Bronzo finale Ferro
tratto da:Servizio Museo Archeologico Regionale " Paolo Orsi"- Progetto Scuola-Museo
Massimo Frasca
L'ETÀ DEL BRONZO FINALE E L'ETÀ DEL FERRO NEGLI IBLEI
Il momento di transizione dalla media età del Bronzo (facies di Thapsos) alla tarda età del Bronzo vede la nascita della cultura di Pantalica, che si svolge per diversi secoli e interessa, oltre al sito eponimo, anche altre aree della Sicilia, da Sabucina e Dessueri nel Nisseno, a Paterno, a Lentini, a Caltagirone (fig.1).
Ma il sito più importante per la continuità di insediamento e per la consistenza dei ritrovamenti resta senza dubbio quello eponimo.
Ci troviamo nel cuore degli Iblei, in una zona interna, che seppur non lontana dal mare in linea d'aria, è difficile da raggiungere per la conformazione fisica dell'altipiano solcato da profonde cave che rendono difficili i movimenti all'interno di esso. Pantalica si trova in una posizione naturale fortissima, alla confluenza di due fiumi, l'Anapo e il suo affluente, il Bottigliere. È una sorta di nido di aquile, una fortezza naturale dai fianchi scoscesi, accessibile soltanto da uno stretto istmo che la lega all'altipiano denominato sella di Filiporto (fig. 2).
Devono essere stati motivi di particolare disagio e pericolo a spingere gruppi di popolazioni a trasferirsi in questo sito. Non è un caso che dopo l'età preistorica i luoghi saranno abitati soltanto nel periodo delle incursioni e della dominazione araba. Pur essendo tra i luoghi più famosi e celebrati della Sicilia, il sito non è mai stato sottoposto a scavi assidui, eccezion fatta per le indagini nelle necropoli eseguite da Paolo Orsi alla fine dell'ottocento e per altri limitati scavi effettuati dal soprintendente Luigi Bernabò Brea nella zona del cosiddetto anaktoron (fig. 3).3 - Uanaktoron (da Orsi 1899)
Oltre a questo edificio, ritenuto da Orsi la sede del re di Pantalica, nulla si conosce dell'abitato. Le nostre conoscenze su questo importante sito sono così affidate unicamente alle numerose tombe aperte nei fianchi della collina, non meno di 5000, secondo le stime degli studiosi, che ci forniscono la sequenza culturale del centro.
L'inizio dello stanziamento in questo luogo così impervio è stato messo in relazione con un momento di crisi nella preistoria siciliana, coincidente, secondo una tradizione antica, con il passaggio nell'Isola dei Siculi provenienti dall'Italia meridionale. E probabile che i primi abitanti di Pantalica si siano mossi dalla costa, probabilmente dalla stessa Thapsos, come indicano alcuni isolati frammenti di quella facies ritrovati nel sito. Da quel momento, siamo nel corso del XIII sec. a.C, prende l'avvio il popolamento di Pantalica che si svolgerà per un arco cronologico assai ampio fino all'arrivo dei coloni greci nella seconda metà dell'VIII secolo.
Nel riesaminare i materiali provenienti da Pantalica, Luigi Bernabò Brea distinse quattro fasi culturali: di esse ci interessano in maniera particolare le ultime due, ma è opportuno però accennare brevemente anche alle prime.
PANTALICA NORD La prima fase è stata denominata di Pantalica Nord, in quanto le tombe si trovano soprattutto nei fianchi nord del colle. Tale fase si caratterizza per la ceramica a fondo rosso stralucido, per la prima volta in Sicilia realizzata con l'uso del tornio, con grande perizia tecnica da parte degli artigiani in grado di realizzare con esso vasi di grandi dimensioni. In questa fase si colloca anche il grande edificio messo in luce da Paolo Orsi sulla sommità del colle e denominato anaktoron, un edificio costruito in muratura che ricorda i palazzi micenei. È questa l'unica costruzione nota di Pantalica. Oltre ad esso infatti non si conosce nulla delle abitazioni delle genti che abitavano il colle: probabilmente si trattava di capanne circolari con muretto perimetrale in pietra ed elevato in materiale deperibile, come le capanne scoperte a Sabucina appartenenti allo stesso periodo. Nei corredi funerari, oltre ai vasi (pissidi, brocche, askoi, scodelle in genere su alto piede) sono oggetti di metallo, rasoi, coltelli e soprattutto fibule di bronzo, dei tipi detti ad arco di violino e ad arco semplice.
CASSIBILE
La seconda fase della Cultura di Pantalica è stata denominata da Bernabò Brea fase di Cassibile, in quanto questo periodo è meglio documentato nelle tombe delle alture che dominano la piana costiera presso Cassibile. Sui fianchi dei caratteristici Cugni che incombono sulla piana costiera tra Cassibile ed Avola (Cugno Croce, Cugno Spineta, Cugno Mola, Serra Palazzo, Cozzo Tirone) si aprono le grotticelle artificiali di forma ellittica riferibili a più villaggi, verosimilmente posti sulla sommità delle alture. La mancanza di scavi ci impedisce però qualsiasi osservazione sull'organizzazione delle comunità, sulle loro reciproche relazioni e sulla durata degli insediamenti. Anche questo è infatti noto solo per le indagini effettuate da Paolo Orsi nelle necropoli. Le tombe a grotticella artificiale, pur denotando una continuità con la fase precedente, presentano delle modifiche nella forma della cameretta, adesso tondeggiante o rettangolare, e nella loro frequente disposizione attorno ad un ingresso a padiglione comune a più tombe (fig. 4).
Sembra così di assistere ad una diversificazione, che ci appare come il riflesso di una società aggregata, composta non più da una singola famiglia, ma allargata a più nuclei familiari. Siamo in una fase, datata tra l'XI e il X sec. a.C, piuttosto complessa che vede nella Sicilia centro-orientale lo stanziamento di gruppi di origine peninsulare, come gli abitanti dei villaggi della Metapiccola presso Carlentini o della Cittadella di Morgantina o di Grammichele, con la presenza di una necropoli in contrada Madonna del Piano con tombe a fossa, accanto ai portatori della cultura locale di Pantalica.
Il confronto tra le abitazioni conosciute permette di cogliere delle sostanziali differenze tra le grandi capanne rettangolari o lievemente absidate dei villaggi di Metapiccola e Morgantina e le capanne di tradizione locale, adesso di forma ellittica o quadrata, che conosciamo attraverso i ritrovamenti di Paolo Orsi e Paola Pelagatti ad Ortigia e di Giuseppe Voza a Thapsos.
Fenomeno significativo di questa fase è la rioccupazione di siti costieri, favorevoli pertanto alla ripresa dei commerci transmarini, come la penisoletta di Magnisi (Thapsos), in cui le capanne quadrangolari si sovrappongono al villaggio della media età del Bronzo e come la stessa Siracusa, dove gli scavi in Ortigia nel cortile dell'Arcivescovado, in via Minerva, nella Prefettura, in via del Consiglio Reginale hanno rivelato l'esistenza di un esteso villaggio. All'interno delle capanne sono state rinvenute ceramiche con la tipica decorazione dipinta definita piumata, per i motivi curvilinei stesi in colore rosso-marrone lucido sul fondo chiaro della superficie dei vasi, che rivelano una chiara derivazione dalla ceramica rossa a stralucido della fase di Pantalica Nord. La stessa ceramica si rinviene nelle tombe delle necropoli di Cassibile, dove in realtà compaiono poche forme vascolari: soprattutto piccoli piattelli forniti di ansa e di alto piede (elemento questo che si riallaccia alla tradizione vascolare locale) presenti in quasi tutte le tombe. La loro interpretazione è dubbia: si è pensato che possa trattarsi di una sorta di lampada (ma spesso i piattelli non mostrano segni di bruciature), oppure di un vaso per offerte. Gli altri vasi presenti nei corredi funerari sono i piccoli orci, le brocchette, i bicchieri, le pissidi. Più abbondanti sono gli oggetti di bronzo del corredo personale dei defunti: le fibule, preziosi indicatori cronologici, adesso caratterizzate dall'ago dritto e dall'arco a gomito o semplice, spesso con una ricca decorazione incisa a bulino; i coltellini; i rasoi (fig. 5); gli anelli. Ancora raro il ferro, che vedremo comparire nei corredi della fase successiva.
5 - a/b Coltellino a fiamma e rasoio . Museo Archeologico Regionale "Paolo Orsi"
Nel corso del IX sec. a.C. si assiste ad un ritorno delle popolazioni nel massiccio di Pantalica, come indicano tombe a grotticella che si aprono numerose soprattutto nei fianchi meridionali del colle. Non è chiaro quali siano i motivi di questo incremento della popolazione a Pantalica; ancora una volta si è pensato a ragioni difensive, dovute alla insicurezza delle coste. Conosciamo di questo periodo le necropoli esplorate a più riprese da Paolo Orsi, che si dispongono in gruppi topograficamente distinti nelle alture dell'altipiano ibleo. Altri importanti siti oltre Pantalica sono Monte Alveria (Noto Antica), Monte Finocchito, Giummarito, Grotta del Murmure, Castelluccio. Più a nord importanti testimonianze del periodo provengono dalle colline lentinesi, Cugno Carrube, San Mauro, Ciricò.
Gli insediamenti sono accomunati da caratteristiche ricorrenti. Poco si conosce degli abitati, che dobbiamo immaginare posti sulla sommità delle alture, solitamente delimitate su tre lati da profonde cave e unite come Pantalica da uno stretto istmo all'altopiano retrostante: è questo il caso di Monte Alveria e Monte Finocchito. Le località scelte per i villaggi, verosimilmente non grandi, sembrano rispondere alle esigenze dell'economia praticata, agricoltura e pastorizia, e a motivi di sicurezza, che fanno sì che i siti siano dislocati generalmente lontano dalla costa. La documentazione materiale, nota essenzialmente dai corredi di vasi e dagli oggetti di ornamento personale rinvenuti nelle tombe di Pantalica, mostra elementi di continuità con la fase precedente negli askoi, nelle brocche, nelle pissidi nel ricorso alla decorazione dipinta piumata. Tuttavia, nuove forme vengono introdotte, come le scodelle con un'ansa verticale presente anche con varietà decorata da solchi presso l'orlo, tipica di questa fase, che entra adesso nel patrimonio del repertorio locale e costituirà, insieme ad altri tipi di scodelle, uno degli elementi tipici della cultura indigena in età storica insieme alla piccola brocca con bocca trilobata (pinochoè). Accanto alla decorazione piumata e alla decorazione incisa è presente anche quella dipinta di tipo geometrico, derivata dalle culture peninsulari.
Tra i bronzi tipici di questa fase sono le fibule con ago incurvato e occhio nell'arco, le cosiddette fibule siciliane, comuni nell'età del Ferro in tutta l'Italia meridionale, da ritenere uno sviluppo di quelle con ago dritto e arco a gomito della precedente fase di Cassibile.
FASE DEL FINOCCHITO
Alla fine dell'VIII sec. a.C, con la fondazione delle colonie greche lungo le coste della Sicilia orientale, Naxos, Catane, Megara Iblea e soprattutto Siracusa per l'area in esame, si pone il problema dei rapporti tra le popolazione indigene insediate all'interno dell'altipiano ibleo e i Greci. A tal proposito, gli storici greci presentano un quadro in cui i Siculi dell'Isola vengono cacciati con la violenza dai siti scelti per lo stanziamento coloniale: è questo il caso di Siracusa, di Leontini, pur con un periodo di coabitazione tra Greci e Indigeni, di Naxos. Soltanto per Megara Hyblaea viene affermata una situazione diversa, in cui un re indigeno, Hyblon, facilita lo stanziamento greco, concedendo ai Megaresi i terreni in cui stabilire la colonia. La presenza dei Greci sulla costa ha delle profonde ripercussioni sull'assetto economico e sociale delle popolazioni indigene, che possono essere colte soprattutto nel sito di Monte Finocchito, frequentato già prima dell'arrivo dei Greci e che continua ad essere abitato anche dopo la fondazione di Siracusa.
Si tratta di un sito collinare, dai fianchi scoscesi, e pertanto naturalmente difendibile, cui si accede agevolmente soltanto da nord attraverso uno stretto istmo, che lo collega all'altipiano acrense, in cui sono ben visibili i solchi profondi di una carrata. Le tracce di questa antica strada, presenti anche sulle digitazioni meridionali del colle digradanti verso la valle del Tellaro, ci indicano come il luogo fosse facilmente percorribile con i carri nell'antichità. Al Monte Finocchito Paolo Orsi dedicò due campagne di scavi nel 1893 e nel 1896. Un'altra brevissima campagna di scavi fu condotta dallo scrivente nel 1978 nell'area delle necropoli disposte tutt'intorno ai fianchi: come nella maggior parte dei siti indigeni iblei; nulla si conosce dell'abitato, che doveva occupare la sommità dell'altura.
Le tombe, scavate nella roccia calcarea secondo la pratica tradizionale indigena, sono adesso di pianta rettangolare con il soffitto piano. È possibile cogliere uno sviluppo dalle tombe più antiche appartenenti alla fase di Pantalica sud, di norma dotate di un piccolo gradino su cui poggiavano i crani degli inumati, deposti di fianco e con gli arti piegati, alle tombe più recenti, prive del gradino e a volte dotate di banchine, come nelle necropoli di Villasmundo, S. Aloe e Cava Ruccia nel lentinese, con i defunti deposti supini con gli arti distesi. Le camerette sono adesso in genere riservate a pochi individui; al Finocchito non sono rare le sepolture individuali, o destinate ad una coppia, diversamente da quanto avveniva in precedenza. È questa una circostanza di grande interesse per lo studio della necropoli, perchè permette di cogliere delle associazioni puntuali dei materiali e delle variazioni nella tipologia degli oggetti e nella composizione dei corredi.
Le tombe di Monte Finocchito sono in genere piccole, mai superiori ai due metri di lunghezza, tuttavia, in necropoli coeve degli Iblei settentrionali come Villasmundo o Cava Ruccia, si hanno tombe più monumentali con un taglio nella roccia netto, accresciute da una parte esterna a volte provvista di banchine (fig. 6).
6 - Prospetto di una delle tombe di Monte Finocchito
Non è da escludere una utilizzazione della parte antistante il sepolcro vero e proprio per riti in onore dei defunti, dei quali peraltro non conosciamo nulla. Nella ceramica di questa fase è possibile cogliere dei profondi cambiamenti dovuti all'influsso della civiltà greca. Nei corredi funerari compaiono forme come le oinochoai e l'anfora con anse verticali, forse usate per il consumo del vino, destinate a caratterizzare i corredi delle necropoli indigene per secoli insieme alla scodella, nota in molte varietà tipologiche, ad una o più anse, orizzontali o verticali. Tra esse un posto di spicco lo assume il grande scodellone con ricca decorazione incisa, in cui predomina il meandro, dotato di tre o quattro anse verticali applicate presso l'orlo, probabile traduzione in argilla di un vaso in metallo (fig. 7).
7 - Scodellone dalla tomba 186 della necropoli sud di Pantalica ambra ed OSSO. Si tratta di Veti
Museo Archeologico Regionale "Paolo Orsi"
L'importanza del Finocchito consiste nell'opportunità che ci consente di cogliere i mutamenti in un insediamento indigeno avvenuti in seguito al contatto con i coloni Greci. Mutamenti che cogliamo innanzitutto nella cultura materiale, nei vasi e negli oggetti di uso personale presenti nei corredi funerari. Forme indigene tradizionali come la scodella permangono nei corredi, ma adesso si affermano con grande frequenza forme nuove di ispirazione greca e i vasai locali vanno incontro ai gusti della committenza locale utilizzando quasi di norma una decorazione dipinta, che imita fedelmente quella della coeva ceramica in uso presso i Greci. Al Finocchito predomina l'impronta del tardo-geometrico di Corinto, certamente trasmesso da Siracusa. La decorazione sobria a fasci di sottili linee si alterna sulla spalla delle oinochoai e delle anfore con la ripartizione in spazi metopali vuoti o campiti da motivi a chevron o sigma, molto amati dai vasai corinzi. Nelle necropoli delle aree più prossime alle colonie calcidesi, alla ripartizione metopale si aggiungono motivi desunti dal repertorio euboico e cicladico, tra cui le figure di uccelli singoli o in teoria.
Non è raro trovare nei corredi vasi di importazione greca, come skyphoi, coppe del tipo detto "di Thapsos", coppe a labbro svasato, kjathoi. Anche nelle fibule è possibile cogliere un riflesso del contatto con i Greci: accanto a quelle di bronzo, adesso caratterizzate dalla staffa allungata, non è raro trovare, soprattutto nel corredo delle donne indigene, le preziose fibule di ferro con arco trapezoidale rivestito di Ambra ed osso. Si tratta di veri e propri gioielli, che non di rado troviamo nelle tombe greche o nei santuari greci offerti alla divinità; così come le fibule a placca di avorio, di cui due esemplari sono stati rinvenuti in una tomba del Finocchito. Oggetti di lusso, quindi, che insieme all'abbondanza degli oggetti di ornamento in metallo (fibule di ferro, collane, catenelle ecc.) rivelano da parte della comunità indigena la volontà e la capacità di acquisizione di beni di prestigio e indicatori di benessere, sconosciuti nella fase precedente, certamente frutto del contatto e di scambi con i Greci (fig. 8).
Non sappiamo cosa potessero offrire gli indigeni degli Iblei ai Greci in cambio degli oggetti che vediamo comparire nei corredi funerari. I coloni appena stanziati nelle nuove sedi avevano certamente bisogno di molte materie prime, legname, prodotti della pastorizia e anche di mano d'opera, oltreché, come è stato più volte affermato, di donne. Dal Monte Finocchito si vede il mare e con esso Eloro, la città fondata dai Siracusani alla foce del Tellaro già nell'VIII sec. a.C, come hanno dimostrato gli scavi di G. Voza, per controllare tutta la fascia pianeggiante costiera a sud di Siracusa (fig. 9).
I due siti dominano il corso del Tellaro, la grande via fluviale che consente una rapida penetrazione verso il cuore degli Iblei. Sembra quasi che gli indigeni iblei abbiano scelto di concentrarsi al Monte Finocchito dai siti vicini (Grotta del Murmure, Giummarito, Noto Antica) che vengono abbandonati, con una sorta di sinecismo spontaneo, in un luogo posto lungo un percorso che metteva in connessione l'altipiano acrense con la valle del Tellaro. Quindi una posizione particolarmente propizia per il contatto tra gruppi di genti diverse che deve aver favorito il concentrarsi della popolazione sul Monte e l'arricchimento della stessa, documentata dall'incremento di oggetti di lusso nei corredi.
Questo non vuol dire però che mancassero motivi di conflitto e di scontro tra i due gruppi etnici. Alla lunga la conflittualità latente nel contatto tra i due gruppi dovette sfociare in una politica di assoggettamento da parte dei Greci, meglio organizzati nei confronti degli indigeni. Un segno di questo va visto nella presenza del muro di sbarramento con due torrioni di dimensioni diverse che sbarra l'istmo di accesso al Finocchito a nord. Rilevata da Paolo Orsi la fortificazione del Finocchito, anche se recentemente gravemente danneggiata dai "cercatori di tesori" (truvaturà), resta un esempio unico di fortificazione di un sito indigeno dell'VIII- inizi VII secolo a.C.
Con la fondazione di Acre nel 664 a.C. il Monte Finocchito viene abbandonato. Da questo momento Siracusa è padrona di tutta la fascia costiera e di gran parte dell'altipiano ibleo. La fondazione di una colonia di popolamento come Acre deve aver determinato esigenze di manodopera servile. Non sappiamo se è stata questa la sorte degli abitanti del Finocchito, certamente da questo momento sono venute a mancare le ragioni di sopravvivenza del sito. Con la fine dell'insediamento del Finocchito però, non cessa la facies che da esso prende nome. E possibile infatti coglierne gli ulteriori sviluppi in altri centri posti nella parte occidentale degli Iblei, Castiglione, presso Ragusa e Monte Casasia presso Monterosso Almo, che si formano all'incirca nello stesso momento in cui i Siracusani si muovono verso il cuore degli Iblei attestandosi lungo il fiume Irminio.
In particolare il grosso agglomerato indigeno posto sul Monte Casasia in posizione dominante l'alto corso del Dirillo, scavato da Paola Pelagatti qualche decennio fa, sembra riproporre le dinamiche storiche che determinarono la formazione dell'insediamento del Finocchito. Le sue sorti si intrecciano ancora una volta con quelle di una colonia greca, in questo caso Camarina, la città fondata dai Siracusani alla foce dell'Ippari, alle cui fortune il sito indigeno sembra aver legato il suo destino.
Massimo Frasca
Direttore della Scuola di Specializzazione in Archeologia dell'Università degli Studi di Catania
Bibliografia essenziale
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