Cimiteri Paleocristiani Giuseppe Agnello 1962 - Necropoli siracusane

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Archeologia
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Cimiteri Paleocristiani Giuseppe Agnello 1962

RECENTI SCOPERTE E STUDI SUI CIMITERI PALEOCRISTIANI DELLA SICILIA GIUSEPPE AGNELLO
Estratto dagli ATTI DEL VI CONGRESSO INTERNAZIONALE DI ARCHEOLOGIA CRISTIANA Ravenna, 23 - 29 settembre 1962

Degli scavi e ritrovamenti avvenuti in Sicilia sino al settembre del 1954 possediamo la sintetica e succosa relazione fatta al Congresso di Aix-en-Provence dal P. Antonio Ferrua (1). L'odierna relazione ha, dunque, scopo semplicemente integrativo; essa vuole essere, anche, una messa a punto di un problema di notevole importanza, dalla cui soluzione potrebbe dipendere la fortuna di una più approfondita conoscenza della Sicilia paleocristiana.
In questo quadro riassuntivo il posto di maggior rilievo, come sempre, è occupato da Siracusa, sia per il ricco complesso dei grandi cimiteri urbani, i soli generalmente noti, sia per i numerosi ipogei e piccoli gruppi catacombali, disseminati nella vasta distesa dell'altipiano ibleo.
Il cimitero di S. Giovanni, ritenuto il più vasto della città, è stato sottoposto ad una metodica esplorazione che ne ha rivelato e definito i confini.
Esso non nasconde più alcun mistero e le ipotesi che ne esageravano i limiti e l'estensione sono cadute di fronte al lavoro di scavo e alla realtà dei risultati conseguiti.
Altrettanto non si può dire per il cimitero di S. Lucia. Sebbene l'esplorazione iniziata nel 1954 abbia più che quadruplicato l'area del settore generalmente noto, tuttavia si ha ragione di ritenere che esso sia ben lontano dall'averci rivelato il suo aspetto completo (2). Resta inesplorato tutto il settore sottostante alla grande basilica omonima e al contiguo campo sportivo.

Per i cimiteri di Vigna Cassia e Santa Maria che, in realtà, possono considerarsi come un unico grande complesso, i lavori di sterramento, in fondo, non hanno modificato la pianta redatta dal Fiihrer. Ma dove questa pianta appare completamente superata è nel settore sovrastante al vecchio complesso, in cui, su vasto fronte ricavato dal taglio di un'antica latomia, successivamente interrata, abbiamo avuto la fortuna di trovare una serie di camere ipogeiche, di diversa grandezza, di cui era assolutamente insospettata l'esistenza. Dopo le prime tre, che sono state compiutamente illustrate da S. L. Agnello nella Rivista di Archeologia cristiana (3), ne son venute fuori altre sette, una delle quali, di così vaste proporzioni, da costituire un vero e proprio grande cimitero autonomo (fig. 1).

I problemi che queste camere ipogeiche, affiancate ai grandi complessi, sollevano, sono molti e ad essi si spera di poter dare, a suo tempo, una soluzione.
Restava ancora qualche dubbio in un settore della catacomba H, dove una gravissima frana sembrava precludere l'accesso ad un ambiente contiguo di più vasto sviluppo. Proprio in questi ultimi giorni abbiamo voluto rispondere all'interrogativo, praticando lo scavo dall'alto, nel settore retrostante alla frana.
Si è potuto accer¬tare che la diramazione non si spinge oltre.
Fig. 2
Pianta di uno degli ipogei scoperti in via Bignami.


Sorprese di notevole interesse continua a darci il suburbio. In ordine di tempo la scoperta più rilevante è quella di Via Bignami, a non oltre un centinaio di metri dalla catacomba di S. Lucia: scoperta occasionale, fatta durante i lavori di sistemazione della nuova fognatura urbana. La scavatrice, proprio in centro di strada, ha rivelato, attraverso un profondo squarcio, la presenza di due camere ipogeiche, di forma approssimativamente quadrata. Una è caratterizzata da diverse sepolture a mensa, da fosse terragne e da ossuari, costituiti da anforoni fittili e da cassette monolitiche (fig. 2).
Di particolare interesse Farcosolio orientale, decorato nel nicchione e sul fronte con opus musivo, formato di tesserine di pasta vitrea (fig. 3).
Fig. 3 —- Sarcofago con decorazione musiva scoperto nell'ipogeo di via Bignami.

È il più ricco ed interessante mosaico che fino ad ora ci sia stato restituito dalle catacombe siracusane. Sul fondo azzurro e verde cupo si attorcono tralci di vite, tra cui si ravvisano due volatili.
Nel centro è un disco circolare, accogliente una formella, ora scomparsa (fig. 4).
Fig. 4 — Particolare del mosaico dell'ipogeo di via Bignami.

Molto più semplice e meno ricca di corredo è la seconda camera, di forme regolari, attraversata da corridoio, lungo il quale, in uno dei lati, si susseguono tre arcosoli, coperti da lastroni in cotto.
Data l'ubicazione dell'ipogeo, si è creduto opportuno di asportare l'arcosolio col mosaico della prima stanza e situarlo, assieme al corredo mortuario, nell'antiquario della catacomba di S. Giovanni.
Di non minore importanza la scoperta avvenuta, in questi ultimi mesi, di due camere ipogeiche nella regione della Acradina orientale, dove l'Orsi, in tempi diversi, rivelò e illustrò non meno di una trentina di piccoli ipogei, sparsi in tutto il settore costiero che va da Pietralonga ai Cappuccini: ipogei che, a causa della com¬pleta mancanza di simboli specificamente cristiani, indussero lo scopritore a formulare l'ipotesi che si trattasse di ambienti appartenenti a comunità ebraiche o a sette ereticali e sincretistiche.
Le due camere di recente scoperte sorgono a pochi metri di distanza dall'ipogeo Attanasio, che fu uno dei primi ad attrarre l'attenzione dell'Orsi.
Sono state messe in vista durante i lavori preliminari effettuati per la costruzione di un grande stabile.
Le due camere, sebbene vicinissime, non sono intercomunicanti (fig. 5).
Fig. 5 Pianta dei due ipogei di via Arsenale.

La icnografia non differisce da, quella degli ipogei della regione, dove si avvicendano schemi di un'estrema semplicità: corridoio fiancheggiato, ai due lati, da arcosoli monosorni o polisomi; véstiboletti quadrati o rettangolari, in cui sboccano arcosoli con disposizione cruciforme; camere geometricamente ben riquadrate, in cui sono stati ricavati, direttamente nella roccia, grandi sepolture a sarcofago.
Quest'ultimo è, in fondo, lo schema degli ipogei Attanasio. I sarcofagi, perfettamente allineati, sono disposti in serie, lungo i lati di uno stretto passaggio che taglia in due la camera. Le prime tre file di sarcofagi rimangono in vista, mentre le ultime si affondano dentro grandi nicchioni semicircolari (fig. 6).

I sarcofagi, chiusi da lastroni in cotto, in gran parte integri, accolgono seppellimenti multipli. Abbastanza ricca la messe delle lucerne, di tipo vario, come vari sono i motivi in esse rappresentati; presente anche il tipo col monogramma. Manca, peraltro, ogni più specifico contrassegno di cristianità: circostanza, questa, che sembra convalidare, anche per i due nuovi ipogei, l'ipotesi dell'Orsi circa l'appartenenza a sette eterodosse.
Fuori Siracusa il sobborgo di Priolo, distante circa 10 chilometri, è quello che ha dato la sorpresa di nuove scoperte. Priolo, che sorge di fronte alla penisoletta di Magnisi — la Tapsus iacens virgiliana — fu centro di feconda vita cristiana, com'è attestato dalla basilichetta di S. Foca, del V secolo, e dalle catacombe di Riuzzo, Manomozza e Porchérie, che s'inseriscono, con una loro speciale caratteristica, nel quadro archeologico della Sicilia cristiana.
Una diligente ricognizione ha portato, qualche anno addietro, alla scoperta di un importante ipogeo, di diversi gruppi di tombe sub divo, e dei resti di un sobborgo da cui trassero vita e sviluppo i cimiteri circostanti (fig. 9).

L'ipogeo ha attaccato un fronte di roccia non molto elevato; è stato poi messo a profitto, con uno scavo a forte pendenza, il ricco banco calcareo retrostante e se n'è ricavato un ambiente di pianta alquanto irregolare, ma di notevoli proporzioni. Al pari degli altri cimiteri della contrada, l'interno era contrassegnato dalla presenza di sepolcri a baldacchino (fig. 7) e da piccoli recessi tagliati lungo le pareti. Ma i contadini, per meglio utilizzare l'ambiente, lo hanno dispogliato dei suoi tratti più caratteristici.
Fig. 7 — Sepolcri a baldacchino nell'ipogeo di Priolo.

È possibile, tuttavia, attraverso il rilievo delle tracce superstiti, tentare l'integrazione ideale delle strutture scomparse. La distruzione non è stata però tale da cancellare del tutto diverse iscrizioni, dipinte o graffite nelle pareti incrostate. Completamente sterile è risultato lo svuotamento dei diversi gruppi di sepolcreti sub divo, perché violati da tempo. Si son potute mettere in evidenza le forme architettoniche, ostentanti quasi tutte lo schema campanato. Una cosa è tuttavia certa: che lo studio di Priolo cristiana assume proporzioni sempre più ampie e meglio definite, pur non essendo ancora possibile identificare, dal punto di vista storico, quale sia stato questo centro di vita cristiana, di cui i numerosi ipogei costituiscono una prova di indiscussa validità.
È pure di questi ultimi mesi la scoperta di tutto un settore archeologico nella marina di Avola, di cui nessun sentore si era in precedenza avuto da parte di topografi e di studiosi locali. La vita di Avola si era svolta, in tutto il medioevo, sull'altipiano retrostante. Fu solo in seguito al terremoto del 1693 che la città si spostò nella pianura, a pochi chilometri dal mare. Però le testimonianze archeologiche furono, in ogni tempo, ricercate sull'altipiano, dove, in realtà, esse ricorrono con una certa frequenza.
Nel settore costiero nessun reperto era venuto fuori che potesse far pensare all'esistenza di qualche centro abitato. I numerosi ipogei cristiani, recentemente scoperti, ripropongono il problema.
La caratteristica di questi ipogei deriva, in gran parte, dal fatto che, mancando la vasta pianura di rilievi accidentati, gli scavatori non hanno potuto attaccare — com'è avvenuto, in generale, in tutti gli ipogei delle regioni rupestri — pareti di roccia, ma hanno dovuto praticare lo scavo in profondità, creando nel sottostante banco calcareo una parete artificiale, preceduta da vestibolo, in cui si sono poi addentrati per l'impianto della camera ipogeica. Data una tale topografia è facile spiegare come sia avvenuto, nel periodo in cui gli ipogei caddero in abbandono, il loro interramento e, quindi, la totale scomparsa che ne fece perdere le tracce.
È in progetto, con gli accordi e gli aiuti promessi dagli enti locali, una campagna di scavi, i cui risultati si prevedono fruttuosi.
Ma sono gli incessanti contributi che ci appresta l'esplorazione dell'altipiano ibleo, della regione modicana e della ragusana quelli che conferiscono un più definito risalto al quadro della Sicilia paleocristiana. Nella campagna esplorativa di tali contrade mi sono avvalso della collaborazione veramente preziosa dei miei allievi della Università di Catania, collaborazione alla quale devesi la conoscenza di un rilevante numero di catacombe e di ipogei, da me in parte pubblicati, e di non pochi altri, tuttora inediti.
Rientrano tra questi ultimi le camere ipogeiche dell'altipiano di Melilli, dove, tra le forme strutturali varie, ritornano la grande tomba a sarcofago e il sepolcro a baldacchino; i due complessi cimiteriali di Sortino, sorti col parziale sfruttamento di impervie pareti rocciose; la catacomba di Monterosso Almo che, pur nell'indegna trasformazione odierna, conserva molti elementi della sua bella struttura architettonica; le camere ipogeiche e i sepolcri isolati che sì aprono, come vuote occhiaie, in uno dei' costoni del monte Crimiti, lungo la strada che corre tra il sobborgo di Belvedere e Floridia; la necropoli di Fontane Bianche, nei pressi di Cassibiìe, aperta, con abile accorgimento, lungo le pareti di una collinetta, che domina la omonima, pittoresca insenatura ; gli sparsi sepolcreti, vari di forma, che si alternano, sull'altipiano di Cassibiìe, con le tombe sicule; le numerose camere sepolcrali disseminate in prossimità di Scicli; gli ipogei di Cozzo Pietro di Punta Castellazzo, nel territorio di Ispica, investiti recentemente nel corso di alcuni lavori stradali.
Si tratta di monumenti, su cui ho voluto richiamare l'attenzione del Congresso per dare un'idea della importanza di questo mondo cimiteriale, così poco noto, eppure così ricco d'interesse.
Dei monumenti editi ricordo quelli dell'agro netino: catacomba di Pantanello-Grattaluri, ipogei di Gisira e di Granieri, grotte del Murmurc, della Moneta e delle Lettighe (4); quelli dell'altipiano ispicese: S. Marco e Larderia (5); dell'altipiano di Ragusa: Celone, Cisternazza, Buttino (6). A questi debbono aggiungersi molti altri, di cui si possedeva qualche conoscenza generica attraverso l'opera del Fiihrer e dello Schultze, ma il cui studio dai miei allievi è stato ripreso con maggiore ricchezza di informazioni e, soprattutto, coll'apprestamento di un ricco e dimostrativo corredo grafico e fotografico. La conoscenza delle catacombe di Cozzo Guardiole e di S. Elania presso Canicattini, di Santolio e di S. Giovannello (fig. 8) nell'altipiano acrense ne esce approfondita. Contributi ricchi d'interesse che rimangono tuttora inediti.
Fig. 8 — Necropoli di S. Giovannello.

La ricerca di questi cimiteri rupestri non si era spinta, fino ad oggi, fuori dell'angolo sud-orientale dell'Isola e tutto faceva supporre che essi fossero caratteristici di una tale regione. Una segnalazione inaspettata mi è venuta, proprio quest'anno, da una mia allieva, la quale ha studiato un serie di ipogei, molto simili a quelli dell'altipiano siracusano, esistenti nel territorio nisseno, a non grande distanza da Mussomeli. La segnalazione ha un alto valore indicativo, perché allarga, in maniera imprevista, il campo delle nostre conoscenze.

Catania, dopo le scoperte di Via Dottor Consoli, delle quali ci resta solo la relazione preliminare del compianto prof. Libertini (7) — cimitero sub divo, resti di due tricore etc. — non ci ha dato nulla di nuovo, mentre una grandiosa favissa, con un ingente materiale di ceramica greca, è venuta fuori dal sottosuolo di piazza S. Francesco. Eppure la chiesa catanese — com'è attestato dalla famosa iscrizione di Giulia Fiorentina — dovette avere delle pagine illustri nella storia del martirio cristiano. La dispersione delle relative memorie monumentali ci riuscirebbe oggi assolutamente inspiegabile se non ne ritrovassimo la giustificazione nelle numerose eruzioni laviche che hanno coperto, come impenetrabile velario, il suolo della città e dei dintorni.
Anche nell'Agrigentino le nostre conoscenze restano ancora ferme alla catacomba Fragapane e ai vicini cimiteri sub divo, seppuie approfondite dalle indagini del Mercurelli e, in tempi più vicini, da qualche contributo del Griffo. Gli scavi in corso, che hanno messo allo scoperto ruderi imponenti della città ellenistico-romana, non hanno dato alcun contributo allo studio delle antichità cristiane.
Altrettanto può dirsi della regione lilibetana, dove il cristianesimo ebbe pure una particolare tradizione. Le catacombe di Marsala — quelle, per lo meno, note al Fuhrer e da lui descritte — non erano tali da poter dare un'idea adeguata del problema. In questi ultimi anni è stato riscoperto un settore di esse, di cui, in seguito a grave obliterazione, era sparito anche il ricordo (8).
Il bilancio è ancora più misero per la regione messinese, che nulla ha fino ad oggi dato, in fatto di antichità cristiane dell'alto medioevo, che valga a ricolmare la grave lacuna esistente. Le basilichette di S. Salvatore di Rometta e di Santa Domenica di Castiglione ci riportano in età bizantina e prenormanna e, quindi, del problema prospettano solo un lato assai ristretto.
A Palermo ha formato oggetto di attenzioni, in questi ultimi anni, la nota catacomba di Porta Ossuna; ma i lavori hanno avuto lo scopo di fare un po' di ordine, con opportuni ripulimenti e sgombri, in un ambiente caotico e tenebroso, il quale sembrava dovesse dar luogo a qualche sorpresa; era abbastanza diffusa, infatti, l'opinione che la catacomba avesse ancora dei settori inesplorati: opinione che è stata in pieno smentita dalla realtà dello scavo che le ha assegnati limiti ben definiti e sostanzialmente simili a quelli in precedenza conosciuti (9). Nell'insieme si tratta di monumento che non vale a darci un'idea, neppure approssimativa, di quelle che dovet¬tero essere le manifestazioni della vita cristiana primitiva nel Palermitano.
Non vi è dubbio che qui, come altrove, la povertà del bilancio debba mettersi in rapporto colla scarsezza delle indagini fino ad oggi compiute in un settore di ricerche, di cui solo da poco comincia a rilevarsi l'importanza. Nel feudo di Sufìana, tra Mazzarino e Piazza Armerina, è in corso, ad opera della Soprintendenza alle antichità di Agrigento, un'interessante campagna di scavi che ha già messo allo scoperto i ruderi di un centro abitato che va, colle sue diverse stratificazioni, dall'età greca sino ai primi secoli dell'impero. Gli scavi hanno accertato la presenza di una basilichetta cristiana a sistema allungato, ma con particolari icnografici del tutto nuovi e, nei dintorni, di una vasta necropoli con sepolcri ipogeici ancora quasi del tutto integri. La rivelazione, dovuta al prof. Adamasteanu, è del più grande interesse, perché ci viene da quel centro dell'Isola che ci aveva dato così scarse manifestazioni della vita cristiana.
Queste manifestazioni si fanno più frequenti nell'età bizantina e anche di esse la relazione del Ferrua ci dà un breve ragguaglio. Nessuna nuova acquisizione nell'ultimo quinquennio. Le scoperte più recenti restano, in fondo, quelle che furono da me studiate e pubblicate nel volume su « L'Architettura bizantina in Sicilia ».
Più ricche di risultati le ricerche nel campo delle arti minori, principalmente della pittura e nella scultura, che trovano adeguata illustrazione nel mio recentissimo volume su « Le Arti figurative nella Sicilia bizantina ».
Anche in questo campo le rivelazioni ci vengono quasi tutte dalla Sicilia sud-orientale. Appare quindi legittima la domanda: come spiegare questa profonda sperequazione che le diverse regioni dell'Isola ci presentano? E, in queste condizioni, possiamo affermare di conoscere la Sicilia paleocristiana?
Se mettiamo a confronto i risultati fino ad oggi ottenuti con quelle che sono le esigenze di una visione organica di tutto il complesso problema, dobbiamo sinceramente riconoscere che essi rappresentano ben povera cosa.
Allo stato attuale il tentativo di redigere una carta archeologica della Sicilia cristiana non riuscirà certo né lungo né difficile, perché il tracciato si estenderà, come si è avuto occasione di rilevare, ad alcuni settori del territorio siracusano e, in forma molto più limitata, al territorio agrigentino e lilibetano. Aggiungo che lo stesso settore siracusano, il più vasto e il meglio conosciuto, è lungi dall'averci disvelato tutto il suo mondo sotterraneo. D'altra parte, molti degli stessi monumenti, che vengono considerati generalmente editi, hanno bisogno di essere presentati in forma scientificamente più accettabile.
Ora, se il quadro appare così lacunoso e pieno di zone d'ombra in questo settore della Sicilia, che dire del resto dell'Isola dove la diversità degli orientamenti e degli interessi scientifici non richiamò mai l'attenzione sui monumenti paleocristani e, quindi, non ne fu mai rilevata la necessità dello studio?
La Sicilia classica ha, com'è noto, formato l'oggetto di indagini assidue e costruttive da parte di scienziati italiani e stranieri. Ma è stata una visione particolaristica, che ha nociuto alla conoscenza delle civiltà, non meno grandi e suggestive, che si sono in essa succedute. Il processo eli rivalutazione e di valorizzazione non è stato, purtroppo, rapido e non si può certo dire che in esso l'interesse per la Sicilia cristiana si sia inserito con le dovute proporzioni. Si è solo sviluppato un interesse riflesso e quasi marginale, in molti casi determinato da semplici necessità burocratiche.
Oggi, per fortuna, sono venuti meno molti dei preconcetti tendenti a stabilire delle graduazioni gerarchiche tra le varie civiltà, le quali, invece, rappresentando i diversi aspetti di un ininterrotto processo storico, che s'identifica colla vita millenaria dell'Isola, appaiono egualmente importanti. Lo studio della Sicilia paleocristiana si riconnette, oltretutto, a quello della diffusione del primo cristianesimo nell'Isola. Esso acquista, perciò, un rilievo così importante che c'è da meravigliarsi come sia entrato con tanto ritardo nella gara delle indagini archeologiche.
Forse dal Congresso odierno, attraverso la visione realistica di quelli che sono i termini del problema, potrà essere indicata la via che conduca alla desiderata soluzione. Ciò avrebbe, indubbiamente, un efficace riverbero nella ripresa degli studi di archeologia, ripresa che dovrebbe essere affiancata da una forma di attività pratica, diretta a rivelare prima, e a mettere, poi, in valore numerosi monumenti che rimangono tuttora ignorati.
Il raggio di azione è certo molto vasto e, quindi, il lavoro da svolgere appare fortemente impegnativo. L'iniziativa isolata, per le sue limitate possibilità, appare più facilmente realizzabile attraverso un'azione associata, che sia il frutto di una vera e propria collaborazione di sforzi.
Mi sia consentito di avanzare qualche proposta. L'azione delle Soprintendenze ai monumenti, pur essendo, coll'attuale ordinamento assai complessa, è resa più agevole, com'è noto, dalla cooperazione degli ispettori onorari, molti dei quali svolgono opera assai proficua. Ad essi potrebbe essere affidato un primo e fondamentale lavoro: quello della ricognizione. Essi dovrebbero, in altre parole, svolgere, nel ristretto ambito del loro territorio, una metodica azione esplorativa e render conto alle Soprintendenze delle eventuali scoperte. Purtroppo non si possiedono carte archeologiche aggiornate; comunque, là dove esistono, raramente sono posti in rilievo i modesti monumenti paleocristiani, ridotti, nella maggior parte dei casi, in stalle o in oscure abitazioni di pastori. A questa prima azione dovrebbe poi seguire quella dello scavo e, successivamente, l'illustrazione scientifica.
Per lo scavo entra in giuoco la questione finanziaria. Cimiteri ipogeici e sub divo sono quasi sempre interrati. Occorrerebbe ripulirli per metterne in vista la struttura. I mezzi? Con le assegnazioni ordinarie le Soprintendenze non riescono a fronteggiare i bisogni più vitali ed urgenti. Penso, tuttavia, che si potrebbe iniziare con interventi non impegnativi, purché effettuati con carattere di continuità. Si dovrebbe inoltre procedere al lavoro delle notifiche, perché si continua tuttora a distruggere senza che gli organi di tutela intervengano per arrestare lo scempio.
So bene che in ciò interferisce un problema di natura giuridica. In virtù dell'art. 33 del Concordato, è, infatti, rilasciata alla Santa Sede e, per essa, alla Pontificia Commissione di Archeologia Sacra la disponibilità delle catacombe con l'obbligo della manutenzione e conservazione. Virtualmente le Soprintendenze vengono liberate, in questo settore, da ogni responsabilità.
È da osservare però che l'articolo del Concordato, almeno in Sicilia, non trova ancora generale applicazione, ma vale solo per quei centri dove è stato effettuato il passaggio dalle Soprintendenze alla Pontificia Commissione. Tale è il caso di Siracusa che, per la Sicilia, costituisce, fino ad ora, un fatto isolato. Fuori del territorio di questa città continuano le Soprintendenze a svolgere il loro compito tradizionale anche per i cimiteri paleocristiani. Ma, anche nel caso di interferenza, non dovrebbe essere diffìcile trovare possibilità risolutive, quando si è animati da sinceri interessi culturali, come è avvenuto, ad esempio, a Catania negli scavi di Via Dottor Consoli.
Il problema relativo alla illustrazione e divulgazione del patrimonio monumentale ignorato è in stretto rapporto con le esigenze poste precedentemente in rilievo, di cui appare come una diretta conseguenza. È chiaro che, quando gli studiosi potranno avvantaggiarsi di tutti quegli elementi di informazione di cui dispongono le Soprintendenze, molte delle difficoltà iniziali, che ritardano e rendono difficile l'illustrazione dei vari monumenti, verranno automaticamente a cadere.

NOTE
(1) A. FERRTJA., Scoperte fatte nel Lazio e nell'Italia Meridionale : Actes du V Congrés International d'Archeologie Chrétienne Città del Vaticano 1957) 147-158.
(2) S. L. AGNELLO, Recenti esplorazioni nelle Catacombe Siracusane di S. Lucia: Rivista di Archeologia Cristiana 30 (1954) 7-60. IDEM, Recenti esplorazioni nelle Catacombe Siracusane di S. Lucia: Rivista di Archeologia Cristiana 31 (1955) 7-50.
(3) S. L. AGNELLO, Nuovi ipogei scoperti nel cimitero di Vigna Cassia: Notizie degli Scavi di antichità 9 (1955) 221-265. IDEM, Lavori di sistemazione nelle catacombe siracusane di Vigna Cassia: Archivio Storico Siracusano 2 (1956) 45-64. IDEM, Scavi recenti nelle catacombe di Vigna Cassia a Siracusa: Rivista di Archeologia Cristiana
32 (1956) 7-27.
(4) G. AGNELLO, Sicilia cristiana. I monumenti dell'agro netino: Rivista di Archeologia cristiana 30 (1954) 169-188. IDEM. I monumenti dell'agro netino part. II: Rivista di Archeologia Cristiana 31 (1955) 201-222.
(5) IDEM, Sicilia Paleocristiana: Catacombe inedite dell'altipiano ispicese: Miscel¬lanea Mons. Giulio Belvederi (Roma 1954) 245-257. IDEM, Catacombe inedite di Cava d'Ispica: Rivista di Archeologia Cristiana 35 (1959) 87-104.
(6) IDEM, Sicilia cristiana. Le catacombe dell'altipiano di Ragusa: Rivista di Archeologia Cristiana 29 (1953) 67-87. IDEM, Rilievi strutturali e sepolcrali a baldacchino nelle catacombe di Sicilia: Actes du V Congrès International d'Archeologie Chrétienne (Città del Vaticano Ì957) 291-301.
(7) G. LIBERTINI, Catania. Necropoli romana e avanzi bizantini nella Via Dott. Consoli: Notizie Scavi 10 (1956) 170-189.
(8) V. ANSELMI, Catacombe cristiane scoperte a Marsala: L'Ora (Palermo, 5 agosto 1961).
(9) R. GRILLO, A proposito di una scoperta. Il sepolcro cristiano di Porta d'Ossuna in Palermo: Sicilia Serafica (Palermo, aprile-maggio 1959).

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