Paleolitico
tratto da: Servizio Museo Archeologico Regionale " Paolo Orsi"- Progetto Scuola-Museo- n.1 Il Paleolitico nel siracusano
DOCUMENTAZIONE PDF TESTO COMPLETO n.1 Il Paleolitico nel siracusano
Lorenzo Guzzardi IL PALEOLITICO NEL SIRACUSANO
In un rapido excursus sul Paleolitico nel siracusano e nell'estremo sud d'Europa è necessario riferirsi all'ultima era geologica, il Quaternario, che si fa iniziare almeno 1.800.000 anni fa. In questa era distinguiamo il Pleistocene, che è il periodo caratterizzato dalle cinque glaciazioni di Donau, Gùnz, Mindel, Riss e Wùrm (dai nomi del Danubio - Donau - e dei suoi affluenti, nel cui territorio le glaciazioni furono studiate, dai primi del '900), e l'Olocene, che è il periodo più recente, quello in cui viviamo, posteriore alle glaciazioni.
La Sicilia nel Pleistocene inferiore (cioè nella fase più antica del Quaternario, alla quale seguono il Pleistocene medio e il Pleistocene superiore), in un periodo che si data a poco prima di un milione di anni fa, era caratterizzata da estesi e profondi bacini marini (fig. 1). Uno di questi mari separava la piattaforma iblea, cioè il sud-est dell'isola, dalla porzione centro-occidentale e nord-orientale, estendendosi nell'area etnea dove solo intorno a 500.000 anni fa si verificarono le eruzioni e le formazioni vulcaniche dell'Etna.
Le trasgressioni e le regressioni marine del Quaternario sono connesse con gli stadi interglaciali e con le cinque glaciazioni, che secondo alcuni studiosi sarebbero state precedute da una più antica, denominata Biber. Durante la fase glaciale si verificarono le regressioni, cioè abbassamenti del livello del mare; con lo scioglimento dei ghiacciai nelle fasi interglaciali si ebbero, al contrario, le trasgressioni, cioè innalzamenti del livello del mare.
Lorenzo Guzzardi IL PALEOLITICO NEL SIRACUSANO
In un rapido excursus sul Paleolitico nel siracusano e nell'estremo sud d'Europa è necessario riferirsi all'ultima era geologica, il Quaternario, che si fa iniziare almeno 1.800.000 anni fa. In questa era distinguiamo il Pleistocene, che è il periodo caratterizzato dalle cinque glaciazioni di Donau, Gùnz, Mindel, Riss e Wùrm (dai nomi del Danubio - Donau - e dei suoi affluenti, nel cui territorio le glaciazioni furono studiate, dai primi del '900), e l'Olocene, che è il periodo più recente, quello in cui viviamo, posteriore alle glaciazioni.
La Sicilia nel Pleistocene inferiore (cioè nella fase più antica del Quaternario, alla quale seguono il Pleistocene medio e il Pleistocene superiore), in un periodo che si data a poco prima di un milione di anni fa, era caratterizzata da estesi e profondi bacini marini (fig. 1). Uno di questi mari separava la piattaforma iblea, cioè il sud-est dell'isola, dalla porzione centro-occidentale e nord-orientale, estendendosi nell'area etnea dove solo intorno a 500.000 anni fa si verificarono le eruzioni e le formazioni vulcaniche dell'Etna.
Le trasgressioni e le regressioni marine del Quaternario sono connesse con gli stadi interglaciali e con le cinque glaciazioni, che secondo alcuni studiosi sarebbero state precedute da una più antica, denominata Biber. Durante la fase glaciale si verificarono le regressioni, cioè abbassamenti del livello del mare; con lo scioglimento dei ghiacciai nelle fasi interglaciali si ebbero, al contrario, le trasgressioni, cioè innalzamenti del livello del mare.
In questi periodi si datano alcuni degli stadi faunistici individuati in Sicilia da geologi e paleontologi ed in particolare, per la regione iblea:
lo stadio di Spinagallo con fauna a Elephasfalconeri (l'elefante nano ritrovato anche nella Grotta Spinagallo nella piana di Floridia, due esemplari del quale sono riproposti nel Museo Archeologico Regionale "Paolo Orsi" di Siracusa) che si data nel Pleistocene medio, intorno a 500.000 anni fa;
lo stadio di Maccagnone con fauna a Elephas mnaidriensis e Hippopotamuspentlandi, che si data nel Pleistocene superiore, intorno a 130.000 anni fa.
Si conoscono in Sicilia altri due stadi, uno più antico, che precede quello di Spinagallo, noto come stadio di Monte Pellegrino, con fauna a Pellegrinia panormensis, ed uno più recente, successivo a quello di Maccagnone, noto come stadio di Castello, con fauna a Equus hydruntinus, del quale fa parte l'Homo sapiens.
Ricordiamo che al Fusco, dove importanti scavi della Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Siracusa hanno evidenziato l'esistenza dello stadio di Maccagnone, disponiamo di una datazione di 146.800 + 28.700 anni per i livelli con E. mnaidriensis, E. antiquus e ti. pentlandi, ottenuta con il metodo di datazione della risonanza di spin elettronico.
lo stadio di Spinagallo con fauna a Elephasfalconeri (l'elefante nano ritrovato anche nella Grotta Spinagallo nella piana di Floridia, due esemplari del quale sono riproposti nel Museo Archeologico Regionale "Paolo Orsi" di Siracusa) che si data nel Pleistocene medio, intorno a 500.000 anni fa;
lo stadio di Maccagnone con fauna a Elephas mnaidriensis e Hippopotamuspentlandi, che si data nel Pleistocene superiore, intorno a 130.000 anni fa.
Si conoscono in Sicilia altri due stadi, uno più antico, che precede quello di Spinagallo, noto come stadio di Monte Pellegrino, con fauna a Pellegrinia panormensis, ed uno più recente, successivo a quello di Maccagnone, noto come stadio di Castello, con fauna a Equus hydruntinus, del quale fa parte l'Homo sapiens.
Ricordiamo che al Fusco, dove importanti scavi della Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Siracusa hanno evidenziato l'esistenza dello stadio di Maccagnone, disponiamo di una datazione di 146.800 + 28.700 anni per i livelli con E. mnaidriensis, E. antiquus e ti. pentlandi, ottenuta con il metodo di datazione della risonanza di spin elettronico.
IL PALEOLITICO INFERIORE
Il Paleolitico inferiore in Sicilia è conosciuto in base a rinvenimenti avvenuti a partire dagli anni Settanta dello scorso secolo dapprima nell'agrigentino, ad opera soprattutto di Bianchini, e poi nel catanese lungo i terrazzi del Simeto. Nel siracusano sono segnalati dieci reperti da Noto Antica. Per quanto riguarda questa fase non disponiamo di precisi dati stratigrafici. Si tratta di reperti che vengono spesso da rinvenimenti di superfìcie, la maggior parte su terrazzi fluviali molto antichi, per cui la datazione è incerta e si basa su aspetti tipologici. Gli esemplari di choppers e chopping-tools (ciottoli scheggiati rispettivamente su una sola faccia e su due facce) individuati nell'agrigentino, a Torre di Monterosso, Faro Rossello e Bertolino di Mare si inquadrano fra le manifestazioni più antiche del Paleolitico. Essi precedono probabilmente i bifacciali amigdaloidi dell'Acheuleano (fase che prende il nome dalla località francese di Saint-Acheul nel Bacino della Somme) rinvenuti anche nella penisola italiana a Venosa e Isernia La Pineta e databili intorno a 700.000 anni fa.
Nella Sicilia orientale manufatti come quelli di Poggio Monaco sono relativi a industrie principalmente su scheggia; sono molto attestati i raschiatoi.
Per Piperno i più antichi manufatti su ciottolo e su scheggia siciliani sono databili in un periodo successivo ai 500.000 anni fa, in relazione al fatto che movimenti tettonici e vulcanici portarono in quell'età alla formazione dell'Etna, sulle cui falde sono ubicati alcuni fra i siti da cui provengono tali manufatti.
A seguito dei suddetti eventi tettonici, tutto il territorio fino ad allora occupato dal mare fra il ragusano, il siracusano, il palermitano e la parte centrale dell'isola, pian piano emerse. La Sicilia cominciò così ad avere una forma più o meno simile all'attuale.
IL PALEOLITICO MEDIO
Il Paleolitico medio in Sicilia, allo stato attuale delle ricerche, è poco documentato. Si conoscono solo alcuni indizi di dubbia collocazione cronologica.
Tra 60.000 e 50.000 anni fa, nel pleniglaciale inferiore del Wùrm - ovvero nel primo dei due periodi di maggiore estensione dei ghiacciai, intervallati da un interpleniglaciale più temperato si può ipotizzare un collegamento tra Sicilia e Malta. Per i ricordati fenomeni di regressione e trasgressione marina è possibile che Malta sia stata collegata al ragusano e al siracusano o comunque sia stata molto vicina, ad una distanza tale da poter far presumere un passaggio attraverso il mare.
Nel Museo di Ghar Dalam a Malta sono esposti due denti umani, importanti esemplari che già nel 1917 erano stati indicati quali indizio di una possibile presenza di Homo neanderthalensis a Malta; si tratta di denti che vengono definiti dagli antropologi taurodonti; sono cioè delle forme molto grosse di molari con una parte sottile della radice, caratteristica tipica proprio dell'uomo di Neanderthal; potrebbe trattarsi anche di una patologia, ma è interessante che questo tipo di testimonianza sia stata trovata a Malta, di cui non si esclude un antico collegamento con la Sicilia. Ma a parte tale indizio, di dubbia collocazione stratigrafica, e le ipotesi di datazione al Paleolitico medio relative a un focolare nell'area dell'agrigentino e a qualche selce o quarzite lavorata nell'area della Sicilia orientale, non abbiano elementi sicuri per stabilire la presenza dell'uomo in Sicilia e a Malta in questo periodo.
IL PALEOLITICO SUPERIORE Numerosi sono i siti in Sicilia riferibili al Paleolitico superiore, periodo il cui inizio è databile nell'isola a circa 35.000 anni fa (fig. 2).
Molti sono noti da tempo - grazie alle ricerche di Vaufrey, Bernabò Brea, Laplace - e conosciuti in letteratura; oggi disponiamo di vari dati di cui alcuni relativi a recenti rinvenimenti nella Sicilia sud-orientale, cioè nelle province di Siracusa e Ragusa. In questo territorio
abbiamo una presenza molto consistente di siti del Paleolitico superiore: Vallone Maccaudo, Cozzo Telegrafo, Campolato, Vallone Amara, Punta Izzo, Roccarazzo, Pedagaggi, Riparo di San Corrado, Canicattini Bagni, Grotta Giovanna, Grotta Lazzaro, Riparo di Contrada Stafenna, Grotta Corruggi, Fontana Nuova (fig. 3).
1)Vallone Maccaudo, Cozzo Telegrafo
2)Campolato, Vallone Amara
3)Punta Izzo
4)Roccarazzo
5)Pedagaggi
6)Riparo di San Corrado
7)Canicattini Bagni
8)Grotta Giovanna
9)Grotta Lazzaro
10) Riparo di Contrada Stafenna
11 ) Grotta Corruggi
12) Riparo di Fontana Nuova
1)Vallone Maccaudo, Cozzo Telegrafo
2)Campolato, Vallone Amara
3)Punta Izzo
4)Roccarazzo
5)Pedagaggi
6)Riparo di San Corrado
7)Canicattini Bagni
8)Grotta Giovanna
9)Grotta Lazzaro
10) Riparo di Contrada Stafenna
11 ) Grotta Corruggi
12) Riparo di Fontana Nuova
3 - Principali siti del Paleolitico superiore nella Sicilia sud-orientale
Il Riparo di Fontana Nuova, a circa tre chilometri da Marina di Ragusa, alto circa tre metri e poco profondo, rappresenta il sito più a sud d'Europa riferibile all'Aurignaziano (la fase antica del Paleolitico superiore, caratterizzata da industrie principalmente su lama che prende il nome dalla località francese di Aurignac nell'Alta Garonna), nonché l'unico riconosciuto con certezza in Sicilia per questa facies culturale.
Fu il proprietario Barone Grimaldi di Calamenzana, che vi scavò nel 1914, a far pervenire una cassettina di più di cento utensili e più di cento schegge, quasi tutte in selce, al Museo di Siracusa (fig. 4).
Negli anni '40 dello scorso secolo Luigi Bernabò Brea riconobbe negli strumenti di Fontana Nuova l'Aurignaziano medio e identificò nello scavo tre strati e i resti di Cervus elaphus, Sus scrofa, Bosprimigenius, Vulpes vulpes e Homo sapiens. Bernabò Brea sottolineò dei confronti con strumenti litici francesi, provenienti da siti della Dordogna: lame strozzate, grattatoi carenati o a muso. In Italia si trovano confronti con le industrie litiche provenienti da Riparo Mochi in Liguria, Grotta della Cala in Campania e Grotta Paglieti in Puglia: si tratta di contesti stratigrafici precisi per i quali si dispone di datazioni assolute ottenute con il metodo del radiocarbonio.
Attraverso i riferimenti cronologici assoluti dell'Aurignaziano in Italia (32.000-29.000 anni dal presente), che per quanto concerne l'Aurignaziano medio trovano puntuali riscontri stratigrafici in particolare al Riparo Mochi, è stata proposta per Fontana Nuova una datazione a 30.000 anni dal presente, cioè in un momento compreso fra 54.000 e 24.000 anni fa, età finale del pleniglaciale inferiore e iniziale del pleniglaciale superiore di
Wùrm.
Ma sull'inquadramento cronologico ci sono posizioni discordanti. Una datazione ad un Aurignaziano medio evoluto è proposta da Bernabò Brea, ripreso da Laplace. Ma non mancano
confronti, che avevamo già indicato, con l'industria francese dell'Abri Caminade, in Dordogna, dell'Aurignaziano antico o I, per i quali pure Gioia propone la datazione ad una fase antica dell'Aurignaziano. Palma di Cesnola preferisce indicare l'industria litica di Fontana Nuova come una facies periferica probabilmente attardata. Martini, invece, nel sottolineare la rarità dei grattatoi carenati e l'assenza dell'industria su osso, ben attestata invece nelT Aurignaziano francese, ritiene che si possa parlare di una facies regionale.
Dato interessante per quanto riguarda Fontana Nuova è il ritrovamento di un cilindretto in calcare con due serie di tacche incise parallele. Si possono citare confronti, sempre con la Francia, con oggetti in osso con tacche incise, i cosiddetti marque de chasse, che sembrano riferirsi a dei conteggi, forse di animali uccisi. Ma non si può escludere che si tratti di elementi decorativi. Recenti ricerche hanno dimostrato che le selci di Fontana Nuova provengono dallo strato geologico del Membro Amerillo affiorante nella zona di Monterosso Almo e da Monte ludica, il che indica uno spostamento notevole del piccolo gruppo di popolazione umana attestato per quel periodo nell'isola.
Nelle recenti ricerche, effettuate da Chilardi ed altri, sui resti faunistici rinvenuti a Fontana Nuova, ora conservati al Museo Archeologico Regionale "Paolo Orsi", si sono potute fare interessanti osservazioni sullo sfruttamento delle risorse faunistiche: si è registrato che gli animali più utilizzati per l'alimentazione erano i cervi; i resti di questi animali sono molto abbondanti e comprendono diverse vertebre spezzate al fine di estrarne il midollo. Si è potuta riconoscere, nella statistica dei resti faunistici, una presenza di arti posteriori di gran lunga maggiore rispetto alle altre parti del corpo, il che fa ritenere che la macellazione di questi cervi avvenisse lontano dalla grotta.
Il sito di Fontana Nuova è il più antico del Paleolitico superiore conosciuto in Sicilia. Gli altri insediamenti sono tutti più tardi. Ma da alcuni anni iniziano ad essere segnalati elementi che potrebbero riferirsi alle fasi più antiche del Paleolitico superiore. In particolare nel sito di Vallone Maccaudo, nel siracusano, sono stati rinvenuti negli anni Sessanta dello scorso secolo, ma editi recentemente da Russo, alcuni livelli che si daterebbero ad un momento precedente a Fontana Nuova anche da un punto di vista stratigrafico. Si tratta però di pochi oggetti, in particolare un coltello di Chàtelperron, punta lavorata sul dorso (caratteristica della fase chiamata Castelperroniano, dalla località francese di Chàtelperron nella regione del Perigord, fase molto antica del Paleolitico superiore francese contemporanea al momento più antico deU'Aurignaziano) e un bulino a ritocchi trasversali (fig. 5).
Wùrm.
Ma sull'inquadramento cronologico ci sono posizioni discordanti. Una datazione ad un Aurignaziano medio evoluto è proposta da Bernabò Brea, ripreso da Laplace. Ma non mancano
confronti, che avevamo già indicato, con l'industria francese dell'Abri Caminade, in Dordogna, dell'Aurignaziano antico o I, per i quali pure Gioia propone la datazione ad una fase antica dell'Aurignaziano. Palma di Cesnola preferisce indicare l'industria litica di Fontana Nuova come una facies periferica probabilmente attardata. Martini, invece, nel sottolineare la rarità dei grattatoi carenati e l'assenza dell'industria su osso, ben attestata invece nelT Aurignaziano francese, ritiene che si possa parlare di una facies regionale.
Dato interessante per quanto riguarda Fontana Nuova è il ritrovamento di un cilindretto in calcare con due serie di tacche incise parallele. Si possono citare confronti, sempre con la Francia, con oggetti in osso con tacche incise, i cosiddetti marque de chasse, che sembrano riferirsi a dei conteggi, forse di animali uccisi. Ma non si può escludere che si tratti di elementi decorativi. Recenti ricerche hanno dimostrato che le selci di Fontana Nuova provengono dallo strato geologico del Membro Amerillo affiorante nella zona di Monterosso Almo e da Monte ludica, il che indica uno spostamento notevole del piccolo gruppo di popolazione umana attestato per quel periodo nell'isola.
Nelle recenti ricerche, effettuate da Chilardi ed altri, sui resti faunistici rinvenuti a Fontana Nuova, ora conservati al Museo Archeologico Regionale "Paolo Orsi", si sono potute fare interessanti osservazioni sullo sfruttamento delle risorse faunistiche: si è registrato che gli animali più utilizzati per l'alimentazione erano i cervi; i resti di questi animali sono molto abbondanti e comprendono diverse vertebre spezzate al fine di estrarne il midollo. Si è potuta riconoscere, nella statistica dei resti faunistici, una presenza di arti posteriori di gran lunga maggiore rispetto alle altre parti del corpo, il che fa ritenere che la macellazione di questi cervi avvenisse lontano dalla grotta.
Il sito di Fontana Nuova è il più antico del Paleolitico superiore conosciuto in Sicilia. Gli altri insediamenti sono tutti più tardi. Ma da alcuni anni iniziano ad essere segnalati elementi che potrebbero riferirsi alle fasi più antiche del Paleolitico superiore. In particolare nel sito di Vallone Maccaudo, nel siracusano, sono stati rinvenuti negli anni Sessanta dello scorso secolo, ma editi recentemente da Russo, alcuni livelli che si daterebbero ad un momento precedente a Fontana Nuova anche da un punto di vista stratigrafico. Si tratta però di pochi oggetti, in particolare un coltello di Chàtelperron, punta lavorata sul dorso (caratteristica della fase chiamata Castelperroniano, dalla località francese di Chàtelperron nella regione del Perigord, fase molto antica del Paleolitico superiore francese contemporanea al momento più antico deU'Aurignaziano) e un bulino a ritocchi trasversali (fig. 5).
Se precedenti a Fontana Nuova si daterebbero agli inizi del Paleolitico superiore (35-31.000 anni dal presente) alla fase che in Francia corrisponde al Castelperroniano e in Italia all'Uluzziano (facies individuata e studiata da Palma di Cesnola nella Grotta del Cavallo, presso la Baia di Uluzzo, in territorio di Lecce).
Fra 28.000 e 20.000 anni fa si sviluppa in Italia la cultura del Gravettiano, fase intermedia del Paleolitico superiore, il cui nome deriva dal Riparo di La Gravette in Dordogna. Elemento tipico è la cosiddetta punta di La Gravette, molto sottile e lavorata in genere su un dorso, talvolta su entrambi, attestata nei principali insediamenti in grotta della penisola italiana, Riparo Mochi, Grotta della Cala e Grotta Paglieti, ma non in Sicilia. Bernabò Brea identificò nell'isola industrie definite dapprima gravettiane ma poi, sulla scorta delle analisi tipologiche e dei confronti con le industrie italiane, meglio precisate come epigravettiane. Alcuni dei reperti che lo studioso analizzò provengono da Grotta Lazzaro, in territorio di Modica. La grotta era stata già esplorata alla fine dell'Ottocento da Von Andrian, e in seguito da Maugini e da Pigorini. I reperti sono conservati al Museo Nazionale Preistorico Etnografico "Luigi Pigorini" di Roma. La loro attribuzione è però incerta, dal momento che provengono da ricerche sommarie e non sistematiche e senza alcun riferimento stratigrafico.
< A seguito degli studi di Shackleton e altri sulla paleogeografia del Canale di Sicilia negli ultimi 125.000 anni, disponiamo di un dato importante: nel 16.000 a.C, al culmine del pleniglaciale superiore, la Sicilia era collegata a Malta e lo Stretto di Messina aveva una lunghezza più breve dell'attuale. Ciò rendeva di fatto ben collegata la penisola con l'isola siculo-maltese.
Da questo momento appaiono in Sicilia industrie riferibili all'Epigravettiano, che corrisponde cronologicamente alle culture francesi del Solutreano, del Maddaleniano e dell'Aziliano. Attraverso le analisi di Laplace disponiamo per la Sicilia di una seriazione che può essere ragionevolmente proposta anche con corredo cronologico, pur non disponendo di una cronologia relativa desumibile da dati stratigrafici. Per le fasi più antiche si può disporre tuttavia della stratigrafia e delle datazioni assolute della penisola italiana, che vengono indicate quali dati orientativi per la Sicilia, dove non disponiamo di datazioni assolute. Solo per le fasi dell'Epigravettiano recente e finale disponiamo, in Sicilia, di datazioni assolute da Grotta dell'Acqua Fitusa, Grotta Giovanna e Grotta di Cala dei Genovesi.
L'industria più antica dell'Epigravettiano in Sicilia è quella di Canicattini Bagni, individuata da Bernabò Brea su un lotto di reperti pervenuto al Museo di Siracusa agli inizi del secolo scorso, del quale non si conosce il luogo preciso e il contesto di provenienza (fig. 6).
< A seguito degli studi di Shackleton e altri sulla paleogeografia del Canale di Sicilia negli ultimi 125.000 anni, disponiamo di un dato importante: nel 16.000 a.C, al culmine del pleniglaciale superiore, la Sicilia era collegata a Malta e lo Stretto di Messina aveva una lunghezza più breve dell'attuale. Ciò rendeva di fatto ben collegata la penisola con l'isola siculo-maltese.
Da questo momento appaiono in Sicilia industrie riferibili all'Epigravettiano, che corrisponde cronologicamente alle culture francesi del Solutreano, del Maddaleniano e dell'Aziliano. Attraverso le analisi di Laplace disponiamo per la Sicilia di una seriazione che può essere ragionevolmente proposta anche con corredo cronologico, pur non disponendo di una cronologia relativa desumibile da dati stratigrafici. Per le fasi più antiche si può disporre tuttavia della stratigrafia e delle datazioni assolute della penisola italiana, che vengono indicate quali dati orientativi per la Sicilia, dove non disponiamo di datazioni assolute. Solo per le fasi dell'Epigravettiano recente e finale disponiamo, in Sicilia, di datazioni assolute da Grotta dell'Acqua Fitusa, Grotta Giovanna e Grotta di Cala dei Genovesi.
L'industria più antica dell'Epigravettiano in Sicilia è quella di Canicattini Bagni, individuata da Bernabò Brea su un lotto di reperti pervenuto al Museo di Siracusa agli inizi del secolo scorso, del quale non si conosce il luogo preciso e il contesto di provenienza (fig. 6).
Si tratta di un complesso di oggetti unitario, databile ad una fase avanzata dell'Epigravettiano antico (16.000-14.000 circa a.C), nella quale non sono presenti le punte follate. Si trovano invece la tipica punta a cran, cioè una punta che presenta alla base una rottura che ne consente l'immanicatura, e i bulini, strumenti usati per incidere, che in questa fase sono più frequenti rispetto ai grattatoi, qui pure attestati. La fase recente dell'Epigravettiano da alcuni studiosi viene suddivisa in più momenti. Si fa riferimento in questa sede alla terminologia utilizzata dalla Vigliardi. All'Epigravettiano evoluto (14.000-12.000 circa a.C.) si data il Riparo di San Corrado presso Palazzolo Acreide (fig. 7).
Tipici di questa fase sono i dorsi con troncatura insieme ai grattatoi, che iniziano a essere prevalenti; l'industria fu studiata da Bernabò Brea e, successivamente alle sue ricerche, furono segnalate in questo riparo, da Mannino anche delle incisioni lineari sulle pareti. L'Epigravettiano recente (12.000-10.000 circa a.C.) è caratterizzato dalla presenza di utensili geometrici e dalla tendenza a un microlitismo anche se non esasperato; evidentemente cambiarono le esigenze economiche e con esse la tecnica di lavorazione degli strumenti. Per tale fase possiamo disporre di stratigrafie precise dalla Grotta dell'Acqua Fitusa nell'agrigentino e soprattutto dalla Grotta di San Teodoro nel messinese, i cui materiali sono conservati al Museo Archeologico Regionale "Paolo Orsi", e i cui livelli più bassi sono pertinenti alla fase in questione, mentre i livelli più alti, cioè quelli più recenti, sono della fase successiva. Nel siracusano sono state individuate testimonianze di questo periodo nella Grotta Giovanna (fig. 8)
8 - Grotta Giovanna, industria litica dell'Epigravettiano recente (daTusa 1992)
e nel Riparo di Serra Paradiso a Pedagaggi. L'Epigravettiano finale (10.000-8.000 circa a.C), caratterizzato dall'assenza dei cosiddetti geometrici, è testimoniato nei livelli superiori della Grotta San Teodoro e nella Grotta di Cala dei Genovesi a Levanzo, studiata da Graziosi nel dopoguerra.
Ancora per quanto riguarda il Paleolitico superiore sono utili i contributi relativi alla conoscenza dell'area di Campolato, presso Monte Tauro, a Nord di Augusta. La zona, ricca di testimonianze inquadrabili nel Paleolitico superiore, era stata già esplorata negli anni Sessanta del secolo scorso, pur se in modo non sistematico. Alcune grotte di Campolato sono poi state oggetto di indagini accurate negli anni novanta nel tentativo di individuare stratigrafie intatte; in realtà, se non per un riparo a Campolato, i contesti relativi al Paleolitico superiore si presentano purtroppo tutti notevolmente rimaneggiati. Sono stati però individuati contesti stratigrafici più antichi, con resti di Elephas mnaidrìensis, nonché un esemplare di Strombus bubonius, gasteropode tipico di ambienti molto caldi, riferibile alla penultima fase interglaciale (Riss-Wùrm), che si data intorno a 130.000 anni fa. Il territorio di Campolato potrebbe offrire importanti testimonianze anche per la conoscenza del periodo successivo, il Mesolitico. Si ricorda in proposito il sito di Punta Izzo che ha restituito industria litica che in parte potrebbe essere inquadrata nel Mesolitico (fig. 9).
Ancora per quanto riguarda il Paleolitico superiore sono utili i contributi relativi alla conoscenza dell'area di Campolato, presso Monte Tauro, a Nord di Augusta. La zona, ricca di testimonianze inquadrabili nel Paleolitico superiore, era stata già esplorata negli anni Sessanta del secolo scorso, pur se in modo non sistematico. Alcune grotte di Campolato sono poi state oggetto di indagini accurate negli anni novanta nel tentativo di individuare stratigrafie intatte; in realtà, se non per un riparo a Campolato, i contesti relativi al Paleolitico superiore si presentano purtroppo tutti notevolmente rimaneggiati. Sono stati però individuati contesti stratigrafici più antichi, con resti di Elephas mnaidrìensis, nonché un esemplare di Strombus bubonius, gasteropode tipico di ambienti molto caldi, riferibile alla penultima fase interglaciale (Riss-Wùrm), che si data intorno a 130.000 anni fa. Il territorio di Campolato potrebbe offrire importanti testimonianze anche per la conoscenza del periodo successivo, il Mesolitico. Si ricorda in proposito il sito di Punta Izzo che ha restituito industria litica che in parte potrebbe essere inquadrata nel Mesolitico (fig. 9).
TESTIMONIANZE ARTISTICHE DAL PALEOLITICO SUPERIORE AL MESOLITICO
I principali studi sull'arte preistorica italiana e siciliana si devono a Paolo Graziosi.
Le più importanti testimonianze artistiche del Paleolitico siciliano (databili all'Epigravettiano recente e finale) si trovano nella Sicilia occidentale: in particolare nelle Grotte dell'Addaura e Niscemi nel palermitano (fig. 10), studiate dalla Bovio Marconi, e nella Grotta di Cala dei Genovesi a Levanzo, studiata dallo stesso Graziosi. Sulle pareti di queste grotte sono incise sia figure animali, sia figure umane rese in stile naturalistico semplice.
I principali studi sull'arte preistorica italiana e siciliana si devono a Paolo Graziosi.
Le più importanti testimonianze artistiche del Paleolitico siciliano (databili all'Epigravettiano recente e finale) si trovano nella Sicilia occidentale: in particolare nelle Grotte dell'Addaura e Niscemi nel palermitano (fig. 10), studiate dalla Bovio Marconi, e nella Grotta di Cala dei Genovesi a Levanzo, studiata dallo stesso Graziosi. Sulle pareti di queste grotte sono incise sia figure animali, sia figure umane rese in stile naturalistico semplice.
Nel siracusano troviamo la rappresentazione di un bovide reso in maniera naturalistica, inciso su una lastrina calcarea proveniente dalla Grotta Giovanna, ora esposta al Museo Archeologico Regionale "Paolo Orsi" (fig. 11).
11 - Grotta Giovanna, incisione su pietra: bovide (da AA.W. 1997)
La figura dell'animale è sproporzionata, con la parte anteriore più grossa rispetto a quella posteriore, tale tuttavia da rendere la figura più dinamica, secondo una caratteristica che si ritrova anche nell'arte paleolitica franco-cantabrica. Per questo reperto disponiamo di una datazione assoluta, in quanto proviene da strati datati col metodo del radiocarbonio all'Epigravettiano recente (12.000-10.000 a.C).
All'Epigravettiano finale, anche in questo caso con precisi riferimenti stratigrafici, si data la raffigurazione di un bovide reso in maniera rigida, inciso su una grossa pietra calcarea nella Grotta di Cala dei Genovesi a Levanzo. Tale incisione ci riporta all'ultima fase dell'Addaura, dove troviamo bovidi schematizzati, rigidi, sovrapposti alle figure umane (nella nota rappresentazione variamente interpretata come scena di acrobati o scena di sacrificio umano), e quindi posteriori ad esse. Il bovide di Cala dei Genovesi si data fra il 10.000 e T8.000 a.C: è quindi posteriore alla figura di Grotta Giovanna. Si può dunque osservare un'evoluzione nella rappresentazione delle figure animali da una resa naturalistica ad una resa schematica, così come avviene nell'arte franco-cantabrica (in cui rientra la famosa Grotta di Lascaux in Dordogna, con i cicli più importanti di arte paleolitica in Europa) per cui si ricordano gli studi di Leroi-Gourhan. Lo studioso fa un'analisi sull'evoluzione nella rappresentazione delle figure di cavalli, provenienti da contesti cronologici sicuri, analoga a quella qui riportata per i bovidi: anche nell'arte francese si passa da un modo primitivo di rappresentare l'animale a un momento più evoluto, naturalistico, per poi arrivare a figure rigide; infine si abbandona il naturalismo, per realizzare figure schematiche, simboliche, così come avviene nell'arte italiana. L'arte paleolitica siciliana rientra dunque nel quadro culturale mediterraneo.
Una successiva evoluzione nelle rappresentazioni artistiche vede il passaggio a figure ulteriormente schematizzate, astratte. Si ricorda, a tal proposito, che a Grotta Giovanna sono stati rinvenuti tantissimi reperti con incisioni lineari e nastriformi (fig. 12),
12 - Grotta Giovanna, incisioni lineari e nastriformi su pietra (da AA.W. 1997)
segni forse simbolici, che sono ricorrenti nelle fasi più tarde del Paleolitico sia in Francia che in Italia e che si trovano anche nel periodo successivo, l'Olocene. Nel caso specifico di Grotta Giovanna ci sembra possibile ipotizzare che i segni ricorrenti di linee ondulate o incrociate siano da riferire alla rappresentazione dell'acqua, che ben si inquadrerebbe in un culto delle acque all'interno della cavità carsica attiva. E' a questo periodo, ovvero alla cultura mesolitica, che si possono probabilmente attribuire i due ciottoli dipinti con linee e bande parallele, provenienti dalla Grotta di Cala dei Genovesi a Levanzo (fig. 13).
Si tratta di un'arte astratta, molto diversa rispetto a quella naturalistica paleolitica, un'arte che è espressione di un contesto culturale nuovo.
Il Mesolitico si colloca nel periodo post-glaciale. Il clima è cambiato, divenendo sempre più simile all'attuale; con esso è cambiata l'economia di sussistenza e di conseguenza l'industria litica: tipica di questo periodo è la tecnica del microbulino per la realizzazione delle cosiddette armature geometriche, punte di freccia molto sottili adatte a colpire soprattutto piccoli animali, ad esempio uccelli. E' dunque testimoniato per questo periodo l'uso dell'arco. L'economia di sussistenza vede inoltre un incremento delle attività di pesca e raccolta. Scavi molto importanti per la conoscenza del Mesolitico della Sicilia sono soprattutto quelli di Grotta dell'Uzzo nel trapanese, per la quale si dispone di datazioni al radiocarbonio e di puntuali dati archeozoologici: il Mesolitico della Grotta dell'Uzzo si data fra l'8.000 e il 6.000 a.C. Importanti testimonianze sono poi quelle del Riparo della Sperlinga di San Basilio nel messinese e di Grotta Corruggi nella cuspide sud orientale della Sicilia, per la quale sono stati fondamentali gli studi di Bernabò Brea. Il territorio di Pachino, in particolare la zona di Grotta Corruggi e Grotta Calafarina, assume una grande importanza in questo e nei periodi successivi. E' la zona dei pantani, del lago Morghella, una zona umida, sia allora che adesso, sicuramente importante dunque per la caccia all'avifauna. In questo territorio è documentata inoltre la raccolta dei molluschi. Si ricorda che nella zona ad est del lago Morghella è stato individuato un grande villaggio neolitico nel sito di Vulpiglia che ha restituito, fra l'altro, immondezzai con numerosi reperti malacologici a testimonianza della sopravvivenza dell'economia di raccolta. Si tratta dunque di un territorio che riveste notevole importanza anche nelle fasi più tarde della preistoria, caratterizzate da rilevanti cambiamenti, ma anche da una forte continuità culturale.
Lorenzo Guzzardi
Dirigente Kesponsabile Servigio Beni Archeologici Area Soprintendenza BB.CC.AA. di Siracusa
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