Cultura di Castelluccio - Preistoria Siracusa

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Preistoria Siracusa
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Cultura di Castelluccio

Bronzo antico
Cultura di Castelluccio età del Bronzo
vedi anche: Siracusa cultura di Castelluccio
Per cultura di Castelluccio s'intende una cultura preistorica, diffusa principalmente nell'area sud-orientale della Sicilia e collocabile temporalmente tra la fine dell'eneolitico e l'inizio della cultura thapsiana, quindi in un intervallo compreso fra il 2200 a.C. e il 1400 a.C. che per tradizione storiografica è attribuita alla fase più antica dell'età del bronzo. Il termine castellucciano fu coniato dall'archeologo Bernabò Brea riferendosi al noto villaggio preistorico situato sul promontorio di Castelluccio nel territorio di Noto, indagato decenni prima da Paolo Orsi in una fortunata campagna di scavo che ebbe come oggetto la vasta necropoli.

Il sito di Castelluccio è uno dei più importanti siti preistorici della Sicilia, in quanto, grazie alle buone condizioni di preservazione, sono leggibili molti elementi di un insediamento classico di quest'epoca, tra cui le tracce dell'abitato, la grande necropoli con oltre 200 tombe e un'area identificabile come un santuario religioso.
Fu sempre Bernabò Brea a descrivere nel dettaglio questa cultura, studiando la grande mole di dati ereditata dagli scavi di Orsi effettuati in molte aree della Sicilia sud-orientale.
La civiltà castellucciana rappresenta la prima forma concreta di popolamento capillare del territorio con una diffusione omogenea delle forme sociali, economiche e religiose. La ceramica è costituita da un impasto giallo-arancio, talvolta rosso (nell'area etnea prevale una ceramica nera) con decorazioni a bande semplici o incrociate e forme geometriche complesse di colore bruno, associabili nello stile alle culture sparse nell'area egeo-anatolica, dove, secondo gli studiosi, questo popolo era originario.
I castellucciani non conoscevano l'uso dei metallo e vivevano ancora sfruttando la selce e le rocce basaltiche per costruire utensili; il sostentamento si basava soprattutto sull'agricoltura, la pastorizia e l'attività venatoria, così come evidenziò Orsi dall'analisi degli abbondanti resti ossei di animali ritrovati negli scarichi del villaggio di Castelluccio.
Gli insediamenti, in rari casi circondati da fortificazioni megalitiche, erano costituiti da capanne generalmente circolari ed ellittiche, in certi casi anche rettangolari con angoli smussati.
La struttura prevedeva un muretto alto circa 1,5 metri e una copertura di paglia e canne sostenuta da pali infissi nel substrato roccioso. Si registrano però casi di tecniche differenti.
Sempre a Castelluccio, il fondo di alcune capanne era inciso nella roccia per mezzo di uno sbancamento, dove su un piano rialzato, trovavano posto i pali di sostegno disposti lungo il perimetro, mentre all'esterno, un solco profondo serviva come canale di drenaggio per l'acqua piovana. Questo sistema è stato trovato anche nell'area di Cava Lazzaro e Cozzo Tondo presso Rosolini. A Castelluccio è documentata la presenza di un'altra tipologia abitativa costituita da un profondo scavo nella roccia di forma ovale e con un'altezza di due metri.
Quasi nulla si conosce della religione. Nel santuario indagato nell'insediamento di Castelluccio, furono rinvenuti molti crani di animali che fecero supporre la presenza di riti sacrificali.
     
L'eccezionale scoperta di Paolo Orsi di due portelli tombali sempre a Castelluccio, su cui vi erano scolpiti in bassorilievo figure enigmatiche tra cui la rappresentazione dell'atto sessuale, porterebbe all'affascinante ipotesi che in questa cultura vi fosse radicata la credenza di una rinascita dopo la morte.
 
Resta anche un mistero la destinazione dell'osso a globuli, un particolare oggetto costituito dalla lavorazione di un lungo osso di bue convesso, su cui erano ricavati una serie globuli contigui in rilievo, spesso decorati con motivi lineari complessi.

Si suppone che fossero legati ad un ben preciso rituale affine alla sfera religiosa oppure semplicemente dei manici di coltelli od utensili.
Come già accennato poc'anzi, la diffusione degli insediamenti si attesta nell'area sud-orientale ed ha come confine nord il limite della piana di Catania, sebbene siano riscontrabili insediamenti nell'area brontese considerati fra i più antichi.
Villaggi castellucciani sono stati anche rinvenuti nell'area centrale della Sicilia in prossimità di Caltanissetta, nella località Sabucina, che ne rappresenta il limite occidentale.
Nonostante gli approfonditi studi di Bernabò Brea, attualmente non è stata definita una cronologia precisa basata su valori di datazione assoluti se non quelli di natura stratigrafica, tuttavia è plausibile credere che la diffusione della civiltà castellucciana sia partita dalle zone in prossimità dell'Etna e poi rapidamente diffusa a sud sull'altopiano Ibleo, avvantaggiata dalle maggiori risorse d'acqua e dai terreni maggiormente fertili e più facilmente difendibili. I castellucciani, infatti, sfruttarono molto i sistemi di cave dell'altopiano ibleo sia come vie di comunicazione verso il mare, sia per l'abbondanza d'acqua; al contempo occuparono siti strategici e facilmente difendibili. I villaggi fortificati erano distribuiti in prossimità delle vie d'accesso delle cave o in zone di particolare controllo delle aree circostanti, soprattutto ai margini dell'altopiano. Tra questi un importante esempio è l'insediamento del Petraro, situato al limite della cava del fiume Mulinello, dove a difesa fu eretta una lunga muraglia trapezoidale fornita di torrette semicircolari addossate agli angoli della struttura.
Gli insediamenti sono molto variabili in termini di popolamento, tale stima può essere basata sulla valutazione del numero di tombe nei singoli insediamenti, pertanto si riscontrano casi di aggregati abitativi costituiti da poche capanne, forse riferite ad un singolo clan familiare, fino a grandi nuclei con strutture ben differenziate.
Dal punto di vista economico, è noto come tra i villaggi esistessero scambi commerciali dovuti allo sfruttamento delle risorse locali e produttive. Alcuni insediamenti erano, infatti, specializzati in un determinato prodotto o risorsa, utilizzata poi come merce di scambio con altri villaggi; ad esempio, nel comprensorio cui faceva capo il villaggio sul Monte Sallìa nel comisano, era estratta e lavorata la selce per mezzo di vere proprie miniere scavate sulle pendici del vicino Monte Tabuto, mentre nel villaggio già citato del Petraro, erano prodotte e distribuite macine ed altri utensili di basalto grazie alla stretta vicinanza con i depositi vulcanici della formazione di Carlentini.
L'architettura funeraria
Le necropoli sono spesso il segno più evidente di un insediamento castellucciano. Lo schema planimetrico è standard e sempre riconoscibile, tuttavia spesso possono presentarsi delle notevoli variazioni.
Una tipica tomba castellucciana è costituita da un ingresso rettangolare o quadrato con un bordo di spianamento (invito) in parte allargato attorno all'apertura. La cella funebre è preceduta da un'anticamera, chiamata "anticella" di forma comunemente ellittica, dalla quale si accede attraverso una seconda apertura alla cella sepolcrale; questa ha una pianta circolare o ellittica con soffitto a cupola o tronco conico.

La variabilità di queste componenti però è molto ampia e non ben interpretabile da un punto di vista evolutivo o cronologico. Lenticella non è sempre presente e quando lo è, può assumere dimensioni variabili, a differenza della cella interna che conserva sempre una forma molto regolare. Talvolta vi è un letto funebre, distinguibile in due tipologie: se presente all'interno del perimetro della cella e rialzato dalla base del pavimento (o distinto anche dal solo bordo rialzato), si dice "letto funebre risparmiato", mentre se presente all'esterno del perimetro per mezzo di uno scavo sulla parete si dice "letto funebre a nicchia" o "nicchia funebre". Non sempre però le nicchie avevano la funzione di accogliere l'inumato e spesso erano utilizzate per collocare il corredo funerario.
Grazie alle indagini di Orsi nella necropoli di Castelluccio, oggi sappiamo che queste tombe a grotticella erano sepolcri comuni, molto probabilmente
associati ad una singola famiglia, e potevano contenere anche decine d'inumati. Questi erano spesso soggetti a continue aperture e chiusure. Lo spazio dei nuovi defunti era ottenuto spostando le ossa degli inumati precedenti verso i margini. Non è confermato però che le tombe provviste di letto funebre, in particolare quelle con letto funebre risparmiato, erano dedicate ad un singolo defunto.
Molto importante è il tentativo di monumentalizzare il prospetto allo scopo di evidenziare una particolare distinzione sociale all'interno di un villaggio, infatti, in quasi tutte le necropoli esiste almeno una tomba decorata con prospetto monumentale.
L'elemento ricorrente è la creazione di un prospetto allargato costituito da finti pilastri in basso o alto rilievo, che prendono il nome di lesene, oppure essere scavati a tutto tondo assumendo la forma di vere e proprie colonne. La cosiddetta, 'Tomba del Principe" ( TI PI ) di Castelluccio, né un esempio molto importante.

"Tomba Orsi" prospetto con decorazioni. Cava Lazzaro - G. Libra 2001

In rari casi l'utilizzo della forma a pilastri si evolve in varianti che vanno oltre i canoni tipici enunciati. E' il caso della tomba a pilastri della Pernicella ( T46L30-P) in cui le lesene, oltre a comparire ai lati dell'apertura si trovano anche in corrispondenza del frontone superiore. Altro caso è la tomba a lesene ( T30L16-mD) sugli speroni di S. Febronia, dove le lesene compaiono anche all'interno dell'anticella, mentre nella necropoli di Roccarazzo, la tomba a prospetto allargato con bugne ( T21A2-D) presenta la cella interna con una struttura trilobata provocata forse dal tentativo di ricavare delle lesene.
Raramente nei prospetti monumentali appaiono delle decorazioni secondarie e il loro rinvenimento è sempre fonte di grande interesse, soprattutto alfine di avere ulteriori indizi su eventuali pratiche religiose. Il caso più eclatante è certamente la tomba a lesene di Cava Lazzaro, conosciuta anche come 'Tomba Orsi" ( T25L12-D), in quanto dedicata all'archeologo Paolo Orsi che ne fu lo scopritore. Questa sepoltura riporta un ampio prospetto a lesene ben conservate sulle cui superfici vi furono scolpite delle incisioni lineari simili a quelle osservabili nella ceramica tipica. Il diffuso utilizzo delle decorazioni a finti pilastri, ha portato molti studiosi a ritenere che esistesse un collegamento con le culture preistoriche maltesi della facies di Tarxien.
Tuttavia esistono altre forme decorative meno frequenti e diffuse; le due necropoli di Ossena e Roccarazzo vicino Francofonte, hanno restituito alcune tombe con particolari prospetti a cornici multiple concentriche e scalate verso l'apertura.
Esistono anche i casi di larghi prospetti senza alcuna decorazione e con l'ingresso visibilmente decentrato, di queste si rinvengono varianti che presentano bugne o un grande gradino alla base dell'entrata.
La ricerca sul campo continua, poiché nonostante la conoscenza del territorio ha consentito di svelare uno spettro ampio delle tipologie monumentali, molto resta ancora da scoprire, ne è una conferma, il recente rinvenimento della tomba a pilastri di Sant'Alfano ( T4P2) vicino Canicattini Bagni o le recenti ispezioni in zona Favara vicino Sortino.



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