Storia
Pilifonisti siciliani
I POLIFONISTI SICILIANI DEL XVI E XVII SECOLO- Ottavio Tiby- Flaccovio editore Palermo.
LA VITA E LA CULTURA IN SICILIA NEI SECOLI XVI E XVII
Le condizioni sociali e culturali della Sicilia nei secoli XVI e XVII sono state già da tempo indagate e più di una volta descritte nell'epoca nostra. Non fanno difetto i documenti, sopratutto non fa difetto, per quei secoli e pei successivi, l'attività di storiografi e di cronisti; quella attività per la quale il repertorio storiografico siciliano doveva divenire uno dei più ingenti, per mole e per importanza intrinseca, fra quelli delle regioni d'Italia. Per gli scrittori cinque-secentisti la Sicilia è tutto: è nazione, è regno, è campo di civili contese, è patria d'una letteratura che poetava anche in « lingua nazionale »: il siciliano. Sullo sfondo della narrazione, soltanto sullo sfondo, è l'Italia, la Spagna, il restante mondo.
Non c'è bisogno di dire qui quali inconvenienti portasse seco questa concezione regionalistica della vita civile, conseguenza anzitutto d'una particolare positura geo¬grafica invitante all'isolamento, poi di avvenimenti politici che avevano valso a dare alla Sicilia una fisionomia ed una tradizione propria come altre regioni italiane non ebbero. Noi oggi vediamo benissimo tali inconvenienti; non così allora, quando l'idea della regione, del « regno », come al¬lora si diceva correntemente, era sì grande e vivida, da superare anche le contese municipali che furono tanto vivaci, specie fra oriente ed occidente (era una lontana conseguenza delle contrastanti comunità greche e fenicie dei primordi storici isolani?). Il nome della Sicilia riunisce i Siciliani tutti, e il senso di fierezza civile di cui essi appaiono pervasi all'idea dell'isola natia serve a distinguerli fra i sudditi delle altre province italiane sottomesse allora alla Spagna. La Sicilia è anch'essa una « piccola nave rimorchiata dal gran galeone spagnuolo », ma le sue progredite isti¬tuzioni parlamentari che non assomigliano a quelle di al¬cuna regione italiana, gli ordini e le libertà del paese sono alla base della distinzione. La Sicilia ha il suo parlamento, la sua bandiera, la sua moneta, il suo naviglio, i suoi con¬soli all'estero; e tanta è l'importanza del regno, che in alcuni casi gli inviati siciliani hanno il passo, nell'ordine delle precedenze, su quelli di Scozia, Ungheria, Boemia, Polonia e Venezia . Delle sue proteste ai voleri di Madrid, delle sue resistenze al prepotere spagnuolo è piena la storia dell'isola in quei secoli .
Tuttavia la vita siciliana ignora le raffinatezze civili di altre provincie italiane. La Sicilia non ebbe mai alla sua testa una signoria che assomigliasse a quella dei Medici, dei Gonzaga, degli Estensi, dei della Rovere. Anche se fra i Viceré vi furono uomini d'ingegno e amanti delle cose belle — come quel Marcantonio Colonna duca di Tagliacozzo, uno dei capi a Lepanto, che governò la Sicilia dal 1577 al 1584 — pure essi mostrarono sempre un fondamentale disinteresse che li straniava dal progresso intellettuale del paese ch'era loro affidato; per converso, curarono fin troppo i loro personali interessi. Fra fasto e miseria, tra fanatismo e indifferenza, tra rigorismo e dissolutezza procede per decenni e decenni questa vita isolana, nella quale cogliamo ora episodi di spietata repressione, ora fastose cerimonie che allietavano la plebe non meno della aristocrazia, ora momenti di grande fervore intellettuale. L'incoronazione del sovrano, la morte di una regina, l'insediamento d'un viceré o il suo commiato (sovente niente affatto cordiale), il ritrovamento delle reliquie d'un santo, la scoperta d'un complotto, un feroce delitto, una manifestazione d'intransigenza religiosa, un'incursione turchesca sulle coste: son questi gli avvenimenti di risalto sullo scor¬rere dei giorni e degli anni. Ma intanto, oltre i grandi signori, gli alti funzionari, i meschini borghesi, la plebe affaticata, la Sicilia ha anch'essa i suoi studiosi, i suoi eruditi, i suoi poeti, i suoi musicisti; ed è di costoro che dobbiamo qui principalmente occuparci.
Nel Cinquecento la nobiltà aveva abbandonato da tempo i castelli feudali per condursi nelle maggiori città, segnatamente nella capitale. Palermo è fedele al motto che la dice Prima sedes, corona regis, regni caput. Leggiamo quel che scrive di essa nel 1585 don Pedro de Cisneros, segretario del viceré Colonna, in una relazione preparata pel successore di questi, che fu don Diego Enriquez de Guz- man, conte di Albadelista: « Questa città è la migliore di Sicilia, ed avendo io corso quasi tutta l'Europa, conosco senza veruna passione che non ha invidia alle altre città d'Italia così per magnificenza, cose meccaniche, grandezze, ricchezze ed altro che si ricercano per potersi mettere nel numero delle città sontuose... Se poi si volesse dire qualche piccola cosa della nobiltà e grandezza e politica con la quale vivono li titolati di questo regno, che quasi tutti habi- tano in questa città, havrei bisogno di lunghissimi discorsi. Solo posso assicurare che per concetti superbi, corteggio, per gravità nel trattare, per mode di habiti et altro non hanno invidia alli Grandi della Corte di Madrid » .
È noto che la cultura siciliana ebbe valore universale all'epoca sveva, sotto Federico II \ Dagli Svevi agli Angioini vi fu certamente decadenza, ma sulle condizioni intellettuali dell'isola nel Tre-Quattrocento non abbiamo informazioni molto dettagliate: qualche notizia qua e là, scarsi lampi che illuminano una notte fonda. Comunque, non vi fu continuità di tradizioni culturali fra la Sicilia sveva del Duecento e la Sicilia spagnuola di tre secoli dopo.
Durante l'Umanesimo, a Messina, famoso L'insegnamento di lingua e letteratura greca cui aveva dato lustro Costantino Lascaris (1421): fu non soltanto felice frutto dell'incontro fra i profughi d'Oriente e le comunità_monastiche basiliane stabilitesi nella città del Faro , ma anche avvenimento capace di far vibrare il sentimento isolano, non immemore dei trascorsi storici di Sicilia (immigrazione ellenica, dominio bizantino, monachismo di rito orientale). Tuttavia quest'attività umanistica ha riflessi soltanto nell'erudizione , ed a base di comune conoscenza e cultura resta il latino, che ancora nella seconda metà del Cinquecento ha poeti accurati ed eleganti. Aumenta la diffusione dell'idioma volgare italiano, ormai universalmente usato, nel pieno del secolo, per ogni manifestazione del pensiero e dell'arte, così per la lirica come per l'epica e la drammatica. Accanto ad esso il dialetto, lingua della nazione, ha la sua parte; quel dialetto che nei secoli precedenti i monaci non hanno esitato a scrivere servendosi dell'alfabeto greco, pei loro volgarizzamenti evangelici o per altre scritte religiose . Nei primi documenti cinquecenteschi il volgare italiano e il dialetto siciliano si urtano e si me¬scolano stranamente; poi il secondo resta nella poesia, alla quale apporta qualcosa dell'arte e del pensiero del popolo. Finalmente una quinta lingua c'è da ricordare, ed è lo spagnuolo, necessariamente di moda in una Italia larga¬mente ispanizzata qual era quella dell'epoca. Non fu soltanto la lingua degli atti ufficiali, né quella elegante delle corti viceregie, ma anche, per piaggeria o per necessità, quella di scrittori e di poeti.
Tutta questa letteratura quadrilingue (si lasci da parte il greco, che non ebbe in Sicilia una vera pratica let¬teraria), se non assurse a forme veramente originali ed ispirate, se visse costantemente di imitazione (molto dovrà ancora trascorrere prima che compaia in Giovanni Meli un grande poeta che onora non pure la Sicilia, ma l'Italia intera), tutta questa letteratura, diciamo, vale tuttavia, nella sua prosperità, a fornirci elementi per giudicare degli studi e della cultura dell'isola. Ai siciliani che nel Quattrocento sono andati fuori di Sicilia ad insegnare — un Aurispa, un Panormita, un Casserino, un Ranzano, un Marineo — succedono in rigogliosa fioritura più generazioni di eruditi, di storici, di scienziati, soprattutto di cultori di lettere. Mentre Gerolamo Di Giovanni e Tommaso Ballo imitano il Tasso, l'uno nella Palermo trionfante (1600), l'altro nel¬la Palermo liberata (1612), altri molti si pongono sulla scia del non dimenticato cantore di Laura, al quale la lirica erotica si conserva fedele; ma contemporaneamente compiono replicate incursioni nel campo del sentimento religioso, che si mescola in curiosa guisa al petrarchismo. Né dimenticano Virgilio, ché in Sicilia gli spiriti virgilianifurono sempre desti non meno di quelli del Petrarca. Altro autore che ebbe fra noi molti imitatori fu poi il Sannazzaro. Tali i numi che ispirarono l'opera poetica di Antonio Veneziano (JL543-l593T~detto il SiculoTetrarca. di Seba- \j ' stiano Bagolino (1560-1604) che fu buon musicista oltre che poeta, di Antonio Alfano (...-1578), di Luigi Eredia (...-1604), di Argisto Giuffredi ( 1535P-1593 ); né man¬cano alla completezza del quadro tragediografi come Ga¬spare Licco ( 1549P-1619) e Bartolo Sirillo (...-1598). Non mancano neppure le Saffo: a Palermo le sorelle Marta, Laura e Onofria Bonanno, a Messina Anna Maria Ardoino, tutte celebratissime quali poetesse. Intanto la scuola dei Gagini (dal sec. XV al XVII) produce squisite sculture e Vincenzo da Pavia (...-1557), Gerolamo Alibrandi (1470- 1524) e più tardi Pietro Novelli (1603-1647) continuano nella pittura i fasti quattrocenteschi di Antonello da Mes¬sina. Storici come Tommaso Fazello (1498-1570), Ottavio Gaetani (1566-1620), Rocco Pirri (1577-1651) scrutano il passato dell'isola e pubblicano opere che anche oggi non si può non consultare e citare. Studi di cultura giuridica originali e vasti si perseguono nelle maggiori città siciliane, mentre un anatomico, Gian Filippo Ingrassia, protomedico generale di Sicilia, illustra la scienza e un uomo come Francesco Maurolico, che fu insieme matematico, storico, poeta, filosofo e perfino stratega, dimostra che anche la Sicilia ebbe i suoi « uomini del Rinascimento », dal vastissimo campo di conoscenze, dalla curiosità vivida e pron¬ta. Carlo d'Aragona duca di Terranova, Ottavio d'Aragona, Gastone Spinola hanno rinomanza per abilità politica e valore guerriero, che acquistano militando nei Paesi Bassi sotto le bandiere della Spagna, agli ordini di Alessandro Farnese duca di Parma o di don Giovanni d'Austria. Come essi giovani cavalieri di casa Branciforti, di casa Platamone, d'altre illustri famiglie sicule hanno combattuto sulle rivedella Schelda e della Mosa e parecchi vi sono caduti . Palermo si arricchisce di edifizi pubblici e riceve con speciali festeggiamenti il quadro di Raffaello Sanzio che per la sua destinazione si chiamerà poi « la Madonna dello Spasimo », dalla chiesa omonima. Catania e Messina, quella Messina il cui spirito di rivalità giunge perfino a discutere i diritti di Pa¬lermo ad essere la capitale dell'Isola, non sono anche esse da meno nell'adornarsi, nel dar compimento ad opere di pubblica utilità . « Sicilia, de le Muse antico nido » — canta Simone Rau Requesenz. Architettura, pittura, scultura, poesia e musica si uniscono nelle feste, nei trionfi or lieti or funebri coi quali si osannano re e viceré, regine e viceregine.
Declinando il secolo, incomincia anche in Sicilia quel processo di disgregazione che si verifica in tutta Italia nel Seicento. Cangiano gli uomini e gli ideali, al Classicismo subentra anche in Sicilia il Barocco. Tuttavia un nuovo grande astro spunta nel campo delle lettere al quale si volgono intenti gli occhi, ed è Torquato Tasso, di cui si le¬varono subito altissimi qui la fama e il grido. D'ora in poi nei canti dei poeti isolani saranno mescolati gli influssi dell'autore del Canzoniere e del cantore della Gerusalemme.