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Antonio Randazzo da Siracusa con amore
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malattie Sicilia
21.1 - La Malaria
La prima notizia certa di febbri malariche nell'Isola risale al V secolo a. C., ed in particolare a Tucidide ed alla descrizione della epidemia che decimò l'esercito ateniese durante l'assedio di Siracusa tra il 415 ed il 413 a.C., trasformandosi non solo in un determinante di salute, ma anche in un determinante di successo bellico. Per secoli, infatti, il più grande alleato di Siracusa, nella sua storia, non fu alcun esercito amico, ma la malaria, che allignava nelle paludi Lisymelie che si estendevano attorno alla foce dell'Anapo, proprio lì dove piazzavano le tende gli eserciti nemici che attaccarono la città nelle varie epoche. Tucidide dedicò tre libri della sua Guerra del Pelo-ponneso allo scontro tra Ateniesi e Siracusani, che si concluse tragicamente nel 413 a.C. con la totale disfatta dell'esercito ateniese(3,,). Dalla descrizione dei sintomi sembrerebbe essersi trattato di plasmodium vivax (o febbre primaverile benigna), che sicuramente fu la prima forma di malaria che si diffuse in Sicilia in seguito alle condizioni climatiche favorite dall'ultima glaciazione. La forma più grave del plasmodium falciparum dovette giungere nell'Isola solo in epoca medievale, veicolato dagli schiavi nord-africani destinati ai mercati siciliani <3,2), quando nel territorio si consolidò un alto grado di umidità ed una temperatura media non inferiore ai 24 gradi. La grande diffusione della malaria nell'Isola, poi, fu ulteriormente favorita dai tagli al manto boschivo, particolarmente intensi tra il XV e il XVI secolo, e dai conseguenti dissesti idro-geologici. A causa della tòrte opposizione dei baroni siciliani, a nulla valse il decreto borbonico del 13 agosto 1839 che obbligava i latifondisti ad eseguire le bonifiche idrauliche, come documentato nei Giornali patologici della Soprintendenza Generale di Salute Pubblica, conservati nell'Archivio di Stato di Palermo<3,3). Cosicché, secondo la Carta della malaria in Italia, illustrata da Luigi Torelli, alla fine dell'Ottocento F85% del territorio siciliano era diventato malarico<3,4).
"... E che la malaria v'entra nelle ossa col pane che mangiate, e se aprite bocca per parlare, mentre camminate lungo le strade soffocanti di polvere e di sole; e vi sentite mancar le ginocchia, o vi accasciate sul basto della mula che va ali 'ambio, colla testa bassa. Invano Lentini, e Francofonte, e Paternò, cercano di arrampicarsi come pecore sbrancate sulle prime colline che scappano dalla pianura, e si circondano di aranceti, di vigne, di orti sempre verdi; la malaria acchiappa gli abitanti per le vie spopolate, e li inchioda dinanzi agli usci delle case scalcinate dal sole, tremanti di febbre sotto il pastrano, e con tutte le coperte del letto sulle spalle .. <3,5).
Le parole di Giovanni Verga tratte dalla novella Malaria ci trasmettono fedelmente la drammaticità di un quadro sanitario che allora mise davvero a dura prova le popolazioni della nostra provincia.

311-Tucidide, Guerra del Peloponneso, VI-VIII
312-G. Marrone, La schiavitù nella società italiana dell'età moderna, Caltanisetta 1972.
313-Archivio di Stato di Palermo, Giornali patologici della Soprintendenza Generale di Salute Pubblica, anno 1839.
314-L. Torelli, Carta della malaria in Italia, Firenze 1882.
315-G. Verga, Malaria, in Novelle Rusticane, Milano 1883.

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