nominò erede della nuda proprietà dei suoi beni la locale Congregazione di Carità, con l'obbligo della costituzione di un'Opera pia volta a istituire legati di maritaggio per giovani orfane siracusane.
Fonti e Bibl.: L'archivio della famiglia Francica Nava è depositato presso l'Archivio di Stato di Siracusa (103 buste corredate da un inventario sommario): raccoglie documenti di carattere prevalentemente patrimoniale a partire dal 1600 fino alla prima metà del Novecento e qualche corrispondenza privata. Sono state consultate le seguenti buste più direttamente interessanti la figura del F.: 47, 55, 59, 65, 67, 85, 94, 99. Gli atti relativi alla divisione dell'eredità di Luigi Francica Nava sono conservati nella busta 36 dell'Archivio della famiglia Bonanno, anch'esso depositato presso l'Archivio di Stato di Siracusa. Per la ricostruzione dell'assetto patrimoniale sono stati anche consultati gli atti depositati presso la Conservatoria dei registri immobiliari di Siracusa, regg. 85, n. 16085; 294, n. 161108; 396, n. 98196 bis; 942, n. 981 96 ter; 1031, n. 6984 ter; 1301, n. 129 (testamento in data 21 sett. 1935, posizione 2907/11103); 1962, n. 141 bis. Per l'incartamento relativo al ricorso F. - Di Natale per le elezioni provinciali del 1910 si veda Roma, Arch. centr. dello Stato, Ministero degli Interni, Direzione amministrazione civile, Ufficio comunale e provinciale 1910-1922, Elezioni, b. 608, fasc. Siracusa.
Per la ricostruzione dell'attività politica del F.: Il Tamburo, 20 e 27 maggio, 24 giugno 1900; 17 luglio, 27 ott. 1904; 10 ott. 1909; 20 luglio, 7 e 21 agosto, 5, 8 e 13 dic. 1910; 18 marzo, 27 agosto, 3 e 24 settembre, 19 e 29 ott. 1911; 7 e 21 luglio, 27 ott. 1912; 4 maggio, 6 e 20 luglio, 10 e 24 agosto, 28 sett. 1913; Rinnovamento, 6 febbraio, 29 maggio, 5 e 19 giugno, 31 luglio, 7, 14, 21 e 28 agosto, 4 settembre, 20 nov. 1910; La Voce del popolo, 3 e 17 novembre, 15 dic. 1912; 21 febbraio, 27 aprile, 15 maggio, 3, 17 e 31 luglio, 10 e 24 ag. 1913. Cfr. inoltre: G. Reale, Lettera agli elettori del collegio di Siracusa, Siracusa 1900; Relazione del commissario prefettizio avv. L. Menichella, Siracusa 1911; Gli eletti alla rappresentanza nazionale per la XXII legislatura. Ritratti e biografie, Napoli 1906, ad vocem; Cimone [E. Faelli], I 508 di Montecitorio, Roma 1906, ad vocem; F. De Spucches, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia…, Palermo 1924-41, I, pp. 247, 387; VIII, p. 347; X, p. 182; E. Iachello, Ceti medi e riformismo nel Siracusano, I, La modernizzazione difficile. Città e campagna nel Mezzogiorno dall'età giolittiana al fascismo, Bari 1983, p. 301; A. Malatesta, Ministri, deputati e senatori dal 1848 al 1922, ad vocem.

FRANCICA NAVA, Giuseppe
Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 50 (1998)
di Giuseppe Monsagrati
FRANCICA NAVA, Giuseppe. - Nacque a Catania il 23 luglio 1846 da Giovanni, barone di Bondifè, e da Caterina Guttadauro dei principi di Reburdone. Entrambi i genitori appartenevano a famiglie di lontane origini spagnole; la madre, inoltre, era sorella di mons. Giovanni Guttadauro che, rettore del seminario di Catania, si prese cura dell'istruzione del F., facendogli compiere i primi studi in seminario e poi portandolo con sé a Caltanissetta, della cui diocesi era stato posto a capo nel 1859.
Ordinato sacerdote il 22 maggio 1869, nel novembre, dopo essere stato nominato cameriere segreto del papa, il F. era aggregato alla romana Accademia dei nobili ecclesiastici, un istituto dal quale era tradizione uscisse il ceto della diplomazia pontificia: vi rimase fino al 1877; frattanto seguiva i corsi dell'università Gregoriana, ove si laureò in teologia, e poi in utroque iure.
Esercitato già nel 1869 l'incarico di ablegato per consegnare il cappello cardinalizio all'arcivescovo di Lione, il F. non risentì negativamente per la posizione dello zio che, nel concilio Vaticano, il 13 luglio 1870 era stato tra i pochi a votare contro il dogma dell'infallibilità. In ogni caso, con Leone XIII, succeduto a Pio IX nel 1878, era iniziata un'altra era, soprattutto sotto il profilo dottrinale.
Il F. infatti era stato tra i primi a cogliere la novità dell'enciclica Aeterni patris (1879) ai fini di un rilancio del tomismo e, di ritorno a Caltanissetta nel 1879 con l'incarico di provicario generale e di rettore del locale seminario, vi aveva inaugurato i corsi dell'Accademia teologica di S. Tommaso, da poco istituita dallo zio, con un discorso De concordia rationis et fidei iuxta mentem divi Thomae (poi pubblicato a Palermo nel 1882). Più che di una vera e propria riflessione filosofica si trattava di una messa a punto pedagogico-pratica sul ruolo del tomismo nella moderna cultura cattolica e sulla sua utilizzabilità ai fini di un superamento dell'annoso contrasto scienza-fede. Nel complesso non era un contributo di pensiero di grande originalità; l'adesione al tomismo si caratterizzava più come premessa a una riscossa della Chiesa e a una riaffermazione della sua regalità che come spinta al rinnovamento della cultura cattolica.
E tuttavia il F. riceveva dal suo scritto un'ulteriore qualificazione che Roma premiava promuovendolo, il 9 ag. 1883, vescovo titolare di Alavanda: mantenne il posto di ausiliare dello zio fino al 24 maggio 1889, quando ebbe il titolo di arcivescovo di Eraclea e pochi giorni dopo (6 giugno) fu nominato nunzio apostolico in Belgio.
Le istruzioni con cui il F. arrivava a Bruxelles il 9 luglio gli illustravano la situazione interna del Belgio ricordandone l'economia florida, l'industria in espansione, un movimento operaio sviluppato ma poco conflittuale; la segreteria di Stato romana individuava il solo vero motivo di preoccupazione nelle divisioni delle forze politiche organizzate, di quelle liberali all'opposizione ma anche di quelle cattoliche al governo, spaccate quest'ultime tra il sostegno al primo ministro A. Bernaert, moderato ma sorretto da forti consensi nella borghesia medio-piccola, e il suo avversario C. Woeste, ex ministro della Giustizia più vicino al movimento cattolico di base e quindi più incline a inasprire lo scontro con le opposizioni: "conservare l'equilibrio e la giusta misura tra le diverse aspirazioni d'ambedue", suggerivano in proposito le istruzioni del Vaticano (Simon, p. 180) cui il F. si attenne prudentemente; ma mentre le altre avvertenze fornitegli alla partenza da Roma lo impegnavano relativamente poco (così il consiglio di ostacolare la riforma del servizio militare o quello di evitare di sollevare la questione dei cimiteri che i cattolici avrebbero voluto separati da quelli di altre confessioni), il problema delle divisioni della maggioranza cattolica di governo, esploso in tutta la sua gravità nel biennio 1892-94 con la contrapposizione tra fautori e oppositori della riforma del sistema elettorale, lo costrinse a una faticosa opera di mediazione tra il Bernaert, schierato a favore della proporzionale, e il Woeste che, dopo essersi inutilmente opposto all'allargamento dell'elettorato, guardava al sistema maggioritario come a quello più adatto per la difesa degli interessi dei cattolici.
Più volte il F. intervenne discretamente per scongiurare possibili crisi ministeriali e a Roma si apprezzò molto il fatto che egli riuscisse a frenare il Bernaert senza inimicarsi il Woeste. In merito al rapporto con i fedeli va detto inoltre che il F. privilegiò significativamente non tanto le organizzazioni cattoliche quanto il clero, a proposito del quale auspicò e favorì il miglioramento della preparazione. In tal senso va sottolineato il suo appoggio alla fondazione dell'Istituto superiore di filosofia tomistica presso l'università di Lovanio (1889) che, affidato alle cure di D. Mercier, nel corso degli anni si sarebbe ampliato affiancando agli originari corsi di filosofia e scienze una scuola di scienze sociali e politiche. Non sempre questo fervore parve produttivo al F. che ad esempio il 18 maggio 1891, reduce dalla prima visita a Lovanio, espresse qualche dubbio sull'effettiva percezione dell'importanza del tomismo da parte degli studenti belgi, così come in un dispaccio non datato del 1894 (contrassegnato col n. 205) criticava il mancato collegamento tra istituto di filosofia e scuola di scienze sociali perché riteneva che queste ultime andassero studiate solo come integrazione del tomismo; ma nell'insieme questa parte della sua esperienza belga lo persuase dell'efficacia dell'iniziativa lovaniese ai fini della formazione dei futuri ecclesiastici.
Richiamato in Italia all'inizio del 1895, il 18 marzo il F. era traslato alla diocesi di Catania. Era intenzione di Leone XIII rilanciare la presenza politica della Chiesa nella città etnea, ma le esigenze della diplomazia vaticana fecero sì che il F. fosse riconfermato anche nella carica di nunzio. Il 25 luglio 1896 gli fu assegnata la sede di Madrid: il F. vi giunse il 23 dic. 1896 e vi rimase fino al 5 dic. 1899, e, sebbene le origini della famiglia lo facessero sentire assai legato alla Spagna, la sua missione si rivelò molto meno stimolante di quella belga in quanto cadde in un periodo di grave travaglio interno del Regno iberico, allora sotto la reggenza di Maria Cristina nell'attesa che diventasse maggiorenne il futuro Alfonso XIII.
Provata dalla perdita dell'impero coloniale seguita alla sconfitta con gli Stati Uniti (1898), la Spagna doveva fronteggiare una profonda crisi economica e morale aggravata dalla disastrosa instabilità del ceto politico. I continui avvicendamenti ai vertici del governo ebbero nel F. un testimone preoccupato per le spinte centrifughe e per il risveglio del carlismo che quelle vicende avevano favorito: ciò gli impose un atteggiamento di estrema prudenza che lo indusse, nel rispetto delle raccomandazioni ricevute alla partenza da Roma, a mantenersi "neutrale nelle lotte di parte, a non suscitare diffidenze, né inclinare per uno piuttosto che per un altro partito" (Instrucciones, p. 310), ma finì anche per relegare in secondo piano gli scopi essenziali della sua missione, consistenti nel completamento del concordato del 1851.
Nel concistoro del 19 giugno 1899 Leone XIII annunziò la concessione della porpora al Francica. Per esigenze di servizio questi restò ancora alcuni mesi a Madrid in qualità di pronunzio, sicché il suo ritorno a Catania coincise con l'inizio del nuovo secolo.
Degli affari della diocesi catanese, ove vigeva il sistema della parrocchialità universa che concentrava tutto il potere spirituale nelle mani dell'arcivescovo, il F. aveva preso a occuparsi già nell'estate del 1897 quando, ottenuto un congedo trimestrale dalla nunziatura di Madrid, vi aveva compiuto la prima visita pastorale. Innovando completamente rispetto a colui che lo aveva preceduto (il cardinale G.B. Dusmet, morto nel 1894) e consapevole dell'insufficienza di un'azione puramente caritativa per combattere il disagio appena evidenziato dai Fasci siciliani, il F. non esitò a proiettare la fede sul terreno dei problemi sociali: a ciò lo avevano predisposto la sua cultura tomistica e gli anni trascorsi in Belgio durante i quali aveva assistito al forte sviluppo della legislazione sociale con il contributo decisivo del partito cattolico; a ciò lo indirizzava ora la persuasione che anche in Sicilia come nel resto del paese l'impegno diretto dei cattolici dovesse assecondare l'opera di diffusione e difesa della dottrina cristiana svolta dal clero. Favorì pertanto l'ingresso a Catania dell'Opera dei congressi, da lui considerata il momento associativo più idoneo a rilanciare la presenza attiva della Chiesa nella vita di un paese che gli pareva corrotto dal liberalismo e disgregato moralmente dagli stessi principî che ne avevano favorito l'unificazione.
Nel dare applicazione concreta a questi propositi di rinnovamento il F. curò che si approntasse una trama di strutture che comprendevano, "oltre il Circolo della gioventù democratica cristiana, quello degli Studenti Leone XIII, il Circolo universitario e l'Unione professionale che raduna gli operai sotto il vessillo della Democrazia cristiana" (Giarrizzo, p. 179). Nella sua attività non si avvertivano tanto le intenzioni di riscossa contro lo Stato liberale quanto l'idea che bene avesse fatto Leone XIII a superare l'intransigenza di Pio IX accettando la sfida delle nuove istituzioni là dove esse si erano rivelate insufficienti, e cioè nella soluzione di quei problemi delle masse per i quali il Vangelo sembrava potesse rivelarsi molto più efficace dello statuto. Più ancora stava a cuore al F., che certo non era un fautore della democrazia, il miglioramento della preparazione del clero cittadino soprattutto in campo liturgico, settore nel quale la tradizione ereditata dal passato aveva conservato elementi di esteriorità e perfino di superstizione che egli riteneva necessario combattere: in questo la traduzione di alcune opere del Mercier e poi l'invio a Lovanio dei migliori seminaristi siciliani gli parvero il rimedio più efficace contro il perdurare di un modello di sacerdote magari ben visto dai fedeli ma rozzo e incolto.
Tra il 1897 e il 1923 il F. effettuò sei visite pastorali, convocò un congresso eucaristico diocesano (1905), un congresso cattolico regionale e un'accademia musicale e letteraria (1908, anno del giubileo dell'episcopato); ma il momento più alto del suo apostolato fu costituito dal sinodo diocesano, riunito a Catania tra il 14 e il 16 apr. 1918: era il primo che si tenesse da 250 anni e, con i suoi 38 decreti, rappresentò il vero punto d'arrivo della linea pastorale seguita dal Francica. Poi venne la decadenza della vecchiaia. In questi anni sono da segnalare soltanto i preparativi per la celebrazione del ritorno delle reliquie di s. Agata (per l'occasione il 31 maggio 1926 il maestro L. Perosi inaugurò il nuovo organo del duomo); intanto era stata accolta la sua istanza per la nomina di mons. E. Ferraris, suo ausiliare dal 1911, a coadiutore con diritto di successione.
Il F. morì a Catania il 7 dic. 1928.
Fonti e Bibl.: Arch. segr. Vaticano, Nunziatura di Bruxelles, bb. 52-58; Nunziatura di Madrid, bb. 616-637 (le istruzioni sono state pubblicate da A. Simon, Instructions aux nonces de Bruxelles (1835-1889), Bruxelles-Rome 1961, ad Indicem; F. Diaz de Cerio - M.F. Nuñes y Muñoz, Instrucciones secretas a los nuncios de España en el siglo XIX (1847-1907), Roma 1989, ad Indicem); Arch. della Curia arcivescovile di Catania, Fondo Nava (utilizzato da G. Di Fazio, La prima visita pastorale di G. F.N. nella diocesi di Catania (1897-1899), in Ricerche di storia sociale e religiosa, n.s., VII [1978], 13, pp. 126-148, poi ripreso come introduzione al volume dello stesso La diocesi di Catania alla fine dell'Ottocento nella visita pastorale di G. F.N., Roma 1982); sempre al Di Fazio si deve la voce in Diz. stor. del movim. catt. in Italia 1860-1980, Casale Monferrato 1984, III, 1, s.v., e il profilo (in collaborazione con E. Piscione) Un neotomista siciliano: il card. G. F.N., in Sapienza, XXIV (1981), pp. 203-212. Più completo ma di difficile reperibilità è il lavoro di A. Toscano Deodati, Il card. G. F.N., arcivescovo di Catania, Milano 1962; qualche ulteriore indicazione si ricava dai necrologi della stampa catanese, in particolare del Giornale dell'Isola e del Corriere di Catania, nonché da F. Procaccini di Montescaglioso, La Pontificia Accademia dei nobili ecclesiastici, Roma 1889, p. 64; dalla Raccolta di scritti sulla cattedrale di Catania, a cura di A. Longo, Catania 1975, pp. 87 s., e da G. Giarrizzo, Catania, Bari 1986, ad Indicem. Per il ruolo avuto dal F. nello sviluppo del cattolicesimo sociale in Sicilia, A. Sindoni, Dal riformismo assolutistico al cattolicesimo sociale…, II, Roma 1984, ad Indicem. Per il sinodo del 1918 si veda la relazione Synodus diocesana Catanensis… celebrata anno MCMXVIII, Cataniae 1918.


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