I Cilliri - musicisti siracusani

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Musicisti cantori attori
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I Cilliri

I CILLIRI

Carlo Muratori                                                                        Antonio Paguni


la musica e le canzoni dei Cilliri

IL RACCONTO DEL DEBUTTO
Il 20 aprile del 1977 è un mercoledì e come spesso avviene la Rai tv manda in onda importanti incontri internazionali di calcio. Quella sera scenderà in campo la Juventus per la semifinale di ritorno della coppa UEFA contro l’AEK di Atene. Ma, quasi contemporaneamente, la sala del TRABOCCHETTO, nota discoteca in via delle Carceri Vecchie a Siracusa, è gremita di un pubblico che ha preferito la musica alle partite di pallone, il lirismo all’agonismo. C’è anche un signore anziano che si aggira nervosamente fra la folla. Con in mano una mezza cicca fumante a tratti aspira voluttuosamente liberando nell’aria grandi spire di fumo. Va su e giù fra il corridoio della sala e il retro palco a chiedere continuamente che ora fosse e quando iniziasse lo spettacolo. Alto, slanciato, il passo ora leggermente incerto sulla gamba sinistra, da giovane doveva essere stato certamente un bel ragazzo. Quel signore è Antonino Trommino, per molti ‘u zu Ninu, e sta aspettando con ansia che l’amplificazione finisca finalmente di gracchiare, che questo maledetto vociare di pubblico si zittisca e che i suoi ragazzi inizino a suonare. Li ha ospitati nella sua casa per mesi, ha dato loro libri e raccontato storie, accennato canti, melodie e antichi modi di dire; ha pure anticipato qualche milione di lire per comprare loro una amplificazione, dei microfoni, cavi e aste. Il tutto per arrivare a questo momento. Perché diventassero un gruppo musicale, un nuovo complesso folk, come e meglio di quelli a cui egli aveva partecipato per cinquanta anni e più. Qualcuno da qualche mese lo aveva invitato a mettersi da parte per raggiunti limiti di età, e questo lo aveva ferito tanto nell’orgoglio, portandolo alla decisione di costituirlo lui adesso il suo gruppo, nuovo, di sana pianta. A suo modo era la sua rivincita. Aveva confidato questo suo desiderio ad Antonio Paguni, percussionista di tante formazioni folk aretusee ora sulla piazza e insieme si erano messi alla ricerca di voci, musicisti, idee, persone. Si erano imbattuti per caso nel chitarrista rock Carlo Muratori, di giorno impiegato alla Federbraccianti CGIL, di sera solista e artista in cerca d’autore. Ora, per qualche concerto, è prestato alla musica folk con i Cori Val d’Anapo per dare una mano al mitico maestro Corrado Maranci. Quella sera i due Antonio erano andati a sentire i Cori a Noto, rimanendo colpiti dal suono nuovo di una chitarra, quella di Carlo, inedita e particolare per il folk. Sotto il palco lo avevano atteso e gli avevano chiesto di unirsi al progetto. Lo avevano incuriosito e alla fine lo avevano convinto. Il chitarrista, lontanissimo dagli ambienti musicali folkloristici, cominciò a studiare la materia scrupolosamente, scartando d’un colpo tutti i brani che all’epoca costituivano i repertori tradizionali e che lui, politicizzato chitarrista fan di Guccini, De Andrè e i Led Zappelin, detestava amorevolmente. Rivolse invece la sua attenzione ai canti del lavoro, della protesta, alle filastrocche fanciullesche del popolo siciliano. Cercava la sua personale strada rock e cantautorale nelle pieghe antiche della musica siciliana, un folk sì, ma di impegno. Chiese libri e ricordi a lo zu Ninu, testimonianze e memorie vive, e lui glieli recuperò, gli raccontò tutto ciò che sapeva, usi e costumi e storie personali. Cominciarono a scendere in profondità quei ragazzi, spingendosi in un luogo frequentato prima solo dagli studiosi e dagli storici. Si convinsero alla fine, protetti e spronati dall’ormai immancabile figura dello zu Ninu, che era arrivato il tempo di riportare in vita la vera cultura del popolo siciliano, quella espressa dalla sua vera identità e civiltà mediterranea. Frutto delle origini greco, arabo, latine, andaluse che caratterizzavano le collezioni degli studiosi dell’ottocento come Pitrè, Favara, Avolio, Salomone Marino, e che negli anni 50 Antonino Uccello, maestro elementare di Palazzolo Acreide e fondatore della Casa Museo, aveva inciso sugli Lp Era Sicilia e Canti di carcere e mafia.  Un enorme bagaglio di poesia e musica che mancava misteriosamente dall’esperienza dei gruppi folk in costume che rappresentavano, com’era in voga in quegli anni, una visione finto romantica di una Sicilia arcadica e naif, giusta per i dopolavoro e per i villaggi turistici.
Ora però serviva una voce per interpretare i nuovi brani che man mano Carlo scriveva. Una voce morbida ma possente, in grado di poter eseguire facilmente i melismi insiti nelle melodie. Per trovarla Muratori fu portato a fare un giro su un pullman di linea al cui volante era seduto un tipo, non più giovanissimo, ma con ancora con il fuoco dentro. Gaetano Fiorito, per tutti Tano, fra un sorpasso e una fermata cantava i successi di Claudio Villa e Al Bano mentre guidava il suo bus, facendosi applaudire dai fortunati viaggiatori stupefatti. Tano aveva già avuto delle esperienze folk con Antonio Paguni in un gruppo locale. Carlo gli propose di far parte del nuovo gruppo.



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